Cittadinanza e Costituzione

Marco Martini

Cittadinanza e Costituzione

CITTADINANZA E COSTITUZIONE (PER LE CLASSI TERMINALI)
Premessa: scopo di questo breve lavoro è fornire concetti base di educazione civica. Si articola in 4 parti: I) nozioni di educazione civica; II) cenni di storia costituzionale europea, già considerata nei programmi di storia dei due anni precedenti; III) concetti fondamentali dell’odierna Costituzione repubblicana italiana; IV) linee guida sul processo di formazione politico-economica dell’Europa.
I) NOZIONI DI EDUCAZIONE CIVICA
E’ innanzitutto necessario definire alcuni concetti base di educazione civica: Stato, nazione, forme di Stato e di governo, Costituzione.
1)Stato. Comunità politica costituita da 3 elementi: a) un popolo, b) un territorio, c) un vincolo giuridico (la costituzione, vale a dire il complesso delle norme giuridiche fondamentali che regolano la convivenza del popolo entro i confini dello Stato). Non è quindi sufficiente che vi sia un territorio abitato da una popolazione; occorre che gli abitanti di quel territorio si organizzino unitariamente e si sottopongano ad un potere che sia indipendente e sovrano e che venga riconosciuto ed accettato dal popolo stesso.
2)Nazione. Comunità formatasi storicamente attraverso un lungo periodo di vita in comune, e caratterizzata dalla comunanza di territorio, lingua, religione, usi, costumi, tradizioni, unità etnica, o almeno dalla maggioranza di questi elementi. Il muro di Berlino, ad es., divideva una nazione in 2 Stati, poiché si trattava di un unico popolo, di lingua, cultura, tradizioni, usi e costumi tedeschi, divisi però in 2 Stati distinti, con 2 diverse costituzioni.
3)Varie forme di Stato. Si distinguono 4 essenziali forme di Stato.
A)Confessionale. E’ lo Stato che considera una religione come religione dello Stato (come, ad es., il Regno di Sardegna ed il Regno d’Italia con lo “Statuto Albertino”, che affermava, proprio nel 1° articolo, che la regione cattolica, apostolica e romana è l’unica religione dello Stato).
B)Di Diritto. E’ lo Stato vincolato a un diritto pratico e contrapposto allo Stato dispotico o totalitario, caratteristico delle dittature dell’età contemporanea, come il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, il franchismo, la dittatura di Salazar in Portogallo, ecc. E’ lo Stato in cui, quindi, valendo il diritto, si afferma la superiorità della legge sui singoli.
C)Sovrano. E’ caratteristico dell’età moderna ed è contrapposto all’Impero medievale, che era invece Universalistico; è lo Stato che ha la piena autorità entro i propri confini e nessuna autorità sopra di sé; “superiorem non recognoscens” è la massima su cui si basa. Caratterizza la prima età moderna, ovvero XV° e XVI° secolo.
D)Patrimoniale. E’ caratteristico delle situazioni in cui lo Stato è patrimonio unico del sovrano e della sua dinastia; lo Stato appartiene alla persona fisica del sovrano. Fu la concezione tipica delle monarchie assolute anteriori alla Glorious Revolution in Inghilterra ed alla Rivoluzione francese (come quelle degli Stuart in Inghilterra e di Luigi XIV in Francia, alla fine del ‘600) e tramontò con l’affermarsi della concezione della sovranità popolare. Caratterizza la seconda età moderna (XVI° e XVII° secolo) ed è una degenerazione dello Stato sovrano.
4)Varie forme di governo.
A)Monarchia. Etimologicamente, dal greco significa “governo di uno”. Non è pertanto una forma di Stato, ma una forma di governo. Si distingue la a)monarchia assoluta (tipica dello Stato patrimoniale, in cui il sovrano è appunto “absolutus” da qualsiasi vincolo con il parlamento e la Costituzione) dalla b)monarchia costituzionale, in cui il sovrano è sottoposto alla Costituzione, alla quale deve aver giurato fedeltà, ed al parlamento (è la forma di governo caratteristica degli attuali Stati del Nord Europa).
B)Repubblica. Dal latino “res publica”, cioè “cosa di tutti”.
C)Democrazia. Letteralmente, dal greco “governo del popolo” (“demos” significa “popolo”). Va distinta dalle sue degenerazioni, come la demagogia, che è un governo falsamente popolare, e che, in nome del popolo, esercita una oligarchia (è stato il caso, per esempio, dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est, in cui, in realtà, governava un’oligarchia di burocrati di partito). “Repubblica” non è quindi sinonimo di democrazia: vi possono essere repubbliche dittatoriali, come quella islamica dell’Iran, e monarchie democratiche, come la Gran Bretagna.
D)Oligarchia. Dal greco, etimologicamente, “governo di pochi”.
E)Aristocrazia. Dal greco, etimologicamente, “governo dei migliori” (“aristoi” significa “migliori”). Ha assunto, in pratica, l’accezione di “governo dei nobili”.
5)Costituzione. E’ il complesso delle norme giuridiche fondamentali che regola la vita dello Stato (è la “Legge Fondamentale” dello Stato).
Passiamo adesso a trattare, per sintesi, una storia del percorso costituzionale in Europa.
II) CENNI DI STORIA COSTITUZIONALE
Bisogna innanzitutto sottolineare l’importanza dell’antica tenace tradizione parlamentare inglese, risalente all’epoca della “Magna Charta Libertatum” del 1215: il documento medievale constava di 63 articoli e rappresentava la promessa di rispettare le antiche libertà d’Inghilterra. Non fu infatti una proclamazione d’intenti, ma una precisa elencazione di particolari libertà che il potere sovrano s’impegnava a non violare; fu un testo che limitò, di fatto, il potere regio di Giovanni Senza Terra, pur senza essere, ovviamente, una costituzione, e lo limitò nei confronti dei nobili, dei sudditi ed anche della Chiesa inglese.
Dopo la “Glorious Revolution” del 1688, sul trono d’Inghilterra fu chiamato un olandese, Guglielmo III d’Orange, a patto che sottoscrivesse una dichiarazione, la “Dichiarazione dei Diritti” ( “Bill of Rights”), firmata nel 1689, in cui si ponevano i limiti dell’autorità regia e si ribadiva la validità della Costituzione ed il rispetto del Parlamento. Si passò così in Inghilterra da una monarchia assoluta ad una monarchia costituzionale, che non significò però democrazia, poiché sono elettori solo i ricchi borghesi e gli alti prelati, e non tutto il popolo: la “Glorious Revolution” segnò pertanto soltanto il trionfo della borghesia.
L’Inghilterra fu la prima monarchia costituzionale della storia europea e mondiale: si negò l’origine divina del potere monarchico, che era stata a fondamento di tutta la teocrazia medievale. I filosofi Voltaire e Montesquieu, nella Francia illuminista del ‘700, esalteranno la “Bill of Rights” del 1689 definendo l’Inghilterra come il Paese più libero e felice al mondo; nelle sue Lettere sugli inglesi, pubblicate nel 1733, Voltaire scrisse che un inglese era talmente libero da poter andare “in paradiso per la strada che più gli piace”1. In Inghilterra ognuno poteva dire o pubblicare quel che voleva perché non esistevano torture, né prigionia arbitraria. I nobili, i religiosi, i laici ed i borghesi (sia la Camera dei Lords, quindi, che quella dei Comuni) conferiscono rispettivamente a Guglielmo III d’Orange ed a sua moglie Maria i titoli di re e di regina d’Inghilterra, fiduciosi nell’opera di liberazione dagli Stuart avviata da Guglielmo III. Nel documento si legge che senza il consenso del Parlamento è illegale sospendere o fare eseguire le leggi ed imporre tasse in favore della Corona e che l’elezione del Parlamento dev’essere libera e dev’essere garantita la libertà di espressione e di stampa; nel testo si afferma anche che è illegale mantenere un esercito in tempo di pace senza il consenso del Parlamento e che per tutelare la libertà dei cittadini è opportuno che il Parlamento si riunisca spesso2. Tuttavia non si può ancora parlare di “costituzione” nel senso vero e proprio del termine, con la “Bill of Rights” (1689), quanto piuttosto del “re in Parlamento”.
La “Dichiarazione d’indipendenza americana” fu approvata dal Congresso il 4 luglio 1776, esattamente dal III° Congresso di Philadelphia o Congresso Continentale3: costituì un modello ispiratore per la “Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 26 agosto 1789, durante la Rivoluzione francese, e per tutte le democrazie. E’ un documento “principe” dell’Illuminismo. Stabilì il diritto dell’uomo alla felicità e i diritti inalienabili di ogni uomo; è un testo fondamentale nella storia del pensiero liberale e democratico, contro ogn i assolutismo. Il testo si può articolare in 3 parti: un’introduzione, 10 punti centrali rivolti contro il re d’Inghilterra Giorgio III ed una conclusione: la parte centrale del documento enuclea infatti dettagliatamente i torti del re inglese ed è pertanto un esplicito atto d’accusa nei suoi confronti. Si afferma che è diritto di ogni popolo rompere i legami con un altro popolo quando questo lo opprime. Dio ha creato i governi per garantire la vita, la libertà e la felicità: è diritto del popolo rovesciare un governo che violi questi diritti ed eleggerne un altro che li tuteli e li rispetti. Il re d’Inghilterra ha instaurato una tirannide nelle colonie americane; non ha emanato leggi necessarie al bene comune ed ha sciolto assemblee che si erano riunite per vigilare sui diritti del popolo. Ha scoraggiato l’immigrazione nelle colonie allo scopo di indebolirle, ha assoggettato i giudici al suo arbitrio ed ha creato nuovi funzionari per vessare il popolo con le tasse e divorarne gli averi. Ha assoggettato le popolazioni delle colonie ad una costituzione straniera (quella inglese), abolendo i loro statuti. Ha impoverito i coloni, limitando il commercio con altre parti del mondo, ha invaso violentemente l’America, ha incoraggiato una guerra fratricida ed ha fomentato gli indiani pellerossa contro i coloni. Per tutti questi motivi Giorgio III si è dimostrato un tiranno che non ha diritto di governare un popolo che vuole essere libero. Inutilmente, si legge nel documento, gli americani hanno scongiurato le giubbe rosse inglesi dal compiere le barbarie imposte dal loro sovrano e despota dei coloni: i soldati del re sono rimasti sordi alle richieste della popolazione4. Pertanto, i rappresentanti delle colonie americane, riuniti in congresso, si appellano a Dio ed invocano la Divina Provvidenza per ribadire la volontà di costituirsi da colonie in Stati liberi, indipendenti e felici e per far questo è necessario rompere ogni vincolo con la madrepatria inglese e con la corona britannica. Si nota, nel testo, il ricorrente uso della categoria illuministica della “felicità”, che sarà usata ampiamente anche nella Dichiarazione francese del 26 agosto 1789 e nelle costituzioni durante la “Grande rivoluzione”.
