DIVERSI ANGOLI DI VISUALE FRA STORIA MEDIEVALE E STORIA DEGLI EBREI. IN RICORDO DI MICHELE LUZZATI

SCUOLA NORMALE SUPERIORE DI PISA – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA:

DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA E STORIA “CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE”.

CENTRO INTERDIPARTIMENTALE DI STUDI EBRAICI “MICHELE LUZZATI” (C.I.S.E.)

 ANNO ACCADEMICO 2015/16

PISA, 1/3 FEBBRAIO 2016 – CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI:

DIVERSI ANGOLI DI VISUALE FRA STORIA MEDIEVALE E STORIA DEGLI EBREI.

 IN RICORDO DI MICHELE LUZZATI.  ATTI DEL CONVEGNO.

N.B. Il Convegno rientra nelle iniziative di formazione e aggiornamento dei docenti realizzate dalle Università ed automaticamente riconosciute dall’Amministrazione scolastica, secondo la normativa vigente, e dà luogo – per insegnanti di ogni ordine e grado – agli effetti giuridici ed economici della partecipazione alle iniziative di formazione. Ore di studio: 16 (sedici). PROGRAMMA E SESSIONI DEI LAVORI:

I GIORNATA – Lun. 01/02/2016 – c/o l’Università degli Studi di Pisa, h. 14,00/17,30.

Saluti istituzionali.

I SESSIONE: ISTITUZIONI E SOCIETA’ NELLA TOSCANA BASSO MEDIEVALE.

1.Introduzione (Prof. Gian Maria Varanini, Università di Verona).

2.Memoria, onomastica, genealogie nei gruppi dominanti nella Toscana basso-medievale e rinascimentale (Prof. Roberto Bizzocchi, Università di Pisa).

3.Michele Luzzati studioso della Chiesa pisana dei secoli XIII/XV (Prof. Mauro Ronzani, Università di Pisa).

4.I rapporti tra la città dominante, le città soggette e i centri minori nella Toscana fiorentina (Prof. Giorgio Chittolini, Università di Milano).

5.La “guerra di Popolo” pisana di fine Medioevo (Dott. Paolo Cammarosano, Centro Europeo di Ricerche Medievali, Trieste).

II GIORNATA – Mar. 02/02/2016 – c/o la Scuola Superiore Normale di Pisa, h. 09,00/13,00; 14,30/18,30.

Saluti istituzionali.

II SESSIONE: STORIA DEGLI EBREI FRA TARDO MEDIOEVO E RINASCIMENTO.

1.Introduzione (Prof. ssa Alessandra Veronese, Università di Pisa).

2.Odio degli Ebrei: odio dell’altro e odio di sé stesso (Prof. Shlomo Simonsohn, Tel Aviv University – Diaspora Research Institute).

3.Spazio ebraico a Pisa in età moderna (Prof. Bernard Cooperman, associate professor presso la University of Maryland).

4.Famiglie ebraiche nei territori pontifici fra tardo Medioevo e prima età moderna: il caso del Lazio (Prof. ssa Anna Esposito, professore associato di storia medievale, Università “La Sapienza” di Roma).

III SESSIONE: CONQUISTA DELLA CITTADINANZA E PERSECUZIONE DEGLI EBREI NELL’EUROPA DELL’OTTO E DEL NOVECENTO.

1.Introduzione (Prof. Guri Schwarz, professore a contratto di storia contemporanea, Università di Pisa).

2.I Modigliani, dal ghetto di Roma a Livorno (Prof. Andrea Addobbati, professore associato di storia moderna, Università di Pisa).

3.Emancipazione giuridica, economia di mercato ed anticapitalismo ebraico (Prof. Michele Battini, professore ordinario di storia contemporanea, Università di Pisa).

4.La condanna della “Società degli Amici di Israele” (Prof. Daniele Mennozzi, Scuola Normale Superiore di Pisa).

5.Conversioni ed abiure in Italia tra prima e seconda Emancipazione (Dott. ssa Ilaria Pavan, ricercatrice, Scuola Normale Superiore di Pisa).

 

III GIORNATA – Mer. 03/02/2016 – c/o l’Università degli Studi di Pisa , h. 09/13,00.

IV SESSIONE: ECONOMIA, DEMOGRAFIE, CAMPAGNE TARDO-MEDIEVALI.

1.Introduzione (Prof. Giuseppe Petralia, Università di Pisa).

2.La crisi delle campagne toscane negli anni ’40 del Trecento (Dott. ssa Alma Poloni, ricercatrice di storia medievale, Università di Pisa).

3.L’economia del Rinascimento in Italia. 1350-1550 (Prof. Paolo Malanima, Università della Magna Graecia).

4.La morte dei bambini a Firenze all’inizio del Quattrocento (Prof. ssa Christianae Klapisch Zuber, École des hautes études en sciences sociales, Scuola di studi superiori in scienze sociali, EHESS).

5.La formazione del patrimonio mediceo: le vicende quattrocentesche (Prof. ssa Anna Maria Pult Quaglia, Università di Pisa).

I GIORNATA – Lun. 01/02/2016 – c/o Dipartimento di “Civiltà e Forme del Sapere” – Università degli Studi di Pisa, h. 14,00/17,30.

Saluti istituzionali del sindaco di Pisa e del Direttore del Dipartimento di “Civiltà e forme del Sapere” (Dipartimento di Filosofia e Storia dell’Università degli Studi di Pisa).

Michele Luzzati è stato un esperto, a livello nazionale, di storia ebraica e un docente della Scuola Normale, il Convegno è dedicato alla sua figura ed alla sua opera; Luzzati ebbe vari interessi (vari “angoli di visuale”), dalla storia locale toscana a quella medievale a quella ebraica. Per due mandati fu presidente della Società Storica Pisana e segretario della stessa per molti anni, durante la presidenza di Violante. Notevolissimi i suoi contributi al Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici (C.I.S.E.).

I SESSIONE: ISTITUZIONI E SOCIETA’ NELLA TOSCANA BASSO MEDIEVALE.

1.Introduzione (Prof. Gian Maria Varanini, Università di Verona)

Storia sociale, storia istituzionale, storia ecclesiastica di Pisa e della Toscana tardomedievale furono al centro degli interessi di Luzzati dagli anni ’60 in avanti. Collaborò all’Istituto Storico Italiano con numerosi articoli; Castagnetti, Pasquali e Vasina seguirono il metodo filologico di Luzzati, che s’impegnò nella pubblicazione dei fondi degli archivi del ‘400 e del ‘500 inerenti la storia ebraica. Firenze e l’aria toscana (Utet, Torino, 1987) è un noto studio di Luzzati che si pone come una sintesi della Toscana medievale; nel 1986 Luzzati aveva già pubblicato questo studio con il titolo Firenze e la Toscana medievale. Egli non credeva ad una Toscana “Firenze-centrica” e dava spazio a zone agrarie e marginali della regione; in particolare studia gli anni centrali del ‘300, sulla crisi bancaria fiorentina con la Compagnia dei Bonaccorsi, studia le Croniche di Giovanni e Matteo Villani e la figura del condottiero lucchese Castruccio Castracani. Nel 1978 partecipa ad un convegno sulla situazione economica lucchese del secondo Quattrocento. Nel 1998 lo storico Teti studiò la situazione economica di Siena, Lucca e Pisa e nel 2001 Luzzati s’impegna in uno studio che tende a trovare un nesso tra i suoi lavori precedenti, valorizzando le indagini di storia demografica e rurale; particolare attenzione egli presta alla struttura politica del comune delle arti a Firenze, che diventa un modello per i comuni dell’Italia padana come Brescia, Padova e Venezia (aspetto studiato anche dal medievista Franco Cardini).

