La “guerra giusta” in età moderna. Fondamenti storici, filosofici e giuridici.

Marco Martini

La “guerra giusta” in età moderna. Fondamenti storici, filosofici e giuridici

Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (I.I.S.F.), Palazzo Serra di Cassano , via Monte di Dio, 14, NAPOLI, Corso di formazione, 12/02/2019:
La “guerra giusta” in età moderna. Fondamenti storici, filosofici e giuridici. A. A. 2018/19
Seminari frequentati:
1. Prof. Fabio Raimondi (Università di Udine), Guerra e religione nell’ordinamento machiavelliano della libertà;
2. Prof.Diego Quaglioni (Università di Trento), Guerra e giustizia in Alberico Gentili (1552-1608).
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è ente accreditato dal M.I.U.R. per la formazione in servizio dei docenti (Decreto n. R.0001106.19-07-2018) ed è presente sulla piattaforma S.O.F.I.A.

1. Prof. Fabio Raimondi (Università di Udine), Guerra e religione nell’ordinamento machiavelliano della libertà.
Raimondi insegna all’Università di Udine e si è occupato di Bruno, Galileo, Machiavelli, Althusser, Lenin; per quanto concerne Machiavelli, ha studiato le “armi proprie” e la religione nello statista fiorentino.
Le espressioni “guerra giusta” o “guerra santa” non compaiono esplicitamente mai in Machiavelli; per il politico fiorentino tutte le religioni incitano all’ignavia e per questo Machiavelli si contrappone a Lutero. Lo statista mostra una visione “a-morale”, non “immorale: per Machiavelli la guerra è giustificata solo per garantire la pace nello Stato: è questa un’idea che rompe con la tradizionale concezione di “guerra giusta”, espressione che è usata in una lettera inviata da Francesco Vettori allo statista toscano. Nel XXVI° ed ultimo capitolo del Principe, Machiavelli cita Tito Livio (Ab urbe condita, IX, 10), che afferma che è giusta la guerra per coloro a cui è necessaria. Nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (III) e nelle Istorie fiorentine (IV, 8) si sostiene che le armi sono “pietose” quando non vi è alcuna speranza al di fuori di esse. La “necessità” è una categoria chiave del pensiero machiavelliano: la “guerra giusta” è necessaria perché “sensata”, ha cioè ragionevolmente dei motivi per essere combattuta quando lo Stato è in pericolo. E’ “necessario” ciò che è “immodificabile”, come i fenomeni naturali, ed il tema della necessità legato alla natura è ricorrente nei testi machiavelliani.
Altra categoria centrale in Machiavelli è quella della libertà, intesa come possibilità di scelta (“elezione”, scrive lo statista): non si è mai liberi da soli, si è liberi soltanto a livelli collettivi. Per Machiavelli, come per Hobbes, libertà è, ad esempio, libertà dalla paura di una morte violenta, che era molto frequente nel ‘500 e nel ‘600. Ma per Machiavelli la paura non è soltanto quella per una morte violenta, anche perché sostiene l’idea delle “milizie popolari” a Firenze, e non si può entrare nelle milizie popolari e andare in guerra se si teme la morte violenta. A Machiavelli interessano la libertà e l’indipendenza di Firenze. “Repubblica” per Machiavelli significa “il vivere libero e civile”. Firenze è una città auto-fondata sulle proprie leggi, non necessita di altro: per Machiavelli la patria è Firenze, la sua città. La guerra giusta è necessaria se viene combattuta per la libertà, innanzitutto per la difesa della patria, ma anche per l’espansione territoriale (si notano qui gli influssi della romanità antica). Machiavelli riprende da Aristotele un aspetto della sua filosofia della natura e concepisce la politica appunto come una scienza naturale; inoltre, se si va in guerra, bisogna essere determinati a vincerla, come sarà il caso dei conquistadores nei confronti delle popolazioni indigene americane (cfr. A. Guidi, Un segretario militante, Il Mulino, Bologna, è un importante studio su Machiavelli e la guerra). Per convincere gli uomini a andare in guerra ci vogliono bravi capitani, dotati di buone abilità retoriche, in grado di persuadere; il buon capitano deve miscelare questa abilità di comando “con un po’ di religione”, che è appunto “instrumentum regni”, strumento di governo, a qualsiasi livello. La religione cattolica non è una buona religione perché non educa alla non paura della morte, come afferma anche Pierre Bayle, lo studioso delle comete, a differenza di quanto avevano espresso Epicuro e Lucrezio (la prima regola del “tetrafarmaco” epicureo affermava infatti che non dobbiamo temere la morte, in quanto no ci incontreremo mai con essa, che sopravviene quando noi non ci saremo più). Tuttavia lo statista fiorentino è ben conscio dell’impossibilità di un ritorno al paganesimo: su questo punto risultano illuminanti gli studi di Gennaro Sasso. Il popolo di cui parla Machiavelli è quello delle corporazioni medievali, non è quello attivo, costituito da cittadini, come sarà durante la Rivoluzione francese; tuttavia il popolo del ‘500 ha un’arma nelle sue mani, la religione, è infatti il principe che si adegua alla religione del popolo, non viceversa, come invece affermerà Cartesio nella prima delle sue regole della “morale provvisoria”.