Il 21 febbraio 1787 il Congresso5 approvò la Costituzione degli Stati Uniti d’America, alla quale, nel corso degli anni e dei secoli, sono stati apportati vari emendamenti, ma nessuno ha mai pensato di stralciarla; anzi, gli americani sono tutt’oggi fieri della loro antica costituzione, la più antica del mondo ancora in vigore, Ne riportiamo alcuni articoli, attinenti la suddivisione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, ispirata alla dottrina montesquieuana della tripartizione dei poteri, già formulata dall’illuminista francese ne L’esprit des lois del 17486 . Il primo è affidato al Presidente degli Stati Uniti, eletto ogni quattro anni, il secondo alle due Camere, il Senato e la Camera dei Rappresentanti, il terzo alla Corte Suprema. Il Senato è costituito da due senatori per ogni Stato, per garantire così il principio di parità tra Stati di diversa estensione. Esso ha specifiche competenze in materia di politica estera. La Camera è invece eletta secondo il principio della proporzionalità e conta quindi un maggior numero di rappresentanti negli Stati più popolosi.
Successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, vennero emanati degli emendamenti che sancivano la libertà di parola, stampa, riunione, fede religiosa: Gli U.S.A. rifiutarono il concetto di una “religione di Stato”, quindi di essere uno Stato confessionale, a differenza di quanto sarà invece esplicitamente sancito dal 1° articolo dello Statuto albertino in Italia. Rimase la schiavitù dei neri, che fu un problema lasciato alla decisione dei singoli Stati: la questione, almeno formalmente, si risolverà soltanto nel 1863, quando il presidente Abramo Lincoln abolirà la schiavitù. Altro problema fu quello degli indiani pellerossa, che dalla fine del ‘700 al primo ‘800 videro progressivamente restringersi i loro territori, fino ad essere confinati nelle riserve.
In Francia, agli albori della “Grande Rivoluzione”, il 26 agosto 1789 l’Assemblea Nazionale Costituente approva la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino”, mentre fu respinta, dalla stessa Assemblea, una “Dichiarazione dei diritti delle donne”: fu un testo d’ispirazione illuministica, ad imitazione della “Dichiarazione d’indipendenza americana” del 4 luglio 1776. Fu un documento chiave per comprendere le idee ed il progetto politico dei rivoluzionari. Esso poneva a fondamento delle scelte politiche e sociali il rispetto dei diritti naturali dell’uomo: libertà, proprietà, sicurezza, resistenza all’oppressore, uguaglianza dei diritti (non sociale, in questo testo). Si nota, nel documento, l’influenza de L’Esprit des lois (1748) di Montesquieu. I punti fondamentali di tale Dichiarazione dei diritti possono concettualmente essere sintetizzati nei seguenti:
1. Bisogna difendere i diritti naturali dell’uomo, ossia libertà, proprietà, sicurezza, resistenza all’oppressore;
2. I limiti della libertà individuale sono stabiliti dalla legge e la libertà di un individuo termina dove inizia quella di un altro;
3. Solo per legge si può punire ed una legge non può mai avere valore retroattivo;
4. Ognuno dev’essere considerato innocente fino a prova certa di colpevolezza;
5. Sono ammesse libertà di culto e di espressione scritta ed orale;
La società è fondata sulla separazione dei poteri7.
Nel 1791 l’Assemblea Nazionale Costituente emanò la Costituzione: la Francia diventa una monarchia costituzionale, il clero giurato deve ora giurare fedeltà alla Costituzione, che è ispirata alla “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 26 agosto 1789 ed alla separazione dei poteri codificata dal filosofo illuminista Charles Louis de Montesquieu nel 1748 ne Lo spirito delle leggi. Il re è sovrano per volontà della Nazione, non più per diritto divino, il potere esecutivo spetta al sovrano, che nomina i ministri, ma quello legislativo all’Assemblea Nazionale Costituente, unicamerale. Il sovrano può però esercitare il diritto di veto sulle decisioni dell’Assemblea, cioè del Parlamento. Il potere giudiziario spetta ai giudici, che sono elettivi, mentre i ministri, di nomina regia, non fanno parte dell’Assemblea. Il sistema elettorale fu limitato su base censitaria. Il re è costretto a firmare anche la Costituzione, oltre a tutti gli atti precedenti, ed a giurarvi fedeltà: con una serie di progressivi “indietreggiamenti” il re è quindi sempre più “prigioniero” della Rivoluzione.
Il 22 settembre 1792 la Francia diventa una repubblica. Nel 1793 venne approvata dalla Convenzione una nuova Costituzione, detta “Costituzione dell’anno I” della Repubblica, ispirata alle idee volterriane di democrazia e tolleranza, in senso radicale e socialista, a suffragio universale maschile, ma non entrò mai in vigore. La Rivoluzione francese fu quindi un laboratorio di modelli costituzionali. La Costituzione dell’anno I fu il frutto estremo dell’Illuminismo. Sembra a questo punto opportuno presentare il seguente schema di confronto fra le costituzioni del 1791, monarchica costituzionale, e del 1793, o costituzione dell’anno I della Repubblica, frutto estremo del giacobinismo e, come si è detto, mai entrata in vigore:
CATEGORIE
COSTITUZIONE DEL 1791
COSTITUZIONE DEL 1793
DICHIARAZIONE DEI DIRITTI
I diritti naturali dell’uomo sono: libertà, proprietà, sicurezza e resistenza all’oppressione. Per libertà si intende la libertà individuale soggetta al limite della legge. Essa ha come fondamento il concetto di proprietà privata.
L’uguaglianza non compare fra i diritti naturali, ma è identificata con la fruizione dei diritti civili.
I diritti naturali sono: uguaglianza, libertà, sicurezza, proprietà. La sequenza non è casuale: il primo dei diritti è l’uguaglianza, che non compariva nell’elenco del 1789 e che precede la libertà, di cui è condizione. La proprietà è relegata all’ultimo posto, preceduta dal diritto alla sicurezza, dal cui mantenimento sembra dipenderne il godimento (la proprietà non può essere d’ostacolo alla sicurezza).
FORMA DI STATO
La Francia è una monarchia costituzionale: il re detiene, insieme ai suoi ministri, il potere esecutivo e risponde del suo operato all’Assemblea legislativa, espressione della nazione ed eletta a suffragio limitato.
La Francia è una repubblica. La Convenzione è l’Assemblea legislativa eletta a suffragio universale. Essa nomina un esecutivo di 24 membri scelti da un elenco di nomi proposti dai dipartimenti.
CONCETTO DI SOVRANITA’
La sovranità appartiene alla Nazione, che la delega ai suoi rappresentanti. Il concetto di Nazione (il complesso di individui legati dalla stessa lingua, storia, cultura) non coincide con quello di popolo, ma presuppone l’assenso ad un certo ordinamento.
“La sovranità risiede nel popolo” recita la Dichiarazione dei diritti del 1793 (art. 25). “La legge è l’espressione […] della Volontà generale” (art. 4). I concetti di sovranità popolare e di Volontà generale amante del bene comune derivano da Rousseau e presuppongono una scelta radicalmente democratica. Tutto il popolo è sovrano e gode dei diritti politici. La costituzione prevede il suffragio universale.
LIBERTA’, UGUAGLIANZA E DEMOCRAZIA
“La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri”, così recita la Dichiarazione dei diritti del 1789 (art. 4). Si tratta di una definizione “liberale” di libertà, intesa come diritto del singolo all’esercizio autonomo delle proprie facoltà ed abilità, che si interrompe solo nella misura in cui diviene ostacolo per altri. Lo Stato agisce dunque come difensore dei diritti dei singoli. L’uguaglianza viene considerata solo sul piano giuridico-civile, e mai economico: tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge.
“Lo scopo della società è la felicità comune” (Dichiarazione dei diritti, art. 1). Questo significa che il bene comune precede quello individuale e in un certo senso lo condiziona. Se la Volontà generale esprime la legge, il singolo che vi si opponga è da considerarsi nemico del bene comune. La Costituzione prevede una profonda attenzione ai problemi sociali. Lo Stato si fa carico della condizione dei meno abbienti (“I soccorsi pubblici sono un debito sacro”, art. 21). Viene promosso il servizio della pubblica istruzione allo scopo di consentire pari opportunità a tutti i cittadini.
Nel 1795 fu approvata una nuova costituzione, la Costituzione dell’anno III, in base alla quale sono elettori soltanto coloro che pagano un minimo di imposte: è una costituzione censitaria, che vede la borghesia come classe trionfante della Rivoluzione francese, e non il proletariato. Tale costituzione prevedeva la separazione dei poteri (teoria, come si è già detto, elaborata da Montesquieu ne L’Esprit des lois del 1748). La Francia resta una repubblica, ma ad indirizzo liberale-moderato, con un nuovo organo di governo, il Direttorio, costituito da 5 membri, che aveva potere esecutivo, mentre il Comitato di Salute Pubblica fu abolito. La politica del Direttorio fu piuttosto oscillante: vi predominava una componente di nobili filomonarchici antigiacobini, si diede la caccia ai giacobini superstiti, ma le idee giacobine si erano ormai diffuse in tutta l’Europa, ed era impossibile pensare di cancellarle con un “colpo di spugna”, come erroneamente penseranno di fare le potenze europee al Congresso di Vienna, tra il 1814 ed il 18158.
