L’anti-mito di Roma dalla Rivoluzione francese ad oggi. Convegno per Andrea Giardina.

MARCO MARTINI

L’anti-mito di Roma dalla Rivoluzione Francese a oggi. Convegno per Andrea Giardina

Convegno: giov. 10 e ven. 11 Ottobre 2019
Sala Azzurra, Palazzo della Carovana, Scuola Normale Superiore
L’anti-mito di Roma dalla Rivoluzione Francese a oggi. Convegno per Andrea Giardina – Atti del Convegno.

Programma:
Giovedì 10 ottobre
15.00 Lorenzo Benadusi, Università Roma Tre – Paola S. Salvatori, Scuola Normale Superiore
Introduzione ai lavori
Francesco Benigno, Scuola Normale Superiore
L’arrivo del generale: aspettando Cesare
Andrea Giardina, Scuola Normale Superiore
Panlatinismi senza Roma
Venerdì 11 ottobre
9.00 Presiede Silvio Pons, Scuola Normale Superiore
Luciano Canfora, Università di Bari, Scuola Superiore di Studi Storici di S. Marino
“L’opposizione spirituale contro Roma”.

Giovedì 10 ottobre
Saluti del Preside della classe di Lettere Prof. Rosati.
Andrea Giardina è uno storico “a tutto tondo”, un’icona della storia che “ha spaziato” dalla storia romana a quella contemporanea, in procinto di andare in quiescenza. Il convegno vuole omaggiare, in particolare, il suo studio, scritto a quattro mani, sull’anti-mito di Roma dalla Rivoluzione francese ad oggi (cfr. A. Giardina -A, Vauchez, Il mito di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini, Laterza, Bari). Storico dell’età romana, Giardina si è interessato anche di storia sociale e di storia comparata tra l’antico ed il contemporaneo.

Lorenzo Benadusi, Università Roma Tre, professore associato. Introduzione ai lavori.
“Soltanto Hitler ha saputo copiare fedelmente i Romani”, scrive la filosofa Simone Adolphine Weil nei suoi Quaderni: emerge quindi qui una visione negativa del mito di Roma e Barth insiste su questa tesi. Roma, anche come città, si lega ad una valenza metastorica, di eternità. Ogni mito contribuisce anche ad alimentare il suo opposto, cioè l’ “anti-mito”. Freud, pur essendo ebreo come la Weil, ha invece una visione positiva di Roma, in cui il presente convive con il passato e lo rende vivo.

Paola S. Salvatori, Scuola Normale Superiore, assegnista di ricerca in storia contemporanea. Introduzione ai lavori.
Giardina porta a compimento la linea inaugurata da Canfora nei suoi Quaderni di storia, scardinando ogni limite cronologico e geografico nella storia, da quella antica a quella contemporanea, per abbracciare una nuova prospettiva, che abbracci l’urbanistica e l’archeologia. Insieme alla senatrice Liliana Segre ed a Canfora, Giardina ha recentemente firmato un manifesto per la difesa della storia, dei temi storici e dei saggi storici nelle scuole ed agli esami di Stato.

