SPIRITO E TEMPO IN HEGEL

ISTITUTO  ITALIANO  PER  GLI  STUDI  FILOSOFICI

Palazzo Serra di Cassano, via Monte di Dio, 14, 80132, Napoli, Anno Accademico 2002/03.

Seminario di Filosofia. Relatore: PROF. PAOLO VINCI (Università “La Sapienza”, Roma). Giornate di studio: lun. 28, mar. 29, mer.30, gio. 31 ottobre 2002  (4 giornate). Tema del Seminario:

 

SPIRITO E TEMPO IN HEGEL

                                                   1. Il compito della Fenomenologia dello Spirito.

2. Il  “riconoscimento“  fra le autocoscienze.

3. Il “Sapere Assoluto”.

4. Storicità e temporalità.

Fondamentale bibliografia relativa al Corso:

                                          A) Fonte primaria di riferimento;    B) Letteratura critica.

(Atti del Convegno a cura del Dott. Marco Martini).

1. Il compito della Fenomenologia dello Spirito  (lun.28/10/2002  h- 16,00-18,00).

Cfr. P. Vinci, Coscienza infelice e anima bella (è un commentario alle figure della “coscienza infelice” e dell’  “anima bella”, in senso più generale all’intera Fenomenologia dello Spirito, con particolare riferimento alla categoria di “riconoscimento”).

La Fenomenologia dello Spirito (Jena, 1807) aveva originariamente un altro titolo, più suggestivo, che è rimasto come sottotitolo: Scienza dell’esperienza della coscienza. Occorre innanzitutto contestualizzare l’opera sui piani storico e letterario-filosofico. Hegel scrive l’opera durante la Rivoluzione francese, della quale è originariamente entusiasta, per poi distaccarsene. Rimane inorridito dal Terrore, ma considera Napoleone il vero erede della Rivoluzione (dichiarerà, infatti, di aver “visto lo spirito a cavallo”). Sul piano storico, l’opera si colloca quindi negli anni immediatamente successivi alla Grande Rivoluzione. Risulta estremamente ricco anche il contesto letterario, influenzato dai fratelli Schlegel e da Holderlin, del quale Hegel conserva l’amicizia fin dagli anni del seminario di Tubinga. Vinci nega, a differenza di altri interpreti, quali Maria Moneti, una successione cronologica tra gli idealisti Fichte, Schelling, Hegel, in quanto il secondo Fichte risente delle critiche di Schelling e l’ultimo Schelling, quello successivo al 1807, delle critiche di Hegel. C’è quindi, per Vinci, in questi anni, un dibattito in corso, non una “successione”.