Il ricorso al plebiscito, inventato da Napoleone Bonaparte, è stata opportuna per gli “spostamenti territoriali”, ma non può essere considerata una vera forma di consultazione popolare, innanzitutto perché i plebisciti non erano a suffragio universale, ed in secondo luogo perché il plebiscito è servito anche per il trionfo di dittatori come Hitler, che dopo l’annessione tedesca dell’Austria del 1938 emanò un plebiscito, ma “forzato” dalla presenza delle truppe armate tedesche.
Con Luigi XVIII di Borbone, fratello del ghigliottinato Luigi XVI, nel 1814 i Borboni tornano sul trono di Francia. In Francia il clima della Restaurazione, portato dal Congresso di Vienna (1814-15), ebbe inizialmente un carattere abbastanza morbido. Luigi XVIII concesse infatti una Costituzione, sopra riportata, nel 1814, che prevedeva un Parlamento bicamerale con la Camera dei Pari (si intendono i “Pari al re”, come sarà nello “Statuto albertino”), di nomina regia, ed la Camera dei Deputati, eletta su base censitaria maschile e con poteri limitati. Si concedeva una certa libertà di stampa e si salvarono alcune importanti innovazioni, come il codice civile napoleonico e l’ordinamento scolastico statale. Fu, la Carta, il classico modello di una Costituzione “octroyée”, cioè concessa dall’alto.
In Francia, dopo la cacciata di Carlo X, s’instaura la monarchia orleanista di Luigi Filippo d’Orleans, nel 1830: il re concesse una Carta che chiamò “Costituzione orleanista”. Sul contenuto di questa Carta ebbe forte influsso il parlamentarismo inglese della fine del ‘600.
La Costituzione belga del 1831 è l’unica carta costituzionale del Belgio ed è rimasta pressoché immutata fino agli anni ’60 del Novecento; gli emendamenti successivi hanno riguardato l’allargamento della base elettorale, con l’introduzione del suffragio universale. Da notare che l’articolo 26 (“I belgi hanno il diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi, nel rispetto delle leggi che possono regolare l’esercizio di questo diritto, senza bisogno di autorizzazione. Questa disposizione non si applica alle riunioni all’aria aperta, che rimangono regolate dalle leggi di polizia”) sarà quasi letteralmente ripreso dall’articolo 32 dello Statuto Albertino. La Carta occupa una posizione importantissima tra le carte costituzionali del primo Ottocento in quanto servirà da modello ispiratore per la Costituzione della Repubblica italiana. Fu emanata appena il Belgio conquistò, durante i moti degli anni ’30, l’indipendenza dall’Olanda degli Orange; si consideri anche che il Belgio fu l’unico Paese nel quale l’insurrezione, durante i moti di questi anni, ebbe successo, portando all’indipendenza politica9.
Le insurrezioni del febbraio 1848 portano la Francia nuovamente alla repubblica, la II repubblica, che presenta una Costituzione, che rimarrà in vigore fino al 2 dicembre 1851, quando Luigi Napoleone Bonaparte, succeduto, quale presidente della repubblica francese, al socialista Luois Blanc, effettuerà un colpo di Stato con il quale si proclamerà imperatore con il nome di Napoleone III, dando così il via al II° Impero, dopo quello napoleonico. Indubbiamente i principi della prima rivoluzione ispirano profondamente gli autori della Costituzione del 1848. Essa afferma la sovranità nazionale; proclama la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, organizza la democrazia, proclama la Repubblica ed il suffragio universale. Il Presidente della Repubblica, si legge nella Costituzione repubblicana francese del 1848, deve essere eletto dal popolo. La filosofia politica della Costituzione repubblicana francese del 1848 è molto meno individualista di quella del 1789: “riconosce diritti e doveri anteriori e superiori alle leggi positive”; assume come fine della Repubblica “assicurare una divisione sempre più equa degli oneri e dei vantaggi della società”; enumera tra i diritti dell’uomo il diritto al lavoro e all’assistenza; infine, dà questa giusta definizione dei rapporti sociali: “Doveri reciproci obbligano i cittadini verso la Repubblica e la Repubblica verso i cittadini”. Nella Costituzione del 1848 si trova un’ispirazione solidaristica e cristiana (il suo preambolo invoca direttamente “Dio”; le costituzioni rivoluzionarie dicevano pudicamente “l’Essere supremo”). In pratica, la Costituzione ritornava all’Assemblea unica e alla assoluta separazione dei poteri, secondo la tradizione della Grande Rivoluzione10.
Lo Statuto albertino, al contrario delle Costituzioni della Rivoluzione francese e di altre Costituzioni, come la nostra, è “octroyée”, ovvero “concessa” dall’alto, dal monarca, e non è frutto di un patto tra sudditi e corona. Carlo Alberto concede lo Statuto contro la sua volontà. Dal 1848 al 1861 lo Statuto albertino è lo Statuto del Regno di Sardegna (si chiamava infatti “Statuto fondamentale del Regno di Sardegna”), e dal 1861 al 1946 è lo Statuto del Regno d’Italia, che si presenta come continuazione del Regno di Sardegna, anche sul piano formale, e non solo sostanziale: il Regno d’Italia, ad esempio, nasce “per Grazia di Dio e Volontà della Nazione”, e questo suona proprio come un compromesso tra la volontà divina e la volontà popolare, per accontentare i patrioti del Risorgimento. L’annessione al Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II avviene mediante plebisciti, ovvero consultazioni popolari, e questo conserva il principio della “Volontà della Nazione”, presente nell’Italia liberale-cavouriana e successiva a Cavour (che muore il 6 giugno 1861), fino a Crispi ed a Giolitti (1903-14). I plebisciti sono a suffragio universale solo maschile: il voto alle donne fu dato in Italia solo il 1° febbraio 1945, per un decreto luogotenenziale (è un decreto regio, emanato sotto il governo Bonomi). In Francia il voto alle donne era stato concesso prima, e precisamente nell’aprile 1944, nell’ Algeria francese, sotto la dominazione nazista. Durante l’Assemblea Costituente (1946-48) Alcide De Gasperi, Pietro Nenni e Palmiro Togliatti decisero che il voto alle donne sarebbe stato confermato nella futura Costituzione repubblicana (entrata in vigore il 1° gennaio 1948). Tuttavia solo la minoranza della popolazione vota nei plebisciti, mediamente il 25% o 30% degli aventi diritto al voto, e questo perché il problema dell’unificazione nazionale non era avvertito come primario dalla popolazione, a differenza di quanto utopisticamente aveva pensato Mazzini. I problemi dell’Italia post-unitaria sono altri, relativi alla disoccupazione, ai salari, all’assistenza sanitaria e sindacale, alla sussistenza quindi: sono problemi economico-sociali e non giuridico-costituzionali. Negli anni immediatamente successivi al 1861 il 78% della popolazione è analfabeta. Giolitti, quando concesse il suffragio universale, anche se solo maschile, nel 1912, ammise al voto anche gli analfabeti. Dal 1918, per essere eletti, bisognava essere alfabetizzati e maggiorenni (25 anni di età). Nel 1882 la Sinistra Storica con Agostino Depretis aveva concesso un suffragio universale, ma bisognava essere alfabeti ed avere almeno 30 anni di età. Di fatto, violò ampiamente lo Statuto da lui concesso. L’esperienza di una “costituzionalizzazione”, in Italia era già viva dai moti del 1820-21, che avvengono 5-6 anni dopo la caduta di Napoleone. La Sicilia, sotto la protezione inglese, aveva già avuto una Costituzione nel 1812, con la “Camera dei Comuni” e la “Camera dei Pari” (“Pari” al re, è un residuo feudale della “Camera dei Lord”). L’idea di una Costituzione a sé, in Sicilia, prosegue in tutto il Risorgimento fino al 1860. Anche la Spagna si era data una Costituzione, a Cadice, poi cancellata dalla Santa Alleanza. Il 12 gennaio 1848 scoppiano i moti a Palermo, il 3 gennaio dello stesso anno si era sollevata Genova, con lo scopo di ottenere una Costituzione. Il 29 gennaio 1848 il re di Napoli promise una Costituzione, promulgata poi il 10 febbraio 1848. Lo Statuto albertino è il frutto delle richieste dei moti popolari: lo Statuto si chiamò “Statuto” e non “Costituzione” con l’idea di regolare ciò che già esisteva, e non di inserire nuovi ordinamenti. Anche il papa Pio IX concede uno Statuto negli Stati pontifici, e lo definisce appositamente “Statuto” e non “Costituzione”. Nel Regno di Sardegna lo Statuto albertino nasce quindi come una forma di “tutela” dai moti rivoluzionari. Borelli, ministro di Carlo Alberto, vide la necessità di concedere uno Statuto “in fretta” per evitare che la situazione “sfuggisse di mano”. A Milano, dopo le “cinque giornate”, Carlo Cattaneo, repubblicano federalista, insiste per ottenere una Costituzione: Carlo Alberto promette una Costituente eletta dal popolo, ma sotto la dinastia dei Savoia e solo dopo l’annessione al Regno di Sardegna. Carlo Alberto si rivolge ai suoi “amatissimi sudditi”, con un linguaggio, quindi, molto arcaico, se si pensa che durante la Rivoluzione francese, quindi mezzo secolo prima, ci si chiamava “cittadini”. La Costituzione italiana consta di 139 articoli e 18 “Disposizioni Transitorie e Finali” ed è quindi molto più lunga dello statuto albertino, che comprendeva 81 articoli e 3 “Disposizioni Transitorie”. Lo statuto albertino era a struttura “rigida”, ossia non modificabile con una legge, mentre la Costituzione repubblicana è “flessibile”, anche se per le modifiche richiede una particolare procedura (doppia votazione parlamentare). La Corte Costituzionale ed il Consiglio Superiore della Magistratura ( C. S. M. )sono due nuove istituzioni costituzionali, assenti nello Statuto; la Corte dei Conti ed il Consiglio di Stato sono invece due istituti sanciti dalla costituzione, ma già presenti nello Statuto. Un altro elemento importante, presente nella Costituzione, ma assente nello Statuto, è appunto il concetto di democrazia diretta, fondata sull’effettiva partecipazione popolare alle urne; in seno allo Statuto si poteva solo immaginare una democrazia rappresentativa, e mai diretta. Secondo l’art. 33 dello Statuto, il re poteva nominare alcuni senatori, scelti tra alcune categorie: si consideri che il numero dei senatori non era definito e poteva essere illimitato. Le categorie era l’alto clero, gli alti militari, i grandi banchieri e funzionari, uomini di fiducia personale (vale a dire gli amici del re), le persone che pagavano da 3 anni 3000 lire all’anno di imposte (cioè i sudditi più ricchi). Tra gli articoli più “illuminati” vi è l’art. 22, in base al quale il re deve giurare fedeltà allo Statuto; si nota ivi un certo influsso della Bill of Rights del 1689. L’art. 26 garantiva la libertà individuale, l’art. 28 garantiva la libertà di stampa, anche se “una legge ne proibiva gli abusi”. Tra gli articoli più oscuri vi è l’art. 1, che dichiarava la religione cattolica come “unica religione dello Stato”: ciò fomentò le polemiche di tutti i liberali e dei protestanti. Tale idea di “Stato confessionale” penetrò nei “Patti Lateranensi” dell’11 febbraio 1929. Le altre religioni, si legge sempre nell’art. 1, sono “tollerate”. Nell’art. 28, altro punto poco luminoso dello Statuto, si precisava che le Bibbie ed i catechismi, per essere pubblicati, necessitavano dell’imprimatur del vescovo. L’art. 32 sanciva invece la libertà di “adunarsi pacificamente e senz’armi”: è questo un principio che sarà ampiamente tramandato. Ma tale adunanza è resa lecita solo in luoghi privati: in luoghi pubblici la polizia poteva intervenire e disperdere i convenuti. Nell’art. 45 si stabiliva l’immunità parlamentare tranne nel caso di “flagrante delitto”. Gli stessi deputati eletti dal popolo, anche se la base, come si è visto, era limitatissima, vengono chiamati “sudditi del re”. L’art. 41 afferma che i deputati “rappresentano la Nazione, e non solo le province in cui vengono eletti”: è questo senz’altro uno degli articoli più luminosi, il cui valore è ancora oggi presente nella Costituzione della Repubblica italiana.