Riflessi di storia sociale fra tardo Medioevo e prima età moderna è un altro studio di Luzzati, presentato al secondo convegno dei medievisti italiani: qui lo storico si concentra sulla storia della famiglia, studia quindi la storia locale, la “microstoria” per ricostruire poi la “macrostoria”. Studia quindi i cognomi e l’onomastica ebraica. Fu, inizialmente, uno storico dell’età moderna: l’interesse per il Medioevo fu successivo. S’interessò anche alla storia dell’aristocrazia fra ‘300 e ‘400. Anche per questo tema sono cruciali gli anni ’70, in particolare 1973-76, durante i quali, nella medievistica, è forte l’interesse per la famiglia.

2.Memoria, onomastica, genealogie nei gruppi dominanti nella Toscana basso-medievale e rinascimentale (Prof. Roberto Bizzocchi, Università di Pisa).

Nella storiografia degli ultimi anni si è giunti ad un punto di approdo fondamentale: si sono ridiscussi concetti che avevano acquisito lo status di pregiudizi, ed è questa un’operazione di revisione che è ben lontana dal decostruzionismo anglosassone di White, che non ha condotto a risultati soddisfacenti, secondo Bizzocchi. Questa ‘ridiscussione’ è stata inaugurata da Luzzati nei Quaderni storici. La storia locale è un problema non solo ottocentesco, ma sempre attuale, come aveva affermato Violante: Luzzati è su questa linea, non parte dai problemi generali, astratti, ma dalle fonti, dai documenti, negli archivi, nelle biblioteche, come dev’essere il lavoro dello storico, oggi condotto con l’ausilio del computer e della rete, che tuttavia non possono sostituire il lavoro “sul campo”. Un altro saggio di Luzzati è contenuto ne L’Italia dei cognomi (ed. Università degli Studi di Pisa, 2010): al nord i cognomi iniziano a formarsi molto presto, mentre nella Toscana del tardo ‘500 i cognomi non ci sono ancora e ci si chiama sempre per nome. Nelle campagne venete dello stesso periodo ci si chiama invece per cognome. Questo ritardo della Toscana rispetto al nord Italia è dovuto alla tardiva affermazione del regime signorile, già invece in auge in Lombardia e nel Veneto. Con il Concilio di Trento (1545-63) si stabilisce che i parroci devono tenere l’elenco aggiornato dei parrocchiani con nomi e cognomi; molti veneziani, ad esempio, convivono, e, pur avendo figli, non sono sposati e la famiglia non esiste, non ha un suo cognome. L’agnomen viene dato, nelle campagne, ad una cascina, ad un intero casale, non ancora alle singole famiglie.

Nel ‘700 le cose cambiano drasticamente: le burocrazie, statale ed ecclesiastica, iniziano a funzionare all’interno di Stati sempre più moderni.

Shaerf, nel 1925, è un ebreo che ha redatto un catalogo di cognomi ebraici, anche per sottolineare l’impegno degli Ebrei nella Grande Guerra, intesa come ultima guerra risorgimentale: tredici anni più tardi, questo libro di Shaerf finirà nelle mani dei persecutori nazifascisti. Dal libro di Shaerf si evince anche come molti cognomi comunemente noti come ebraici, come quelli di città, quali Pistoia, in realtà non lo siano, mentre Rossi o Sereni lo sono.

3.Michele Luzzati studioso della Chiesa pisana dei secoli XIII/XV (Prof. Mauro Ronzani, Università di Pisa).

Nel bollettino storico pisano del 1966 c’è un lungo saggio di Luzzati sul vescovo Filippo de’ Medici e sulla sua visita pastorale avvenuta nel 1463 a tutta la diocesi pisana. Non era, Filippo de’ Medici, un parente di Cosimo il Vecchio e dei Medici di Firenze, nonostante fosse in buoni rapporti con la nobile famiglia fiorentina. Luzzati studiò quindi gli incunaboli del ‘400 ed è questo l’unico studio esistente in materia. Luzzati studia la Chiesa pisana tra Duecento e Quattrocento anche per comprendere come si studia la figura di un vescovo e la sua politica con la diocesi; Luzzati è quindi anche uno storico della Chiesa tardo-medievale.

Studia la famiglia Roncioni, una famiglia nobile pisana del XII e XIII secolo, una famiglia “ugoliniana” fortemente intricata con il potere politico cittadino, avversaria dell’arcivescovo Ruggieri (cfr. Dante, Inferno, XXXIII). Luzzati studia anche il fenomeno del fuoriuscitismo ecclesiastico: si tratta di ecclesiastici che abbandonano la famiglia e la città natale per tentare la carriera ecclesiastica in altre diocesi, magari avversarie della città di provenienza, come fanno molti esponenti della famiglia Ronciani, che infatti si scagliarono contro la città di Pisa dalla quale provenivano, come afferma Luzzati in un suo saggio del 1968.

Negli anni ’80 Luzzati è professore associato alla Scuola Superiore Normale di Pisa e scrive un saggio su Simone Saltarelli, arcivescovo di Pisa nel primo Trecento, ai tempi del pittore Buonamico Buffalmacco: Saltarelli è un domenicano fiorentino, nel 1313 è vescovo di Parma e nel 1323 viene nominato arcivescovo di Pisa. E’ citato nella Divina Commedia, è guelfo bianco come lo stesso Dante e probabilmente è stato proprio Saltarelli a chiamare Buffalmacco, che aveva lavorato al battistero di Parma, a Pisa.

Alla fine del Duecento, con Federico Visconti, s’iniziano a trascrivere gli atti degli archivi ecclesiastici, sui quali Luzzati faceva fare le tesi di laurea ai suoi studenti. Luigina Carratori, più di Luzzati, è una studiosa dell’arcivescovo Federico Visconti e delle sue prediche.

4.I rapporti tra la città dominante, le città soggette e i centri minori nella Toscana fiorentina (Prof. Giorgio Chittolini, Università di Milano).