Con la Fenomenologia Hegel si pone un compito introduttivo alla filosofia. La filosofia, per lo Hegel dei primi anni di Jena, dev’essere una filosofia dell’Assoluto, inteso come Scienza Universale, come filosofia della totalità. Una filosofia dell’Assoluto deve autocostituirsi, l’introduzione non può quindi essere esterna, ma interna alla filosofia stessa. Per questo Hegel considera la sua opera come Un’Anticritica della Ragion Pura, perché Kant voleva invece introdurre la filosofia dall’esterno, con una critica alla Ragione da parte della ragione stessa. Scriverà, in proposito, Hegel: “La filosofia di Kant è paragonabile all’atteggiamento di colui che vuole imparare a nuotare prima di buttarsi nell’acqua”. Già nella Logica e metafisica di Jena (1804-05) Hegel distrugge le categorie kantiane di qualità, quantità, relazione e modalità come filosofia della finitezza, della separazione tra soggetto ed oggetto. La responsabilità è per Hegel dell’intelletto, che divide e classifica in categorie. Nella Fenomenologia Hegel risale dalle categorie alla loro fonte: si rende conto che non basta distruggere le categorie come forme della finitezza, ma bisogna criticare l’origine, la fonte della finitezza, che è il finito, la coscienza stessa, che compie un viaggio autocritico, che è stato paragonato a quello di Ulisse nell’Odissea: solo alla fine del viaggio la coscienza diventa Scienza. Nella Fenomenologia dello Spirito non si mette in crisi solo la coscienza come fonte di finitezza, ma tutte le esperienze della coscienza: ritroviamo la filosofia teoretica, pratica, della religione, della storia, l’antropologia, ritroviamo quindi tutta la filosofia hegeliana. Hegel affronta quindi l’insieme delle esperienze umane, non solo la genesi della Scienza. La Fenomenologia non è solo l’autodistruzione delle forme finite della coscienza, ma è anche contemporaneamente una manifestazione dell’Assoluto, che si “finitizza”, si manifesta nella storia, si concretizza nel tempo (è questo il senso del seminario “Spirito e Tempo in Hegel”), e la storicizzazione dell’Assoluto non è un fatto causale, ma ordinato nelle figure. Non esiste un “principio granitico” della Scienza, ma un “calvario” (idea che sarà ripresa da Marx nell’introduzione al Capitale, in cui afferma che “Non esiste una strada maestra per raggiungere la sommità della scienza dell’economia politica, ma bisogna percorrere aspri sentieri”, e che ribadisce il senso ed il valore del proverbio latino “per aspera ad Astra”). Storicizzandosi, l’Assoluto diventa “altro da sé”  per poi  “tornare in sé”. Alcuni critici di Hegel sostengono che il cammino dell’Assoluto corrisponde al Dio cristiano, che si storicizza in Cristo per poi tornare in sé come Spirito Santo. Questo ha aperto un dibattito: sicuramente Hegel aveva ben presente il cristianesimo luterano tedesco, ma il termine hegeliano per indicare lo Spirito, che nient’altro è se non l’Assoluto, è “Geist” e cioè “Essenza” e non “Spirit”, che è invece lo “Spirito in senso religioso”. Ma qual è il nesso tra l’Assoluto e la coscienza? L’Assoluto è unità, la coscienza è dualismo, ma la coscienza è anche l’essenza dell’Assoluto e viceversa, c’è quindi un rapporto di interdipendenza, in quanto unità e scissione non sono in opposizione perché “L’Assoluto è l’identità dell’identità e della non-identità”. Assoluto o Spirito e Coscienza, Spirito e Tempo sono quindi identificabili (per ribadire nuovamente  il significato del ciclo di lezioni “Spirito e Tempo in Hegel”). Hegel dimostra ciò che Fichte aveva solo teorizzato, enunciato: IO = IO non si può trovare nella filosofia della riflessione, ma nella circolarità.

La filosofia non è per Hegel, inoltre, il “senso comune”, il “buon senso” (contro il quale si scaglia nella Prefazione all’opera, scritta dopo l’opera proprio per dimostrare come il particolare, la prefazione in questo caso, non possa “presentare” l’universale, l’Assoluto, la Filosofia, l’opera stessa quindi, come si è già detto in precedenza), che coglie solo “punti luminosi” dell’Assoluto e che si trova nel linguaggio, non è la matematica (anche questa criticata nella Prefazione) euclidea, spinoziana e kantiana, perché è un’operazione esterna e quindi arbitraria del soggetto sull’oggetto, non è la teologia. Nella parte finale del “Sapere Assoluto” (dal cap. 14 in avanti) Hegel affronta il problema del tempo: Zeus vince Kronos, ha il sopravvento sul Tempo, sulla storia, sulla politica, ma poi Kronos avrà la sua rivincita.

2. Il “riconoscimento” fra le autocoscienze  (mar. 29/10/02  h. 16,00-18,00). 

Cfr. Harris H. S., La fenomenologia dell’autocoscienza in Hegel, Guerrini e Associati, Milano, 1995, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Collana “Hegeliana” n° 10.

La categoria di “fenomenologia” si muove sul “già”, ma anche sul “non ancora”: è già scienza, ma non ancora scienza. Il movimento della coscienza è contemporaneamente distruttivo e costruttivo e rispecchia i due punti di vista fenomenologici, quello del “per noi” (il punto di vista della scienza) e quello del “per la coscienza” (il punto di vista della coscienza). La via del dubbio e della disperazione è quindi anche un’ascesi. Il “riconoscimento” è una figura, cioè un’esperienza della coscienza. Il “ciclo teoretico” della coscienza è dato dai “Momenti” di Coscienza, Autocoscienza e ragione, il “ciclo pratico” è invece costituito dai “Momenti” dello Spirito e della Religione. Il Sapere Assoluto non è infatti un “momento”, poiché sono scomparse le “figure”. La figura del “riconoscimento” compare nel momento dell’ Autocoscienza. Nel primo momento, quello della Coscienza, la coscienza si distingue dall’immediato (il “questo” e l’ “ora”), in quello dell’Autocoscienza si riconosce ed in quello della Ragione, dopo aver indagato la natura (Ragione Osservativa), concepisce la realtà come prodotto umano, permeato di Spirito. Si passa quindi ai momenti pratici della pratici della Coscienza: lo Spirito e la Religione.