Il 3 luglio 1849 venne varata la Costituzione della Repubblica romana, che risulta molto avanzata, la più avanzata, forse, di tutte quelle risorgimentali, tanto più se si pensa Un altro elemento importante, presente nella Costituzione, ma assente nello Statuto, è appunto il concetto di democrazia diretta, fondata sull’effettiva partecipazione popolare alle urne; in seno allo Statuto si poteva solo immaginare una democrazia rappresentativa, e mai diretta.che è stata prodotta nello Stato della Chiesa: si sostiene il motto della Rivoluzione francese, richiamando i principi di libertà, fraternità ed uguaglianza, si afferma la libertà di espressione e di insegnamento, la democrazia, l’abolizione dei privilegi e soprattutto l’abolizione dell’idea di “Stato confessionale”. Emanata il 3 luglio 1849, purtroppo non entrò mai in vigore perché al momento della sua promulgazione, il papa Pio IX, andato in esilio a Gaeta, fu riportato a Roma e reinsediato sul trono pontificio dal presidente della Repubblica francese Luigi Napoleone Bonaparte11.
La Costituzione della Repubblica di Weimer del 1919 fu molto importante in Europa, e fu assunta come modello anche dalla Costituzione repubblicana: aveva introdotto i diritti sociali e le tutele dei lavoratori, ma aveva un carattere solo apparentemente socialdemocratico, perché in realtà manteneva le vecchie istanze burocratiche e repressive che non riuscirono a fermare l’avvento del nazismo. Aveva profonde contraddizioni interne, come dimostrato dalla repressione del movimento degli spartachisti di Rosa Luxemburg e Karl Liebcknecht.
Nel Risorgimento erano elettori per la Camera dei Deputati solo i borghesi: i ceti subalterni erano esclusi. Bisogna aspettare la Riforma elettorale di Giolitti, nel 1912, per avere un suffragio universale, anche se solo maschile, perché le donne andranno al voto, in Italia, solo nel 1946, in occasione del referendum tra monarchia e repubblica. Le elezioni del 1919 segnano la crisi del partito liberale di Giolitti e l’affermazione dei due grandi partiti di massa, cattolico-popolare (futura Democrazia Cristiana) e socialista. La debolezza delle istituzioni permise il colpo di Stato fascista del 28 ottobre 1922: Mussolini sarà incaricato dal re Vittorio Emanuele III di formare il nuovo governo. Ne segue il grave clima di intimidazioni che porterà, con il discorso del 3 gennaio 1925, ad una vera e propria dittatura. Il 25 luglio 1943 Mussolini viene deposto con una mozione di sfiducia dal “Gran Consiglio del Fascismo”. L’incarico di formare il nuovo governo è affidato al maresciallo Badoglio, ma l’armistizio dell’ 8 settembre 1943 rese impossibile il progetto di ritornare al ripristino del Parlamento, secondo quanto prescriveva lo ‘Statuto Albertino’. Il re si ritirò a vita privata, nominando quale sostituto il figlio Umberto II, insieme ad un’Assemblea Costituente formata dai sei partiti democratici che si erano distinti nella lotta contro la dittatura fascista, vale a dire il partito comunista, il partito socialista, il partito socialdemocratico, la democrazia cristiana, il partito repubblicano ed il partito liberale, con lo scopo di scegliere tra monarchia e repubblica. Il nodo fu sciolto con il referendum popolare a suffragio universale del 2 giugno 1946, e non dall’Assemblea Costituente, che si riunì nel 1946 per redigere il futuro testo costituzionale. La Costituente fu un organo straordinario formato da 556 membri eletti tra i sei partiti antifascisti; rimase in vigore dal 1946 al 1948 ed esercitò anche la funzione straordinaria di governo. Elesse, nel suo seno, una commissione di 75 deputati con lo scopo di preparare la Costituzione, visto che l’Assemblea era troppo numerosa. Tale commissione si articolò in sottocommissioni ed il 1° gennaio 1948 entrò in vigore la Costituzione repubblicana, firmata dal Capo Provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, primo Presidente della Repubblica. Nel 1947 il Senato, di nomina regia, venne ufficialmente sciolto, perché l’Italia è una repubblica dal referendum del 1946, in cui la monarchia sabauda venne sconfitta, anche se non per molti voti. La Costituzione è il frutto di un lungo compromesso tra le varie forze democratiche e moderate che, sia pure nella loro eterogeneità e conflittualità, hanno trovato un accordo sui punti fondamentali, quali l’unità della Repubblica, sia pure articolata negli enti locali12. Il noto linguista Tullio De Mauro, ex ministro della Pubblica Istruzione del governo di centro-sinistra nel 2000, dopo Luigi Berlinguer, ha dichiarato che la Costituzione repubblicana, a differenza di tante altre leggi, è scritta in una forma estremamente chiara: in Italia sono presenti altre duecentomila leggi, il che rende, di fatto, impossibile quella conoscenza, per i cittadini, che “non ammette ignoranza”.
III) LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Si consideri innanzitutto il seguente schema della Costituzione repubblicana italiana odierna:
PRINCIPI FONDAMENTALI – ARTT.1-12.
PARTE PRIMA – DIRITTI E DOVERI DEL CITTADINO – ART. 13-54.
Rapporti civili – artt. 13-28.
Rapporti etico-sociali – artt. 29-34.
Rapporti economici – artt. 35-47.
Rapporti politici – artt. 48-54.
PARTE SECONDA – ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA – artt. 55-139
Il Parlamento e la formazione delle leggi – artt. 55-82.
Il Presidente della Repubblica – artt. 83-91.
Il Governo – artt. 92-100.
La Magistratura – art. 101-113.
Regioni, province, comuni – artt. 114 – 133.
Le garanzie costituzionali – artt. 134 – 139.
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI – I-XVIII
PRINCIPI FONDAMENTALI – ARTT.1-12.
L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro e la sovranità appartiene al popolo, tutti i cittadini hanno pari dignità di fronte alla legge, indipendentemente dalle differenze di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni sociali, è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di natura sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza , tutti i lavoratori hanno diritto alla partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge e devono svolgere un’attività che concorra al progresso della società, quindi il lavoro è un diritto, ma anche un dovere. La Repubblica è una e indivisibile, anche se riconosce il più ampio decentramento amministrativo, e tutela le minoranze linguistiche, lo Stato e la Chiesa cattolica, pur essendo ciascuno indipendenti e sovrani nel proprio ordine, hanno un particolare rapporto, stabilito dai Patti Lateranensi firmati l’11 febbraio 1929 (art. 7) dal cardinal Gasparri, segretario di Stato Pontificio di Pio XI e Mussolini, e rivisti nel 1984 dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi insieme al Papa Giovanni Paolo II. I Patti Lateranensi non sostengono che la religione cattolica è religione dello stato, l’Italia non è uno stato confessionale, tuttavia la Chiesa gode di particolari privilegi per quanto riguarda l’esenzione dalle tasse sui beni immobili. L’articolo 8 serve proprio per affermare che l’Italia non è uno Stato confessionale: infatti sostiene che tutte le confessioni religiose sono libere di organizzarsi secondo i propri statuti purché questi non intralcino l’ordinamento dello Stato. La Repubblica promuove la ricerca scientifica e tutela il paesaggio ed il patrimonio storico-artistico della nazione; si regola la condizione degli stranieri in Italia, rimandando al diritto internazionale da un lato ed affermando che lo straniero al quale sia impedito l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’asilo; si afferma anche che non è ammessa l’estradizione per reati politici (d’opinione). L’Italia persegue la pace e ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.
PARTE PRIMA – DIRITTI E DOVERI DEL CITTADINO – ART. 13-54.
Rapporti civili – artt. 13-28.
