I rapporti tra clero e laici nella storia dell’ecclesiologia e della Chiesa.

Scuola Fondamentale di Formazione Teologica – Sede di Viareggio (Lucca).

A. A. 2010/11.

Seminario di “Teologia del Laicato”.

Prof. ssa Elisabetta Urbano.

Relazione seminariale degli studenti Marco Martini e Patrizia Pulciani.

Viareggio, 07/04/2011.

 

I rapporti tra clero e  laici nella storia dell’ecclesiologia e della Chiesa.

 

 

 

1. Introduzione: le origini dell’ecclesiologia. L’ecclesiologia antica.

Scopo del nostro lavoro è operare una disamina delle relazioni tra clero e laici nella storia, disamina che talvolta presenta segni di continuità, talaltra di rottura. A questo fine ci è parso fondamentale considerare la storia dell’ecclesiologia e la storia della Chiesa come due momenti imprescindibili di questa ricerca.

E’ innanzitutto doveroso chiarire cosa si intende per ‘ecclesiologia’: l’ecclesiologia studia le varie manifestazioni che la Chiesa, nel corso della storia del Nuovo Testamento, ha manifestato di sé, è quindi una sorta di autocoscienza da parte della Chiesa stessa, che tuttavia non coincide con la storia della Chiesa.

Già il termine classico “ecclesiologia” rimanda ad un’immagine del Concilio Vaticano II°, quello della Chiesa come “mensa”, “assemblea” appunto, come nel significato greco. La Chiesa si presenta quindi come un’esperienza comunitaria di popolo e non più come una “piramide”, a differenza del Concilio Vaticano I°.

L’etimologia anglosassone si ritrova nell’inglese “Church” e nel tedesco “Kirke”: entrambi i termini derivano dal greco “Kiriakè”, “Kirios”, cioè “Signore”: Dianich, uno dei più noti ecclesiologi italiani, ha affermato che scegliere la signoria di Cristo, come libera scelta di obbedienza a Dio, significa contemporaneamente rifiutare qualsiasi altra forma di signoria.

Nella Chiesa primitiva si parla già di ecclesiologia, le cui fonti sono riscontrabili nel Vangelo di Matteo, nell’ Epistolario paolino e negli Atti degli apostoli. Il Vangelo di Matteo afferma una linea di continuità tra cristiani ed ebrei[1], che è invece smentita da S. Paolo, che presenta il cristianesimo come un’esperienza del tutto nuova ed originale rispetto all’ebraismo. Negli  Atti degli apostoli, noti anche come un’appendice del Vangelo di Luca, sono invece presenti elementi che definiscono già il ruolo dei cristiani, anche di oggi, e quindi possiamo affermare, a nostro avviso, anche la ‘modernità’ di questo testo: in particolare, si parla di atteggiamenti che caratterizzano la vita cristiana, quali la Koinonia (cioè la condivisone, la comunione dei beni, caratteristica della Chiesa primitiva, ma anche della vita cristiana di oggi[2]), la Diakonia (che è lo spirito di servizio, quindi la disponibilità a svolgere vari compiti, sia come religiosi che come laici, ed è rivolta a tutta la comunità[3]), la Martyrìa (consistente nella disponibilità a “testimoniare” la fede senza condizioni, senza considerare i rischi, anche vitali, che la testimonianza comporta[4]), la didachè (l’ascolto della parola e dell’insegnamento autorevole degli apostoli[5]), la proseochè (la preghiera comune), lo

spezzamento del pane” (l’eucarestia, per riconoscere il Signore sacramentalmente, in quanto i sacramenti sono “segni tangibili della grazia di Dio”[6]).

