ASPETTI E PROBLEMI DELL’ESTETICA CONTEMPORANEA

ASPETTI E PROBLEMI DELL’ESTETICA CONTEMPORANEA.

1. Introduzione.

Dall’Ottocento in avanti l’estetica conosce una grandissima fioritura perché non è più limitata ad essere un settore della filosofia, ma conquista un proprio spazio come disciplina autonoma. Questo non accadeva con Platone, Aristotele, nel medioevo e nel Rinascimento, ma inizia a profilarsi solo nel 1750 quando Baumgarten nell’opera Aesthetica detta i canoni della materia. L’opera di Baumgarten è proseguita da Kant nella Critica del giudizio: l’arte assume un valore non più soggettivo, ma oggettivo. Ma solo nel Romanticismo l’artista è veramente libero, come si è visto, di seguire la sua ispirazione, anche se una certa libertà l’aveva già conquistata nel Rinascimento.

In ogni caso l’estetica contemporanea si caratterizza molto di più per la presenza di correnti di pensiero che non di singolo filosofi isolati.

2. La sociologia dell’arte.

Verso la fine del XIX secolo Hippolyte Taine (1828-1893) e Jean-Marie Guyau (1854-1888) sostennero che l’estetica dovesse seguire gli stessi principi delle scienze, e quindi dovesse limitarsi a constatare e spiegare, senza giudicare, condannando o lodando: si nota l’influsso del clima positivistico, in cui la fiducia nella scienza è quasi incondizionata. L’estetica diventa una scienza paragonabile quindi alla botanica o alle scienze esatte; in questo contesto di scientificità dell’arte diventa importante il contesto storico in cui l’artista si trova ad operare. Taine in modo particolare ha ideato questo metodo scientifico per l’estetica, fornendo così una “sociologia dell’arte” (siamo in clima positivistico, in cui nasce infatti anche la sociologia come scienza). Il metodo scientifico di Taine prevede tre fasi:

a)   dobbiamo ricercare le caratteristiche simili tra l’opera di un artista e le altre opere della stessa mano;

b)  dobbiamo ricercare le caratteristiche simili tra l’artista ed altri artisti della medesima corrente, perché l’artista non è isolato, ma appartiene ad una particolare corrente;

c)   dobbiamo ricercare le caratteristiche simili tra la corrente a cui appartiene l’artista ed il contesto storico e politico in cui si trovano.

Ad esempio, per studiare la “Gioconda” si deve ricercare ciò che è comune con altre opere di Leonardo, ciò che è comune con artisti che afferiscono alla sua scuola, ciò che è comune con il tempo in cui è vissuto Leonardo: non è quindi possibile per Taine, studiare un’opera d’arte isolandola dal contesto in cui è stata concepita e realizzata.

3. La psicologia dell’arte.

Nel contesto del Positivismo è nata anche una psicologia dell’arte, il cui massimo rappresentante è Sigmund Freud (1856-1939), il padre della psicoanalisi, ovvero della psicologia dell’inconscio: per Freud è innegabile che l’arte eserciti un fascino, sia questa musica o arte figurata. Freud si chiede quale possa essere il motivo di tale fascino sul pubblico e quale possa essere il motivo ispiratore per l’artista. Per Freud, in ognuno di noi c’è un potenziale artista: anche un bambino, in un certo senso, quando gioca è un artista perché crea un mondo di sua invenzione. Sia l’artista che il bambino giocano con la fantasia, attingono alla loro fantasia, sia l’uno che l’altro sanno di non poter incidere sulla realtà, ma, nonostante questa consapevolezza, compiono il loro gioco con assoluta serietà. L’artista è un uomo adulto che continua a giocare mediante l’arte, nonostante la società abbia relegato il gioco ai soli bambini. Anche l’adulto che non è artista “continua a giocare”, o mediante i propri hobby o “sognando ad occhi aperti”, ma nasconde questi suoi giochi alla società, perché sa che la società adulta e seria li respingerebbe. L’artista può invece giocare con la sua arte liberamente perché il prodotto artistico diventa patrimonio comune e non ha quindi bisogno di nascondersi, a differenza dell’uomo comune.

  1. 4.   La religione dell’arte.

