Guerra totale, collaborazionismi, resistenze

Marco Martini: “Guerra totale, collaborazionismi, resistenze”

Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea (sezione di Lucca), Domus Mazziniana di Pisa, Università degli Studi di Pisa, Firenze, Bologna ,
Corso di formazione di storia contemporanea riconosciuto per docenti di storia
Gio. 21, mar. 26 e gio. 28 marzo 2019 – h. 15,00/18,00.
Guerra totale, collaborazionismi, resistenze
Programma del corso:
1) 21 marzo ore 15.00 – 16.30 – GUERRA TOTALE – LUCA BALDISSARA, Università di Pisa, Un conflitto nuovo. L’impatto della guerra sulla popolazione.
2) APPROFONDIMENTO SUI BOMBARDAMENTI NELLA II GUERRA MONDIALE.
3) 26 marzo ore 15.00 – 16.30 – COLLABORAZIONISMI – VALERIA GALIMI, Università di Firenze, Collaborazionismi. Il caso francese.
4) 26 marzo ore 16.30 – 18.00 – RESISTENZE – ROBERTA MIRA, Università di Bologna, Tra aspirazioni di governo e precarietà del conflitto: la RSI e la strategia dell’ultimo fascismo.
5) 28 marzo ore 15.00 – 18.00 – GIANLUCA FULVETTI Università di Pisa, Atlante delle stragi nazifasciste in Italia.
6) APPROFONDIMENTO SULLE FONTI WEB SULLA RESISTENZA.

1) 21 marzo ore 15.00 – 18.00 – GUERRA TOTALE – LUCA BALDISSARA, Università di Pisa, Un conflitto nuovo. L’impatto della guerra sulla popolazione.
Andrea Ventura, Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea (per la provincia di Lucca), introduce i lavori sottolineando lo stretto nesso tra Risorgimento, Resistenza e Repubblica, ossatura della nostra Costituzione repubblicana.
Luca Baldissara è professore associato di storia contemporanea presso l’Università di Pisa, è membro dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Istituto “Antonio Gramsci” di Firenze ed ha studiato in particolare il tema della “guerra totale”.
Nel 1891 sulle pagine della rivista “Pagine di critica sociale”, diretta da Filippo Turati, appare un articolo di Friedrich Engels che parla dell’imminenza di una guerra e sembra così prevedere lo scoppio della prima guerra mondiale che, da un punto di vista socialista, si prefigura già come “guerra lunga” e non “breve”, a differenza di quanto pensavano altri. Nel 1898 Engels aveva affermato che la durata di un conflitto, dal momento in cui esplode, non è mai prevedibile e ciò, scrive il collaboratore di Marx, “mi fa orrore”. Questa è la “guerra totale” dei secoli XIX° e XX°. Già infatti dai conflitti ottocenteschi è prevedibile come le guerre dei secoli successivi avrebbero avuto esiti devastanti.
Nell’AntiDuring Engels, oltre a scagliarsi contro il positivista During, sottolinea, nella struttura della guerra, un punto di svolta nella Rivoluzione francese, che sostituisce gli eserciti di soldati professionisti con le masse popolari; la guerra diventa così una “guerra d popolo”, di cittadini, che non sono più sudditi. Le armate napoleoniche sbaragliano gli eserciti europei perché sono formate dal popolo e la guerra diventa così “guerra di popolo”; “guerra di liberazione”, “guerra totale”, in cui, come scrive Engels, “il cavallo prende la mano al cavaliere”, facendo prendere al conflitto una direzione diversa da quella inizialmente voluta dai capi. E’ questa la tesi di Von Klausewitz, che sottolinea come poche siano state, nella storia, le “guerre di popolo”: prima di Napoleone e della Rivoluzione francese, bisogna risalire ai Romani. La “guerra di popolo” è quindi una “guerra totale” o “guerra assoluta”, caratterizzata da una violenza inaudita: non ha quindi questa guerra, nella sua definizione, una valenza “quantitativa”, ma “qualitativa”. Von Klausewitz afferma che la guerra è una conseguenza della politica: la politica rappresenta l’idea, la guerra la sua attuazione pratica e la guerra di popolo è una sorta di “crociata sociale”.
