Studi su Kant.

IMMANUEL KANT E LA FONDAZIONE DELLA FILOSOFIA TRASCENDENTALE O “CRITICISMO”

 

1.Introduzione.

Nella filosofia di Kant confluiscono i problemi principali che avevano impegnato filosofi e scienziati fin dall’inizio dell’età moderna, visti alla luce di una nuova impostazione e di una nuova soluzione tese a costituire il punto di partenza e di riferimento obbligato per il pensiero successivo. Due sono le problematiche fondamentali del pensiero kantiano: 1)cercare le condizioni che rendano possibile all’uomo una conoscenza assolutamente valida in ogni campo del sapere; 2)far superare all’uomo i dati empirici, singoli e contingenti, per giungere a conoscenze universali e necessarie. Mentre la matematica e la fisica tradizionali, per Kant, pur cercando di superare l’esperienza, rimanevano sempre legate ad essa, la metafisica tradizionale, invece, ponendo i problemi dell’esistenza di Dio, della libertà umana e dell’immortalità dell’anima, cercava realmente di superare l’esperienza. Kant ritiene di poter fare piena luce su tali problemi, sottoponendoli allo spietato esame critico del “tribunale della Ragione”, con piena fiducia nei suoi risultati. La stessa ragione deve però, per Kant, essere sottoposta ad un esame critico, per vedere ciò che, di diritto, essa può conoscere o non conoscere (Hegel criticherà Kant su questo punto, accusandolo di aver svolto un’operazione illecita, in quanto la ragione particolare di un singolo uomo non può sottoporre ad esame critico la Ragione Universale dell’Umanità). La conoscenza sarà per Kant, come vedremo, il risultato di un concorso di elementi provenienti dall’oggetto, dal mondo esterno quindi, e dal soggetto, che è l’uomo: l’uomo è quindi in parte passivo ed in parte attivo nel processo conoscitivo. L’originalità della filosofia kantiana pone infatti, in modo nuovo, la centralità dell’uomo nella natura. L’uomo, trasformando la natura secondo il suo volere, è attivo, è ‘homo faber’, in senso baconiano, ma soprattutto egli è attivo perché la natura, così come gli si presenta, è già il risultato del modo umano di conoscere. Se vogliamo quindi sapere cos’è la conoscenza della natura, dobbiamo guardare innanzitutto non agli aspetti da conoscere, ma al soggetto conoscente. Lo stesso campo della vita pratica umana deve essere sottoposto alla ragione critica non meno di quello della sua vita teoretica. Per esprimere tale originale cambiamento di prospettiva apportato da Kant in filosofia, egli stesso si è rifatto alla “rivoluzione copernicana”: come Copernico ha infatti spostato il centro dell’universo dalla terra al sole, così in filosofia Kant dichiara di aver spostato il centro della conoscenza dall’oggetto al soggetto. Come vedremo, Kant riuscirà ‘solo per metà’ ad attuare tale cambiamento, che tuttavia costituisce uno dei risultati fondamentali del suo pensiero, indispensabile allo sviluppo della filosofia a lui successiva.

2.Vita ed opere. Lettura dell’articolo kantiano “Che cos’è l’Illuminismo?”

