SVILUPPI DEL NEOMARXISMO IN UNIONE SOVIETICA ED IN ITALIA.

SVILUPPI DEL NEOMARXISMO IN UNIONE SOVIETICA ED IN ITALIA.

I. PREMESSA.

1. Rosa Luxemburg e il dibattito sul Riformismo.

Rosa Luxemburg è tra le donne di maggior rilievo nel marxismo contemporaneo (cfr. il film “Rosa L.”). Ebrea, nata sul confine tra Russia e Polonia intorno al 1870, diresse il partito socialista polacco e lottò contro l’imperialismo per i diritti dei lavoratori e per lo sciopero generale. Fondò, insieme a Karl Liebknecht, il partito “Spartachista” (cosiddetto per il riferimento alla rivolta dei gladiatori capeggiata dal gladiatore e schiavo Spartacus nel 70 a. C. a Roma), ma, dopo varie insurrezioni, furono entrambi assassinati. Ebbe un atteggiamento contrario di fronte alla prima guerra mondiale, contro il “socialpatriottismo”, che si era diffuso, insieme al “socialnazionalismo”. Salutò con entusiasmo la rivoluzione d’ottobre, ma ebbe contrasti con Lenin e criticò i metodi repressivi del bolscevismo. Considerò il socialismo non come un naturale ed ineluttabile sviluppo della società, ma come una linea politica che solo un proletariato organizzato può portare a termine, a differenza di quanto pensava, a riguardo, Kautsky, che, in modo ortodosso, aveva acuito la tesi marxiana della necessaria crisi del capitalismo e del conseguente trapasso alla rivoluzione.

II. IL NEOMARXISMO IN UNIONE SOVIETICA

1. Plechanov.

Plechanov diffonde il marxismo in Russia tra fine ‘800 e primo ‘900 e fonda l’organizzazione populista “Terra e libertà”. Ribadì la tesi marxiana circa il rapporto tra struttura e sovrastruttura e, data la fondamentale importanza dell’economia, criticò Lenin, che pensava di poter attuare la rivoluzione senza passare per la fase capitalistica. E’ un marxista ortodosso, critico nei confronti della rivoluzione russa perché considerata prematura.

2.Lenin.

Vladimir Ilic Ulianov Nikolay Lenin ebbe il fratello maggiore Aleksandr ucciso in una sommossa antizarista (aveva partecipato ad un attentato alla vita dello zar); anche se scosso da tale drammatico evento familiare, il giovane Lenin si convinse che l’anarchismo non era praticabile. Dopo la laurea, studiò Marx, Engels ed i problemi economici della Russia. Terminato un breve soggiorno in Svizzera, tornò in Russia e fondò il Partito Operaio Socialdemocratico Russo, d’ispirazione marxista, ma venne deportato per tre anni in Siberia; alla deportazione seguì un esilio di 5 anni. Nel 1902 Lenin pubblica l’opuscolo Che fare? segnando l’atto di nascita del bolscevismo. Lenin non crede che si debba necessariamente passare da uno stadio feudale, quale era quello della Russia zarista, alla fase capitalistica, prima di arrivare alla società socialista, ma ritiene possibile tale transizione in modo immediato. Considerò il Partito Comunista, unico partito, l’incarnazione della volontà del proletariato: si tratta di un partito “puro”, che non va mai criticato, perché ogni allontanamento da esso comporta un rafforzamento del nemico da sconfiggere.  Al Congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, tenuto a Bruxelles, la corrente di Lenin ha la maggioranza (bolscevichi): i minoritari (menscevichi) sono di tendenza moderata. La rivoluzione del febbraio 1905 finisce in un bagno di sangue (è la  nota “domenica di sangue”), perché le truppe dello zar sparano sulla folla che avanzava verso il Palazzo d’Inverno, la residenza dello zar (che tra l’altro era assente perché impegnato in una battuta di caccia), lasciando centinaia di morti sul suolo, tra cui un prete ortodosso con la famiglia. Tuttavia lo zar è costretto a concedere una prima duma (parlamento), seguita da altre 3 dume, a carattere locale. Nel febbraio 1917 i menscevichi di Kerensky prendono il potere, ma non riescono a sconfiggere le armate bianche, ovvero le truppe dello zar guidate dal generale Kornilov: lo zar Nicola II Romanov è infatti stato destituito, ma vive con la famiglia nella sua dacia (casa di campagna), e sarà ucciso dai bolscevichi solo nel 1918. Nell’aprile 1917 l’ala leninista prende il sopravvento: Lenin, tornato dall’esilio in Finlandia (era stato costretto a fuggire dopo il fallimento della rivoluzione del 1905, anche se era tornato in Russia da poco tempo, dopo il soggiorno in Svizzera), promulga le famose “tesi di aprile”, con un programma semplice, ma incisivo sulle coscienze del proletariato russo, che si può sintetizzare nei seguenti tre punti: a) terre ai contadini, b) pace ai popoli, c) potere ai soviet (consigli). Il soviet è il consiglio a qualsiasi livello, da quello di fabbrica a quello cittadino, di provincia, regione, fino al soviet supremo. Un esercito di proletari, disorganizzato sul piano militare, ma animato da una forte coscienza proletaria, si dimostra in grado di sconfiggere le armate bianche, a differenza dei menscevichi, che perdono credibilità agli occhi della popolazione russa. Nel 1917 Lenin pubblica Stato e rivoluzione, in cui critica, riprendendo una tesi marxiana, lo “Stato borghese”, strumento di oppressione nelle mani dei capitalisti. Solo un partito organizzato, con una ferrea disciplina, da parte di professionisti scelti, può distruggere lo Stato borghese, e questo perché la borghesia è in possesso di quella cultura che purtroppo il proletariato non ha. Solo il “Partito-Stato” può quindi esercitare la “dittatura del proletariato”.