La libertà personale è inviolabile e, anche nei casi di restrizione della libertà previsti dalla legge, non è comunque ammessa la violenza fisica e morale (art. 13). Lo Stato democratico tutela la libertà di ogni persona (uomo o donna) e considera tale tutela uno dei motivi per cui lo Stato esiste; la libertà non è violabile da nessun altro individuo e nemmeno dallo Stato stesso. Si affermano l’inviolabilità del domicilio, tranne che nei casi di mandati di perquisizione stabiliti per legge e la libertà di corrispondenza, che non può essere violata tranne i casi previsti dalla legge, l’art. 16 sostiene non solo la libertà di movimento all’interno della Repubblica, ma anche la possibilità di uscire dal territorio nazionale e di tornarvi, salvi i casi stabiliti dalla legge. Si attesta la possibilità di riunirsi pacificamente e senz’armi (era già previsto dallo Statuto Albertino), in luogo aperto al pubblico (ad es. il cinema) senza preavviso, in luogo pubblico (strade, piazze) con preavviso. Si afferma la libertà di associazione dei cittadini, ma è vietata la costituzione di società segrete a scopi militari. Si afferma la libertà religiosa, in conformità agli art. 7-8, già esaminati. Si afferma la libertà di espressione, orale e scritta, del pensiero, per la quale non è ammessa la censura; sono tuttavia vietate le pubblicazioni a stampa contrarie al buon costume. Si stabilisce il diritto alla vita ed al riconoscimento, il diritto di proprietà non si estende alle persone (vi sarebbe il reato di riduzione in schiavitù). SI stabilisce il diritto alla giustizia per tutti, anche per i meno abbienti e si sostiene che una legge non è mai retroattiva, ma anche che la legge non ammette ignoranza. Si dichiara che non è ammessa l’estradizione per reati politici. Si afferma che ognuno risponde penalmente dei propri errori, ma che non esiste la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. I dipendenti statali sono responsabili dei propri errori.
Rapporti etico-sociali – artt. 29-34.
Si sostiene che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia, fondata sul matrimonio, e si afferma che è dovere dei genitori mantenere, educare ed istruire i figli, tranne che nei casi di incapacità dei genitori, stabiliti dalla legge la legge tutela anche i figli nati fuori dal matrimonio. Si dichiara che la Repubblica aiuta le famiglie, in particolare quelle numerose. Si sancisce il diritto alla salute. Si tutela la libertà di insegnamento e si afferma che le scuole non statali sono libere di organizzarsi, ma senza oneri per lo Stato e se chiedono l’equipollenza con i titoli rilasciati dallo Stato devono garantire programmi equipollenti. Il valore legale di un titolo di studio è certificato da un esame di Stato finale. Si stabilisce il diritto allo studio per tutti, anche per i meno abbienti, che saranno aiutati dallo Stato, se meritevoli, in modo che possano raggiungere i gradi più elevati dell’istruzione; si affermano anche l’obbligo scolastico e la gratuita dell’istruzione.
Rapporti economici – artt. 35-47.
Si tutela il lavoratore, in Italia ed all’estero, e il diritto di emigrazione, si stabilisce il rapporto tra la qualità e la quantità di lavoro ed un’equa retribuzione, in grado di assicurare un’esistenza dignitosa al lavoratore ed alla sua famiglia, si stabiliscono la durata massima delle ore lavorative, il diritto al riposo settimanale ed alle ferie, che sono irrinunciabili. Si stabilisce la tutela della donna lavoratrice, le madri godono di particolari tutele atte ad assicurare l’assistenza ai bambini, si tutela il lavoro minorile (non è ammessa l’attività lavorativa sotto i 15 anni, si tutelano i disabili, le malattie e gli infortuni sul lavoro. Si affermano la libertà di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero, sia pure regolato., la libertà di iniziativa economica privata, il diritto di successione ereditaria e la proprietà, pubblica e privata, ma la proprietà privata può essere espropriata per l’interesse generale. Per quanto concerne la proprietà terriera, si stabiliscono vincoli per aiutare la piccola e media proprietà, si tutelano l’artigianato e le zone montane. Si tutela e si controlla il risparmio privato con gli esercizi di credito.
Rapporti politici – artt. 48-54.
Si afferma la libertà e l’uguaglianza di voto, per tutti i cittadini, maschi e femmine (si è elettori per la Camera dei deputati a 18 anni, si è eleggibili a 25, si è elettori per il Senato della Repubblica a 25 anni, si è eleggibili a 40): il voto è un diritto, ma anche un “dovere civico”. Si afferma la libertà di associazione in partiti politici, si stabilisce il diritto alla petizione popolare (occorrono 50000 firme). Si sostiene che chi è chiamato a svolgere funzioni pubbliche elettive conserva il posto di lavoro per il tempo necessario all’espletamento di dette funzioni. Si stabilisce l’obbligo del servizio militare (art. 52), oggi
abrogato. Tutti concorrono alle spese pubbliche in maniera proporzionale alla loro ricchezza e tutti hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
PARTE SECONDA – ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA – artt. 55-139
Il Parlamento e la formazione delle leggi – artt. 55-82.
Il Parlamento è costituito dalla Camera dei deputati (Montecitorio è il palazzo della Camera) e dal Senato della Repubblica (Palazzo Madama è il palazzo sede del Senato) e si riunisce congiuntamente soltanto nei casi previsti dalla Costituzione; i deputati sono 630 ed i senatori 315; si è eleggibili come deputati a 25 anni e come senatori a 40 anni, mentre si è elettori per la Camera a 18 e per il Senato a a 25. Il Senato è eletto su base regionale in proporzione alla popolazione di ogni regione e nessuna regione può avere un numero di senatori inferiori a 7, con eccezione del Molise che ne ha 2 e la Valle d’Aosta che ne ha uno solo. Sono senatori a vita, di diritto, tutti gli ex presidenti della Repubblica, inoltre, Presidente della Repubblica può nominare fino ad un massimo di 5 senatori a vita scelti tra cittadini eminenti che hanno “illustrato la Patria per altissimi meriti”. Le due Camere del Parlamento restano in carica 5 anni, se non intervengono crisi di governo. Il bicameralismo italiano è detto “perfetto” in quanto le due camere esercitano la medesima funzione: l’esperienza bicamerale è presente in molti Stati europei (Francia, Germania, Inghilterra, Spagna) e non solo (si pensi agli Stati Uniti d’America), ma in questi Paesi le camere esercitano funzioni diverse. In Italia il “bicameralismo perfetto” è dovuto al fatto , in seno all’Assemblea Costituente del 1946, la parte social-comunista, influenzata dai modelli costituzionali dell’Europa Orientale, a regime comunista, protendeva verso un parlamento unicamerale, mentre l’area liberal-democratica e cattolica era invece propensa per due camere: ecco quindi come il bicameralismo perfetto sia dovuto ad un compromesso tra le due linee, salvare le due camere, come richiesto dai difensori delle democrazie occidentali, ma aventi le medesime funzioni, per venire incontro alle istanze della sinistra. Le delibere delle Camere sono valide se alle votazioni è presente la maggioranza dei loro rispettivi componenti (deputati per la Camera e senatori per il Senato). Ogni parlamentare rappresenta non i cittadini della circoscrizione in cui è stato eletto, ma tutto il popolo italiano (concetto già presente nello Statuto Albertino all’art. 41, come si è visto) e non è soggetto a vincolo di mandato, quindi può abbandonare il gruppo del partito in cui è stato eletto per passare ad altro schieramento (art. 67). I parlamentari, durante il loro mandato, godono dell’immunità parlamentare e non possono essere processati se non con l’autorizzazione della Camera alla quale appartengono (art. 68); il Parlamento detiene il potere legislativo, ossia quello relativo alla formazione delle leggi (art. 70) e le proposte di legge possono provenire o dal governo, o da ciascun parlamentare o da una petizione popolare che abbia raccolto almeno 50.000 firme autenticate. Ogni proposta di legge è esaminata prima da una commissione, in cui, in modo proporzionale, sono presenti, in proporzione, rappresentanti di tutti i partiti presenti in quella Camera, poi dalla Camera stessa. Una volta approvata dal Parlamento, la legge viene promulgata dal Presidente della Repubblica e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale; trascorsi 15 giorni, la legge entra in vigore; tuttavia il Presidente della Repubblica può chiedere alle Camere una nuova delibera, prima di promulgare (cioè ratificare) una legge; se però le Camere approvano la legge come era nella prima stesura, senza le modifiche richieste dal Capo dello Stato, questa dev’essere promulgata. Ogni camera si articola in 14 commissioni di lavoro permanente (bilancio, affari costituzionali, sanità, affari sociali, ecc.), al cui interno, in proporzione, si rispecchia la composizione delle forze politiche presenti in Parlamento. E’ ammesso il referendum popolare quando questo sia richiesto o da 5 consigli regionali o da 500.000 cittadini, con apposita raccolta di firme autenticate: il referendum è solo abrogativo e per essere valido devono recarsi alle urne la metà + 1 (maggioranza assoluta) degli aventi diritto al voto, vale a dire tutti i cittadini maggiorenni (coloro che votano anche per la Camera dei deputati). Il referendum può abrogare totalmente o parzialmente una legge. Il governo può emanare decreti, per motivi d’urgenza, con valore immediato, che perdono però efficacia se non vengono convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni. Il Presidente della Repubblica, su delega del Parlamento, può concedere l’amnistia e l’indulto: la prima annulla la pena principale verso il condannato, la seconda soltanto le penne accessorie, che possono anche essere commutate. Il Parlamento approva la legge di bilancio preventivo alla fine di ogni anno ed è il Parlamento che conferisce la fiducia al governo: se al governo viene meno la fiducia del Parlamento, il governo è costretto a dimettersi.
Il Presidente della Repubblica – artt. 83-91.