Immanuel Kant nacque a Konigsberg, nella Prussia Orientale (corrispondente all’attuale città russa di Kaliningrad) il 22 aprile 1724. Il padre, modesto sellaio, impartì al figlio una profonda educazione morale; la madre gli comunicò la sua religiosità pietista (i pietisti erano una setta luterana molto rigida per quanto riguarda il comportamento morale). Studiò al Collegio Fridericianum, di indirizzo religioso pietista (i padri fridericiani erano pietisti), molto severo: Kant s’impadronì qui del latino e del greco. Nel 1740 s’iscrisse all’Università di Konigsberg, ove studiò filosofia, matematica e fisica newtoniane. Dopo aver fatto il precettore per alcuni anni (la figura del precettore era assai ricorrente nella Germania tra Sette ed Ottocento), iniziò la carriera accademica come libero docente: s’interessò principalmente del problema metafisico. Studiò le filosofie di Newton, Leibniz, Wolff (un illuminista tedesco, contemporaneo ed amico di Lessing), Locke, Hume ed i nuovi pensatori illuministi, con particolare riferimento alla metafisica, come afferma nei Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica (1766). Nel 1770 diventa professore ordinario con la dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (Intorno alla forma ed ai principi del mondo sensibile ed intelligibile): tale opera è nota con il titolo di Dissertazione del ’70. L’opera, a carattere gnoseologico, chiude il cosiddetto “periodo pre-critico” di Kant ed apre il “periodo critico”: Kant non è quindi più solo uno studioso di dottrine altrui, ma fonda una propria filosofia. Egli ritiene, in quest’opera, di aver scoperto un metodo sicuro per esaminare (nel senso di giudicare criticamente) tutti i problemi. Nel 1781 Kant pubblica la sua prima grande opera critica, in cui è contenuta la più ampia formulazione del suo pensiero teoretico: la Critica della Ragion Pura. Seguiranno i Prolegomini ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza (1783), in cui Kant ripropone i temi dell’opera precedente in forma più semplice e sommaria, e pone le condizioni che ogni scienza deve avere per essere considerata tale. Nel 1784, su un mensile berlinese Kant pubblica un importante articolo, “Che cos’è l’Illuminismo?”, in cui risponde alla domanda, sostenendo che l’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità” e la capacità di fare “pubblico uso della propria ragione”: quest’articolo è considerato il manifesto programmatico dell’Illuminismo, come si può vedere dallo stesso testo.

“L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a sé stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a sé stessi è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e di coraggio di far uso del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere Aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E’ dunque questo il motto dell’Illuminismo. La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo fatti liberi da direzione estranea, rimangono ciò nondimeno volentieri per l’intera vita minorenni, per cui riesce facile agli altri erigersi a loro tutori. Ed è così comodo essere minorenni! (…). Sennonché a questo rischiaramento (Aufklarung) non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: <<Non ragionate!>> L’ufficiale dice: <<Non ragionate, ma fate esercitazioni militari>>. L’impiegato di finanza: <<Non ragionate, ma pagate!>> L’uomo di chiesa: <<Non ragionate, ma credete!>>. Qui v’è, dovunque, limitazione della libertà”.

Spostando il suo interesse al campo morale, Kant scrive la Fondazione della metafisica dei costumi (1785) e la Critica della Ragion Pratica (1788), opera, quest’ultima, di immensa importanza, contenente la base della morale kantiana. Terza ed ultima grande opera è la Critica del giudizio (1790), dedicata al problema estetico, già anticipato nelle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, un piccolo trattato del 1764. Temi etici e religiosi risultano invece intrecciati ne La religione nei limiti della semplice ragione (1793), condannata dal governo prussiano di Federico Guglielmo II, che ingiunse al filosofo di non esporre mai più simili dottrine: Kant obbedì fino alla morte di Federico Guglielmo II , avvenuta nel 1797, anno in cui il pensatore, riassunta tutta la sua libertà di espressione, pubblicò La metafisica dei costumi. Di Kant si ricordi anche Per la pace perpetua (1795), in cui affronta questioni di politica e di diritto internazionale, permeate dalle idee illuministiche. Il filosofo trascorse l’ultima parte della sua vita scrivendo una serie di altri trattati di scienze, religione, logica, antropologia, politica, filosofia della storia, filosofia della natura, per lo più pubblicati postumi. Ultima opera kantiana sono le Lezioni di pedagogia (1803). Morì il 27 febbraio 1804 a Konigsberg, sua città natale, ove era vissuto senza mai allontanarsi per lunghi viaggi. Si ricordi la precisione del filosofo, chiamato “l’orologio di Konigsberg”: passando tutto il giorno a studiare, usciva tutte le sere alle cinque, momento in cui la gente, vedendolo passare, rimetteva l’orologio. Mancò, secondo l’aneddoto, a tale metodica abitudine, in sole due occasioni: per la frattura di un braccio e, nel luglio del 1789, perché intento a discutere, nella propria casa, con amici, sulla recente presa della Bastiglia in Francia, appena scossa dalla Rivoluzione.

3.Quadro riepilogativo delle opere fondamentali.

A) Scritti del periodo pre-critico:

1764 – Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime (anticipa concetti della Critica del giudizio,1790)

1766 – Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica.

1770De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (Sulla forma ed i principi del mondo sensibile ed intelligibile, nota come Dissertazione del ’70, è la dissertazione con la quale Kant vince la

cattedra di professore ordinario all’Università di Konigsberg ed è l’opera che segna la svolta dalla produzione pre-critica a quella critica, in cui Kant non è più un semplice studioso e rielaboratore di dottrine altrui, ma fonda una propria filosofia, appunto il “Criticismo” o “Filosofia trascendentale”).