III. IL NEOMARXISMO IN ITALIA.

1. Antonio Labriola.

Antonio Labriola  (1843-1904), allievo di Bertrando Spaventa a Napoli, professore a Roma, di formazione prima hegeliana, poi herbartiana (tra il 1870 ed il 1880), approdò definitivamente al marxismo verso il 1880 (Herbart, al quale il giovane Labriola si era avvicinato, aveva rilanciato una sorta di “assioma realistico” decisamente antihegeliano, per cui la realtà esiste indipendentemente dall’io, ed aveva ammesso l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio, giustificati dal finalismo biologico). Labriola fu il più grande diffusore della dottrina marxista in Italia prima di Gramsci.

Il marxismo, per Labriola, va ben distinto dal Positivismo: del Positivismo Labriola accetta il metodo scientifico, ma ne rifiuta il materialismo, perché il materialismo non indaga la materia in senso fisico, chimico o biologico, il materialismo non è naturalismo quindi, ma studio della cultura e dell’economia.

Pur non criticando la tesi marxiana sulla supremazia della struttura economica sulla sovrastruttura, Labriola ritiene che anche i processi di coscienza, così spesso tortuosi e indecifrabili, hanno la loro importanza, perché costituiscono anche questi la storia: ne è un esempio eclatante la storia delle idee. Non si può, per Labriola, pertanto ridurre la storia ad economia e la superiorità dell’economia non può quindi essere considerata dogmaticamente onnipotente. Si ricordi l’opera Del materialismo storico (1897).

2. Antonio Gramsci: vita ed opere.

Antonio Gramsci nacque ad Ales, in provincia di Cagliari, nel 1891. Terminato il liceo classico, s’iscrisse alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino (studiò lettere classiche), ma, non ancora laureato, nel 1914 abbandonò gli studi per l’attività politica. Partecipò all’occupazione delle fabbriche torinesi negli anni ’20, fondò “L’Ordine Nuovo”, una rivista d’ispirazione marxista, e nel 1921, al Congresso di Livorno, è promotore della nascita del Partito Comunista d’Italia, dovuta ad una scissione dal Partito Socialista riformista. Conobbe Lenin a Mosca nel 1922, durante i lavori della III Internazionale, diresse “L’Unità” in Italia, ma durante il fascismo fu arrestato e condannato a 24 anni di prigionia da scontare nel tremendo carcere di Turi, presso Bari. Morì il 27 aprile 1937, all’età di 46 anni, dopo 10 anni, 4 mesi e 9 giorni di prigione, anche per le precarie condizioni di salute: sofferente di tisi, Gramsci ha peggiorato le proprie condizioni di salute nel carcere di Turi, una prigione particolarmente dura e finalizzata ad internare i prigionieri politici durante il regime fascista. Ci ha lasciato le Lettere dal carcere, inviate ai figli Delio e Giulio, alla moglie, alla cognata Tatiana, che lo ha assistito durante tutto il periodo di prigionia, ed i Quaderni dal carcere, costituenti l’ossatura della sua riflessione storica, filosofica, politica, economica. Questi ultimi sono anche considerati come la sua tesi di laurea, mentre le Lettere dal carcere costituiscono un patrimonio umano di altissimo valore, così considerate anche da altri intellettuali di formazione liberale, quali Piero Gobetti, liberale antifascista e perseguitato dai fascisti, e Benedetto Croce. Di lui si ricordi anche L’albero del riccio, una raccolta di fiabe per bambini, dal contenuto morale particolarmente ricco. I Quaderni dal carcere sono costituiti dai seguenti sei volumi: Il materialismo storico, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Il Risorgimento, Note sul Machiavelli, Letteratura e vita nazionale, Passato e presente.

