HEGEL ED IL MONDO CAPOVOLTO, “ INDIPENDENZA E DIPENDENZA DELL’AUTOCOSCIENZA: SIGNORIA E SERVITU’ “.

HEGEL, “ INDIPENDENZA E DIPENDENZA DELL’AUTOCOSCIENZA: SIGNORIA E SERVITU’ “.

(13) E’ un agire doppio, è un agire “davanti allo specchio”, da parte dell’autocoscienza: L’autocoscienza cerca, nell’altra autocoscienza, ciò che l’altra cerca da lei. Ognuna cerca la verità di sé nell’altra: ognuna ha bisogno dell’altra per essere riconosciuta; ciò che può darmi tale riconoscimento è un’autocoscienza uguale a me. Il riconoscimento è una categoria giuridica, della filosofia del diritto, nella quale ci riconosciamo come soggetti di diritto. In tale sfera le due autocoscienze sono uguali, ognuna riconosce il diritto dell’altra. Ma il riconoscersi solo come soggetti di diritto è un riconoscersi inferiore, parziale rispetto al riconoscersi come autocoscienza.

(14-19) L’autocoscienza duplicata: è l’agire allo specchio, ognuna fa ciò che fa l’altra. Tale duplice rapporto non è l’amore, per Hegel (Feuerbach criticherà Hegel proprio su questo punto), né un patto di riconoscimento (nozione giusnaturalistica e contrattualistica): è una via, decisamente, di antagonismo. In questo rapporto, tutto è identico ed opposto (16), ma, in secondo luogo, l’altro èidentico a me (17). In tale rapporto ho due poli: l’alterità e l’identità. E’ una situazione paradossale.

Segue un esercizio di bravura della speculazione hegeliana. C’è una duplice valenza, che ha una dimensione filosofica e letteraria (cfr. Doestoevskij, Il sosia); io non sono io, ma sono un altro; è lo smarrimento fra l’io e l’altro: io sono un “doppio” (cfr. letteratura francese). C’è un doppio doppio senso: la prima autocoscienza vuole togliere l’altro, ma l’altro è lei stessa, ed inoltre, l’altro fa ciò che fa la prima autocoscienza. E’ il “gioco delle forze”, aveva detto Hegel nella figura precedente “Forza e intelletto”, è un continuo passaggio dalla prima alla seconda, e viceversa. Ciascuna autocoscienza è mediante l’altra: è la perfetta reciprocità dell’operare allo specchio.

(20) Tale dualità delle autocoscienze è un rapporto di contesa, è un duello mortale, in cui ciascuna autocoscienza cerca la morte dell’altra. Il rapporto originario è quello di guerra: gli altri rapporti, secondari, seguono solo come freno del primo (le istituzioni civili): ma Hegel non fa qui una filosofia della storia, né una filosofia del diritto o un trattato giusnaturalistico; Hegel sta soltanto facendo una fenomenologia della coscienza e ad Hegel non interessa in questo caso la storia dell’origine delle società o degli Stati. Per Hegel il conflitto, la guerra ha molta importanza (sia come guerra intersoggettiva che come guerra vera e propria, in senso pratico): la pace è un “non senso” (nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio scriverà che “La guerra per un popolo è come il vento per un fiume; senza il vento, il fiume si ristagna”). Ritorna in Hegel il concetto di Hobbes dello stato di natura, che viene prima dell’istituzione pubblica: lo stato di natura è quello dove regnano il “bellum omnium contra omnes” e l’ “homo homini lupus”.

(21) Tale duello delle autocoscienze è una negazione: ogni coscienza è certa di sé, e nega tutto ciò che è fuori di lei, compresa l’altra autocoscienza. In tale duello tra le autocoscienze c’è un terzo termine, che è la vita. Ciascuna autocoscienza proclama sé stessa come autocoscienza e l’altra come vita: la vita è considerata inferiore all’autocoscienza, perché lo sbocco naturale della vita è la morte, la vita è quindi destinata a morire, a differenza dell’autocoscienza, che, credendosi assoluto, non è destinata alla morte. Ogni autocoscienza, in questo duello, cerca quindi di dimostrare che solo lei è l’autocoscienza e che l’altra è vita: per far questo ciascuna autocoscienza cerca di uccidere l’altra. Per dimostrare di essere tale, ogni autocoscienza deve però dimostrare di non interessarsi alla propria vita, mettendola a repentaglio, rischiandola, affrontando la morte (per dimostrare che essa non è vita, e di conseguenza non muore).

(22) Le autocoscienze devono dimostrare di essere libere dai condizionamenti della vita e devono quindi affrontare questa lotta (è qui presente l’apoteosi del samurai, tipica del mondo orientale in cui questa figura è storicamente collocata).

(23) Tuttavia ogni autocoscienza non vuole che questo rapporto conflittuale si risolva con la morte dell’altra, perché, in tal caso, avrebbe dimostrato di essere autocoscienza, ma non avrebbe nessuno che la riconosce come tale, avendo ucciso l’altra: verrebbe meno il riconoscimento.