B) Scritti del periodo critico:

1781Critica della ragion pura

1783 – Prolegomeni ad ogni futura metafisica che vorrà presentarsi come scienza

1784 – Che cos’è l’Illuminismo? (articolo pubblicato su un mensile berlinese)

1785 – Fondazione della metafisica dei costumi (anticipa concetti della Critica della ragion pratica, 1788)

1788Critica della ragion pratica

1790Critica del giudizio

1793 – La religione nei limiti della semplice ragione

1795 – Per la pace perpetua

1797 – La metafisica dei costumi; 1803 – Lezioni di pedagogia

4.Cenni sul periodo ‘pre-critico’ .

Gli interessi del Kant ‘pre-critico’ anticipano quelli del periodo critico. Nei Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica (1766) esprime infatti la sua sfiducia sui problemi della metafisica, accostandoli satiricamente ai sogni di un noto visionario svedese del suo tempo. Accetta inoltre il metodo deduttivo matematico, la fisica newtoniana, il pensiero di Wolff, illuminista tedesco, e soprattutto il principio leibniziano di “ragion sufficiente” e la metafisica monadologica. In campo etico, Kant è per il momento un seguace del moralismo illuministico inglese. Sia in sede teoretica che pratica emerge quindi un Kant sostanzialmente pre-illuminista ed illuminista.

5.La svolta fondamentale nella concezione dello spazio e del tempo: la Dissertazione del ’70. “Fenomeno”, “noumeno” o “Cosa in sé”, “a priori” o “puro” o “trascendentale”, “rivoluzione copernicana”

Nella Dissertazione del ’70, opera che segna la svolta decisiva del pensiero kantiano dalla fase ‘pre-critica’ a quella ‘critica’, Kant sostiene che noi non conosciamo gli oggetti come sono in realtà, ma solo come essi ci appaiono attraverso le modificazioni che, attraverso i sensi, producono in noi: noi conosciamo l’oggetto, quindi, per come ci appare, non per come è realmente. La conoscenza sensibile è pertanto solo quella fenomenica (fenomeno = ciò che appare, dal greco fainomiai ). Se è così, afferma Kant, spazio e tempo non possono essere conoscenze oggettive, ma forme della nostra sensibilità che “vengono prima” della conoscenza, categorie che condizionano ogni nostra conoscenza sensibile, “ricettacoli” della conoscenza sensibile, dunque. Kant definisce spazio e tempo come forme a priori. L’espressione  “a priori” trova in Kant due sinonimi, “trascendentale” e “puro”: significa 1)ciò che è indipendente dall’esperienza e 2)ciò che rende possibile l’esperienza stessa. La scienza, la vera conoscenza (quella scientifica) deve quindi essere a priori. Questi  concetti saranno ribaditi da Kant nei Prolegomini ad ogni futura metafisica che vorrà presentarsi come scienza, in cui il filosofo pone appunto le premesse, i postulati indispensabili che una scienza deve avere per definirsi tale e per non essere invece una “pseudo-scienza”, una “volgare metafisica che si vuole spacciare per vera scienza”; tali requisiti sono quindi quelli di universalità, necessità ed estensione del sapere. La conoscenza fenomenica è data, come si è detto, dall’oggetto, dalla sensibilità esterna, e dal soggetto, che elabora la sensibilità in un determinato modo: per questo la “rivoluzione copernicana” è stata attuata da Kant “solo per metà”, in quanto non c’è stato uno spostamento dall’asse dell’ oggetto a quello del soggetto, ma dall’oggetto alla compartecipazione di soggetto ed oggetto; solo con l’idealismo, ed in particolare con l’idealismo hegeliano (la terza grande filosofia idealistica, dopo quelle di Fichte e di Schelling) si compirà completamente la “rivoluzione copernicana”, in cui avremo la costruzione di un “Soggetto Assoluto”. La conoscenza kantiana è inoltre solo quella fenomenica, come si è visto, perché la conoscenza dell’oggetto come realmente è rimane ignota: di uno oggetto esterno noi conosciamo soltanto come esso ci appare, ma una parte dell’oggetto, che Kant definisce “Noumeno” o “Cosa in sé” (“Ding an sich”) rimane oscura ed ignota. Saranno proprio queste le principali accuse che gli idealisti, ed in particolare Hegel, muoveranno a Kant: 1)di avere attuato solo parzialmente la “rivoluzione copernicana” e 2)di aver lasciato il Noumeno, definito da Kant come “ciò che esiste, ma è inconoscibile”, a differenza del fenomeno, che, come si è visto, esiste ed è l’unica parte conoscibile dell’oggetto.