Nello Spirito Hegel parla di Antigone e dell’opposizione tra la legge della poli e della famiglia, dell’uomo e della donna. Antigone, in quanto donna, obbedisce alla legge della famiglia e, trasgredendo all’editto di Cleante, seppellisce il fratello. Lo Spirito culmina con la condanna del Terrore montagnardo e della Rivoluzione francese nella sua fase terminale: qui “lo Spirito si è reso estraneo a sé”. La Rivoluzione  giacobina, tutta teorica, vuole rovesciare il mondo sulla ragione, sul pensiero, sulla “metafisica” quindi, nonostante e paradossalmente con l’ateismo che sbandiera in nome del culto della Dea Ragione: ha quindi fatto un “lavoro filosofico” in cui il mondo è distrutto per essere posto solo sulla ragione, in cui “le teste vengono tagliate come se fossero dei cavoli”, in cui il particolare viene sacrificato per l’universale. Il cattivo rapporto tra universale (ragione) e particolare (mondo) è il punto debole della rivoluzione: il terrore. Tale Illuminismo corrisponde alla morale kantiana, in cui si assiste al dominio della ragione sui sensi, dell’universale astratto sul particolare concreto, della Legge Morale, formale, vuota, Assoluta, sulle inclinazioni sensibili dei singoli individui. In particolare Hegel critica i postulati della ragion pratica, la libertà (solo quella di obbedire alla Legge Morale), l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio, in quanto tali postulati, necessari per raggiungere rispettivamente la Santità ed il Sommo Bene, non si trovano nel corso del mondo. La libertà dell’individuo, per Hegel, non si trova nelle poli   greche, né in Kant, ma nel cristianesimo protestante, che sancisce la libera interpretazione umana delle Sacre Scritture. E’ questa la coscienza morale (Gewissen), è il punto d’incontro tra particolare ed universale, ma “non è ancora” il Sapere Assoluto, perché non riesce ad agire, l’azione gli sfugge di mano, il risultato della coscienza morale non è prevedibile, “il sasso è lanciato dalla mano dell’uomo, ma il suo volo è fatto proseguire dalla mano del diavolo”. In tale fallimento consiste la filosofia di Jacobi, a cui Hegel, implicitamente, si riferisce. Questa figura che non riesce ad agire è quella dell’anima bella: il riferimento è a Schiller, in cui il bello s’identifica con il buono, l’estetica con l’etica. Schiller, esprimendosi contro la morale kantiana, definì Kant “il Mosè tedesco” (cfr. F. Schiller, Sulla grazia e sulla dignità). Sono questi anni in cui in Germania l’arte appare come il momento più alto, con Schiller, l’idealismo estetico di Schelling, i fratelli Schlegel e la rivista “Atheneum”, Holderlin (la sua visione della Grecia anticipò quella nietzscheana, infatti Nietzsche lesse Holderlin, per il quale la Grecia non è il mito di una classicità compiuta, perfetta, ma un elemento infinito di tensione, di pato  tra gli Dei pre-olimpici, naturalisti, titanici, e quelli olimpici, antropomorfici, destinati ad entrare nella cultura ufficiale delle poli   , e tale tensione rimanda al mondo orientale): Hegel vuole smontare la certezza che l’arte sia il momento più alto dello Spirito. Hegel vuole screditare “il Genio Romantico, che tutto dissolve in nome dell’ironia” e che rischia, a causa dello scoramento, dovuto alla consapevolezza dello scarto tra l’Arte, l’Artista da una parte, e la produzione artistica dall’altra, di condurre al nichilismo. Hegel anticipa qui la morte dell’arte, intesa come soggettività chiusa in sé stessa: è questo anche il limite del linguaggio e delle comunità pietiste, chiuse in loro stesse. Nell’agire l’individuo si separa dagli altri: il riconoscimento avviene tra due autocoscienze, quella agente e quella giudicante. La coscienza che agisce è il “male radicale” (il riferimento è a La religione nei limiti della semplice ragione di Kant, in cui il male radicale era l’innata tendenza umana a trasgredire costantemente la Legge Morale). Per Hegel il male è legato alla singola azione, che porta al contrasto, alla scissione tra particolare ed universale. La coscienza giudicante si sente incarnazione del dovere, non agisce, ma si limita a guardare l’azione del male, rappresentata dalla coscienza agente, e se ne distacca, esprimendo così una nuova separazione tra particolare ed universale ed assumendo un atteggiamento così miope da dare valore al proverbio francese per cui “non c’è eroe per il suo cameriere”: la coscienza giudicante ha così assunto l’atteggiamento del cameriere. La coscienza agente si riconosce nella scissione e confessa la propria singolarità: con tale confessione s’innalza così all’universale. La coscienza agente si aspetta un reciproco atteggiamento da parte della coscienza giudicante, ma questa, certa di sé, “con cuore duro” non risponde e crede di essere solo lei nel bene. L’anima bella è questo “cuore duro”, questa mancanza di risposta, e mentre le “ferite dello spirito si rimarginano senza lasciare cicatrici”, la coscienza giudicante perdona la coscienza agente, il bene perdona il male: perdonare significa rinunciare alle pretese assolutistiche di universalità e riconoscersi uguale all’altra coscienza. Come la coscienza agente si riconosce nella confessione, la coscienza giudicante si riconosce nel perdono (si tenga presente che vi è un certo apparato bibliografico concernete il rapporto tra Hegel e la nozione di “perdono”): le due autocoscienze ora si parlano, comunicano con il linguaggio, ma non si amano, perché Hegel ha superato l’amore come categoria unificatrice fin dai tempi del periodo bernese (l’amore, negli Scritti teologici giovanili, era la categoria che superava ogni ostacolo, perché gli amanti sempre si cercano, ma rimaneva poi sconfitto dalla proprietà, eigentumlichkeit, un male radicale che ha minato anche lo spirito delle ipocrite prime comunità cristiane): la categoria di comunicazione non è quindi nell’amore, ma nell’amicizia, nella filia.