Nel 1814-15, l’età della Restaurazione, inaugurata dal Congresso di Vienna, sembra porre fine a quest’idea di “guerra popolare” per far rivivere la guerra dei monarchi settecenteschi; la guerra di Crimea, ad esempio, sembra rappresentare questo ritorno alle guerre settecentesche, ma è anche la prima guerra in cui si discute della drammatica situazione dei soldati al fronte, così come le battaglie di Solferino e San Martino, nella II guerra d’indipendenza offrono l’occasione per aprire un dibattito polemico sulle condizioni dei feriti, lasciati morire sul campo di battaglia, nel 1859; tale polemica porterà alla nascita della Croce Rossa nel 1864, stesso anno dell’apertura della I Internazionale a Londra.
La guerra civile americana (1861-65) è il conflitto in cui compare, per la prima volta, la mitragliatrice, e le guerre del secondo Ottocento sono inoltre caratterizzate dallo sviluppo tecnologico apportato dal Positivismo ed applicato alla balistica.
Dopo la guerra franco-prussiana del 1870 ci si interroga sulla necessità di istituire un tribunale per i diritti umani dei soldati: questa iniziative umanitarie procedono parallelamente al crescente clima di violenza. Proprio nel conflitto franco-prussiano si scatena la violenza sui civili e le donne francesi da parte dei tedeschi: in questo contesto nasce il termine “franco tiratore”, usato per la prima volta dal generale Von Moltke per definire i disertori tedeschi.
La “Grande Guerra” è in parte ancora un conflitto ottocentesco, combattuto a cavallo ed in bicicletta, e le stesse divise dei francesi sono le medesime usate nei conflitti del secolo precedente; è stata infatti definita anche come “l’ultima guerra ottocentesca e la prima guerra del Novecento”, perché è anche una guerra combattuta con strumenti moderni (carri armati, mitragliatrici, fucili a getto rapido, bombe a gas) e con una violenza inaudita, che vede un’immane mobilitazione di uomini, compresi gli intellettuali. E’ una “guerra integrale”, una “guerra della nazione”, dei civili, non solo dei militari.
La seconda guerra mondiale sarà poi, fondamentalmente, una guerra contro i civili, che sono le vittime principali (nella prima guerra lo erano i soldati): in questo senso è una “guerra terroristica”, come affermò il generale Giulio Douhet, che per le sue teorie sulla guerra totale come propedeutica al terrorismo soffrirà anche il carcere (sarà infatti nominato generale alla fine della prima guerra mondiale). Si definisce “guerra totale” anche perché coinvolge ogni settore della società, dalla politica, all’esercito, all’economia. L’Italia, per il relatore, non entra nella seconda guerra mondiale nel 1940, è già entrata in guerra nel 1936, con guerra d’Africa e la sua partecipazione alla guerra civile spagnola (1936-39), quindi il II° conflitto mondiale per l’Italia non è altro che la prosecuzione di una guerra in corso. Nella II guerra mondiale si assiste ad un’ “internazionale nera” che appoggia la conquista nazista dell’Europa, che non è il mero collaborazionismo, scarsamente considerato anche dagli stessi nazisti, ma è costituito dalla società civile moderata, dal silenzio e dall’omertà delle popolazioni, e questo è particolarmente presente in Danimarca ed in Francia, proprio nella Francia, nota per la sua notevole organizzazione antifascista. Si pensi semplicemente che nelle SS si arruolano, nel corso della guerra, giovani danesi, olandesi, francesi, anche sovietici, e non solo tedeschi.
Le atrocità naziste commesse tra il 1939 ed il 1945 hanno alle spalle la cultura del colonialismo, in cui gli abitanti delle colonie venivano considerati “non-umani”, così come i nazisti considerano gli Ebrei e gli slavi, con i quali è quindi legittimo usare metodi altrettanto “non-umani”.
La II guerra mondiale è una guerra coloniale: l’idea iniziale delle SS di deportare gli Ebrei in Crimea o in Madagascar risponde proprio a questa tesi di “guerra coloniale”. I conflitti novecenteschi successivi alla II guerra mondiale ereditano proprio questo paradigma di guerra coloniale ed all’apertura del processo di Norimberga, nel 1945, si sostiene di porre sul banco degli imputati, come primo accusato, proprio “la guerra”.