In opposizione alle tesi positivistiche si levò la voce di John Ruskin (1819-1900), per il quale l’arte doveva imitare la natura, che, a sua volta, era opera di Dio: l’arte è quindi concepita in funzione della rivelazione della verità suprema, che è Dio. Si nota, in questa posizione religiosa, una sintesi tra le tendenze medievali e quelle romantiche. Qualsiasi manifestazione artistica è per Ruskin manifestazione della fede: in base a quest’idea vede, ad esempio, nella decadenza del gotico la decadenza dell’aspetto spirituale della civiltà. L’arte dev’essere quindi al servizio della religione e della morale e non è ammessa l’idea dell’  “arte per l’arte”, dell’amore per il bello in quanto tale. Le teorie di Ruskin hanno un fine utopistico: Ruskin credeva in una società più umana e spirituale, e per questo criticò come alienante la nascente “società delle macchine”, ovvero l’industrializzazione dell’età positivistica. Le idee di Ruskin avranno un certo peso nell’Inghilterra del ‘900, ma il suo rifiuto per la società industriale testimonia un’utopia rivolta al passato e destinata ad essere perdente al confronto di un’altra utopia, quella marxista, rivolta al futuro.

5. “Giochi di specchi” nell’arte contemporanea: Bloch, Lukàcs, Adorno.

Nel Novecento l’estetica si confronta con il marxismo: tale confronto produrrà la cosiddetta “avanguardia storica” dell’arte, rappresentata dall’espressionismo, dal futurismo, dal dadaismo, dal surrealismo e da tutte quelle correnti che spezzano il legame con la tradizione.

Ernst Bloch (1885-1977), cristiano e marxista utopico al tempo stesso, fu uno strenuo difensore dell’espressionismo: per Bloch l’avanguardia espressionista contiene, seppure nascosti, i segni di una futura realizzazione dell’umanità e della società, più giusta. L’arte parla quindi della condizione umana, sia pure in modo criptato (definì infatti l’arte come “specchio della terra”).

Il filosofo ungherese Gyorgy Lukàcs (1885-1971), marxista non religioso, è un grande esperto di estetica: riprende la tesi dell’arte come specchio della realtà e studia in modo particolare la tragedia, perché proprio nell’arte tragica l’uomo evidenzia le proprie difficoltà esistenziali e si trova, come in uno specchio, faccia a faccia con se stesso e può osservare la sua vera natura e la sua vera condizione. Per Lukàcs infatti la natura umana si rispecchia in tre ambiti: quello della vita, che è individuale, e quello delle scienze e della filosofia, che è universale e che riguarda quelle conoscenze intellettuali valide per tutti e quello dell’arte, che è un elemento particolare legato a quella specifica opera d’arte, ma valido per tutti. L’esempio proposto da Lukàcs è quello di Shylock, il protagonista de Il mercante di Venezia di William Shakespeare: Shylock è una figura specifica, una creazione artistica shakespeareana, ma al tempo stesso incarna tutti i caratteri tipici dell’avido commerciante ebreo; nel suo cinico attaccamento al denaro mostra infatti delle caratteristiche eterne e riscontrabili altrove. Successivamente Lukàcs ripudierà questa interessante visione dell’arte per aderire in modo più ortodosso al marxismo, sostenendo che l’arte è la manifestazione delle strutture sociali.

Il filosofo marxista tedesco Theodor Wisengrund Adorno (1903-69), uno dei fondatori della “Scuola di Francoforte”, riprende le tesi di Lukàcs, anche se le sottopone ad un rigido esame critico. Sostiene che l’arte, a differenza della storia e della scienza, ha un carattere libero, dovuto alla libertà dell’artista, e per questo non ne ha il medesimo rigore, anche se porta alla luce dei processi sociali. Dall’Illuminismo in avanti, con il Positivismo e poi nel ‘900, l’uomo per Adorno si è progressivamente allontanato dall’arte per avvicinarsi alla scienza: la ragione ha trionfato sul sentimento, e quindi anche sull’arte. Adorno ricorre al mito di Ulisse tentato dalle sirene: l’uomo contemporaneo è Ulisse, che si fa legare all’albero maestro della propria nave per impedire alla sua volontà di seguire il magico mondo dell’arte, rappresentato dal soave canto delle sirene. L’uomo, pur sentendosi attratto dall’arte, preferisce seguire la strada del progresso scientifico. L’arte è quindi la nostalgia per un mondo idilliaco irrimediabilmente perduto. Adorno mantiene poi una visione elitaria dell’arte, che è comprensibile a pochi eletti e non può essere fruita dalla massa, che è priva di sensibilità estetica e di capacità di analisi critica: questo lo porterà a tenere in scarsa considerazione la nascente cinematografia. In conclusione l’arte è “uno specchio” sia per Lukàcs che per Adorno, ma mentre per il primo è uno specchio reale, “intero”, per Adorno è invece uno “specchio incrinato”, infranto dalla necessità del progresso, è uno specchio che deforma la realtà, pur manifestandola.

  1. 6.   John Dewey: il “ritorno” all’estetica.