Francesco Benigno, Scuola Normale Superiore, professore ordinario di storia moderna.
L’arrivo del generale: aspettando Cesare.
Nell’immaginario collettivo Cesare e Bruto costituiscono il bene ed il male. Cesare è stato celebrato nei secoli: durante la Rivoluzione francese si studia la figura di Cesare. Jules Michelet ne Le donne nella Rivoluzione (ed. Bompiani, Milano) ha scritto che “con la morte di Cesare si è inaugurata la religione del pugnale”, culminata con l’assassinio di Marat da parte di Charlotte Corday. Georges Lefebvre, revisionista della Rivoluzione francese, insiste sulla Rivoluzione come erede della romanità; a questa tesi si è opposto Francois Furet nella sua Critica della Rivoluzione francese, che proietta la Rivoluzione verso il futuro, verso il comunismo (prima di aderire al revisionismo Furet era infatti marxista). E’ questa la linea anche di Jacob Burckhardt, storico americano del Rinascimento italiano, di Karl Marx ed anche di Max Weber (cfr. Economia e società), che affermò infatti che l’età contemporanea ha un padre, Cesare, ed una madre, la Rivoluzione francese (nonostante Weber sia ben distante dalla prospettiva di Marx). Cesare incarna il mito dell’uomo forte, che si ritrova in Robespierre e nei “due Napoleone”, ovvero Napoleone I e Napoleone III, come afferma Giardina nel suo studio.
Nell’Ottocento romantico il passato viene sempre più studiato per comprendere ed affrontare il moderno; già durante la Grande Rivoluzione in Francia si afferma che “la storia moderna non è altro che la storia antica sotto un altro nome”. Nell’antica Roma come nella Rivoluzione francese e nel Risorgimento italiano si fa costante riferimento ad un “capo-popolo dalla mano forte” ed al popolo stesso. Il generale La Fayette, eroe della Rivoluzione americana, e Brissot furono due esempi di “capo-popolo” che alimentarono il mito del “cesarismo”, come anche Marat e Danton. Persino il generale della guardia nazionale Dumouriez, eroe della vittoria di Valmy, fu accusato di “cesarismo”, così come Desmoulins mosse la stessa accusa a Roberspierre; ancora il pugnale si agita nella Convenzione, durante l’ultimo discorso di Robespierre. Tale cesarismo arriva a Napoleone, generale, poi console, console a vita ed infine imperatore, mentre non si può, per il relatore, paragonare Napoleone a Cromwell, che non ebbe la stessa popolarità.
Nel Novecento Talaimer, espulso dal partito comunista della Germania Occidentale per la sua interpretazione “bonapartista” di Mussolini, interpretò Mussolini come un “Bonaparte contemporaneo”, con riferimento a Napoleone III. Il medievista marxista Marc Bloc, della Scuola degli “Annales”, segue questa tesi ed allarga l’accusa anche ad Augustin Robespierre, “Bon Bon Robespierre” come afferma Sergio Luzzatto, ovvero l’urlatore fratello minore di Robespierre che l’allora giovane ufficiale della guardia nazionale Napoleone Bonaparte , come lui stesso scrisse, non avrebbe esitato a pugnalare se avesse visto in lui aspirazioni tiranniche.

Andrea Giardina, Scuola Normale Superiore, professore ordinario di storia romana, Panlatinismi senza Roma.
Nella storia comparata per Giardina è forte il rischio di cadere nella storia delle relazioni internazionali. Gli studi di George Mosse restano un punto di riferimento ineludibile per chiunque voglia affrontare queste tematiche.
Il mito dell’antica Roma si sviluppa nella cultura celtica, barbarica, gallica, che oppone al mito di Roma e della “latinitas” altri miti, come sostiene Jules Michelet nella sua Introduzione alla storia universale (Parigi, 1831, p. 74): la Francia “dice il verbo” all’Europa, come la Grecia lo ha detto all’Oriente. Per Michelet la ricchezza culturale della Francia consiste nella mescolanza etnica, non nella purezza, e questo segna il distacco con il mito di Roma vissuto in Italia; ecco che Michelet smonta così anche il mito della “sorellanza latina”, tanto osannato in Italia. Dal mito della “sorellanza latina” è derivato quello del “panlatinismo”, caratterizzato dai seguenti elementi:
1.i francesi si sentono gli unici prosecutori della “latinitas” in Europa;
2.i francesi hanno concepito il “panlatinismo” come eterogeneità tra popoli;
3.nel primo Ottocento nasce l’unione monetaria latina, di brevissima durata, un antesignano dell’euro. E’ un’unione monetaria tra Italia, Francia, Belgio, Austria, Svizzera. La Francia ideò quest’unione e per pochissimo tempo si adottò, nei suddetti Paesi, un apposito “franco” come moneta comune;
4.il panlatinismo si pone come antitesi al panslavismo ed al pangermanesimo, come sostiene Claude Francois Lallemand (1790-1854), che auspicavano utopisticamente, nel 1846, una pace europea, proprio agli albori della primavera dei popoli. La Francia non mira ad un impero nel “senso romano” del termine, ma ad una sorta di “impero culturale”, fatto di incroci di culture; quello francese è quindi un “panlatinismo senza impero”. Napoleone I e Napoleone III seguono questa linea. Da parte italiana, si controbatte che non è possibile costruire un mito anti-romano senza Roma. Nei dipinti francesi dell’Ottocento si paragona la battaglia di Sedan a quella della selva di Teutoburgo (9 d. C.), nella quale Augusto sconfisse i germani: in queste tele esplode tutta la “revanche” francese contro i tedeschi e contro il pangermanesimo.