Nel Medioevo si afferma prima l’ecclesiologia patristica, con i “Padri della Chiesa”[7], tra il I° ed il V° secolo d. C.: questo tipo di ecclesiologia è, nel suo complesso, un’ecclesiologia simbolica o figurata, cioè allegorica, in quanto tende a rappresentare la Chiesa con immagini tratte dall’ Antico Testamento (la Chiesa come giardino, Eden, appunto, irrigata da una sorgente che divisa in 4 corsi, rappresentanti i 4 Vangeli, la Chiesa come “Nuova Raab”, la pubblica peccatrice di Gerico[8] , una prostituta che viene salvata perché accetta gli inviati di Giosuè, come anche la Chiesa viene salvata per aver accolto l’inviato del Padre, cioè Cristo), dalle opere letterarie (dal XII° Canto dell’Odissea, ad esempio, dal quale testo si evince l’immagine della Chiesa come “nave”, l’acqua buona, dolce, è quella che è a bordo della nave, ed è l’acqua del battesimo, che salva, mentre l’acqua cattiva, salata, è nel mare, fuori dalla nave, il cui albero è la croce, mentre la fune che lega le vele è l’amore di Cristo, appunto l’agape a cui si è accennato prima), dalla natura (la Chiesa è rappresentata come luna, che gode di luce riflessa, riceve la luce da Cristo e tramite questa luce agisce sul mondo).

Ai Padri della Chiesa seguono, sempre nel Medioevo, i Dottori della Chiesa, coloro che si sono distinti per l’eminentia doctrinae, cioè per il loro elevatissimo contributo culturale, che trova la sua mirabile sintesi nella Summa Teologiae di San Tommaso d’Aquino.

 

2. L’ecclesiologia tra Basso Medioevo e Controriforma.

A partire dal XIV° secolo si comincia l’opera di stesura dei primi trattati di ecclesiologia[9], quindi è solo alla fine del Medioevo che si può iniziare a parlare di ‘ecclesiologia’ come di una specifica disciplina. Questi trattati contengono una riflessione sulla Chiesa che si sofferma in modo particolare sugli aspetti organizzativi e di governo; si prende in considerazione, in primis, l’autorità del sommo pontefice.

Due sono i problemi che la Chiesa, in questo periodo, deve affrontare:

a)      la questione delle eresie;

b)      i rapporti tra potere spirituale e potere temporale.

Nel primo caso la Chiesa agisce a pieno titolo nel riaffermare i punti qualificanti della fede, nel secondo si crea una sorta di ‘sovrapposizione’ tra potere spirituale e potere temporale. I due poteri entrano inevitabilmente in conflitto con il “Dictatus papae” del 1075, con la lotta per le investiture tra il papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV, che si conclude con un compromesso tra i due successori, il papa Callisto II e l’imperatore Enrico V. Nel 1204, con il Concilio Lateranense IV promosso dal papa Innocenzo III, la Chiesa prosegue la sua lotta per il potere politico. Nel 1301 e 1302 il papa Bonifacio VIII emana rispettivamente le bolle “Asculta filii” ed “Unam Sanctam”; soprattutto in quest’ultima enuncia la teoria delle “due spade”, con la quale rivendica l’autorità del pontefice come vicario di Cristo e discendente diretto di Pietro, pertanto depositario di ogni autorità. Il potere temporale è concesso ai principi dalla Chiesa per la difesa della Chiesa, quello spirituale è invece proprio della Chiesa. Le due spade sono quindi “Una per la Chiesa, l’altra della Chiesa”[10]. Tuttavia, con Bonifacio VIII la Chiesa è destinata ad essere sconfitta nello scontro con il re di Francia Filippo IV il Bello perché i tempi erano ormai molto diversi da quelli di Gregorio VII ed Enrico IV e i due poteri “universalistici”, vale a dire Chiesa ed Impero, erano destinati ad entrare definitivamente in crisi di fronte all’emergere dei nuovi Stati nazionali.

Dante, nel III° libro del De monarchia (1308) esprime già una visione moderna dei rapporti tra Stato e Chiesa: i due poteri devono essere indipendenti e sovrani ciascuno nel proprio ordine, senza reciproche interferenze, al potere spirituale, detenuto dal papa, deve spettare solo maggiore “riverenza”. Anche se Dante resta un autore profondamente legato al Medioevo, in quanto è ancora assente in lui l’idea dello Stato moderno, ma rimane invece quella di Impero, si può affermare che tale “separazione dei poteri” è sicuramente un aspetto di modernità, che troverà maggiori sviluppi nel pensiero di Marsilio da Padova[11].

Nell’ambito della “Controriforma” o “Riforma cattolica”[12] si distingue l’opera del cardinale Roberto Bellarmino[13], che presiede i processi a Galileo Galilei ed a Giordano Bruno, il primo conclusosi con l’umiliante abiura dello scienziato, il secondo con il rogo del filosofo. In questo contesto si accentua la distinzione tra clero e laici[14], che sarà sanata soltanto con le “nuove ecclesiologie”, a partire dall’Ottocento, e, in via definitiva, solo con il Concilio Vaticano II (1962-65).