Le idee nazionalistiche, infine, che si diffondono nel primo ‘900 sono un altro tratto caratteristico che fa da “collant” nel descrivere “l’altro”, lo straniero, il diverso (anche se trattasi di un civile inerme, vecchio, donna o bambino) come “nemico”, oltre che come “non-umano”.
2) APPROFONDIMENTO SUI BOMBARDAMENTI NELLA II GUERRA MONDIALE.
I bombardamenti sono utilizzati come “guerra aerea definitiva” per annientare il nemico e questo è messo in pratica soprattutto in Italia, nella guerra di Libia (1911). Douhet giustifica, molto machiavellicamente”, proprio in suo articolo del 1913, qualsiasi strumento di terrore, se utile alla vittoria. Si distinguono 3 tipi di bombe: esplosive, incendiarie, velenose (nella II guerra mondiale saranno quelle al fosforo).
Mussolini dà applicazione pratica alle teorie di Douhet: circa 9/10 del patrimonio nazionale viene utilizzato da Mussolini nei bombardamenti; stessa logica seguono la R.A.F. e la Luftwaffe, anche se la prima ha un intento difensivo e la seconda offensivo. L’Italia entra nella II guerra mondiale completamente impreparata, anche per quanto riguarda l’aviazione, nonostante le ingenti spese: entra nel conflitto il 10 giugno 1940 e l’11 giugno subisce già i primi bombardamenti, viene infatti bombardata Torino, uno delle città del triangolo industriale (anche se la Fiat non sarà colpita per errori nei bombardamenti, che colpiranno invece un mercato coperto). L’Italia subisce bombardamenti nel 1941-42, anche se quelli più forti sono quelli verificatisi durante la guerra d’Inghilterra, quando la Luftwaffe bombarda Londra. Terminata la battaglia d’Inghilterra, l’Italia diventa oggetto dei bombardamenti inglesi: siamo nel 1941-42. Altro terribile bombardamento è stato quello subito dagli americani il 7 dicembre 1941, ad opera dei giapponesi, nella base navale di Pearl-Harbour (sarà proprio questo il motivo determinante per l’ingresso americano in guerra). Colonia, ma soprattutto Dresda, che viene rasa al suolo, rappresentano esempi di bombardamento totale; nel luglio 1943, ad Amburgo, vi sono 40.000 morti, a Dresda 200.000, e moltissimi sono gli sfollati. Il generale inglese Harris è l’autore di questi bombardamenti e vorrebbe colpire anche Roma. Palermo e Messina subiscono bombardamenti nel 1942, come anche La Spezia, e l’8 maggio 1943 viene bombardata l’isola di Pantelleria: è quest’ultimo un bombardamento particolarmente importante perché “apre le porte” allo sbarco americano in Sicilia nel luglio dello stesso anno. Il 31 agosto 1943 viene bombardata Pisa, che sarà bombardata 54 volte, mentre il 6 gennaio 1944 (è il cosiddetto “bombardamento della befana”) viene bombardata Lucca, nei quartieri della stazione e di San Concordio. Nel novembre 1943 e nel marzo 1944 vengono pesantemente bombardate Viareggio (la stazione e la darsena, importante obiettivo per la cantieristica navale ) e la Versilia; tra le voci femminili della Resistenza locale si ricordi Vera Vassalle, una partigiana viareggina.

3) 26 marzo ore 15,00 – 16.30 – COLLABORAZIONISMI – VALERIA GALIMI, Università di Firenze, Collaborazionismi. Il caso francese.
Ricercatrice a tempo indeterminato presso l’Università di Firenze, Valeria Galimi ha conseguito il dottorato di ricerca alla Scuola Sant’Anna di Pisa ed è stata allieva di Enzo Collotti, occupandosi particolarmente di collaborazionismi.
Il regime di Vichy assoggetta la Francia ai nazisti, anche se indirettamente, ed è qui che il collaborazionismo francese conosce il suo vertice, più che a Parigi e nella Francia direttamente occupata, come afferma Marc Bloch nei suo studi pubblicati presso la Scuola storica marxista degli “Annales”, di cui è stato insigne rappresentante.