Il pedagogista americano John Dewey (1859-1952) ha offerto un notevole contributo anche all’estetica: in tendenza controcorrente ha cercato di definire il campo d’azione di questa materia, negando ad essa un valore universale che non le competerebbe. Per Dewey l’opera d’arte è infatti sempre un’esperienza particolare ed ha quindi un carattere peculiare e non universale.

7. Il contributo italiano: Pareyson e Croce.

Anche l’Italia annovera grandi figure nella storia dell’estetica, con Benedetto Croce (1866-1952),  Luigi Pareyson (1918-1991), Anceschi, Banfi, Galvano Della Volpe, Umberto Eco, Gianni Vattimo.

Per Pareyson, come per Croce, intuizione ed espressione sono intimamente collegate, ma ciò che rende possibile la definizione di “opera d’arte” è il secondo momento, quello espressivo, creativo, e non quello intuitivo, che è limitato solo all’artista e non coinvolge il pubblico. Si può parlare di estetica anche nel momento intuitivo solo se l’artista, mentre esprimeva, intuiva, solo cioè se espressione ed intuizione coincidono. Nel vero artista, afferma Pareyson, i due momenti coincidono e l’opera d’arte non viene quindi “pensata prima a tavolino” e poi realizzata, ma pensiero ed azione sono un tutt’uno nel senso che si implicano vicendevolmente. Non si possono quindi determinare a priori le regole dell’arte e dell’estetica perché non si può definire artistico un progetto, un pensiero, un’idea, ma solo il risultato, il prodotto. L’opera d’arte riuscita, attuata, per Pareyson è un arricchimento spirituale per l’artista, una crescita formativa della persona dell’artista quindi, ma anche la sede privilegiata della verità, la quale si può però cogliere solo attraverso un’interpretazione dell’opera d’arte stessa: questa teoria dell’ interpretazione è l’ermeneutica.

Benedetto Croce ha avuto un peso mai tanto incisivo nella cultura italiana che merita una trattazione a parte.

8.  “Conclusioni”: “fine dell’estetica”  o  “estetica della fine”?

Da Vico, Baumgarten e da Kant in avanti, come si è detto, l’estetica ha guadagnato un proprio spazio ed una propria dignità, indipendente sempre più dalla filosofia rispetto alle precedenti tradizioni classica (con Platone ed Aristotele), medievale (con Agostino e Tommaso) e Rinascimentale (con Leonardo da Vinci e Leon Battista Alberti), ma, rapportandosi con altre discipline, quali l’ermeneutica e l’epistemologia, si è in parte frammentata e per questo si assiste oggi ad un certo declino dell’estetica.

Tre filosofi si sono interrogati su questa crisi dell’estetica contemporanea: Martin Heidegger (1889-1976), Hans Georg Gadamer (1900-2001), Jacques Derrida (nato nel 1930).

Heidegger sostiene che tutta la filosofia occidentale, da Platone in avanti, ha cercato di spiegare l’essere, ma invano, perché l’essere trascende ogni spiegazione per sua natura, è inconoscibile. Non si può neanche “discutere” l’essere (Heidegger riprende la problematica di Parmenide e di Platone nel Parmenide). La società contemporanea industrializzata ha dimenticato l’essere: siamo ora infatti nell’età dell’ “oblio dell’essere”. Non si può spiegare l’essere con la filosofia razionale, lo si può solo cogliere con l’arte, che usa un linguaggio particolare, quello dell’allegoria e del simbolo. L’arte è al tempo stesso rivelazione di verità (sull’essere), nascondimento di verità grazie al suo particolare linguaggio allegorico e simbolico ed espressione del proprio tempo storico. La verità nell’opera d’arte quindi si storicizza e proprio per questo si manifesta e si nasconde al tempo stesso: la verità ha infatti per Heidegger una dimensione metafisica che non può manifestarsi se non anche celandosi  contemporaneamente. Solo in questo modo l’arte soccorre l’uomo nelle sue angosciose domande esistenziali sulla vita e sulla morte: l’arte rivela le verità più profonde della condizione umana e pertanto parla all’uomo di sé stesso. Si nota come la concezione estetica di Heidegger risenta della sua filosofia esistenzialista (Heidegger sostiene che l’uomo fa dei progetti nel mondo, e si trova di fronte ad una serie di scelte, ma spesso si dimentica di non poter scegliere di non morire e pertanto dimenticarsi della morte significa vivere in maniera inautentica, mentre solo colui che assume la morte come “possibilità-base” dell’esistenza vive autenticamente).