 

3. Le nuove ecclesiologie.

Sono chiamate “muove ecclesiologie” quelle che si profilano a partire dall’inizio dell’Ottocento fino al Concilio Vaticano II°. Tali ecclesiologie sono dette ‘nuove’ in quanto ‘nuovo’ rispetto all’ecclesiologia precedente è il modo di considerare la Chiesa: non ci si sofferma più sugli aspetti esteriori, visibili, funzionali, organizzativi, istituzionali della Chiesa, come nel periodo della Controriforma, ma sugli elementi ‘interni’, profondi, essenziali spirituali, teologici.

Le nuove ecclesiologie sono complessivamente 3:

A)    l’ecclesiologia sacramentale;

B)     l’ecclesiologia carismatico-pneumatologica;

C)    l’ecclesiologia ecumenica o ecumenico-missionaria (quest’ultima, del tutto “nuova”, provocò un vero e proprio “scandalo” all’interno della Chiesa).

 

A) L’ecclesiologia sacramentale.

Non fu elaborata da ecclesiologi, inizialmente, ma da due liturgisti tedeschi dell’Ottocento, Scheeben e Casel: furono essi, infatti, a definire per primi la liturgia non principalmente come “azione della Chiesa”, ma come segno della presenza attuale vivente di Cristo nella Chiesa: questo emerge nel documento del Concilio Vaticano II sulla liturgia, Sacrosantum Concilium (una Costituzione “senza aggettivo”)[15]. La Chiesa viene qui definita come “Sacramento” e si sottolinea l’onnipresenza di Cristo nella Chiesa, come anche nell’incipit della Lumen gentium[16]: la Chiesa è “sposa amatissima” di Cristo, la Chiesa è l’unico sacramento e cristo è l’unico liturgo. Cristo è infatti l’unico e vero soggetto delle azioni liturgiche, mentre la Chiesa viene associata da Cristo come collaboratrice in queste azioni. Se l’unico vero soggetto, autore della liturgia, è Cristo, allora la Chiesa non è più, essa stessa, la fonte della Grazia dei sacramenti, ma è il destinatario di quella Grazia secondo il principio per cui i sacramenti “fanno” la Chiesa e la Chiesa celebra i sacramenti. La Chiesa costituisce quindi sia il “tramite” che il destinatario, secondo la seguente mappa concettuale:

 

 

CRISTO —-à SPIRITO—-àCHIESA—-àSACRAMENTI—-àCHIESA

(Fonte)                                      (Tramite)                                           (Destinatario)

 

 

B)L’ecclesiologia carismatico-pneumatologica.

 

Si tratta di un modo di concepire la Chiesa che pone al centro l’azione dello Spirito, che diviene visibile particolarmente nel dono del carisma. Mentre l’ecclesiologia sacramentale insiste su ciò che di comune i credenti ricevono nei sacramenti, l’ecclesiologia carismatico-pneumatologica insiste sulla diversità e specificità di ogni singolo credente[17].

La diversità dei doni non deve farci dimenticare l’Unicità di Dio, che è Spirito; uno è il destinatario, la Chiesa, anche se molti sono i carismi, come si può evincere dalla seguente mappa concettuale:

 

 

UNICO DONATORE——–àMOLTEPLICITA’

CRISTO-DIO——————àDEI DONI==============è UNICO DESTINATARIO

(SPIRITO)———————à (CARISMI)                                    (CHIESA)

 

 

Il più grande di tutti i carismi, “l’anima” di tutti i cristiani, è la carità.[18]

 

 

 

 

C). L’ecclesiologia ecumenica o ecumenico-missionaria.

Il protagonista è sempre lo Spirito, come nelle due ecclesiologie precedenti, ma questa volta lo Spirito invita la Chiesa ad agire al di fuori di sé, nel dialogo, in primo luogo, con i “fratelli separati”, cioè i cristiani non cattolici, poi con i non cristiani ed infine con il mondo agnostico o sedicente “non credente” o “ateo”.[19]

Questa ecclesiologia insiste, oltre che sul dialogo, anche sulla conversione a Cristo, come modello di vita della Chiesa; è questo, per i cristiani, un continuo rinnovamento ed un intento ecumenico al tempo stesso; su questa linea, ad esempio, si muove il  gruppo di giovani di Taizè con fr. Roger.