Il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta congiunta e resta in carica 7 anni: nelle prime due votazioni sono necessari i 2/3 dei voti, dalla terza votazione è sufficiente la maggioranza assoluta (50% + 1). Può essere eletto Capo di Stato qualsiasi cittadino che abbia almeno 50 anni e goda dei diritti politici. In caso di assenza o impedimento temporaneo, da parte del Capo di Stato, a svolgere le proprie funzioni, queste sono assunte dalla seconda carica dello Stato, ovvero il presidente del Senato. Le funzioni del Presidente della Repubblica sono le sgg.: 1)è il capo di Stato e rappresenta l’unità della nazione; 2)scioglie le camere; 3)indice nuove elezioni; 4)ha il comando delle forze armate; 5)sceglie il presidente del Consiglio dei ministri; 6)giura fedeltà alla Repubblica ed alla Costituzione; 7)indice i referendum; 8)promulga le leggi; 9)invia comunicazioni al Parlamento; 9)riceve i diplomatici stranieri; 10)presiede il C.S.M. Può essere messo in stato d’accusa dal Parlamento, a maggioranza assoluta, per alto tradimento.
Il Governo – artt. 92-100.
Il Governo è costituito dal Presidente del Consiglio, nominato dal Capo dello Stato, e dai ministri, nominati sempre dal Capo dello Stato, su proposta del Premier (art. 92). Per operare, il governo necessita della fiducia di entrambe le Camere; quando viene meno la fiducia, con un voto appunto di “sfiducia”, si apre una crisi di governo. Quando un ministro si dimette, si provvede alla sua sostituzione e non si apre immediatamente un governo; è il premier che stabilisce il numero dei ministeri. I ministri, a loro volta, hanno degli assistenti, chiamati “sottosegretari”. Il Governo ha il potere esecutivo, rende cioè operative le leggi elaborate ed approvate dal Parlamento. Vi sono ministri “con portafoglio” e “senza portafoglio”: i primi godono di autonomia di spesa, cioè dentro i capitoli di spesa che gli sono riservati possono decidere qual è l’impiego dei fondi destinati al proprio ministero; i secondi, prima di di avere l’accesso ai fondi statali, devono presentare un progetto al Consiglio dei Ministri. Nel suo lavoro, il Governo è assistito da 3 organi consiliari (o “ausiliari”):
1. il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, formato da esperti delle categorie produttive (non esercita funzioni particolarmente importanti, ne era stata proposta l’abrogazione nel referendum costituzionale che è però stato respinto dalla consultazione popolare);
2. il Consiglio di Stato, al quale si può rivolgere ogni cittadino che voglia avere giustizia contro la pubblica amministrazione (si può, ad es., ricorrere al Consiglio di Stato, che è un organo “centrale” con sede a Roma, contro il giudizio dei T.A.R., ovvero dei Tribunali Amministrativi Regionali), ad esempio, nel caso di un candidato ad elezioni amministrative che ritenga di essere stato danneggiato da uno scrutinio elettorale e che abbia già visto respinto il suo ricorso dal T.A.R.;
3. la Corte dei Conti, che ha funzioni di controllo in materia fiscale, sulle entrate ed uscite pubbliche all’interno del bilancio dello Stato.
La Magistratura – artt. 101-113.
La Magistratura esercita il potere giudiziario, è un organo indipendente dal potere legislativo, esercitato dal Parlamento, e dal potere esecutivo, esercitato dal governo, conformemente alla teoria della separazione dei poteri, espressa da Montesquieu nella sua opera L’esprit des lois (1748) e considerata base di ogni democrazia: i magistrati non possono quindi prendere ordini né dal Parlamento, né dal governo. La giustizia viene esercitata in nome del popolo, non è ammessa la giustizia privata (nessuno può farsi giustizia da sé) ed è ammessa solo la magistratura ordinaria, non esistono giudici “straordinari” o “speciali”: i tribunali militari svolgono le loro funzioni solo per reati militari (all’interno delle forze armate) o in tempo di guerra. I magistrati, al cui ruolo si accede per concorso, sono soggetti al solo C.S.M. (Consiglio Superiore della Magistratura), presieduto dal Presidente della Repubblica. E’ il C.S.M. che stabilisce le assunzioni, i trasferimenti o i provvedimenti disciplinari dei magistrati. I magistrati si distinguono per diversità di funzioni (il “pubblico ministero”, noto con l’abbreviazione “p.m.”) prepara l’accusa, ad es.). Anche il ministro della giustizia può tuttavia promuovere un’azione disciplinare verso i giudici. Contro le sentenze dei tribunali, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti è ammesso il ricordo presso la Corte di Cassazione. La repubblica italiana è uno Stato di diritto, ovvero uno Stato che riconosce come sovrana soltanto la legge, che è superiore ai singoli. La raccolta delle leggi si chiama codice: i codici fondamentali sono 4 (civile, penale, di procedura civile e di procedura penale).
Regioni, province, comuni – artt. 114 – 133.
La Repubblica si articola in regioni, province e comuni: le regioni sono enti autonomi, con propri poteri (art. 114). In Italia vi sono 19 regioni, di cui 4 “a statuto speciale”, e province autonome, quelle di Bolzano e di Trento (la regione del Trentino Alto Adige, politicamente, è stata soppressa con l’istituzione delle 2 province autonome): le regioni “a statuto speciale” sono Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta (art. 116). Le regioni a statuto speciale godono di una particolare autonomia, anche finanziaria (artt. 119-120) e non sono soggette a controllo amministrativo da parte dello Stato, ma il Governo centrale può annullare gli atti eventualmente illegittimi varati dai consigli regionali. Tutte le regioni hanno poteri autonomi in materia di amministrazione degli uffici, polizia, turismo, musei, biblioteca, assistenza scolastica, mezzi pubblici di trasporto, caccia, pesca, artigianato. Lo Stato può trasferire alle regioni anche alcune funzioni amministrative (art. 118): questo trasferimento di funzioni è stato attuato nel 1972 ed ampliato nel 1975. Un Commissario del Governo centrale controlla l’autonomia legislativa ed amministrativa delle regioni (art. 124). Oltre che per effetto di una crisi politica interna, quando viene meno la fiducia, un consiglio regionale può essre sciolto con motivato decreto del Presidente della Repubblica (art. 126). Le regioni, sia pure nel rispetto della loro autonomia, anche finanziaria, stabilita per legge, non possono impedire la libera circolazione dei cittadini da una regione ad un’altra. Politicamente, la regione è organizzata in un Consiglio, che ha potere legislativo, una Giunta, che ha potere esecutivo e nel Presidente o Governatore, che rappresenta la regione, eletto dai consiglieri, a loro volta eletti a suffragio universale da tutti i cittadini maggiorenni che possono votare per la Camera dei deputati. Il Consiglio regionale approva un proprio statuto, che dev’essere in armonia con la Costituzione. Nella regione sono istituiti i T.A.R., ovvero i Tribunali Amministrativi Regionali, le cui sentenze, di 1° grado, possono essere impugnate con un ricorso in 2° grado da parte di ogni cittadino. Anche province e comuni sono istituzioni di decentramento autonome: i comuni più ampi, si articolano in circoscrizioni (“consigli di quartiere”). Tutti i consigli durano in carica 5 anni. Il numero dei consiglieri varia in base all’entità della popolazione. Il consiglio comunale è presieduto dal sindaco, eletto con le elezioni amministrative ed eventuale ballottaggio, qualora non raggiunga il 40% dei voti nel primo turno delle elezioni. Il decentramento si è reso necessario, nella Costituzione, dopo la fine della II guerra mondiale, come forma di contrasto allo Stato monarchico e fascista, che era uno Stato centralizzato.
Le garanzie costituzionali – artt. 134 – 139.
La Corte costituzionale si pronuncia sulla costituzionalità delle leggi, sui conflitti tra Stato e regioni e sulle accuse mosse al Presidente della Repubblica ed ai ministri. La Corte costituzionale è costituita da 15 giudici, 5 nominati dal Presidente della Repubblica, 5 dal Parlamento in seduta comune e 5 dai tribunali ordinari ed amministrativi; i 15 giudici della Corte restano in carica 9 anni ed il loro mandato non può essere reiterato, vengono scelti anche tra docenti universitari ordinari ed avvocati con 20 anni almeno di esercizio della professione, ma, la carica di giudice costituzionale è incompatibile con quella di parlamentare o con l’esercizio della professione ; la Corte, nel suo seno, elegge un presidente, che resta in carica per 3 anni che possono essere reiterati. Se la Corte dichiara incostituzionale una legge, questa cessa di avere valore e le decisioni della Corte non possono essere impugnate. Le leggi di revisione della Costituzione necessitano di una doppia votazione da ogni Camera del Parlamento. La forma repubblicana dello Stato non è oggetto di revisione costituzionale.
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI – I-XVIII
Si afferma che è vietata, sotto qualsiasi forma, la riorganizzazione del disciolto partito fascista (XII), che i titoli nobiliari non sono riconosciuti (XIV) e che la Costituzione dev’essere osservata da tutti i cittadini come Legge fondamentale della Repubblica (XVIII). E’ stata abrogata dal governo Berlusconi, nel 2002, la XIII Disposizione transitoria e finale che vietava l’ingresso in Italia ai Savoia ed ai loro discendenti.