Philippe Petain è un vecchio generale della prima guerra mondiale ed è stato il presidente della Repubblica di Vichy: Vichy è la capitale del nuovo Stato creatosi nel 1940 all’interno della Francia, destinato a durare fino al 1944 e comprendente la Francia meridionale. Petain avvia prima una rivoluzione interna, sopprimendo le libertà fondamentali, reprimendo gli oppositori e discriminando gli Ebrei: le prime mosse di Petain sono quindi in politica interna. La “Repubblica di Vichy”, in realtà, rifiuta il modello repubblicano e si chiama “Etat” de Vichy, “Stato” di Vichy, nel quale verrà addirittura celebrato un processo contro la III Repubblica. Lo Stato di Vichy si presenta come una “rivoluzione nazionale”, teso ad espellere gli stranieri ed a controllare la popolazione, come afferma Collotti nel suo saggio Fascismo, fascismi, in cui traccia una panoramica dei fascismi europei di quegli anni. Lo Stato di Vichy è quindi un regime fascista, come sostiene Bloch (La strana disfatta) e come si vede nel libro di Irene Nemirowsky Suite francaise, e dal film omonimo. Il nuovo Stato francese, non più repubblicano, ma nemmeno monarchico, è uno Stato antiparlamentare, antisemita, conservatore e fascista, teso a collaborare con la Germania nazista, come ci testimonia il filosofo esistenzialista e marxista Jean-Paul Sartre in un suo articolo del 1943. Gli abitanti della Francia di Vichy si trovano quotidianamente a collaborare con i nazisti, anche con lo scopo di alleggerire il “pugno di ferro” dei tedeschi, come scrive lo storico ginevrino Burrin (La France a l’heure allemande).
Il termine “collaborazionismo” è stato coniato nel 1940 dallo storico estremista di destra Marcel Deat; vi furono, in realtà, un collaborazionismo di Stato, dei politici, dei burocrati, ed un collaborazionismo dei civili, tra i quali anche molti intellettuali, come emerge dal film di Francois Truffaut, “L’ultimo metro”; tra questi, Céline e Moràt, fondatore dell’Action Francaise, Drien de la Rochelle e molti opportunisti in cerca di potere. Ma Hitler non premia i singoli collaborazionisti e preferisce il collaborazionismo della società civile moderata, come afferma anche il ministro della cultura Goebbels nel suo diario.
La Francia è uno di quei Paesi che ha maggiormente sofferto, sul piano alimentare, le depredazioni tedesche e De Gaulle, in questo quadro, anche se uomo della destra francese, rappresenta la voce più emblematica della resistenza esterna.
Lo storico Robert Paxten nel suo saggio Old Guard and New Order (1972, tradotto in francese nel 1973) sottolinea le responsabilità proprie della Francia di Vichy indipendentemente dai tedeschi, anche per quanto riguarda l’emanazione degli statuti anti-ebraici. La polizia francese è personalmente responsabile della deportazione degli Ebrei e nella costruzione di campi di transito, come nel caso del Velodromo d’inverno nel luglio 1942 (cfr. R. Paxten – M. Marrus, Vichy e gli Ebrei). La Francia di Petain è quindi assimilabile a quella nazista e non vale per la Francia, come per l’Italia di Salò, la distinzione tra un Regno del Sud e la R.S.I. Uno storico ebreo di origini berbere ha sostenuto una posizione di destra, sulla linea di Deat, affermando che la Francia di Petain ha sacrificato gli Ebrei stranieri per salvare quelli francesi, ed è questa la tesi che sarà poi sposata da Le Pen e da sua figlia Marin (cfr. Henry Rousso, La Francia di Vichy, Il Mulino, Bologna).

4) 26 marzo ore 16,30 – 18.00 – RESISTENZE – ROBERTA MIRA, Università di Bologna, Tra aspirazioni di governo e precarietà del conflitto: la RSI e la strategia dell’ultimo fascismo.
Roberta Mira è ricercatrice di storia contemporanea, ha collaborato con varie università italiane ed anche alla stesura dell’Atlante delle stragi nazifasciste durante la Resistenza.