Per i cristiani, è un rinnovamento ed un cammino di crescita nella ricerca della verità; è una chiamata, per i credenti, per intraprendere un cammino comune che mai può dirsi concluso, se non alla fine dei tempi, con la fine della storia e dunque anche della Chiesa, con la parusia, cioè il ritorno di Cristo.

 

4. Differenze tra i due concili ecumenici. Analisi di due documenti.

Il Concilio Vaticano I° è stato aperto nel 1870 e non è mai stato chiuso, nel senso che è rimasto aperto “sine die”; quando si aprì il Concilio Vaticano II° si pensò anche, inizialmente, di intenderlo come “prosecuzione” e sintesi del precedente concilio ecumenico[20]. Invece si optò per un’altra scelta, quella di concepire il concilio con un intento del tutto nuovo, “rivoluzionario”, in un certo senso.

Innanzitutto è doveroso tener presente la diversità del contesto storico in cui si svolgono i due concili: il primo, del 1870, nasce nel tesissimo contrasto tra Stato e Chiesa dopo la breccia di Porta Pia (20 settembre 1870), con la quale l’esercito regio di Vittorio Emanuele II entra in Roma con le armi, ed il papa Pio IX ordina una “resistenza passiva”: le truppe vaticane praticamente si arrendono senza combattere, ma la Chiesa, offesissima da quest’onta ricevuta dallo Stato liberale italiano, si ritira in sé stessa e con il “Non expedit” (“Non conviene”, “Non è opportuno”) del 1874 i cattolici si ritirano ufficialmente dalla vita politica, non saranno più “né elettori, né eletti”. I rapporti tra Stato e chiesa saranno regolati dalla “Legge sulle Guarentigie” del 1871. Una certa partecipazione alla vita politica, da parte dei cattolici, si riscontra nelle elezioni del 1904, ma solo con il “Patto Gentiloni” del 1912 i cattolici si impegnano nuovamente in politica e decidono di dare il proprio voto a quei liberali giolittiani che promettono di fare una politica che non sia contraria al cattolicesimo, e che, ad esempio, riconosca la validità del matrimonio religioso e difenda l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari, ove era insegnata. La Chiesa del primo Novecento è una Chiesa che si trova davanti a forti tensioni sociali: don Luigi Sturzo, prete siciliano, fonderà il Partito Popolare, futura Democrazia Cristiana, ma la sua politica di impegno sociale non sarà ben vista dalla Chiesa di Pio X, un papa abbastanza conservatore che ridurrà allo stato laicale un prete fortemente impegnato nel contesto politico-sociale come don Romolo Murri.

Altro problema con il quale la  Chiesa, deve confrontarsi durante il Concilio Vaticano I° è quello provocato dalla diffusione della filosofia positivista, che, in nome della ragione e del progresso scientifico, accuserà la teologia di “irrazionalismo”. Sono queste, tutte tematiche che saranno tenute presenti nel Concilio del 1870, in quanto si cercherà di dimostrare invece la “razionalità” della fede. Completamente diverso è invece il contesto in cui si svolge il Concilio Vaticano II°: sono gli anni’60 del Novecento, il problema non è più rappresentato dalla filosofia positivista, ma dall’ateismo del mondo contemporaneo, un mondo socialmente diviso tra un Occidente ricco ed un 3° e 4° mondo avvolti dalla fame, dalla miseria, dall’analfabetismo. L’uomo si autoproclama libero, mentre aumentano nuove forme di schiavitù. Il mondo contemporaneo è quindi caratterizzato da profonde contraddizioni, alle quali si aggiunge il rischio di una guerra nucleare. In questo contesto è carente il dialogo, e sono soprattutto i giovani ad essere allo sbaraglio, privi di valori, pur consapevoli della loro importanza nella società. I giovani vedono la Chiesa ancora “indietro” nei tempi, ma la Chiesa, da parte sua, pur comprendendo la storia, non può cambiare la verità. In questo contesto è sempre più difficile il ruolo dei genitori e degli educatori e sempre più frequentemente Dio è messo da parte, spesso con l’espediente del progresso scientifico o di un “nuovo umanesimo”. Di fronte a questi squilibri, la Chiesa è consapevole che solo la religione può dare una risposta alle inquietudini umane e sa che tutte le religioni offrono la salvezza[21], ma che solo il cristianesimo offre la salvezza plenaria: la Chiesa propone quindi, all’uomo che vuol essere salvato, solo Cristo come modello di Verità, ed è questo anche il compito al quale sono chiamati i laici cattolici, che fanno parte della Chiesa.[22]