IV) IL PROCESSO DI UNIFICAZIONE EUROPEA
L’Europa ha avuto più volte un’idea di unificazione, dal Sacro Romano Impero di Carlo Magno a Napoleone I Bonaparte. Ci si sente europei quando si condivide una civiltà; Saint-Simon data l’inizio dell’idea d’Europa a Carlo Magno, Chabod ne vede l’inizio nell’Illuminismo, con Voltaire, perché in quel momento si determina una sorta di repubblica degli intellettuali che ha carattere universale, e la continuazione nel Romanticismo, in cui si recupera la religione cattolica come elemento unificante di una cultura. La Scuola francese degli “Annales”, invece, di orientamento marxista, preferisce datare la nascita dell’idea d’Europa nel Medioevo. L’idea d’Europa, per Stefano Cordero di Montezemolo, economista contemporaneo e docente all’Università di Firenze, nasce nel periodo delle crociate, in cui si forma una fitta rete commerciale, che trapassa poi nel Basso Medioevo con i comuni ed in seguito nel Rinascimento. In quella fase storica abbiamo realtà politiche frammentate. I mercanti del Basso Medioevo e del Rinascimento e la nascita delle banche fanno sì che la moneta e la finanza diventino elementi trainanti del processo di unificazione europea. La finanza diventa, con il passare del tempo, un elemento sempre più rilevante, con la colonizzazione e le compagnie, come quella delle Indie tra ‘600 e ‘700. Con la rivoluzione industriale, i mercati si collocano sempre più su vasta scala e la dimensione finanziaria diviene un elemento importantissimo per il processo di unificazione europea. Già nel ‘400, le famose banche, come le compagnie dei Bardi, dei Peruzzi, i Fugger, il Monte dei Paschi di Siena erano diventate le banche finanziatrici dei sovrani: le banche erano già entrate nella politica. Il fallimento di queste banche (ad eccezione del monte dei Paschi di Siena, che non fallisce) mette in crisi il reciproco rapporto tra potere e finanza, ma è una crisi solo transitoria. I reciproci favori tra banche e potere politico riprendono. Ancora oggi, con la crisi del sistema bancario europeo, si condanna questo nesso al grido di “fuori le banche dalla politica e fuori la politica dalle banche”. Le differenti monete nascono alla fine del ‘400, con la nascita degli Stati nazionali. Fra il 1880 ed il 1910 si assiste ad una forte crescita economica, superiore a quella del boom degli anni ’60, e questo grazie agli aiuti economici reciproci, al sistema dei debiti e dei crediti. Questo “boom” economico di fine Ottocento ha quindi favorito l’idea della moneta unica. Ma il sistema funziona a breve termine, non a lungo termine, perché le monete seguono linee differenti. È quindi necessario riallineare le economie, cosa che non è stata fatta nel 1910, la cui crisi ha causato quella successiva e ben più grave del 1929. Dopo la II guerra mondiale gli Stati uniti si impongono come modello unico, sia politico che economico, per l’Occidente, e le economie dei Paesi dell’Europa si adeguano. Ciò porta un certo benessere fino agli anni ’80. Ma gli Stati Uniti hanno conosciuto un progressivo tasso di inflazione fin dagli anni ’50 e dalla guerra di Corea (1953-56), come anche la Gran Bretagna. Nixon, negli anni ’70, denuncia la crisi americana a causa dell’inflazione fuori controllo. Gli anni ’70 sono difficili per l’Europa, a causa del terrorismo, dei conflitti in Medio Oriente, della tensione tra Est ed Ovest per la guerra fredda. L’Unione europea ha messa a rischio, perché le tensioni politiche hanno dirette ripercussioni in materia economica. Subito dopo gli accordi di Maastricht, nel 1990-91 appaiono nuovi elementi di minaccia, rappresentati da una nuova grande Germania riunificata, che tenderà ad imporsi sugli altri Paesi. Mitterand e Andreotti, negli anni ’90, convinsero la Germania ad accettare lo scambio tra gli aiuti europei per l’unificazione tedesca e l’avvio di un processo di unificazione monetaria. Tuttavia i costi per l’unificazione delle “due Germanie” furono altissimi e le differenze, sul piano economico, tra le “due Germanie”, erano vistosissime.
Da quando è entrato in vigore l’euro il tasso di crescita europeo è stato la metà di quello degli Stati Uniti. Un sistema monetario unificato ha bisogno di stabilire regole comuni, con un debito unico europeo, cosa che oggi non c’è ancora. Gli Stati Uniti hanno superato la loro crisi grazie anche all’incremento demografico, che è un elemento di crescita anche economico, a differenza dell’Europa, che ha invece conosciuto un globale decremento demografico. E’ inoltre necessario avere un sistema fiscale flessibile, non rigido, per compensare la rigidità della moneta unica. L’Europa di oggi è soltanto un’Europa “sulla carta” in quanto manca un ente sovrano sul piano politico; negli Stati Uniti, ad esempio, si è imposto il modello degli Stati del nord su quelli del sud, la Germania, dopo la sua nascita avvenuta nel 1871 con il trattato di Francoforte, ha accettato la sovranità prussiana, sia pure nel rispetto del federalismo, che è pure un elemento funzionale, come lo è per gli Stati Uniti. Il federalismo non è cooperativismo socialista, ma è competizione, flessibilità, premesse importanti per la dinamicità e la crescita, come è avvenuto negli U.S.A. L’Europa è stata la patria dell’industrializzazione e del socialismo, ma sulla prima ha subito la concorrenza degli Stati Uniti. Con i regimi totalitari crolla l’idea d’Europa come metaforica repubblica illuministica degli intellettuali: gli intellettuali diventano “organici”, per usare un’espressione gramsciana, al servizio del socialismo piuttosto che del fascismo o del nazismo. L’idea d’Europa ha quindi una “preistoria”, ma l’Europa in sé nasce tra le due guerre mondiali, perché la guerra accelera due elementi: 1) la nascita di partiti e di una società di massa; 2) dalla seconda guerra mondiale si esce con delle potenze vincitrici che condannano la Germania a pagare tutti i debiti di guerra, in quanto unica responsabile del conflitto. Nel 1919 era nata la Società delle Nazioni (già anticipata dal presidente americano Wilson con i famosi “14 punti”, approvati dal Congresso nel gennaio 1918) come organo sovranazionale proposto a garantire la pace nel mondo, della quale non ne fanno però parte gli Stati Uniti (era prevalsa, in seno al Parlamento americano, una maggioranza favorevole al disinteresse statunitense verso i problemi europei, conformemente alla dottrina emanata nel 1823 dal presidente americano Monroe, che si può sintetizzare nella massima “L’America agli americani, l’Europa agli europei”). In questo contesto si comincia a parlare di categorie quali “disarmo” ed “arbitrato”: per garantire tale pace era però necessaria una pacificazione tra Francia e Germania, le due potenze storicamente nemiche fin dal 1870 e che continueranno a combattersi nella II guerra mondiale. La pacificazione tra le due potenze avverrà soltanto dopo la II guerra mondiale, mentre in Italia il partito comunista, nel 1956, vota contro l’ingresso dell’Italia nel M.E.C.: a differenza del P.S.I., il P.C.I. è ancora fortemente legato all’Unione Sovietica. Il P.C.I. è stato quindi un elemento di opposizione all’Unione Europea. La pacificazione tra Francia e Germania consentirà la nascita degli “Stati Uniti d’Europa”, espressione già viva in Carlo Cattaneo, nel dibattito risorgimentale. Dopo la Grande Guerra, negli anni ’20, la Germania entrerà a far parte della Società delle Nazioni, a patto che rinunci a qualsiasi rivalsa sulla Francia, ma con Hitler, un decennio più tardi, la Germania uscirà dalla Società delle Nazioni; nella Francia degli anni ’30 si continua a parlare di “Stati Uniti d’Europa”, ma con l’esclusione della temibile Germania. Le ripercussioni della crisi del ’29 incoraggiano ancora la nascita di un’Europa unita come difesa economica. L’antifascismo europeo ha il suo epicentro a Parigi, con il partito socialista, sia nell’ala riformista che massimalista; anche molti italiani emigrano in Francia e partecipano alla Resistenza, come Carlo Rosselli. In questo contesto l’europeismo assume una connotazione antifascista: il fascismo viene considerato il prodotto dell’arretratezza culturale e morale degli italiani. Ma nel 1933 Hitler prende il potere ed entra così in crisi l’idea, almeno in forma manifesta, dell’Europa unita sotto l’emblema dell’antifascismo. Il movimento “Giustizia e Libertà” è attivo a Parigi e dopo il 1932 rilancia l’idea di un’Europa unita attuabile solo mediante una rivoluzione europea contro il fascismo, il nazismo ed il franchismo: ai totalitarismi la futura Europa deve contrapporre le idee di democrazia e partecipazione. Dopo la II guerra mondiale il Benelux (unione doganale, quindi fiscale e monetaria di Belgio, Lussemburgo ed Olanda) costituisce i prodromi della futura Europa unita: negli anni successivi iniziano anche a circolare idee federaliste, che non sono quelle di De Gaulle e Churchill, ma del comunista Altiero Spinelli, che da una parte ostacolano l’unione europea. Il “Manifesto di Ventotene”, redatto tra il 1941 ed il 1944, aveva un carattere utopistico: i 6 Paesi che diedero il via al processo di unificazione europea (Italia, Germania Occidentale, Francia, Belgio, Lussemburgo, Olanda), dopo la II guerra mondiale, non seguirono una linea federalista, proprio per evitare di cadere nell’utopia federalista del Manifesto di Ventotene.
Nel 1945 finisce la II guerra mondiale, che vede l’Europa ed il mondo divisi in 2 blocchi, quello occidentale, sotto il controllo degli U.S.A., a regime economico e politico democratico e liberale, e quello orientale, sotto l’egida dell’ U.R.S.S. , a regime socialista; infatti la Conferenza dei Ventuno, nel 1946, aveva di fatto stabilito che i Paesi “liberatori” sarebbero stati anche “Paesi occupanti”. Nel 1949 l’ U.R.S.S. fonda il COMECON, un piano di aiuti economici ai Paesi dell’Europa Orientale, per sottrarli all’influenza statunitense. Nel 1951, incoraggiata dagli Stati Uniti, nasce la CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio), su iniziativa dei politici francesi Jean Monnet e di Robert Schuman (due dei numerosi “padri fondatori” del processo di unificazione europea, insieme ad altri, quali Konrad Adenauer, Wiston Churchill, Alcide De Gasperi, Altiero Spinelli), con lo scopo di mettere in comune le produzioni di queste due materie prime in un’Europa di sei Paesi: Francia, Germania Occidentale, Italia, Belgio, Lussemburgo ed Olanda. (BE.NE.LUX.). Si preannunciano così buoni segnali per il processo di integrazione europea: si presenta inoltre un progetto per un esercito comune europeo, da intendersi come bastione antisovietico. Gli Stati Uniti avrebbero accettato questo esercito a patto che fosse inserito nel Patto Atlantico, ma il progetto fallì per i timori francesi di un riarmo tedesco, e di questo fallimento ancora oggi ne subiamo le conseguenze. Nel 1955 viene stipulato il Patto di Varsavia, sotto la rigida egida sovietica: vi aderiscono U.R.S.S.,Polonia, D.D.R., Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, Romania. L’Unione sovietica ha infatti obbligato i Paesi satelliti a rinunciare agli aiuti economici americani previsti dal piano Marshall del 1947 (George Marshall era il segretario di Stato americano), per risollevare l’Europa dalla guerra. Nel 1957, su “incoraggiamento” americano, nasce la C.E.E. (Comunità Economica Europea): è “un’Europa dei sei”, gli Stati Uniti fondano la C.E.E., ma non ne fanno parte; contemporaneamente,sempre gli U.S.A., senza parteciparvi, fondano il M.E.C. (Mercato Comune Europeo): si tratta di
due organismi nati come tutela dal “blocco orientale” comunista, ma che ben presto entreranno anche in un’inevitabile concorrenza con l’economia americana. I sei Paesi dell’Europa occidentale non applicano più dazi doganali negli scambi.