Enzo Collotti, all’inizio degli anni ‘90 ha definito il “collaborazionismo” come un fenomeno comune a vari Paesi europei e non come una peculiarità italiana. I tedeschi, nei territori occupati, necessitano dell’appoggio, oltre che della politica, anche di una parte della popolazione. Il collaborazionismo implica la vicinanza ideologica al regime occupante, mentre la collaborazione è un fiancheggiamento della popolazione al regime, teso a salvaguardare i bisogni minimi della popolazione occupata. Il collaborazionismo non fu un fenomeno di poche spie, ma di massa, che ha coinvolto buona parte della popolazione, con silenzio ed omertà.
De Felice sostiene che Mussolini, nella R.S.I., è una persona “stanca”, che tende, con il suo appoggio, ad evitare il peggio alla popolazione: è questa una tesi, per la relatrice, molto edulcorata. Nel 1991 Claudio Pavone pubblica Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, in cui si sfata questo mito defeliciano: la Repubblica Sociale, per Pavone, a differenza di De Felice, non fu “uno Stato fantoccio”.
Già nel 1936, con l’Asse Roma-Berlino c’è una vicinanza ideologica tra Mussolini ed Hitler e, in quest’alleanza, l’Italia non ha un ruolo secondario. Il 12 settembre 1943 Mussolini viene liberato da Campo Imperatore e portato in Germania: il 27 settembre 1943 si tiene la prima seduta del governo repubblicano a Rocca delle Caminate, presso Forlì, vicino a Predappio, paese natale di Mussolini (il governo si già formato il 23 settembre 1943), ed il 14 novembre 1943 si apre il Congresso del Partito Fascista Repubblicano (P.F.R.). Subito dopo la sede del governo si trasferisce a Salò, sul lago di Garda, in una bellissima posizione panoramica. Pavolini, ex squadrista, persona molto violenta, guida il P.F.R. con il “Manifesto di Verona”. Hitler insiste per la creazione della Repubblica Sociale Italiana e Mussolini accetta convintamente, tuttavia l’aspetto “sociale” del nuovo Stato, con l’attenzione verso i problemi del lavoro, viene solo annunciata, ma non attuata, per opposizione di Hitler ed anche per volontà dello stesso P.F.R., nel quale possiamo distinguere varie anime: 1)lo squadrismo; 2)il nazionalismo combattentistico; 3)i sindacalisti ed i 4)sindacalisti socializzatori, che vorrebbero un rinnovamento in senso morale e sociale del partito, con l’epurazione dei corrotti e l’introduzione della meritocrazia all’interno del partito. Questi due elementi, promossi dall’ala sindacalista socializzatrice, sono dominanti fino al gennaio 1944, ma da questo momento in poi Mussolini chiude ogni dialettica interna. La R.S.I., anche sul piano militare, non combatterà mai contro le truppe anglo-francesi, perché non ha un esercito efficiente, contro le quali combatteranno invece i nazisti; Mussolini persegue anche l’obiettivo di “conquistare” una certa indipendenza da Hitler, ma non riuscirà a realizzarlo e gli stessi Ebrei, che durante il precedente regime, con la monarchia, erano discriminati ed emarginati, ma tollerati, adesso vengono deportati, per ordine dei tedeschi, nei campi di sterminio. Non è facile, per Mussolini, reperire ministri e podestà, perché questi devono essere graditi ai tedeschi; nonostante il carattere apparentemente repubblicano del nuovo Stato, nel governo compaiono i nomi di diversi nobili, come Bufalini Guidi, generali dell’esercito ed esponenti dell’alta borghesia. Il consenso della popolazione verso il “Duce” è ora piuttosto basso e Mussolini, alla fine dell’esperienza di Salò, accarezza sempre di più l’idea della “bella morte”, con “la faccia al sole”, idea che gli era sempre piaciuta. I fascisti, anche a livello locale, devono tener conto della volontà dei nazisti, come si vede dalla nomina dei vari prefetti, questori e podestà, i cui atteggiamenti comunque variano da una realtà ad un’altra, come ci illustra Marco Palla nei suoi studi sulla repubblica sociale. Gli interessi e le necessità dei tedeschi prevalgono su