  1. 3.   Il “Sapere Assoluto” (mer. 30/10/02 h. 16,00-18,00).

Cfr. R. Dati, Alexandre Kojève interprete di Hegel, ed. “La Città del Sole”, 1998, Napoli, a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.

Nel termine “fenomenologia” sono compresi i due significati del vocabolo greco fainomai, quello della parvenza, della falsa apparenza, della coscienze dunque, e quello della reale manifestazione dello Spirito, quello del “per noi”, della Scienza quindi.

L’Autocoscienza per Hegel è infinità, che è la compresenza tra unità e distinzione. L’autocoscienza sarà stessa solo se si rispecchia in un’altra autocoscienza: in questo senso la dialettica “servo-padrone” è un esempio celebre di mancato riconoscimento, per Hegel rappresentata storicamente dal dispotismo orientale. Altra nota figura di mancato riconoscimento è la coscienza infelice, storicamente collocabile nel Medioevo cristiano  (le “figure” corrispondono infatti a momenti storici precisi, a differenza dei Momenti, che sono astrazioni logiche): la coscienza resta infelice, anche se è consapevole della propria scissione e per questo più matura di altre precedenti figure.

Il Sapere Assoluto non è un Momento, non presenta figure perché sono finite le esperienze della coscienza (“la civetta di Minerva spicca il volo solo al tramonto”, che è il tramonto della storia, e quindi delle esperienze) e si costruisce su due pilastri:

A) tutte le esperienze della coscienza, che sono Aufheoben, cioè tolte nella loro finitezza, ma conser-

vate come “gradini” positivi di crescita, quindi “tolte come conservate”;

B) la religione cristiana luterana, definita da Hegel “l’anticamenra dell’Assoluto”.

Nel capitolo sulla Religione, Hegel fa una carrellata di storia delle religioni, da quelle naturali, artistiche (per Hegel religione ed arte sono strettamente connesse), fino al cristianesimo, la religione rivelata (Offenbar). Nella Religione c’è già l’Assoluto, ma è espresso nella forma inadeguata della rappresentazione: l’Assoluto si deve invece esprimere nella forma adeguata del concetto.

Nel capitolo sul Sapere Assoluto Hegel riparte dalla certezza sensibile, dalle prime figure finite della coscienza, per dimostrare come tutte le esperienze hanno “conservato” un aspetto scientifico: la Scienza c’era già, in ogni esperienza, ma la coscienza non se ne accorgeva.

  1. 4.   Storicità e temporalità (gio. 31/10/02 h. 16,00-18,00).

“Il Sapere Assoluto è lo Spirito che si autoriconosce come Spirito”: questa è la definizione hegeliana (cap. 11), l’Assoluto è quindi Spirito nel senso di movimento, come afferma Chiereghin in Dialettica dell’Assoluto e ontologia della soggettività in Hegel. Dall’ideale giovanile alla Fenomenologia dello Spirito, Pubblicazioni di Verifiche n° 6, Trento, 1980.