2. Prof.Diego Quaglioni (Università di Trento), Guerra e giustizia in Alberico Gentili (1552-1608).
Diego Quaglioni insegna storia del diritto medievale e moderno a Trento, si è formato all’Istituto Italiano di Studi Storici “Benedetto Croce” di Napoli, è stato ricercatore al C.N.R., alla Sapienza di Roma e si è occupato di diritto italiano ed europeo; è stato allievo di Adolfo Omodeo che affermò di avere avuto, tra i suoi studenti, “già un professore in cattedra”. E’ oggi preside della “Facoltà di Giurisprudenza” dell’Università di Trento.
Il diritto è politica, filosofia, religione: Alberico Gentili si colloca a cavallo tra ‘500 e ‘600, in un momento cruciale della vita politica italiana; è stato anche un riformatore religioso.
E’ stato studiato da Francesco Ruffini, che perse la cattedra durante il fascismo perché si era rifiutato di prendere la tessera del P.N.F. : Ruffini ha studiato i riformatori religiosi del XVI° secolo, tra questi Gentili.
I riformatori del secondo ‘500 sono quasi tutti giuristi: all’età di 27 anni, Gentili lascia l’Italia con la famiglia alla volta della Germania protestante, perché in Italia non c’è libertà. Pochi anni prima l’aveva già lasciata Giordano Bruno (si ricordino, in proposito, gli studi di Luigi Firpo). Bruno fugge da Roma nel 1576: dopo un breve soggiorno ligure, si reca a Ginevra, ove incontra Gentili, che lo aiuta, anche economicamente. Ancora Gentili ospita Bruno a Londra, ove fu nominato, dalla regina Elisabetta, professore di diritto romano ad Oxford: Gentili rimase ad insegnare ad Oxford fino alla morte. Nel 1603 muore Elisabetta Tudor e si estingue la dinastia Tudor, non avendo Elisabetta eredi: sale sul trono Giacomo VI di Scozia, figlio di Maria Stuarda, che regnerà con il nome di Giacomo I Stuart. Gentili diventa l’ideologo di quest’età di trapasso tra l’Inghilterra elisabettiana e quella degli Stuart. A tratti pare luterano, a tratti calvinista, a tratti sostenitore della Chiesa nazionale d’Inghilterra. Giacomo I porta con sé esperienze filtrate dall’assolutismo francese e da Jean Bodin. Gentili è uno studioso, un intellettuale capace di mediare, e per questo avrà più fortuna di Bruno. Il diritto canonico non è più studiato nelle università riformate, anche se continua ad essere impiegato nei processi. Gentili è una personalità eminente del suo tempo, si occupa di diritto pubblico, di diritto di guerra e di diritto e relazioni internazionali. Scrive un ampio studio sul diritto di guerra (De iure belli): non è un manuale universitario, anche se è scritto in latino, ma vuol essere un’opera di ampia divulgazione. Jean Bodin è stato uno dei pilastri della formazione di Gentili, come anche Machiavelli, ma il Machiavelli che legge Gentili è filtrato dalla tradizione francese. Antonio Gramsci s’inserisce in questo dibattito: nel XXX° dei suoi Quaderni dal carcere (Note sul Machiavelli) concepisce Machiavelli come baluardo contro la tirannide, mentre per Foscolo, Machiavelli insegnava la frode, come s’intuisce dalla sua romantica interpretazione offertaci da I Sepolcri. Gentili concepisce Machiavelli quasi come un pensatore democratico, da imitare (“ad imitandum”, scrive letteralmente Gentili). Per Quaglioni, che ha scritto un importante studio su Gentili, unico modo per sbarazzarsi delle ideologie è tornare sempre alle fonti: è quello che afferma anche Stefano Colavecchia, in Alberico Gentili e l’Europa, un primo tentativo di sintesi degli studi effettuati su Gentili negli ultimi trent’anni. Sono qui contenute interessanti e lucide osservazioni sul rapporto tra Gentili e Machiavelli. Gentili studia in particolare l’idea di giustizia in Machiavelli, è un percorso, quello di Gentili, giuridico e filosofico che recupera il Decretum Gratiani, fonti agostiniane, teologia scolastica, che entrano poi in crisi parallelamente alla crisi dell’universalismo politico, che è anche una crisi dell’universalismo giuridico. Bartolo, nel XIV° secolo, scrive un trattato sul diritto di guerra e studia l’idea di “giusta causa”, ma nel primo ‘500 questa dottrina della “juxta causa” è già in crisi. La necessità è “ciò che rende lecito ciò che lecito non è” nella dottrina della giusta causa, e non è lecito ciò che piace, come aveva affermato Torquato Tasso nel coro “O bella età de l’oro” dell’Aminta (“S’ei piace, ei lice”). La guerra giusta, nella trattatistica medievale, è quella legittimata dal papa o dall’imperatore: con la crisi di queste due istituzioni, entra in crisi anche tutta questa trattatistica. In Alberico Gentili è già emersa l’idea di Stato: è la sovranità degli Stati che dichiara ciò che è legittimo e ciò che non lo è. Gentili respinge l’idea della guerra di religione, che non è mai legittimata: è legittimo combattere i Turchi, ad esempio, come nemici e minacciatori sul piano economico-politico, ma non è legittimo combatterli sul piano religioso, sul quale piano i problemi si possono risolvere con il diritto.

La “guerra giusta” in età moderna. Fondamenti storici, filosofici e giuridici.ultima modifica: 2019-02-15T15:58:24+01:00da m_200
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