CARTESIO (RAZIONALISMO):  OGGETTO   ==> SOGGETTO.

KANT          (CRITICISMO):         SOGGETTO  ó  OGGETTO.

HEGEL        (IDEALISMO):          SOGGETTO ==> OGGETTO.

Cartesio poteva essere il primo idealista, se avesse fatto dell’ Io (“Res cogitans” o “Soggetto”) il fondamento di tutta la realtà e non fosse uscito dall’ Io per cercare un’altra entità, appunto il mondo (“Res extensa” o “Oggetto” o “Non-Io”).

6.La Critica della Ragion Pura ed il problema teoretico. La Critica della Ragion Pura (1781) consta di un’introduzione e di due parti, la seconda delle quali è a sua volta articolata in altre due. Si consideri la seguente mappa concettuale riepilogativa della Critica della Ragion Pura:

INTRODUZIONE

I. ESTETICA TRASCENDENTALE ==> Matematica:geometria ===>spazio;\SENSIBILITA= >SCIENZA

aritmetica       ====>tempo /

II. LOGICA TRASCENDENTALE:

A) ANALITICA TRASCENDENTALE ==> Fisica => (INTELLETTO)=> SCIENZA

B) DIALETTICA TRASCENDENTALE==>RAGIONE=>Teologia => =>METAFISICA, NON SCIENZA

Introduzione. Parte I: Estetica Trascendentale: critiche al razionalismo ed all’empirismo e definizione dei “giudizi scientifici”, fondazione del “Criticismo” o “Filosofia Trascendentale”, sensibilità, aritmetica e geometria.

E’ innanzitutto importante comprendere il senso del titolo dell’opera kantiana: “Critica” significa “Esame” (nel senso greco del termine) e non “critica negativa”; per “Ragion” Kant intende la “Ragione Universale dell’ Umanità” e per “Pura” intende “A priori” o “Trascendentale”, cioè ciò che è “indipendente dall’esperienza, ma che rende possibile l’esperienza stessa”, come si è visto In quest’opera il filosofo affronta quindi il problema teoretico.

Nell’Introduzione e nell’Estetica Trascendentale, la prima parte dell’opera kantiana, Kant si chiede cosa siano i giudizi scientifici e prende in esame, in proposito, le due principali correnti di pensiero dell’età moderna, vale a dire il razionalismo e l’empirismo. Dopo aver, nell’Introduzione all’opera, ringraziato Hume, che con la sua filosofia scettica lo aveva “svegliato dal sonno dogmatico” (cioè razionalista), Kant, nell’Estetica Trascendentale sostiene che né i razionalisti, né gli empiristi hanno prodotto veri giudizi scientifici. I razionalisti, come Cartesio e Leibniz, hanno fondato la loro conoscenza su giudizi analitici a priori, nei quali il predicato è già contenuto nel soggetto: si pensi infatti a giudizi come “I corpi sono estesi” o “La rosa è un fiore” o “La mela è un frutto”. Gli empiristi, come Locke, hanno invece fondato la loro conoscenza su giudizi sintetici a posteriori: si pensi infatti a giudizi come “I corpi sono grandi” o “La rosa è rossa” o “La mela è verde”, nei quali il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto a quanto è contenuto nel soggetto, ma non in modo universale e necessario. I giudizi dei razionalisti sono quindi universali e necessari, ma non estensivi del sapere, mentre quelli degli empiristi non sono né universali, né necessari, ma solo estensivi del sapere. I veri giudizi scientifici devono invece essere, come si è visto, universali, necessari ed estensivi del sapere, e questi giudizi non saranno quindi né analitici a priori, come quelli dei razionalisti, né sintetici a posteriori, come quelli degli empiristi, ma sintetici a priori: la conoscenza scientifica è quindi per Kant una sintesi a priori di ciò che mi perverrà dal soggetto e dall’oggetto. Solo i giudizi sintetici a priori sono infatti universali, necessari ed estensivi del sapere, come “Tutto ciò che accade ha una sua causa” e “ 5 + 7 = 12 “.  La filosofia kantiana si chiama “Criticismo” proprio perché muove dalle critiche alle precedenti filosofie, dalle quali elimina alcuni concetti e ne riprende altri, sintetizzandoli. Si consideri quindi la seguente mappa concettuale sull’Estetica Trascendentale:

RAZIONALISMO                                   EMPIRISMO

“La rosa è un fiore”                                 “La rosa è rossa”

UNIVERSALI                                          Non Universali

NECESSARI                                            Non Necessari

Non Estensivi del sapere                          ESTENSIVI DEL SAPERE

| |                                                                  | |

| |                                                                  | |

\    /                                                               \    /

\/                                                                   \/

GIUDIZI ANALITICI A PRIORI                  GIUDIZI SINTETICI A POSTERIORI

| |

| |

\    /

\/

CRITICISMO KANTIANO

“Tutto ciò che accade ha sua causa”; “ 5 + 7 = 12 ”

UNIVERSALI

NECESSARI

ESTENSIVI DEL SAPERE

| |

| |

\   /

\/

GIUDIZI SINTETICI A PRIORI, veri ed unici

giudizi scientifici à CONOSCENZA = SINTESI A

PRIORI di SOGG. + OGG. FENOMENICO.

Discutendo sulla matematica e sulle sue due parti fondamentali, geometria ed aritmetica, Kant afferma che non è possibile, per quanto riguarda la geometria, immaginare figure, piane o solide che siano, se non inserite in uno spazio: lo spazio è quindi la forma a priori del senso esterno. Circa l’aritmetica, non è poi concepibile il numerare aritmetico, non è pensabile alcuna espressione aritmetica se non collocata in un tempo: il tempo è quindi la forma a priori del senso interno. Una scienza, oltre ad essere a priori, deve possedere per Kant tre condizioni: 1)dev’essere universale (cioè valevole in qualsiasi spazio ed in qualsiasi tempo), 2)dev’essere necessaria (“ciò che assolutamente è e non può non essere” e che è quindi opposto a “contingente”, che invece “può essere e non essere”), 3)dev’essere infine estensiva del sapere (deve cioè estendere la conoscenza ad altre discipline, ad altre forme di sapere).

Kant conclude l’Estetica Trascendentale sostenendo che la matematica è vera scienza, poiché universale, necessaria ed estensiva del sapere (estende la propria conoscenza ad altre discipline, quali ad esempio la fisica) ed in quanto le sue due componenti fondamentali, geometria ed aritmetica, sono fondate, come si è visto, su spazio e tempo, rispettivamente forme a priori del senso esterno e del senso interno. Kant ha qui studiato quindi i sensi, la sensibilità come strumento di conoscenza. Il termine “estetica” è qui inteso da Kant etimologicamente, come “dottrina della sensibilità” (dal greco “aìsthesis” = “sensazione”).

Parte II: Logica Trascendentale => A) Analitica Trascendentale. Intelletto, categorie, “Io Penso” o “Appercezione Trascendentale”, “Schematismo Trascendentale” o “Immaginazione Trascendentale”.