Il tema del rapporto tra Firenze ed i centri minori e tra i centri minori ha avuto ampio eco negli anni ’80 e ’90 anche grazie agli studi di Zorzi, professore associato di storia moderna all’Università di Firenze e studioso dello Stato territoriale. Il processo di conquista, a Firenze, appare lento, a differenza di quanto avviene a Milano con il dominio dei Visconti prima e degli Sforza dopo. Firenze aveva comunque esteso il suo rapporto su città come San Gimignano, con le quali aveva stipulato una serie di accordi volti a consolidare il dominio fiorentino, pur concedendo alle città soggette i loro statuti. Anche Arezzo deve accettare, alla fine del Trecento, il capitano di custodia fiorentino, così come capita a San Miniato, Pistoia, Pisa alla fine del Quattrocento. Le zone rurali passano sotto il controllo fiorentino, a differenza di quanto avviene a Venezia, che lascia maggiore autonomia ai centri minori. Firenze concepisce la Toscana, quindi, come vera e propria “Toscana fiorentina”. Alcuni piccoli centri della “Toscana fiorentina” tuttavia non accettano l’egemonia fiorentina e si coalizzano in potentati sostenuti dalla signoria viscontea milanese, avversaria di Firenze. Tuttavia Firenze cercò anche di stabilire un dialogo con i centri minori a lei soggetti, concedendo loro la possibilità di avere statuti autonomi, sia pure sotto il suo controllo. E’ quest’ultimo un elemento non presente nella Lombardia e nel Veneto. Tra la Firenze medicea e le città soggette si crearono anche fitte reti di clientelismo: è questo un fenomeno inedito, che caratterizzò il dominio mediceo sia sotto Cosimo il Vecchio che sotto suo nipote Lorenzo il Magnifico; il clientelismo non cancella le differenze di classe, che anzi si accentuano. In questo contesto si diffondono anche i contratti di mezzadria, che diventano strumenti clientelari di dominio per il potere mediceo: Firenze controlla infatti la rete degli scambi e, diventando anche capitale economica e manifatturiera della Toscana, oltre che capitale politica, cerca di ridurre le manifatture artigianali dei centri minori, che si impoveriscono economicamente e s’indeboliscono anche sul piano demografico. Anche le diocesi create dai Medici sono funzionali all’idea di Firenze come di uno “Stato cittadino”: in questo senso Firenze appare come un modello di Stato antico e moderno al tempo stesso, come ha affermato la storica Elena Fasano.

5.La “guerra di Popolo” pisana di fine Medioevo (Dott. Paolo Cammarosano, Centro Europeo di Ricerche Medievali, Trieste).

Nel 1973 Michele Luzzati pubblica il libro Una guerra di popolo. Lettere private del tempo dell’assedio di Pisa (1494-1509), Pisa, ed. Pacini, dal quale il regista Paolo Benvenuti ha tratto lo spunto per il suo film “Una guerra di popolo”. La guerra di Pisa si colloca tra il 1494 ed il 1509, all’interno del più ampio conflitto franco-asburgico che inizia nel 1494, con la discesa del re di Francia Carlo VIII a Milano e si conclude nel 1559 con il trattato di Cateau-Cambresis, che pone definitivamente fine alle “guerre d’Italia”.

Luzzati dedica metà del suo ampio studio a regesti di  documenti, seguiti da 5 profili biografici. Circa altre 200 pagine sono dedicate alla ricostruzione storica della guerra di Pisa. Luzzati è uno storico serio, “guicciardiniano”, attento al “particulare” e fedelissimo alle fonti, fondamentali per lo studio della diplomazia del tempo. Tuttavia non mancano, nel suo saggio, elementi interpretativi e polemici che si concentrano su tre nodi essenziali: 1)l’idea che la guerra fosse voluta dai pisani, 2)che fosse bramata dal popolo, 3)che fosse desiderata dai ricchi ed avversata dal ceto contadino.

Prima di analizzare la polemica di Luzzati è necessario tenere presenti le fasi del conflitto: nel settembre 1494 Carlo VIII scende in Italia ed i pisani si sottomettono a Carlo VIII in cambio del suo aiuto per ottenere l’indipendenza da Firenze, promessa dal sovrano francese; ma poco dopo il re, con un abile doppiogiochismo, promette a Firenze il dominio incontrastato su Pisa. I pisani allora cacciano i governanti fiorentini ed inizia la guerra, mentre i francesi abbandonano Pisa, che ottiene però l’appoggio di Ludovico il Moro e di Venezia, ma quest’ultima presto abbandona la guerra. Nel 1499 i pisani concessero la cittadinanza a tutti i contadini, ma nell’estate dello stesso anno i fiorentini conquistano Cascina. Dopo una breve pausa di riflessione, i pisani riprendono la guerra contro Firenze, che cerca alleanze. Mentre la Francia resta neutrale, Pisa si allea con la Spagna di Ferdinando il Cattolico nel 1505 e tra il 1507 ed il 1509 riprendono le ostilità, che si concludono l’8 giungo 1509 con la vittoria fiorentina e la capitolazione di Pisa.

Luzzati, in sostanza, sostiene che l’alta borghesia e la nobiltà pisane rimasero indifferenti alle vicende politiche della loro città, dimostrandosi così, per dirla con le parole usate da Manzoni nel coro dell’atto III dell’Adelchi, “un volgo disperso che nome non ha” perché non ha e non sente la “patria”. Molti nobili pisani oscillano, afferma inoltre Luzzati, “tra il proprio privato comodo e il bene pubblico” e finiscono per far prevalere il primo, come fanno molti esponenti soprattutto del ceto colto, costituito da medici, preti, mercanti, aristocratici, borghesi e nobili. Non ci quindi un’oligarchia favorevole alla guerra ed un contado avverso. Per i nobili pisani sembra valere quello il proverbi napoletano circa il dominio dei francesi o degli spagnoli: “O Francia o Spagna basta che se magna”.

Il “guerrafondaismo” si affermò, come scrisse Guicciardini nella sua Storia d’Italia, seguita in questo caso da Luzzati, per una larga partecipazione popolare, tra cui le donne ed alcuni preti, come Domenico da Lucca, parroco di Navacchio; fu quindi una “guerra di popolo”, come afferma Luzzati nel suo libro, con una narrativa piana e scorrevole ed inframezzata da una scrupolosissima analisi delle fonti, tra cui le lettere, in latino ed in volgare, alternate a voci popolari ed intenti carrieristici, presenti soprattutto negli ambienti ecclesiastici. In sostanza, scrive lo storico, la borghesia e la nobiltà pisane si sarebbero accontentate di un accordo con Venezia, che fu invece rifiutato dal popolo, che preferì la guerra, anche se questa risultò poi fallimentare per quella che era stata una delle più fiorenti repubbliche marinare.

Il libro di Luzzati è importante anche per una piena comprensione della categoria storica di “popolo”.

II GIORNATA – Mar. 02/02/2016 – c/o la Scuola Superiore Normale di Pisa, h. 09,00/13,00; 14,30/18,30.

Saluti istituzionali del Presidente della Giunta Centrale di Studi Storici Prof. Andrea Giardina.

Luzzati fu un erudito, esperto di storia locale e medievale; negli ultimi anni della sua vita, fu sensibile alle innovazioni informatiche, delle quali si avvalse. Studiò molti archivi, tra cui quello Salviati, nobile famiglia fiorentina imparentata con i Guicciardini; studiò anche le lettere autografe di Machiavelli, conservate nella Scuola Normale di Pisa. Ha donato la sua preziosa biblioteca alla Scuola Normale: si tratta di un fondo prezioso, soprattutto per la storia ebraica. Si ricorda anche la recentissima scomparsa del Prof. Girolamo Arnaldi, medievista e presidente dell’Istituto Storico per il Medioevo, presso il quale Luzzati fu borsista.

II SESSIONE: STORIA DEGLI EBREI FRA TARDO MEDIOEVO E RINASCIMENTO.

1.Introduzione (Prof. ssa Alessandra Veronese, Università di Pisa).