All’inizio del cap. 13 Hegel introduce il problema del tempo: La Scienza appare alla fine di un percorso che è anche storia, oltre che sistematicità; il Sapere Assoluto appare solo alla fine di questo “lavoro” (“lavoro” è un termine assai ricorrente nella Fenomenologia dello Spirito).

Il tempo “è ciò che è là”, attiene quindi all’esteriorità: lo Spirito si manifesta, appare necessariamente nel tempo. Per Heidegger, Hegel è un filosofo che elimina il tempo in nome dello Spirito: questo afferma Heidegger nelle sue lezioni del 1930-31 e questa è la tesi anche di Chiereghin, che legge Hegel ’con gli occhi’ di Heidegger. Per Heidegger, Hegel è anche il filosofo che raccoglie tutta la tradizione metafisica dai Greci in avanti. Per Hegel il tempo è la dimensione esteriore in cui si esprime lo Spirito. Il tempo sempre scorre, come dicevano Eraclito ed Agostino, ma la dimensione del tempo è nella permanenza, è quindi una dimensione esterna. L’Assoluto si riduce alla finitezza ed entra nel tempo, lo Spirito si scinde in varie figure, nelle esperienze della coscienza: lo Spirito ha quindi bisogno del Tempo, contrariamente a quanto sosteneva Heidegger. Heidegger, interpretando la filosofia hegeliana come cancellazione del tempo, pone la superiorità di Kant su Hegel, per la rivalutazione che Kant offre del tempo con lo “schematismo trascendentale” (cfr. I. Kant, “Analitica trascendentale”, in Critica della ragion pura, p. II/1).

Hegel riprende il problema del tempo all’inizio della “Filosofia della Natura”, in particolar modo nelle note della prima parte dell’Enciclopedia delle Scienze filosofiche in compendio: Hegel tratta qui il tempo partendo dallo spazio, con lo scopo di unificarli (Kant li aveva separati). Il tempo è “l’ora”, l’identità aristotelica di essere e non-essere, mentre si dà, si toglie, “ora, non ancora”, come affermava Aristotele; la noia è per Hegel “tempo vuoto, non riempito cioè da punti-ora”. Qui Hegel è vicino ad Heidegger, anche se lontano da Agostino, per il quale il tempo era “distensio animae”. Hegel affronta questo problema anche nella prima parte della Scienza della Logica, la “Logica dell’Essere”. Il determinato, il finito, l’esistente sono soggetti alla legge del tempo: il determinato è per Hegel il negativo (Hegel riprende qui Spinoza). Tale negazione, tale determinato, è la contraddizione, che è il nesso tra finito ed infinito, perché l’essenza della vera realtà, della vera filosofia, è la contraddizione.

Lo Spirito piega il Tempo, è potenza sul Tempo, il Pensiero è superiore alla negatività del tempo, è quindi una forma superiore di negatività, è “una forma infinita di dolore”. In questa assolutizzazione di finito, il pensiero diventa positivo, in quanto “è una doppia negazione, è negazione di negazione”, in quanto “è becchino e levatrice”. Il concetto di tempo, a differenza del tempo, è sovratemporale (Hegel riprende qui Spinoza, che affermava che “il concetto di cane non abbaia”). L’Assoluto è quindi anche Tempo, anche negatività.

 

Fondamentale bibliografia relativa al Corso.

 

A) Fonte primaria di riferimento:

 

  • Hegel G. W. F., Fenomenologia dello Spirito, a cura di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze, 1979, 2 voll.

 

 

 

 

B) Letteratura critica:

 

  • Chiereghin F., Dialettica dell’Assoluto e ontologia della soggettività in Hegel. Dall’ideale giovanile alla Fenomenologia dello Spirito, Pubblicazioni di Verifiche n° 6, Trento, 1980;
  • Dati R., Alexandre Kojève interprete di Hegel, ed. “La Città del Sole”, 1998, Napoli, a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici;
  • Harris H. S., La fenomenologia dell’autocoscienza in Hegel, Guerrini e Associati, Milano, 1995, a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Collana “Hegeliana” n° 10;
  • Vinci P., Coscienza infelice e anima bella.

 

SPIRITO E TEMPO IN HEGELultima modifica: 2015-05-11T12:33:27+02:00da m_200
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