quelli degli italiani: il grano, il combustibile, gli stessi utensili domestici dei quali gli italiani sono costantemente depredati, sono destinati prima ai tedeschi, anche alle famiglie tedesche in Germania. Toscana ed Emilia-Romagna sono le due regioni in cui la violenza fascista raggiunge il suo apice, e, in questo caso, si tratta purtroppo anche di un fascismo “tutto italiano” ed autonomo dal nazismo, come dimostrato dai massacri operati dalle “Brigate Nere”, dalle SS italiane e dalla “Decima Mas”: i sette fratelli Cervi, ad esempio, furono uccisi solo dai fascisti. Più che il demagogico programma socialista, si può affermare che la R.S.I., del fascismo delle origini, mantiene la violenza. Ai fascisti della R.S.I. si oppongono, oltre ai partigiani, anche preti, industriali, giovani che non rispondono alla chiamata alla leva obbligatoria, ed il fascismo dichiara così guerra ai propri italiani, è proprio questa la “guerra civile” di cui parla il celeberrimo saggio di Pavone; i fascisti non combattono direttamente contro gli anglo-francesi, ma contro gli stessi italiani. Per il fascismo, l’Italia non fascista non è Italia. La Resistenza fu quindi una guerra civile ed una guerra totale ed il fascismo fu quindi un regime totalitarismo , come afferma Emilio Gentile, e non un autoritario, come sostennero De Felice e gli storici “revisionisti”. Gravi furono, per la genesi della R.S.I., inoltre, le responsabilità di Vittorio Emanuele III, che si era rifiutato di proclamare lo Stato d’assedio nell’ottobre del ‘22, e che invece lo aveva proclamato nel luglio del ‘43, dopo la caduta di Mussolini, per fermare quanti avrebbero voluto imbracciare le armi contro i fascisti.

5) 28 marzo ore 15.00 – 18.00 – GIANLUCA FULVETTI Università di Pisa, Atlante delle stragi nazifasciste in Italia.
Gianluca Fulvetti è professore associato di storia dell’Italia contemporanea presso l’Università di Pisa, è socio dell’ ”Istituto Storico della Resistenza” ed ha collaborato all’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943-45).
Oltre 70.000 civili muoiono sotto le bombe degli Alleati, in Italia, mentre sono numerosissime le deportazioni politiche ed al lavoro coatto. Scopo di Göring è mettere le popolazioni italiane “in sicurezza”.
Il tema delle stragi nazifasciste è un filone fondamentale della storia della Resistenza e della Repubblica Sociale. Studiare le stragi significa mettere in primo piano le vittime, quelle che hanno subito la guerra.
Il movimento neo-borbonico, con attuale sede a Napoli, negli ultimi 7 anni ha paragonato le stragi naziste a quelle operate dai piemontesi durante il Risorgimento, in cui i meridionali sarebbero state le vittime.
Oggi si è riscoperta la memoria delle stragi e si sono riaperti dei processi, che erano stati insabbiati dopo la II guerra mondiale: fu una scelta politica, coprire i criminali nazisti per non cedere i criminali italiani alla Jugoslavia o alla Grecia, come sottolineano Paolo Pezzino, Italo Calvino, il partigiano e storico Battaglia, Calamandrei e Battaglia. Quest’ultimo ha studiato in particolare le stragi di civili nell’estate del ‘44 e parla infatti delle 4 giornate di Napoli e dell’eccidio dei fratelli Cervi, citando gli ordini del feldmaresciallo Kässerling del giugno 1944.
La Resistenza fu anche un “microcosmo” di democrazia diretta, come è stato attestato dalla storiografia degli anni ‘90.
Walter Räder, responsabile della strage di Montesole, fu graziato da Craxi. Claudio Pavone, partigiano e storico, nato nel 1920 e professore associato di storia contemporanea all’Università di Pisa, recentemente scomparso, si è formato negli archivi romani del dopoguerra, ci ha parlato delle rappresaglie tedesche sui civili inermi, ma con la definizione della Resistenza come di una “guerra sociale, patriottica, ma soprattutto civile”, ha cambiato, nel 1991, con il suo saggio, il più noto in materia, la prospettiva storiografica sulla Resistenza.