Anche il movimento studentesco del ’68 ha fornito, sia pure nelle sue utopie, un contributo per il processo di unificazione europea: i giovani vogliono viaggiare, conoscersi, costruire un mondo nuovo, unito, solidale. Il 1° gennaio 1973 Danimarca, Irlanda e Regno Unito si aggiungono all’ U. E., che consta così di 9 Paesi. Nello stesso 1973 una breve, ma cruenta guerra arabo-israeliana insanguina il Medio Oriente
(1973), scatenando anche una crisi energetica e provocando problemi economici per l’ Europa, che avverte così la necessità di una maggiore unità. La caduta del regime di Antonio Salazar in Portogallo nel 1974 e la morte del generale Francisco Franco in Spagna nel 1975 decretano la fine delle ultime dittature di destra ancora al potere in Europa. Nel 1979 si assiste all’inaugurazione del Parlamento europeo, con sede a Strasburgo, in Alsazia: è eletto a suffragio universale dagli Stati
membri. Nel 1981 anche la Grecia entra nell’Unione Europea, seguita, nel 1986, da Spagna e Portogallo. Tra il 1989, data del crollo del muro di Berlino, ed il 1991 cadono anche tutti i regimi comunisti dell’Europa orientale: questo agevola la stesura dei trattati di Maastricht e di Amsterdam, rispettivamente nel 1993 e 1999: si stabiliscono le regole politiche ed i parametri economici necessari per l’ingresso dei vari Stati nell’Unione Europea e così ambiente, sicurezza, difesa diventano problemi comuni di tutti i cittadini europei. Nel 1957 nascono il M.E.C. e la C.E.E. La Francia, sensibile alla propria identità nazionale, non adopera una politica sempre favorevole all’Unione Europea, mentre si pensa a fare entrare nell’Unione la Gran Bretagna: Irlanda, Gran Bretagna e Danimarca entrano nell’Unione nel 1973. Nel 1981 con l’ingresso della Grecia abbiamo un’ “Europa dei Dieci” e così si accelera il processo di unificazione europea, mentre, parallelamente, l’Unione Sovietica organizza la “sua Europa”. Nel 1989 il leader socialista Bettino Craxi lancia l’idea della moneta unica, osteggiata dalla Thatcher; nello stesso anno crolla il muro di Berlino e si pongono nuovi orizzonti per l’allargamento dell’Europa. Nel 1992 entra in vigore il trattato di Maastricht, con i seguenti cinque parametri:
1.rispetto di parametri economici europei;
2.politica estera comune per i problemi di sicurezza;
3.unificazione dei sistemi giudiziari;
4.adozione della moneta unica;
5.rispetto dei tassi di debito, deficit, interesse ed inflazione.
Nel 1990, con gli accordi di Schengen, si sopprimono i controlli sulle persone alle frontiere intercomunitarie. Nel 1990 entra nell’Europa la ex D.D.R. e nel 1995 nasce l’ “Europa dei Quindici”, con l’ingresso di Austria, Finlandia e Svezia.
Si avverte tuttavia, nei sentimenti dei cittadini europei, sempre prima il sentimento nazionalistico e poi quello europeistico.
Ma nel 1991 si è costituito anche il gruppo di Visegrad (che prende il nome dalla piccola cittadina ungherese in cui si è costituito), un’alleanza tra quattro Paesi dell’Unione europea: Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia. Questi Paesi dell’Europa Orientale, che durante la guerra fredda facevano parte del blocco comunista, portano avanti posizioni sovraniste, euroscettiche e rigide in materia di immigrazione e difesa dei confini; questa linea ha trovato accoglienza nella destra del Front National di Marine Le Pen in Francia, nell’Austria di Sebastian Kurz e, in Italia, nella Lega di Matteo Salvini. Dei 4 Paesi dell’alleanza di Visegrad solo la Slovacchia (che fino al 1991 costituiva la Repubblica Socialista Cecoslovacca insieme alla Repubblica Ceca) ha adottato l’euro come moneta, mentre Polonia, Repubblica Ceca ed Ungheria hanno mantenuto la loro sovranità monetaria, pur facendo parte dell’U.E. Nel 1995 anche Austria, Finlandia e Svezia entrano nell’Unione Europea e nello stesso anno vengono firmati gli accordi di Schengen, che consentono ai cittadini europei di viaggiare liberamente in Europa, con il solo documento di riconoscimento, senza l’obbligo del passaporto. Nel 2002 l’euro è la nuova moneta dell’ U.E., attualmente adottata da 19 dei 28 Stati membri dell’Unione aderenti all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea (UEM), ossia Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna. L’ultimo Stato ad aver adottato l’euro è stata la Lituania il 1º gennaio 2015. Nel 2008 una profonda crisi economica sconvolge l’ ”eurozona”, ma anche gli Stati Uniti, crisi dalla quale l’Europa non è ancora uscita, mentre la Russia, con il Presidente Putin, sta promuovendo un’ azione di contrasto nei confronti dell’Unione Europea. Attualmente, le tradizionali forze italiane ed europee di centro-sinistra, originariamente socialiste o socialdemocratiche, hanno sposato logiche liberali, radicali ed ecoomicamente neo-liberiste e filo-europee, mentre i movimenti politici di destra stanno portando avanti politiche anti-europee, nazionaliste e, sul piano economico, protezionistiche, quindi a difesa dei confini nazionali e continentali, anti-immigrazioniste e stataliste. L’Unione Europea è quindi scossa da forti tensioni interne, appoggiate, da un lato dalla Russia di Putin, dall’altro dagli Stati Uniti di Trump, a indirizzo repubblicano; a questo si aggiunge la “Brexit”. In quest’ultimo periodo si sono costituiti anche partiti di sinistra sovranisti, come “Patria e Costituzione”, in Italia, con Piero Fassino, e “Aufstehen” in Germania, ai quali si è aggiunta la protesta popolare dei “Gillet gialli”, nata in Francia, ma divampata anche in altri Paesi europei.
Le colonie inglesi in America sono confederali: diventeranno una confederazione soltanto dopo la guerra civile americana del 1861/65. Oggi gli Stati Uniti, insieme alla Svizzera, costituiscono il modello federale per eccellenza. In una confederazione ogni Stato membro mantiene una sua autonomia con il diritto di veto, mentre in uno Stato federale si crea un governo comune tra gli Stati aderenti, che non hanno diritto di veto. Questa è la differenza, da molti ignorata, anche dalle forze politiche italiane odierne, tra confederazione e federalismo. L’Europa che si è oggi formata se non si evolverà a livello di federalismo, di federazione, sarà destinata al fallimento: l’Europa odierna non è nemmeno una confederazione, perché ha scelto la strada del funzionalismo, in cui si sono cioè scelte delle strade “funzionali”, come l’economia, la moneta unica, il carbone, l’acciaio, ma senza una costituzione comune e senza regole politiche comunitarie. Il boom economico degli anni ’60 è fallito a causa di una guida politica insicura e corrotta, rappresentata dalla partitocrazia centrista prima e dall’opposizione del partito comunista all’ingresso dell’Italia nella C.E.E. Dopo il crollo del muro di Berlino, con la guerra fredda, l’Unione europea si avvia verso strade “funzionalistiche”, mentre il trattato di Maastricht spingeva verso una via federale, necessaria per avere una moneta unica. La contraddizione dell’Europa è quella di avere una moneta unica non supportata da una struttura politica federalista. Ma il federalismo ha la propria anima nell’identità nazionale: senza una struttura federalista, senza una costituzione comune, l’adozione della moneta unica rappresenta soltanto una cessione di sovranità. Essere federalisti significa mettere in comune i valori, che oggi si stenta a riconoscere: l’Europa non può negare la sua impronta giudaico-cristiana, presente fin dal Medioevo e dalle crociate, la politica deve quindi, secondo questo punto di vista, tener conto della storia, non può ignorare il progresso storico, poiché la storia non si ripete, ma progredisce costantemente. Francia ed Olanda, con un referendum, si sono opposte all’idea di una costituzione europea, anello essenziale per la creazione di un sistema federale europeo. L’Europa, al momento, non ha nemmeno un’unica capitale, ma due, Bruxelles e Strasburgo. Come si vede, il dibattito odierno sull’Unione Europea vede impegnati due schieramenti, collocati su posizioni antitetiche: europeisti e sovranisti o “nazionalisti”; mentre i primi difendono la linea portata avanti dalle grandi banche e dalla finanza internazionale, per i secondi l’Europa si trova di fronte ad un bivio, o viene fatto un “passo avanti”, verso una completa unione economica e politica, e ciò significa, ad es., garantire uguali stipendi, per categorie, ai cittadini di tutta l’Unione, uguali tasse, un’unica costituzione europea, un’unica difesa dei confini, oppure l’Unione Europea, almeno per come si è sviluppata, come “astratta” unità monetaria, è destinata inesorabilmente alla sua fine, e può rimanere soltanto intesa come collaborazione su pochi grandi temi, lasciando, per il resto, appunto piena sovranità ai singoli Stati membri.

Cittadinanza e Costituzioneultima modifica: 2019-03-01T22:48:14+01:00da m_200
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