Gadamer riprende la tesi heideggeriana sull’arte come rivelatrice di verità: l’estetica è quindi per Gadamer una disciplina teoretica e l’arte è strettamente legata a materie quali la filosofia e le scienze. L’arte non è mai un’imitazione, perché nasce dall’ispirazione originale e creativa degli artisti, anche quando attinge ad un modello (Gadamer nega qui la tesi platonica sull’arte come mera copia): non esisterebbe infatti, afferma Gadamer, il gioco del calcio senza partite di calcio. L’opera d’arte è un arricchimento per l’essere e per l’artista stesso, in quanto è superiore e trascende lo stesso artista, che viene quindi superato dalla sua stessa ispirazione, che si traduce poi in opera.

Su queste affermazioni s’innesta il pensiero conclusivo di Derrida, per il quale un prodotto artistico dice sempre qualcosa di nuovo, aumenta la verità, e non è mai una semplice e passiva riproduzione. La sua attenzione si concentra sul testo scritto; riprende il mito platonico di Theuth sul linguaggio: il faraone egiziano Thamus rifiuta l’offerta del dio Theuth che gli sta donando la scrittura. Allo stesso modo per Derrida tutta la filosofia occidentale è basata quasi esclusivamente sulla parola, diretta interprete del pensiero, e rifiuta il testo scritto, come Thamus ha rifiutato il dono della scrittura. La parola manifesta immediatamente il pensiero mentre la scrittura interpone la mediazione grafica alla libera espressione del pensiero. Il tentativo di Derrida sarà quello di superare questa concezione logocentrica proponendo un ritorno all’analisi dei testi scritti prima di essere interpretati oralmente. Derrida ha così delineato il nuovo compito dell’estetica, che non è più quello di giudicare l’arte, ma di “decostruire” l’arte, di “smontarla” ed in modo particolare l’arte letteraria, partendo dal puro significato del testo. Con questi ultimi filosofi e con Derrida in particolare l’estetica si è sicuramente complicata, come è naturale per una disciplina che si è arricchita di teorie nel corso dei secoli: all’inizio della storia dell’estetica si è cercato di costruire i significati dell’arte, di comprendere in quale modo l’opera potesse essere strumento di conoscenza dell’Assoluto, con Derrida si arriva al risultato opposto, alla “destrutturazione” dell’opera d’arte. Dopo questo duplice ed inverso percorso di costruzione e distruzione sembra che si sia arrivati alla fine dell’estetica, ma non è così: la storia dell’estetica non è finita, si trova solo davanti ad una svolta epocale, che la vede camminare parallelamente al crepuscolo della filosofia annunciato da Gianni Vattimo ne Il pensiero debole (in cui sostiene che la filosofia di oggi non è più in grado di pronunciarsi su problemi di carattere universale, ma deve limitarsi ad esprimere il suo punto di vista particolare sui singoli fatti storici contingenti). Probabilmente l’estetica seguirà due direttive distinte, ma collegate:

1) da un lato continuerà la linea storica tradizionale, ormai vecchia di 25 secoli (nel V° secolo a. C.  Platone è infatti il primo filosofo che si pronuncia esplicitamente sul rapporto tra arte e verità), intendendo l’arte come fonte rivelatrice di verità;

2) dall’altro assisteremo ad un ulteriore smembramento dell’estetica, già iniziato al momento in cui   ha voluto rendersi autonoma sia dalla filosofia che dalla storia dell’arte per porsi come “riflessione filosofica sull’arte”; in questa seconda direzione l’estetica “partorirà” nuove sezioni che non potrà più racchiudere nel suo interno e che saranno destinate ad assumere una crescente autonomia, come l’ermeneutica, la semiologia, l’epistemologia, la psicologia, la sociologia, la critica specializzata (letteraria, musicale, cinematografica, eccetera), la storia delle singole arti. Tutte queste discipline e forse ancor altre non ancora “canonizzate” sono pronte per una vita autonoma che inizia ora, ma sono tutte accomunate dal medesimo punto di partenza: ricercare la verità mediante l’opera d’arte. Questo punto di partenza di queste nuove discipline è il punto di approdo raggiunto ed offerto dalla storia dell’estetica nei suoi 25 secoli di riflessioni, è quindi il risultato della prima direttiva di cui si è parlato.

Ma questi sono e restano tutti problemi aperti: in verità non si può quindi trarre alcuna “conclusione” definitiva, si possono solo tracciare delle possibili linee di sviluppo.

Bibliografia fondamentale:

– Calogero G., Lezioni di filosofia, III. Estetica, Einaudi, Torino, 1960;

– Ferrero A., Arte e filosofia. Breve storia dell’estetica ad uso delle Accademie di Belle Arti, SEI,

Torino, 1999.

ASPETTI E PROBLEMI DELL’ESTETICA CONTEMPORANEAultima modifica: 2015-05-12T16:03:55+02:00da m_200
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