(24) Ecco che sorge la paura come esperienza metafisica: è la rinuncia alla lotta, l’arretrare di fronte alla morte. Un’autocoscienza si arrende, esce dalla lotta, per aver salva la vita. Due sono quindi gli atteggiamenti, contraddittori, in questa contesa: 1) la paura per la morte; 2) il disprezzo per la morte.

Quello che ha vinto prende l’altro e ne fa il suo schiavo: s’instaura quindi un rapporto di dominio. Al vinto basta la vita e consegna la sua libertà nelle mani dell’altro: è il rapporto tra un servo ed il suo signore, è la figura servo-padrone. Chi ha perso ha dimostrato di non essere autocoscienza perché ha dimostrato di non sapersi staccare dalla vita.

(25) Su questa figura si è scritto moltissimo: Kojève ha detto che Hegel esprime qui, in termini speculativi, la lotta di classe, anche se Hegel non poteva, chiaramente, essere un marxista. Hegel, secondo Kojève, parteciperebbe per il servo, identificato con il proletariato che lotta contro il capitalista. Marx stesso tuttavia, nell’Ideologia tedesca, vede in questa figura soltanto una “robinsonata”, astratta e borghese, e non intravede alcuna lotta di classe: è solo il rapporto astratto tra Robinson Crosue e Venerdì. La categoria di dominio (Herrschaft) è stata molto usata da Hegel nel periodo francofortese: esprime una cattiva unificazione dei due termini, in cui uno soverchia l’altro. Hegel, a Francoforte ha infatti applicato tale categoria a molti aspetti religiosi, morali e filosofici: la stessa filosofia pratica kantiana era stata considerata una morale di dominio della legge sulle inclinazioni individuali. Altra forma di dominio era il rapporto dell’uomo ebraico con il suo Dio e della natura con l’uomo ebraico: il primo termine è sempre schiavo del secondo. Anche la filosofia fichtiana era una filosofia di dominio assoluto dell’io sul non-io. Hegel inserisce questa figura, come si è detto, nel dispotismo asiatico, orientale, perché il despota non è un re: ha diritto di vita e di morte su tutti i suoi sudditi, che non sono cittadini, ma appunto sudditi. Hegel ha presente anche il diritto di guerra antico; quando in guerra uno si arrende ha perso la libertà e diventa schiavo. Hegel ha infatti presente la Politica di Aristotele, in cui si afferma che siamo schiavi per due ragioni: 1) per generazione o 2) per battaglia persa. Tale concezione del diritto
di guerra è qui presente in Hegel. Un’autocoscienza si è data come serva nelle mani dell’altra, l’unica, fra le due, che ha veramente dimostrato di essere autocoscienza.

(26-27) Il signore ordina al servo di lavorare per lui, di lavorare degli oggetti, le “cose”: il servo lavora ed il signore si gode il lavoro del servo, e resta appagato di tale godimento. Il signore si rapporto alle cose, quindi,  mediante il servo, al quale garantisce soltanto la vita.

(28) Il signore non potrebbe godere le cose senza il servo: la verità del signore è quindi una verità servile, non degna di un’autocoscienza. Il servo compie due formative ed essenziali esperienze, ben più formative del duello: 1) la paura e 2) il servizio mediante il lavoro.

(29) La paura non è psicologica, ma metafisica: tale “paura del Signore è l’inizio della sapienza” dice Hegel riprendendo la Bibbia. Tale paura è un’esperienza radicale, quella di essere nelle mani di un signore che in qualunque momento può annientarmi.. La paura “fa vacillare” il servo in tutto il suo essere, la paura educa, perché spezza tutti i vincoli della coscienza servile, che diventa autocoscienza, staccandosi dalla vita. (30) Il signore non vuole sporcarsi le mani lavorando le cose, ed obbliga il servo a lavorare. Ma tale lavoro fa sperimentare al servo la sua indipendenza, il servo mette sé stesso nelle cose, facendole diventare come sue: mediante una “dura disciplina” il servo è diventato libero, si è emancipato. Il lavoro è stata quindi una grande esperienza formativa per il servo: il lavoro è la dimensione costitutiva dell’autocoscienza.(31) Ecco che, al termine di questa figura, il rapporto si è capovolto: ciò che la coscienza credeva essere il signore, si è rivelato servo, dipendente dalle cose e da quello che inizialmente credeva essere servo, vita servile, e viceversa, il servo è diventato signore, lavorando le cose, emancipando sé stesso ed acquistando la propria indipendenza come autocoscienza. “Per Noi” qui è già sorto lo Spirito, ma non “per la coscienza”, per la quale questa figura è stata soltanto un’altra esperienza negativa, un’altra sconfitta: ma la coscienza, che s’inganna continuamente, da sola, ha bisogno di passare per tutte queste esperienze.(Cfr. G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, a cura di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze, 1979, vol. I,  pp. 153/64, parr. 13/31. I numeri sottolineati riportati tra parentesi tonde all’inizio di ogni analisi si riferiscono ai corrispondenti paragrafi sul testo hegeliano).

HEGEL ED IL MONDO CAPOVOLTO, “ INDIPENDENZA E DIPENDENZA DELL’AUTOCOSCIENZA: SIGNORIA E SERVITU’ “.ultima modifica: 2015-05-12T17:13:21+02:00da m_200
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