3. Il pensiero gramsciano.

Pur apprezzando il pensiero crociano, Gramsci gli mosse la critica di essere rimasto ancorato alla metafisica hegeliana astratta, all’Idea. Alla filosofia speculativa di Croce, Gramsci oppone la filosofia della prassi, intesa come “Storicismo Assoluto”, ma non in senso crociano, bensì massimamente concreto e privo di ogni idealità trascendente o metafisica: per comprendere la storia, per Gramsci dobbiamo studiare la dialettica delle contraddizioni sociali in cui vivono gli uomini reali; teoria e prassi, pensiero ed azione devono sintetizzarsi non per fini speculativi, ma per creare una società socialista e la classe dirigente dev’essere moralmente ed intellettualmente superiore. La storia è quindi non una lotta tra classi, come affermava Marx, ma tra egemonie, ed il proletariato sarà la nuova classe egemone. Al concetto leninista di “dittatura del proletariato” Gramsci sostituisce dunque quello di “egemonia del proletariato”.

Gramsci distingue inoltre la società politica, che è lo Stato, dalla società civile, che è data dalla trama di rapporti intessuti tra gli uomini, costituiti dai partiti, dalla stampa, dai sindacati ed anche dalla Chiesa: è proprio nella società civile che si deve ricercare il consenso affinché un gruppo sociale diventi egemone.

Nello sviluppo della storia, sostiene Gramsci riprendendo le tesi di Labriola, non è fondamentale la struttura economica, ma la sovrastruttura culturale. Il nesso fra teoria e prassi si ottiene solo educando la massa alla cultura e per questo è fondamentale il ruolo degli intellettuali: senza intellettuali, non c’è organizzazione. L’intellettuale non è un disinteressato ricercatore della verità, come nel Rinascimento, ma un funzionario di Partito, un “persuasore permanente” (cfr. Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura). All’intellettuale del Rinascimento Gramsci sostituisce quindi l’intellettuale organico, al servizio del Partito, che incarna la volontà collettiva e rivoluzionaria, rappresentando la totalità degli interessi della classe lavoratrice ponendosi come “moderno principe” (cfr. Note sul Machiavelli). Si nota la presenza, in Gramsci, del pensiero di Lenin.

Gramsci accusa infine il Risorgimento italiano di aver fallito: il  vero Risorgimento sarà la Resistenza antifascista (cfr. Il Risorgimento). Il fallimento risorgimentale è dovuto all’utopia mazziniana, che aveva considerato la questione sociale secondaria e subordinata a quella dell’unificazione politica e costituzionale, e questo è valso soprattutto per il Mezzogiorno.

Si consideri la seguente mappa concettuale riepilogativa sul Neomarxismo in U. R. S. S. ed in Italia:

MARX, KAUTSKY: CRISI DEL CAPITALISMO => SOCIALISMO (marxismo ortodosso);

ROSA LUXEMBURG: CRISI DEL CAPITALISMO =/=> SOCIALISMO;

 

LENIN: FEUDALESIMO => SOCIALISMO;

MARX, PLECHANOV: FEUDALESIMO => CAPITALISMO=>SOCIALISMO (marx. ortodosso)

 

MARX: STORIA = LOTTA DI CLASSE;   GRAMSCI: STORIA = LOTTA DI EGEMONIE;

 

LENIN: DITTATURA DEL PROLETARIATO;GRAMSCI: EGEMONIA DEL PROLETARIATO;

 

LENIN, GRAMSCI: INTELLETTUALE ORGANICO;

 

MARX,KAUTSKY,PLECHANOV:STRUTTURA=>SOVRASTRUTTURA (marxismo ortodosso);

LABRIOLA, LENIN, GRAMSCI:   STRUTTURA ó SOVRASTRUTTURA.

 

 

 

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