Venerdì 11 ottobre – 9.00 Presiede Silvio Pons, Scuola Normale Superiore.
Luciano Canfora, Università di Bari, Scuola Superiore di Studi Storici di S. Marino
“L’opposizione spirituale contro Roma”.
Sparta e Roma sono celebrate durante la Rivoluzione francese, ma è con la Restaurazione termidoriana che si pone fine a questo mito, un po’ ingenuo e fanciullesco, considerato retorico, come sostiene Perry Anderson. Il cittadino Bulard, emerito sconosciuto, giacobino come il padre (la madre era una fervente cattolica) scrive un trattato su Bruto. Sono, queste, usurpazioni della storia piuttosto comiche.
Tocqueville demistifica la repubblica ateniese e ci parla della schiavitù in Atene, riportando dati statistici (d’altra parte il concetto di schiavo è fisiologicamente insito nella mente greca, in cui permane anche il vecchio pregiudizio razziale degli elleni in base al quale sono ricondotti in schiavitù i nemici vinti in guerra, ma non Greci), paragona Atene addirittura ai Mammalucchi, ad Attila ed a Gengis Khan.
Hobbes nella dedica al De cive afferma che il popolo romano è un popolo di belve depredatrici, che ha avuto come sovrani altrettante belve: “impossibile abbattere i lupi senza abbattere la selva in cui abitano”, cioè impossibile eliminare i monarchi senza eliminare i popoli che governano.
Engels scrive contro il diritto romano, considerato nemico dell’internazionalismo proletario e del cosmopolitismo, termine che ha avuto una lunga storia sia a sinistra che a destra: è infatti, da un lato la bandiera dell’Illuminismo e dell’internazionalismo marxista, dall’altro si è prestato ad un connubio con la globalizzazione, cavallo di battaglia della destra liberista e neo-liberista; infine, nell’Unione Sovietica di Breznev e Stalin il cosmopolitismo diventa addirittura un’accusa, quella di complottare con le potenze straniere occidentali, nemiche del socialismo.
Thomas Mann, riprendendo Machiavelli, rivaluta invece la Repubblica romana.
Nel 1930 il fascismo celebra il bimillenario virgiliano: l’Accademia dei Lincei a Roma pubblica raccolte di papiri greci e latini recentemente scoperti dagli archeologi e Concetto Marchesi, comunista, scrive insieme al fascista Ugo Ojetti per celebrare il bimillenario virgiliano. Nel 1942 viene fondata a Berlino la rivista “Studia humanitatis” e Goebbels teme che l’Italia, infervorata dal mito di Roma, possa prendere il sopravvento sui Paesi dell’Asse: nella Germania nazista si demolisce il mito di Roma e al diritto romano si contrappone quello germanico. Da notare il paradosso: l’Italia fascista, fondata sul mito di Roma, è alleata alla potenza fondata sull’anti-mito di Roma.

Paola S. Salvatori, Scuola Normale Superiore, assegnista di ricerca in storia contemporanea. Eroi di confine: il trovatore germanico ed il conquistatore romano.
Nella prima guerra mondiale, in Italia l’irredentismo trova il suo punto d’appoggio nel mito di Roma, così come lo trovarono Mussolini ed il fascismo: la stessa imposizione, da parte del regime fascista, di nomi di strade e piazze con nomi italiani e la rimozione di monumenti che ricordano il mondo germanico va in questa direzione. La città di Bolzano, in questo contesto, costituisce un’eccezione, che tenta di opporsi al mito fascista della romanità, come testimoniato dal monumento al trovatore germanico Walter, in opposizione a Druso, conquistatore romano, perché l’Alto-Adige è terra tedesca. Mussolini non vuole il monumento a Walter e vuole costruire un monumento a Garibaldi, e nel 1935 fa erigere monumenti a Cesare Battisti, eroe della Grande Guerra odiato e fucilato dagli Austriaci; altre due statue vengono erette in memoria di Damiano Chiesa e Fabio Filzi, all’interno di un più ampio “monumento alla vittoria”. Vienna resta neutrale di fronte al problema della rimozione della statua a Walter a Bolzano, ma Hitler afferma che una sua eventuale rimozione causerebbe problemi diplomatici tra Italia e Germania. Passeranno anni prima che la vicenda cada nel dimenticatoio. La statua di Walter restò a Bolzano, non nella piazza centrale, ma in un vicino parco perché nella piazza rimase il monumento a Druso e le due statue non avrebbero potuto “coesistere” nel medesimo luogo, in quanto Druso era l’emblema dell’anti-germanismo. Questo fu deciso da Mussolini nel 1935, ma la situazione contingente porterà i due Paesi ad una solida alleanza l’anno successivo. Nel 1941 la Germania chiede all’Italia di rimuovere il monumento a Druso nella piazza centrale di Bolzano e nel 1981 viene riportato in piazza, che porta il suo nome, il monumento a Walter. Emblematiche, a riguardo, suonano le parole di Salvemini: “La frenesia nazionalistica è come il filtro di Circe, trasforma gli uomini in bestie” (cfr. G. Salvemini, Mussolini diplomatico, 1952).

L’anti-mito di Roma dalla Rivoluzione francese ad oggi. Convegno per Andrea Giardina.ultima modifica: 2019-10-11T20:23:57+02:00da m_200
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