Luzzati ha contribuito ad inserire la storia ebraica nella storia “universale”; fu professore associato, non divenne mai ordinario anche per i suoi interessi culturali, considerati troppo peculiari, per i quali fu ostacolato nella sua carriera accademica, ma Luzzati non si fece per questo scoraggiare. Si considerò sempre un medievista, non uno storico degli Ebrei: il suo interesse per gli Ebrei diventa dominante dopo gli anni ’80. Incontrò eminenti storici israeliti, come Perez, esperti di storia ebraica. Concepì la storia ebraica come storia comparata: studiò gli Ebrei come etnia, non studiò invece la religione ebraica. Luzzati fu un esperto di storia economica e sociale e di storia della famiglia, ma non si limitò allo studio della storia settoriale nel senso più deteriore e limitativo. Affrontò, con i suoi studenti, lo studio della presenza ebraica a Pisa ed a San Miniato. Considerò l’insediamento ebraico in queste zone nel ‘400 come uno “Stato nello Stato”, sia pure organizzatissimo. Si dedicò, in particolare, allo studio delle politiche matrimoniali ebraiche nel ‘400. Nei suoi studi di storia familiare ricostruì intere genealogie con una precisione senza precedenti; fu anche uno specializzato studioso di storia delle donne ebree fra ‘300 e ‘400 e di storia dei cimiteri ebraici, come quello di Praga, come si evince dai suoi studi La casa degli Ebrei e Ebrei ed ebraismi a Pisa, presentati a due convegni di storia ebraica. I suoi iniziali interessi di storia ebraica toscana fra ‘300 e ‘400 sono volti allo studio dello ‘spazio ebraico’, cioè della città ebraica, come a Pisa ed a Livorno, città nelle quali non si ebbe mai un vero e proprio ghetto, a differenza di quanto accadeva a Siena ed a Firenze, dove i mercanti cristiani imposero i ghetti ebraici. Studiò i marranos o conversos o criatianos nuevos spagnoli nel suo studio Fuggire dalla Spagna e convertirsi in Italia. Il C.I.S.E. è oggi intitolato a Michele Luzzati, uomo disponibile a recarsi a parlare anche nelle scuole, con un pubblico non specializzato. Fu uno studioso, infine, anche dei rapporti tra la comunità ebraica e quella cristiana.

 

 

2.Odio degli Ebrei: odio dell’altro e odio di sé stesso (Prof. Shlomo Simonsohn, Tel Aviv University – Diaspora Research Institute).

Il termine ‘antisemitismo’ risale al 1860, ma Simonsohn, ebreo ed insigne studioso di storia ebraica, predilige l’espressione “odio verso gli Ebrei”, in quanto non vi furono altri popoli semiti perseguitati. Odio del passato ed odio attuale: è questo il tema studiato qui da Simonsohn. L’odio tra popoli, come quello tra religioni, non è relegato solo agli Ebrei, anche se questo odio si è accentuato dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dei Romani.

Già Antioco inizia l’antisemitismo definendo gli Ebrei un 2popolo cannibale” in quanto sacrifica i suoi nemici sull’altare.

Nella letteratura cristiana medievale si accusano gli Ebrei di essere un “popolo deicida”: è questa l’accusa avanzata dalla Patristica. Nel corso del Medioevo, Agostino chiede che gli Ebrei non siano uccisi, ma è opportuno che si convertano; Giovanni Crisostomo e Duns Scoto, due dotti teologi, sostenevano la necessità di trasferire gli Ebrei su un’isola e di battezzarli con la forza.

Nel 1492 Ferdinando d’Aragona ed Isabella di Castiglia espellono gli Ebrei dalla Spagna perché temono che possano influenzare i cristiani e convertirli al giudaismo. Domenicani e francescani, in Spagna ed in Germania, contribuiscono a cacciare gli Ebrei dopo la ‘reconquista’ di Granada del 1492, e questo per motivi economici, in quanto gli Ebrei sono ricchi mercanti e possessori di banche. Il prototipo dell’ebreo è quello dell’avido: Bernardo di Chiaravalle calunnia il bancario ebreo Anacleto. Inutile fu l’appello dei conversos o cristianos nuevos ad Innocenzo IV: la loro situazione peggiorò e gli Ebrei convertiti furono discriminati almeno fino alla metà dell’Ottocento.

Spesso anche l’ebreo odia sé stesso; Giuseppe Flavio, in età imperiale, ci offre un’apologia del giudaismo; molti ebrei diedero alle fiamme il Talmud. Alfonso da Valladolid fu un ebreo convertito che collaborò alla persecuzione degli Ebrei, e come lui moltissimi altri, quali Alessandro Franceschi, battezzato da Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti; molti convertiti collaborarono alla stesura dell’Indice dei libri proibiti, tormento anche per tanti ebrei. Non tutti i conversos, tuttavia, si scagliarono contro gli ebrei, alcuni si limitarono a svolgere l’attività del commercio.

Il sionismo nasce nell’Ottocento come reazione a questo odio verso sé stessi da parte di ebrei che decisero di uscire dal ghetto. L’odio degli ebrei verso sé stessi ha aperto il problema dell’identità, che viene negato da molti conversos, che vogliono addirittura l’abolizione dello Stato ebraico. Molti ebrei rifiutarono di accettare la loro origine semita, come Kassler, che affermò un’origine ungherese degli Ebrei moderni; altri cercarono di stabilire un’origine con i popoli kazaki o slavi e negarono il fatto che gli Ebrei moderni potessero essere figli di Abramo. Altri ebrei si dichiararono contrari all’idea che gli Ebrei potessero avere un loro Stato e elaborarono la tesi di un unico Stato che comprendesse Arabi ed Ebrei, ivi compresa la striscia di Gaza.

Durante la Rivoluzione francese gli Ebrei furono tollerati, ma poi le discriminazioni ripresero. La Shoah non è che il risultato di questo odio secolare degli altri verso gli Ebrei e degli Ebrei verso sé stessi.

La conoscenza, da parte degli Ebrei, unico popolo dell’antichità che non ha conosciuto l’analfabetismo, di lingue come il greco, il latino e l’aramaico, oltre, ovviamente, all’ebraico, ha contribuito, nell’antichità e nell’Alto Medioevo, alla migrazione degli Ebrei ed alla formazione di varie comunità nell’area mediorientale.

3.Spazio ebraico a Pisa in età moderna (Prof. Bernard Cooperman, associate professor presso la University of Maryland).

Le categorie storiche odierne sono diverse rispetto alle precedenti perché lo ‘spazio’ è cambiato e cambia costantemente. Il ‘campo’ ebraico non è soltanto il ghetto, ma qualsiasi segno che identifica l’ ’ebraicità’ di un luogo, da Venezia, a Cracovia, a Kiev, sia questo un muro, un portone, un rabbino, un negozio o una scuola. Michele Luzzati ha scritto il noto saggio Ebrei ed ebraismo a Pisa, in cui studia la comunità ebraica pisana tra IX e XX secolo. Molti distinguono uno ‘spazio pubblico’ (come il filosofo Jurgen Habermas) ed uno ‘spazio privato’, come quello familiare. Luzzati ha sottolineato l’attivismo degli Ebrei nelle banche e nel commercio. Lo ‘spazio ebraico’ nella Toscana medievale è uno spazio ristretto, perché gli ebrei toscani sono pochi, ma attivi: è uno spazio di banchieri. I banchieri ebrei che vivono nella Toscana medievale stabiliscono mediamente buoni rapporti con i cristiani circostanti, infatti non esisteva un vero e proprio ghetto ebraico né a Firenze, né a Pisa, come sottolinea Luzzati.