Chiariti differenti contesti storici in cui si affacciano i due concili ecumenici, ci è parso importante, a questo punto, confrontare due costituzioni dogmatiche, la Dei filius del Concilio Vaticano I° e la Dei Verbum del Concilio Vaticano II°, per analizzarne le differenze. Entrambe affrontano il problema della Rivelazione di Dio, problema basilare della teologia, in quanto la fede è la risposta umana alla rivelazione (“Apokaliptàon” in greco, “retrum velum” in latino) divina.

Esistono, in proposito, due vie della rivelazione[23]:

  1. una naturale o cosmica (attraverso il creato, che è conoscenza[24] certa dell’esistenza di Dio, ed è rivolta a tutti, anche ai sedicenti “non credenti”);
  2. una sovrannaturale o storica (Dio entra nella storia e la salva, la storia è quindi salvata da Dio. Dio, ad esempio, libera gli Ebrei entrando nella storia)[25].

Nella Costituzione dogmatica Dei filius del Concilio Vaticano I° si afferma che Dio può essere conosciuto con la luce della ragione, grazie al creato, da parte di tutti, come afferma anche San Paolo nella Lettera ai Romani. A Dio è piaciuto rivelarsi, per bontà. Attraverso il creato Dio si può conoscere con assoluta certezza. Tale conoscenza non è però una dimostrazione. Tale conoscenza non viene meno neanche con il peccato, perché l’uomo è comunque fatto ad immagine e somiglianza di Dio. All’inizio della Dei filius[26]si difende la ragione, contro le tesi positivistiche che negavano la possibilità di arrivare a Dio con la ragione; in un secondo momento si parla però di una rivelazione soprannaturale perché Dio è anche vero dio, e non solo vero uomo. Dio parla agli uomini come a dei figli, con l’amore, ma anche l’autorità paterna; Dio, infatti, emette “decreti”[27]. Inoltre, è da notare la particolarità dell’espressione “è piaciuto” a

Dio rivelarsi, che sottolinea lo sforzo umano che tende a Dio e quindi una maggiore distanza tra l’uomo e la divinità.

Nella Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II°, anche questa una Costituzione dogmatica, si parte invece dalla rivelazione sovrannaturale, invertendo così la prospettiva del Concilio Vaticano I°, perché, come si è detto, è diverso il contesto storico: il problema non è più la ragione positivistica che negava una “teologia razionale”, ma l’ateismo del mondo contemporaneo. Dio parla qui agli uomini come ad “amici”[28], non più come ai suoi figli, a differenza della Dei filius del Concilio Vaticano I°. Si insiste sul colloquio tra Dio e l’uomo, sul Verbo, la Parola, Parola che è Cristo, Logos, discorso appunto che proviene da Dio per andare dall’uomo e, nella circolazione trinitaria, tornare a Dio. La Dei Verbum si conclude con la ripresa dell’incipit della Dei filius: il creato ci offre una conoscenza certa dell’esistenza di Dio.Si noti anche che l’espressione “è piaciuto” a Dio rivelasi della Dei filius è qui sostituita con l’espressione “Piacque”, per insistere maggiormente sulla rivelazione come grazia divina. Anche agli “eterni decreti” della volontà divina di cui alla Dei filius, si preferisce il vocabolo “misteri”, un termine paolino per evocare tutto il mistero salvifico che si ha con Cristo: emerge così tutto il carattere cristocentrico della rivelazione, strettamente connesso alla salvezza. Dio si rivela per salvarci, e la salvezza è Grazia.