Paolo Pezzino e Michele Battini, nel loro studio Guerre civili (ed. Pezzini), studiano il processo a Kässerling, le stragi Civitella Val di Chiana, nell’aretino, di Guardistallo e di San Terenzo, in Liguria; all’inizio di questo libro si parla anche del tema di un’eventuale responsabilità dei partigiani nelle stragi naziste ed i familiari delle vittime contattarono infatti personalmente Pezzino. Nella metà degli anni ‘90 si trovavano ancora molti sopravvissuti e testimoni oculari delle stragi, elemento che oggi, purtroppo, è scomparso. In Veneto, tra il 1944 ed il 1945 vi sono molte stragi e molti attacchi dei partigiani alle colonie dei tedeschi in fuga. La strage di Sant’Anna di Stazzema è del 12 agosto 1944, ma vi furono stragi naziste anche al Sud, fin dal 1943, ove vennero depredate, anche di animali, le popolazioni contadine. I C.L.N. cominciarono a raccogliere fonti sulle stragi e gli archivi comunali e parrocchiali costituiscono un vero patrimonio, in proposito, patrimonio che ha consentito di ricostruire anche i profili dei carnefici: si costruì un vero e proprio “armadio della vergogna”. Attualmente sono censite 24272 vittime in 5802 stragi, come emerge dall’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia. La Germania si è sempre rifiutata di dare risarcimenti ai parenti delle vittime. In provincia di Pisa sono censite 365 vittime in altre 53 stragi. Le stragi naziste sono state paragonate, per l’entità della violenza, alle pulizie etniche nella ex Jugoslavia negli anni ‘90 ed ai conflitti tribali tra Hutu e Tutsi. Spesso i tedeschi sceglievano la tecnica di esporre i cadaveri, come esempio, e spesso le vittime erano anche donne e vecchi, per servire come monito ai più giovani. Nell’Atlante le stragi sono divise tra quelle naziste, fasciste e nazi-fasciste, e le vittime sono distinte per le professioni che svolgevano. Nelle guerre balcaniche dei primi anni ‘90, a differenza delle stragi naziste, si scelse la via dell’occultamento dei cadaveri, in modo da rendere irriconoscibili le vittime. Enzo Collotti e Paolo Pezzino hanno studiato in particolare le comparazioni tra le varie stragi e Sergio Luzzatto ha scritto un libro intitolato La crisi dell’antifascismo, ravvisabile con l’avvento della cosiddetta “seconda repubblica” ed il primo governo Berlusconi nel 1994. Giampaolo Pansa ha scritto Il sangue dei vinti: è un’interpretazione revisionista della Resistenza, sia pure redatta da un giornalista, e non da uno storico, sottolinea il relatore. Il 6 e 9 agosto 1945, rispettivamente su Hiroshima e Nagasaki, gli Stati Uniti praticarono la guerra civile contro la popolazione giapponese con lo sganciamento delle 2 bombe atomiche.

6) APPROFONDIMENTO SULLE FONTI WEB SULLA RESISTENZA.
L’attuale biblioteca di Alessandria d’Egitto rappresenta un patrimonio immenso di risorse: fonti primarie, letteratura secondaria e materiale multimediale (DVD e filmati di repertorio reperibili su Youtube, Google e Wikipedia). Le Ultime lettere di condannati a morte della Resistenza italiana costituiscono un patrimonio, anche umano, oltre che storico, d’inestimabile valore, come le raccolte dell’Istituto Nazionale “Ferruccio Parri”. Su internet si trova anche la versione manoscritta de “L’ adunata dei refrattari”, una rivista anarchica, e de “L’avvenire dei lavoratori”, una rivista della II Internazionale (1889-1914), sulla quale vi sono anche articoli del giovane Mussolini: sono entrambe delle riviste oggi digitalizzate. www.novecento.org è un importante sito per la didattica della storia novecentesca in rete. “Italia contemporanea” è una rivista a fascicoli, edita da Franco Angeli, consultabile online, ma a pagamento, mentre il DOI è il codice identificativo di ogni articolo, come l’ ISBN per i libri. “Memoria e ricerca” è un’altra rivista di storia contemporanea sulla Resistenza e “Toscana Novecento” è un portale di storia contemporanea. I siti degli “Istituti Storici della Resistenza e dell’età contemporanea” sono molto utili per ricostruire, soprattutto, microstorie locali. Sono questi tutti strumenti importanti per la necessaria mediazione tra ricerca storica, didattica e divulgazione.

Guerra totale, collaborazionismi, resistenzeultima modifica: 2019-04-01T16:22:10+02:00da m_200
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