Nel 1570 molti ebrei pisani vengono però espulsi da Pisa ed inviati a Firenze ed a Livorno; sono, questi ultimi, soprattutto mercanti portuali.

Il ghetto è uno spazio ebraico coatto, una zona riservata e ‘legislata’, una sorta di ‘città ebraica’, ma non fu sempre così; ad esempio, quando fu istituito il ghetto di Venezia, non c’erano ebrei. Il ghetto veneziano fu quindi una ‘città nella città’, un luogo nel quale ospitare tutti gli ebrei che, per ragioni diverse, si recavano a Venezia. Molti ebrei si arricchivano con il commercio, come Jacob Levi, che fu un mercante contrabbandiere tra Pisa e Livorno nell’agosto 1616. L’esistenza dei ghetti ha fornito agli Ebrei la possibilità per lo sviluppo della politica ebraica e quindi del sistema di governo su uno spazio limitato. Molti ebrei cacciati da Pisa vanno soprattutto a Livorno. Henri Lefebvre è uno storico che ha scritto moltissimo sullo ‘spazio ebraico’: abitare la città significa contribuire a creare lo spazio, che è quindi sempre in evoluzione. Sinagoga e cimitero costituiscono gli ‘spazi sacri’ degli Ebrei.

4.Famiglie ebraiche nei territori pontifici fra tardo Medioevo e prima età moderna: il caso del Lazio (Prof. ssa Anna Esposito, professore associato di storia medievale, Università “La Sapienza” di Roma).

Anna Esposito ha studiato soprattutto i collegi ebraici e le famiglie ebraiche. I matrimoni ebraici, a differenza di quelli cristiani, conoscono una reta geografica  molto più ampia, cosicché per un ebreo errante è facile trovare, in altre città, diramazioni della sua famiglia. Questo soprattutto nel Lazio, nelle zone vicine a Roma. Alla fine del ‘400 si consolida la presenza ebraica nel Lazio, come risulta dai registri degli archivi, come a Viterbo ed a Toscanella: Zaccaria è uno dei cognomi ebraici più ricorrenti. Emanuele da Toscanella è uno degli ebrei erranti che si muove dal Lazio a Padova: il figlio Jacob aveva sposato la figlia di uno dei principali banchieri di fine ‘300 ed anche Jacob si spostò da Padova a Firenze, a Volterra, a Siena. Nel giro di un secolo molte famiglie ebraiche romane emigrano nell’Italia centrosettentrionale. Abram, uno dei figli di Jacob, tornò a Roma. La famiglia si fa chiamare in vari modi, diversamente, “da Toscanella”, “da Padova”, “da Siena”, in assenza di un cognome, in base alle circostanze che via via si vengono determinando. Nel 1521 Leone X emana un lodo che apre la città di Roma agli Ebrei. Molti ebrei espulsi erano andati nella vicina Terracina, soprattutto tra il 1511 ed il 1515; sono ebrei provenienti dalla Sicilia (zona di Mazara del Vallo, facente parte del Regno napoletano) e dalla Spagna; molti altri ebrei provenivano dalla zona compresa tra Sciacca e Caltabellotta e d emigrano tutti a Terracina. La bolla di Paolo IV del 1554 limita gli spazi per gli Ebrei, che sono spesso identificati con il nome della città in cui sono vissuti: furono proprio i cristiani ad iniziare ed a perpetrare questa prassi.

III SESSIONE: CONQUISTA DELLA CITTADINANZA E PERSECUZIONE DEGLI EBREI NELL’EUROPA DELL’OTTO E DEL NOVECENTO.

1.Introduzione (Prof. Guri Schwarz, professore a contratto di storia contemporanea, Università di Pisa).

Michele Luzzati nel 1962, appena laureato con Armando Saitta, pubblica una breve recensione su un libro degli ebrei in Italia nella seconda guerra mondiale: questo testimonia l’interesse dello studioso verso tematiche di storia contemporanea. Infatti Luzzati fu maestro di una fitta schiera di giovani studiosi e ricercatori, anche di storia moderna e contemporanea (è stato correlatore di moltissime tesi di laurea in storia contemporanea). Relativamente a questi periodi, l’interesse di Luzzati è volto a problematiche sociali: qui Luzzati, da storico di sinistra qual era, polemizza con la visione defeliciana, che per Luzzati si limita a fare una storia dell’antisemitismo fascista e non una storia dell’ebraismo italiano. De Felice studia infatti molto bene il censimento fascista degli ebrei italiani stilato nel 1938 in occasione della promulgazione delle leggi razziali. La storia ebraica contemporanea è per Luzzati inscindibile dalla storia contemporanea stessa.

Nel 1980 Pier Cesare Bori, uno storico cattolico di area bolognese, pubblica un libro che si pone l’obiettivo di porre l’accento sugli Ebrei in quanto la conoscenza della storia ebraica contribuisce ad eliminare i pregiudizi sugli Ebrei; Mario Pesce è un altro storico cattolico di area bolognese che segue la linea di Bori.

Luzzati contribuisce, da storico di sinistra e di altra area geografica, ad eliminare i luoghi comuni sulla storia ebraica, con uno studio sulle reazioni postbelliche all’esodo ebraico (cfr. il film “Exodus”).

Attilio Momigliano segue la linea di Luzzati: all’interno della società italiana vi sono ‘tanti ebraismi’, che è necessario conoscere per comprendere i rapporti del mondo ebraico con la società cristiana ed italiana contemporanea. Momigliano polemizza con Croce, sostenendo che il filosofo del Neoidealismo italiano non ha mai compreso la storia degli Ebrei e questo gli ha impedito di comprendere alcuni settori della storia dell’Italia contemporanea.

2.I Modigliani, dal ghetto di Roma a Livorno (Prof. Andrea Addobbati, professore associato di storia moderna, Università di Pisa).

La famiglia Modigliani è una famiglia ebraica di Roma, dalla quale è uscito il notissimo artista, definito “artista maledetto” per la sua vita disordinata, contraddistinta da abusi di alcool e droga e morto poi di malattia. Eugenia Garsin Modigliani, madre di Amedeo Modigliani, ha scritto una Storia della nostra famiglia, però l’autrice non è una Modigliani, ma una Garsin, ed in realtà, in questo libro, fa una storia della famiglia Garsin. Descrive comunque il lusso della casa Modigliani a Roma. Eugenia mostra una mentalità più aperta rispetto all’ebreo medio che abita nel ghetto.

Originariamente i Modigliani lavoravano tessuti, avevano una loro bottega, erano quindi benestanti. Il ghetto ebraico di Roma era stato costruito dal papa Pio IV nel 1554, con evidenti propositi antisemiti. I Modigliani abitavano nel ghetto romano ed esattamente in via della Rua, ai numeri 3 e 6.

I Modigliani di fine ‘700 e primo ‘800 sono banchieri dei papi Pio VI e Pio VII.; Abram vita era stato consigliere di Napoleone I Bonaparte.