 

5. Introduzione al Concilio Ecumenico Vaticano II°: contenuti e struttura.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II° ha cambiato la vita della Chiesa: non si parla più, ad esempio, di “Chiesa militante” e di “Chiesa trionfante”, come nel Concilio Vaticano I°, ma rispettivamente di “Chiesa pellegrinante” e di “Chiesa celeste”.  I lavori del Concilio si sono articolati in 4 sessioni,

dall’ 11 ottobre 1962 all’8 dicembre 1965 (è stato chiuso il giorno dell’Immacolata Concezione).

E’ stato aperto da papa Giovanni XXIII° ed è stato chiuso da Paolo VI, in quanto il “papa buono” è morto nel 1963. In questo Concilio si sono radunati più di 2500 vescovi di tutto il mondo (per questo detto “ecumenico”, nella storia della Chiesa ci sono stati 21 concili, di cui solo 2  ecumenici), oltre ad  esperti ed osservatori, uditori ed uditrici esterni, insigni teologi come De Lubach o l’italiano Dossetti; vi sono stati anche 100 osservatori non cattolici; per questo è stato un concilio così innovativo.  Prima del Concilio, ad esempio, era impensabile la funzione della donna nella Chiesa come docente di teologia. Giovanni XXIII ha affermato l’importanza della partecipazione del cristiano durante la messa, e per questo ha sottolineato la necessità dell’adozione delle lingue nazionali per le celebrazioni. La Chiesa preconciliare era graficamente rappresentata come una piramide, dal vertice alla base, con il papa, i cardinali, i vescovi, i preti, i diaconi, i laici; oggi è invece rappresentata come una mensa, una “ecclesia”, quindi come un’assemblea. La gerarchia è oggi al servizio del popolo di Dio e non è più uno strumento di potere. Il laico è chiamato ad impegnarsi nel luogo dove Dio l’ha posto. Il Concilio Vaticano II° è quindi il frutto più maturo delle nuove ecclesiologie.

 

I documenti del Concilio sono complessivamente 16:

 

4 Costituzioni: 1.Lumen gentium (dogmatica);

2. Dei Verbum (dogmatica);

3. Sacrosantum Concilium (senza aggettivo);

4. Gaudium et Spes (pastorale).

 

9 Decreti:   riguardano la formazione sacerdotale, l’apostolato e la vocazione dei laici, la pastorale,

l’ecumenismo.

 

3 Dichiarazioni: sono fondamentali e sono rivolte a tutti, anche ai non credenti.

La prima riguarda l’educazione cristiana e la famiglia,la seconda la libertà religiosa, la terza ed ultima concerne le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, perché tutte le religioni contengono un “seme di verità”, ma solo la religione cristiana è quella interamente vera[29].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

B I B L I O G R A F I A

 

 

 

Antico Testamento: Libro di Giosuè.

 

Agostino Aurelio, De civitate Dei.

 

AA. VV., Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, LEV, San Paolo, Città del

Vaticano, 2005.

 

AA. VV., Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano I°: Dei filius.

 

AA. VV. , Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II°:  Gaudium et Spes, Dei Verbum,

                 Sacrosantum Concilium, Nostra Aetate.

 

Bonifacio VIII, Unam Sanctam, in Chiesa e Stato attraverso i secoli, a c. di S. Z. Ehler – J. B.

Morral, Vita e pensiero, 1958.

 

Haffner P., Il mistero sacramentale, LEV, Città del Vaticano, 1998.

 

Fanin L, Come leggere “Il Libro”. Lineamenti di introduzione biblica, Il Messaggero, Padova,

1993.

 

Marsilio da Padova, Defensor pacis.

 

Nietzsche F., Considerazioni inattuali, Adelphi, Milano.

Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, Milano.

 

Nuovo Testamento: Vangelo di Matteo, Vangelo di Marco, Vangelo di Luca.

 

San Paolo,Prima lettera ai Corinzi.

 

Tognocchi E., La moltiplicazione o spezzamento dei pani nel Vangelo di Marco, edizioni Il

Dialogo, Marina di Pietrasanta, 2005.

 

 


[1] Teniamo presente che Matteo era un ebreo, si chiamava infatti Levi ed il “proto-Matteo” è anteriore allo stesso Vangelo di Marco, considerato il più antico e la ‘base’ per gli altri Vangeli.