I Modigliani fanno in seguito importanti acquisti immobiliari nel ghetto romano ed anche fuori, come Villa Cenci Bolognetti, sulla via Nomentana.

Emanuel di Abram Vita Modigliani ha preso parte anche alla Repubblica Romana del 1849 combattendo insieme a Garibaldi; cacciati da Roma dopo la caduta della Repubblica, i Modigliani si trasferiscono prima a Livorno, poi in Sardegna, ove aprono varie miniere, mentre altri esponenti della famiglia emigrano nel bergamasco.

3.Emancipazione giuridica, economia di mercato ed anticapitalismo ebraico (Prof. Michele Battini, professore ordinario di storia contemporanea, Università di Pisa).

Nell’operazione della ricerca storica è fondamentale l’analisi filologica dei documenti, come afferma anche Marc Bloch, storico medievista della Scuola marxista degli Annales, ma bisogna sempre tenere alta la guardia verso l’eccessiva semantica, non indenne da ambiguità e dal rischio di perdere di vista il senso complessivo del documento.

In particolare Luzzati, circa l’attività dei banchieri del ‘300, ha studiato la categoria di ‘usura’. Gli Ebrei vengono accusati di essere usurai, accusa che tanta fortuna ha avuto anche, purtroppo, nella letteratura, come si vede ne Il mercante di Venezia di Shakespeare, che identifica in Shylock il prototipo dell’ebreo avido.

Gli Ebrei vengono, con l’accusa di usura, progressivamente ghettizzati ed espulsi dalle università medievali, dopo essere stati costretti a portare il berretto giallo, invece del berretto tradizionale nero accademico.

La famiglia de’ Medici apre però nuove prospettive agli Ebrei, e per questo alcuni antisemiti pensano di eliminare l’importante famiglia fiorentina.

La storia economica ebraica fra ‘300 e ‘400 si muove in questo bipolarismo, tra ghettizzazione ed emarginazione giuridica ed economica.

Todeschini, storico del Medioevo, sottolinea come lo stereotipo dell’ebreo usuraio risalga ai secoli XII/XIII, quando si chiede agli Ebrei di investire risorse nella costruzione delle nuove città comunali; questo motivo è inoltre supportato dalla propaganda cristiana antisemita.

La polemica sull’usura ebraica è stata anche al centro di una delle ultime opere di Jacques Le Goff (Lo sterco dei diavoli), che sottolinea come gli argomenti teologici servirono ai cristiani per muovere ai giudei l’accusa di usurai.

Mirabeau, durante la Rivoluzione francese, nonostante l’emancipazione giuridica ottenuta dagli Ebrei in questo periodo, sottolinea la necessità di un controllo statale sul commercio ebraico. Più che di ‘emancipazione giuridica’, la storiografia britannica parla di ‘integrazione ebraica’ durante la Rivoluzione francese. Il ministro Turgot concorda con Mirabeau: gli Ebrei sono “parassiti” anche per Guizot, ministro di Luigi Filippo d’Orleans negli anni ’30 dell’Ottocento.

Quest’accezione di “usuraio parassita” trapassa anche nella letteratura socialista dell’Ottocento, che parla di “condotte speculative giudaiche”, come Proudhon, che aveva addirittura teorizzato il trasferimento degli Ebrei francesi fuori dai confini nazionali. Marx, da ebreo, critica anch’egli l’usura ebraica in due opere, Die Juden Frage e La sacra famiglia, in cui sottolinea la presenza di capitale ebraico nella costruzione delle ferrovie: la finanza ebraica è compromessa con i banchieri Roschfield e Perier, sostiene Marx.

Nel vasto spettro dell’antisemitismo, che si muove dal nazionalismo al socialismo, esiste quindi una categoria comune, quella dell’ ‘usura’, termine usato per identificare l’alta finanza ebraica, come nota Delio Cantimori; il fenomeno dell’anticapitalismo antiebraico fu quindi massiccio.

Nel 1933, conclude Battini, il nazionalsocialismo hitleriano ha trovato il suo spunto iniziale antisemita proprio nell’usura ebraica in quanto gli ebrei tedeschi erano proprietari di banche e controllori della finanza mondiale.

Non è possibile, in ogni caso, fare la storia del capitalismo prescindendo dalla storia dell’ebraismo, come afferma anche, da ebrea perseguitata, Hannah Arendt.

4. La condanna della “Società degli Amici di Israele” (Prof. Daniele Mennozzi, Scuola Normale Superiore di Pisa).

La “Società degli Amici di Israele” nasce a Roma nel 1926 con lo scopo di istituire un rapporto di amicizia con la comunità ebraica di Roma, alla luce dell’idea cristiana di fratellanza, che induce al abbandonare il linguaggio denigratorio di “popolo deicida”. L’associazione venne condannata dal Sant’Uffizio all’inizio del 1928 e la nota rivista “Civiltà cattolica” ribadisce tale condanna da parte della Chiesa cattolica ufficiale. La Società insisteva sulla comune fede in un unico Dio, ma fu accusata dai cattolici integralisti di voler introdurre il sionismo nella Chiesa romana. Pio XI condanna l’Associazione, che invitava, dal canto suo, i cattolici ad abbandonare l’antisemitismo (negli atti del Concilio Vaticano I del 1870 si leggeva infatti l’espressione “perfidi Ebrei”; il papa risponde che i cattolici non sono mai stati antisemiti e che hanno sempre condannato l’antisemitismo; accusa inoltre l’Associazione di filosionismo. Il direttore di “Civiltà cattolica”, il gesuita Enrico Rosa, tentò una mediazione tra le posizioni pontificie e quelle della Società, che era invece considerata dai cattolici intransigenti una nuova forma di modernismo, contro il quale aveva già combattuto Pio X. Rosa affermò che nella Società non vi era alcun intento di introdurre l’ebraismo nel mondo cattolico.

Il fatto che gli Ebrei controllassero l’industria, la stampa e la finanza incrementò l’antisemitismo cattolico e Rosa conia la dizione di “antisemitismo cattolico”, che inizia ad avere una certa diffusione.

Nel luglio 1938 le leggi razziali trovano il loto fondamento proprio in questo “antisemitismo cattolico”, oltre che in un atto di sudditanza al nazismo, che aveva emanato le leggi antiebraiche fin dal 1935 (le leggi di Norimberga). “La stampa”, “Il resto del carlino”, “Il corriere della sera”, “Il telegrafo” sposano questo antisemitismo, sul quale tace invece, almeno al momento, “La Nazione”, contraria all’antisemitismo. “Civiltà cattolica” affermò che le leggi razziali trovavano piena rispondenza nella volontà del papa e la “Società degli Amici di Israele” viene ora esplicitamente condannata. La Chiesa di Pio XI conferisce quindi alle leggi razziali una vesta cattolica: si afferma così l’integrismo cattolico, non privo di simpatie verso il nazismo. La condanna della Società nel 1928 sancisce l’alleanza tra il nazifascismo antisemita e la Chiesa cattolica, pienamente incarnata dal fiduciario vaticano Tacchi Venturi.

 

 

5.Conversioni ed abiure in Italia tra prima e seconda Emancipazione (Dott. ssa Ilaria Pavan, ricercatrice, Scuola Normale Superiore di Pisa.

Marina Cafiero, nei suoi studi del 2004, ha affrontato il problema delle dinamiche conversioniste in età moderna, sottolineando come la violenza e la paura fossero le cause di tali conversioni forzate.

Numericamente consistente fu la conversione di molti ebrei del ghetto di Torino nel ‘700: è stata stilata una mappa delle conversioni di ebrei al cattolicesimo tra il ‘700 e l’unità d’Italia; la documentazione, in proposito, è ricchissima.

A Modena, intorno alla metà dell’Ottocento, l’autorità ecclesiastica invita gli Ebrei alla conversione, ma ci sono anche molti cattolici che affermano che gli ebrei convertiti “sono anime che è meglio perdere che trovare”, in quanto non sono veri cattolici, ma rimangono ebrei.

La famiglia ottocentesca è patriarcale: è sempre il capofamiglia ebreo a decidere della conversione dell’intera famiglia. Le donne manifestano tuttavia una maggiore resistenza alla conversione nel corso del ‘700, ma nell’Ottocento la situazione cambia e si converte il 74% delle donne. Gli ebrei toscani si convertono più difficilmente: soltanto una famiglia ogni due si converte al cattolicesimo.

Le autorità civili e militari talvolta si oppongono alle conversioni perché effettuano indagini sui “convertendi” e si oppongono all’inserimento nella comunità cristiana di ladri, truffatori ed elementi dal dubbio comportamento morale: si ritiene che chi non è stato un buon ebreo non potrà essere nemmeno un buon cattolico. Talvolta sono gli stessi vescovi che non accettano le nuove conversioni; molti ebrei che si convertono, come orfani o vedove, lo fanno, inoltre, per necessità economica.

Le conversioni avvengono mediamente, in giovane età, intorno ai 20-22 anni.

Un altro elemento da considerare è che i nuovi battezzati, nell’Ottocento, non ricevono il sacramento in duomo, ma dietro le pievi, a differenza di quanto avveniva nel cerimoniale cinquecentesco, relativo alla prima emancipazione, così come, dal 1861 in avanti gli ebrei convertiti non devono adottare un nome cattolico, ma conservano quello ebraico. Nell’Ottocento si convertono circa 1200 ebrei in tutta la penisola italiana, circa l’1 per mille: il problema delle conversioni è quindi attinente alla microstoria, anche se importante per gettare luce su una questione di più ampio respiro.

III GIORNATA – Mer. 03/02/2016 – c/o l’Università degli Studi di Pisa , h. 09/13,00.

IV SESSIONE: ECONOMIA, DEMOGRAFIE, CAMPAGNE TARDO-MEDIEVALI.

1.Introduzione (Prof. Giuseppe Petralia, Università di Pisa).

Alessandra Veronese ha curato l’indice di tutti gli scritti di Luzzati per il Bollettino Storico Pisano, edito dalla Società Storica Pisana. Luzzati ha guardato il mondo medievale, come si è visto, da varie angolature, da varie prospettive, come ha dimostrato fin dalla sua partecipazione al convegno dei medievisti italiani del 1976: per la sua vastità, si incontra sicuramente una difficoltà nella disamina delle fonti tardomedievali: le varie “storie” (economica, bancaria, demografica, familiare) sono sempre state da Luzzati studiate al fine di ricostruire la storia della società italiana; ha studiato anche estimi, catasti, registri dei battesimi. E’ stato, quello di Luzzati, un accurato lavoro di scavo, paragonabile a quello dell’archeologo, ha studiato le campagne pisane, come si evince dal suo studio La Toscana senza mezzadria, e l’aristocrazia toscana tardomedievale, ha studiato gli atti giudiziari di fine Duecento e, tra gli archivi, soprattutto quello Roncioni. E’ stato un archivista di prim’ordine ed un biblioteconomista insigne, non soltanto un dotto medievista ed un erudito, nel senso più nobile del termine.

Collaborò alla “Rivista Storica Italiana” con un suo saggio sulle famiglie nobili toscane nel basso Medioevo. Non si accontentò mai dei luoghi comuni, dei quali sempre diffidò, come quello, ricorrente fino agli anni ’60, di leggere univocamente la cosiddetta “crisi del Trecento” come anche una crisi valoriale, ma anzi, contribuì a svecchiare la storiografia in materia, parlando più di “riconversione” che non di “crisi” economica. Si distanziò anche dalla tesi di Hans circa la crisi dei banchieri Bardi e Peruzzi. Iniziò a concentrarsi sulla storia sociale negli anni ’70.

2. La crisi delle campagne toscane negli anni ’40 del Trecento (Dott. ssa Alma Poloni, ricercatrice di storia medievale, Università di Pisa).

Non c’è articolo, nella cronache fiorentine, che non faccia riferimento alla catastrofe economica degli anni ’40 del Trecento, in cui falliscono le compagnie dei Bardi, dei Buonaccorsi e dei Peruzzi. Villani parla di questo nelle sue Croniche, ma non fu uno storico oggettivo e disinteressato.

Gli anni ’30 del Trecento sono caratterizzati dal dominio delle grandi compagnie bancarie, costituite da esponenti della classe magnatizia; tra questi, gli Acciaiuoli.

La crisi investì le banche, soprattutto negli anni 1343/48, anni in cui vengono ‘bruciati’ 2/3 del capitale finanziario fiorentino appartenete al popolo grasso. Una giunta formata da sei persone dovette affrontare la crisi di queste grandi compagnie, prototipi delle banche moderne. In proposito Luzzati corregge Sapori: la condotta del nuovo governo non fu affatto incoerente, ma molto lineare. Sono anni difficili, di lotte politiche e sociali a Firenze, come testimoniato dal tumulto dei Ciompi, pedissequamente studiato dall’amico e compagno di studi Franco Franceschi (oggi professore associato di storia medievale all’Università di Siena, n. d. r.).

Anche dopo il 1348 la soluzione della crisi non consentì un ritorno alla situazione economica precedente: la crisi fu risolta anche grazie alla collaborazione delle arti minori e grazie alla funzione politica svolta da Salvestro Medici, che optò per una ridistribuzione della ricchezza volta a rafforzare la “gente di mezzo”, come si legge nelle fonti, ovvero il ceto medio.

Dopo gli anni ’70, il capitale non è più concentrato nelle mani di poche persone: a questo contribuì la gestione del potere politico da parte di una larga fascia della popolazione e non più soltanto della classe magnatizia, come nel primo Trecento.

Jacopo di Renzo fu uno speculatore che seppe gestire il fallimento delle grandi compagnie e trarne vantaggio, è un esponente della classe media.

In modo graduale si stabilizzò anche il debito pubblico (1343/45), che scese rispetto agli anni precedenti (era arrivato a 300.000 fiorini). Il numero dei creditori è particolarmente alto nel quartiere di Santo Spirito, tra le famiglie che hanno un cognome, le famiglie del popolo grasso.

La struttura commerciale fiorentina del secondo ‘300 è più fluida rispetto a quella della prima metà del secolo, con una fioritura delle piccole compagnie molto estesa e comprendente anche non fiorentini, ma caratterizzata dall’assenza di particolari figure emergenti di speculatori.

 

3.L’economia del Rinascimento in Italia. 1350-1550 (Prof. Paolo Malanima, Università della Magna Graecia).