[2] Cfr. E. Tognocchi, La moltiplicazione o spezzamento dei pani nel Vangelo di Marco, edizioni Il dialogo, Marina di Pietrasanta, Lucca, 2005. La moltiplicazione dei pani è un atto miracoloso del quale il credente non può che prenderne atto, senza poter “duplicare” questa esperienza nella sua vita; in questo senso, l’espressione greca “Klasis toù artoù” del Vangelo di Marco, se riportata al suo significato originario, è meglio traducibile come “spezzamento” o “divisione” dei pani; con questo gesto Dio si dimostra veramente un Dio Padre, capace di insegnare ai propri figli ciò che realmente possono e devono fare in quanto cristiani, e non ciò che è impossibile per loro. In questo senso si comprende anche il significato dell’amore cristiano come “Agape”, cioè carità, tema centrale nell’Enciclica programmatica del papa Benedetto XVI Deus Caritas est.

[3] Cfr. Lumen gentium, in “Atti del Concilio Vaticano II°”, III, 29, si definisce il diaconato come il primo livello di consacrazione, seguito, in ordine crescente, dal presbiterio e dall’episcopato, definito, quest’ultimo, come “la pienezza della consacrazione sacerdotale.

[4] Anche in proposito si può affermare l’importanza della testimonianza (“martyres” in greco significa appunto “testimone”) nel Concilio Vaticano II°, Lumen gentium, III, 26. Al vescovo è affidato il compito di “santificare” (sanctificandi) mediante 1) l’eucarestia, 2) la sua personale preghiera, 3) l’attività pastorale e, in casi estremi , mediante il personale sacrifico, appunto il martirio, come è stato, ad esempio, dimostrato dal vescovo Romero. Il termine “martyrìa” trova inoltre un sinonimo nell’espressione greca “Parresia”, che significa “dire tutto senza timore”.

[5] Ancora nella Lumen gentium, III, 19-20, 25A si definiscono i vescovi come i diretti discendenti degli apostoli, per cui è necessario osservare un “religioso rispetto” della parola dei vescovi, definiti anche come “araldi della fede” e “dottori autentici”.

[6] Cfr. P. Haffner, Il mistero sacramentale, LEV, Città del Vaticano, 1998 e AA. VV., Compendio del catechismo della Chiesa cattolica, LEV, n° 224, p. 70, San Paolo, Torino, 2005.

[7] Fu il papa Bonifacio VIII a coniare l’espressione  “Padri della Chiesa”.

[8] Cfr. Antico Testamento, Libro di Giosuè, II, 6.

[9] Egidio Romano e Giacomo da Viterbo sono questi trattatisti.

[10] Cfr. Bolla papale di Bonifacio VIII “Unam Sanctam” (1302), in Chiesa e Stato attraverso i secoli, a cura di S. Z. Ehler – J. B. Rorral, Vita e Pensiero, 1958.

[11] Marsilio da Padova nel Defensor Pacis (1324) traccia già le linee di uno Stato laico, moderno, svincolato da qualsiasi rapporto sia con la Chiesa che con l’Impero. Fede e Ragione, come Chiesa e Stato, sono distinti. Lo Stato è una comunità umana, fondata sul diritto naturale,e non divino, il potere è nelle mani dall’ ”Assemblea dei cittadini”. Sovranità popolare e Stato di diritto sono i due pilastri del pensiero di Marsilio da Padova, per il quale il potere politico è non solo indipendente da quello religioso, ma superiore ad esso; il potere spirituale dev’essere inoltre detenuto dai vescovi, e non dal Papa. Si nota, nel pensiero di Marsilio da Padova, l’influenza dell’esperienza comunale. Per la sua opposizione al Papa, Marsilio da Padova fu costretto a rifugiarsi in Baviera, presso Ludovico il Bavaro.

[12] E’ una questione di interpretazioni: il termine “Controriforma”  fu coniato dal giurista tedesco Joahann Putter nel 1776, in clima illuministico, con un’accezione negativa: si volevano mettere in risalto gli aspetti “negativi”, repressivi della Chiesa, emanati dal Concilio di Trento (1545-63), quali la messa all’Indice dei libri proibiti ed il Tribunale dell’Inquisizione. Con l’espressione “Riforma cattolica” si intende invece la risposta positiva che la Chiesa diede a certe istanze mosse dai riformatori, con l’istituzione dei seminari, al fine di elevare il livello intellettuale del clero, soprattutto di quello di campagna, spesso ignorante, o con la creazione di nuovi ordini, volti ad opere di assistenza ai poveri, alle vedove, agli orfani, nonché all’opera missionaria. Tra i nuovi ordini fondati ricordiamo quelli dei Teatini, dei Barnabiti (presso i quali studiò Alessandro Manzoni a Milano), dei Cappuccini, dei Fatebenefratelli, degli Oratoriali (fondati da San Filippo Neri, a Roma, con lo scopo di accudire gli orfani) , delle Orsoline, degli Scolopi (fondati dallo spagnolo San Giuseppe Calasanzio) e dei Gesuiti o “Compagnia di Gesù” (dediti all’istruzione, questi ultimi due).