Carlo Cipolla smonta la tradizionale tesi circa una “crisi” generalizzata del Trecento, alla quale sostituisce quella di una “riconversione” dell’economia: le varie epidemie di peste che si manifestarono nel corso del secolo sgravarono l’Europa e l’Italia da quella pressione demografica dei secoli precedenti. Per i sopravvissuti, infatti, aumentò il reddito pro-capite ed i salari andarono progressivamente aumentando, per cui non si può parlare di un’economia depressa: i contadini migliorarono la loro condizione sociale rispetto ai proprietari terrieri e facevano pagare a caro prezzo la loro manodopera. Il tenore di vita migliorò, soprattutto nelle città, e d iniziarono a circolare utensili domestici, quali la scodella, ed altri segnali di benessere anche tra chi faceva lavori manuali. Su questa linea si colloca anche Malanima. L’epidemia colpì, in ogni modo, più l’Italia, la Francia e l’Inghilterra che l’area fiamminga.

Nella seconda metà del Trecento e nel Quattrocento si assiste ad una ripresa economica italiana. Nel Trecento si era verificata una situazione paradossale: ad uno splendore nei settori dell’arte e della letteratura faceva da contraltare una generale depressione economica, come Lopez, Garin, Cantimori e Sapori sottolineano.

Passata la crisi del secondo Trecento, arriva la depressione, cioè una situazione stagnante nella quale diminuì la produzione, ma parallelamente aumentò il reddito pro-capite, come si è visto.

Solo nel ‘500 l’economia italiana conoscerà un incremento globale decisamente moderno e solo nell’Ottocento avremo un tenore di vita elevato, come dimostrano le statistiche: il salario medio di un uomo di fine Ottocento a paragonabile oggi ad un salario di 2000 euro mensili; durante la peste, il salario medio è equivalente a 2500 euro di oggi, quindi, per i sopravvissuti, il tenore di vita era buono, come si è detto, addirittura superiore a quello di uomini dell’Ottocento. Nell’arco di tempo compreso fra il 1310 ed il 1630 notiamo che nell’anno 1470 i salari sono i più alti. Dopo la metà del ‘400, quando la popolazione aumenta, i salari crollano: questa è la “depressione” del Rinascimento, caratterizzata dal rapporto inversamente proporzionale, quindi, tra popolazione e reddito pro-capite. I conseguenza, crollano anche i consumi, che erano invece aumentati, ovviamente, con l’aumento dei redditi.

4.La morte dei bambini a Firenze all’inizio del Quattrocento (Prof. ssa Christianae Klapisch Zuber, École des hautes études en sciences sociales, Scuola di studi superiori in scienze sociali, EHESS).

I becchini, chiamati “beccamorti” nelle fonti, hanno costituito, con i loro registri, un documento imprescindibile di studio per ricostruire il tema della mortalità infantile fiorentina nel primo ‘400. Giuseppe Parenti ha affrontato questo problema in relazione agli effetti della peste.

Dal 1412 al 1415 vi sono 4 registri autografi, anche se uno di questi è stato fortemente danneggiato dall’alluvione del 1966. Storia sociale e ‘microstoria’ si integrano così vicendevolmente. Nei registri si riscontrano indizi dello stato sociale dei morti (“messere”, “schiavo”, “servo”, “bambino”, “bambolino” sono espressioni che si incontrano frequentemente). La mortalità colpisce più i maschi, con un leggero scarto rispetto alle femmine (118 maschi contro 100 femmine). Diverse pestilenze colpiscono Firenze, nel 1420, 1424 e 1430/31, tutte con punte molto alte di mortalità; sono colpiti, in particolare, ragazzi e ragazze sotto i 16 anni. Le fanciulle falcidiate dalle pesti appartengono mediamente alla media borghesia, afferma la Prof. ssa Zuber con scrupolosità certosina. Negli anni successivi al 1431 il rapporto tra le morti dei fanciulli e delle fanciulle si inverte progressivamente. Dai registri anagrafici emerge anche un altro dato interessantissimo: le famiglie fiorentine borghesi del primo Quattrocento erano numerosissime. Antonio Rustichi perde 9 dei 15 figli (3 nella peste del 1420), Ser Jacopo di Lando, notaio pratese, ha 5 figli e nessuno di questi sopravvive, Filippo Manetti perde 10 dei 12 figli nella peste del 1430. I figli di una media famiglia borghese fiorentina variava, all’epoca, dai 10 ai 25 figli.

Di fronte alle pesti quattrocentesche, molti tentano da fuga da Firenze verso centri più piccoli, come quelli del Mugello, ma sempre in luoghi ove possono essere assistiti da medici. Il 1413 fu un anno eccezionalmente felice: non si registra alcun decesso infantile a Firenze.

5.La formazione del patrimonio mediceo: le vicende quattrocentesche (Prof. ssa Anna Maria Pult Quaglia, Università di Pisa).

I Medici, nella prima fase del loro arricchimento, diversificano le risorse; Cosimo il Vecchio costruisce la sua fortuna politica ed economica alla fine del Trecento. Giovanni de’ Medici mantiene buoni rapporti con Martino V, il papa eletto dal concilio di Costanza (1414/17): è anche grazie a questa amicizia con la Chiesa che i Medici accrescono il loro capitale. Consolidamento politico ed economico procedono di pari passo e si integrano vicendevolmente; Giovanni investe fondi economici acquistando ville e terreni nel Mugello, zona dalla quale la famiglia Medici proveniva, e negli anni ’50 del Quattrocento il valore dei titoli aumenta e si consolida. I Medici investono il loro capitale costruendo ville sui colli fiorentini, come quella di Careggi, vigne e frantoi: sotto il potere mediceo le campagne fiorentine, così, si arricchiscono. Sono politiche economiche ricorrenti anche negli Albizi, negli Strozzi, nei Rucellai, presso, quindi, le nobili famiglie fiorentine. Sporadicamente i Medici del secondo ‘400 acquistano invece beni ecclesiastici. Nel 1456 la proprietà medicea è fortemente consolidata nel Mugello. Negli anni immediatamente successivi si assiste ad una divisione del patrimonio fondiario tra i Medici, ma non ancora del capitale monetario, che resta unito. Enti ecclesiastici e l’ospedale di Santa Maria Novella arricchiscono i Medici.

Con Lorenzo de’Medici si incrementano le rendite fondiarie e si provvede a tutelare i confini da attacchi esterni, in vista della costruzione di uno Stato regionale: si nota quindi un radicale cambiamento, che investe soprattutto anche la dimensione politica, nell’ottica del Magnifico.  L’elezione di Leone X, un Medici, al soglio pontificio, infine, segna un consolidamento dell’alleanza tra potere politico e potere economico nella famiglia medicea.

DIVERSI ANGOLI DI VISUALE FRA STORIA MEDIEVALE E STORIA DEGLI EBREI. IN RICORDO DI MICHELE LUZZATIultima modifica: 2016-02-03T21:34:25+01:00da m_200
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2 pensieri su “DIVERSI ANGOLI DI VISUALE FRA STORIA MEDIEVALE E STORIA DEGLI EBREI. IN RICORDO DI MICHELE LUZZATI

  1. Complimenti per il contributo culturale del blog ,ben fatto .Ricco di argomenti attuali ,ben organizzato una vera lezione di stile .Grazie buon lavoro !

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