[13] Roberto Bellarmino fu poi santificato e dichiarato “Dottore della Chiesa”. I “Dottori della Chiesa” ufficialmente riconosciuti sono oggi 33.

[14] Tale rigida distinzione tra clero e laici era già stata teorizzata da un monaco camaldolese del XIII° secolo e professore di teologia, Graziano, nel Decretum Gratianii.

[15] Cfr. Sacrosantum Concilium, in Documenti del Concilio Vaticano II, 5b, 7a/b

[16] Cfr. Lumen gentium, in Documenti del Concilio Vaticano II, I,1

[17] Cfr. S. Paolo, Prima lettera ai Corinzi, capp. 12/14, si parla proprio della “teologia dei carismi”.

[18] Ibid., cap. 13.

[19] Cfr. Nostra Aetate, in Documenti del Concilio Vaticano II, per quanto riguarda il dialogo con le confessioni religiose non cristiane. E’ una dichiarazione del 1965, di Paolo VI, dopo un suo viaggio in Terra santa, ed è l’ultima delle tre Dichiarazioni conciliari.

[20] Nella storia della Chiesa sono stati fatti 21 concili, due soli ecumenici, cioè con la presenza di vescovi di tutto il mondo. Il Concilio, per definizione, è appunto un’assemblea di vescovi presieduta dal papa.

[21] Cfr, Concilio Vaticano II, Nostra Aetate. E’ cronologicamente l’ultima delle tre “Dichiarazioni”, è del 1965, scritta dopo il viaggio di Paolo VI in Terra Santa, come si è già detto. Gli uomini delle religioni non cristiane attendono la risposta a questi problemi, a questi turbamenti, a domande sul bene, sul male, sul motivo del dolore, sull’origine ed il fine della vita umana. La Chiesa cattolica nutre il massimo rispetto verso queste confessioni religiose ed i loro tentativi di risposta, ma solo nella Chiesa cattolica è presente la Verità, che è la Via, la Verità e la Vita. La Chiesa considera “santo” il tentativo delle altre religioni, perché sante sono tutte le religioni, ma solo Cristo rappresenta la salvezza plenaria per tutti gli uomini, perché solo nel cristianesimo Dio scende tra gli uomini. Nelle altre religioni, invece, è l’uomo che si eleva a Dio. In tutte le religioni vi è quindi un “seme di verità”.

[22] Cfr. Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 10c.

[23] Cfr. L. Fanin, Come leggere “il Libro”. Lineamenti di introduzione biblica, Il Messaggero, Padova, 1993.

[24] Si consideri che il creato è una “conoscenza certa” dell’esistenza di Dio, non una “prova”.

[25] Il cristiano ha quindi una visione lineare della storia, progressiva, la storia umana procede dal peccato alla Redenzione nella Grazia e nella infinita Misericordia divina, come afferma anche il filosofo, principale esponente della patristica, Aurelio Agostino, a proposito delle “due città”, quella degli uomini e quella di Dio, presente nel De civitate Dei. Differente è invece la visione che avevano i greci della storia, circolare, ripresa dal filosofo Friedrich Nietzsche nelle Considerazioni inattuali ed in Così parlò Zarathustra.

[26] Cfr. Concilio Vaticano I°, Dei filius.

[27] Ibid.

[28] Cfr. Concilio Vaticano II°, Dei Verbum.

[29] Cfr. Concilio Vaticano II°, Nostra Aetate.

 

 

I rapporti tra clero e laici nella storia dell’ecclesiologia e della Chiesa.ultima modifica: 2015-05-12T17:23:46+02:00da m_200
Reposta per primo quest’articolo