L’analitica trascendentale è la prima della seconda parte dell’opera kantiana dedicata al problema gnoseologico (di fatto, la seconda parte); ivi Kant studia un altro strumento umano di conoscenza, l’intelletto e si pone la domanda se la fisica sia vera scienza. Per quanto concerne l’intelletto, Kant definisce il concetto di categoria: le categorie sono “modi di giudicare del nostro intelletto” (in Aristotele le categorie erano invece i supremi modi o generi dell’essere) e “conoscere”, per l’intelletto, significa quindi “giudicare”. Le categorie kantiane sono 12, divise in quattro gruppi di 3 ciascuno: quantità, qualità, relazione, modalità. L’intelletto è quindi costituito da 12 categorie, divise in questi 4 gruppi di 3 categorie ciascuno: per conoscere la fisica, cioè il mondo fisico, la natura, queste categorie dovranno essere riempite con i dati tratti dall’esperienza: se questo non accadesse, la categorie rimarrebbero “vuote”, da una parte, mentre dall’altra avremmo “l’empiria cieca”, cioè i dati fisici empirici disordinati. L’operazione unificatrice dell’intelletto con l’esperienza sensibile è garantita dall’ “Io Penso” o “appercezione trascendentale”, che garantisce appunto che le categorie non restino “vuote” e che l’empiria non rimanga “separata” dall’intelletto e quindi “cieca”. L’Io Penso, pertanto, legifera e legittima l’operazione di nesso tra categorie ed empiria, ma tale “io penso” è dogmaticamente introdotto da Kant, senza alcuna dimostrazione: per questa introduzione dell’Io Penso Kant sarà accusato da Hegel di dogmatismo, di essere cioè caduto nello stesso errore in cui era caduto Cartesio, che aveva dogmaticamente introdotto la “ghiandola pineale”, con sede nel cervello, per garantire il nesso tra “res cogitans” e “res extensa”, tra soggetto ed oggetto, quindi. L’Io Penso, secondo Kant, non è una qualità del singolo intelletto individuale, ma di tutti, ed ha quindi una valenza universale per tutta l’umanità pensante. Ma in quale ordine l’intelletto deve procedere nell’esaminare i dati empirici della sensibilità affinchè questi si inseriscano nelle rispettive categorie? In quale, quindi, scansione temporale, cronologica, deve avvenire questa operazione di inserimento dell’esperienza nelle categorie dell’intelletto? Kant risolve dogmaticamente anche questo problema, e ciò comporterà una successiva critica da parte di Hegel. Kant introduce qui lo “Schematismo Trascendentale” o “Immaginazione Trascendentale”, che ha sempre valore universale, come l’Io penso, e non individuale: si tratta di una facoltà umana che stabilisce appunto la successione temporale con cui i dati sensibili devono presentarsi all’intelletto. Si consideri, in proposito, la seguente mappa concettuale (l’intelletto, in Kant, è quindi quella facoltà conoscitiva umana che indaga sui fenomeni, mentre la ragione si sforza, anche se invano, di conoscere il noumeno):

____________                                                                          __________________

| INTELLETTO |                       IO PENSO  o                        | SENSIBILITA’           |

|(CATEGORIE) < = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = > (EMPIRIA CIECA),|

| VUOTE)_____|   APPERCEZIONE TRASCENDENTALE | FENOMENI______  |

/\                                                                                                 /\

/    \                                                                                             /    \

| |                                                                                                | |

| |                                                                                                | |

| |__SCHEMATISMO o IMMAGINAZIONE_______________| |______

|_______TRASCENDENTALE________________________________|

La fisica, afferma quindi Kant alla fine dell’Analitica Trascendentale, è vera scienza perché universale, necessaria ed estensiva del sapere; la fisica è studiata non più dalla sensibilità (come invece la matematica), ma da un’altra facoltà conoscitiva umana, l’intelletto.

Parte II: Logica Trascendentale => B) Dialettica Trascendentale. Critiche alla psicologia, cosmologia e teologia razionali; critiche alle prove ontologica, cosmologica e fisica dell’esistenza di Dio, l’errore di “paralogismo”.

Nella Dialettica Trascendentale, ultima parte dell’opera kantiana dedicata alla teoretica, la ragione formula tre idee, quella dell’anima, relativa all’io, quella del mondo, relativa alla natura, e quella di Dio. Nascono così, per Kant, le tre discipline caratteristiche della metafisica: la psicologia razionale, la cosmologia razionale e la teologia razionale. La ragione è quindi la facoltà conoscitiva umana studiata ora da Kant, dopo la sensibilità e l’intelletto. Per un errore, la ragione, afferma Kant, crede che tali idee siano tre realtà esistenti effettivamente ed in sé compiute: la ragione scambia quindi tre idee per tre realtà cadendo nell’errore di paralogismo, ossia di confusione tra il piano logico(quello delle idee) e quello ontologico (quello della realtà). E’ questo per Kant l’errore di alcuni razionalisti illuministi, come Wolff, che credevano ai poteri illimitati della ragione. Queste tre idee sono per Kant inconoscibili alla ragione, sono tre cose in sé che restano nell’ambito del noumeno, ignoto anche alla ragione. Hegel criticherà aspramente Kant su questo punto, perché Kant, secondo Hegel, ha giustamente considerate finite le conoscenze della sensibilità e dell’intelletto, ma sbaglia ritenendo finite anche le possibilità della ragione (Vernunft): Kant ha posto dei “pali di confine” alla ragione, afferma Hegel in Fede e Sapere (cfr. G. W. F. Hegel, Fede e Sapere, in Primi scritti critici, a cura di Remo Bodei, Mursia, Milano, 1981, p. 149). Kant critica fortemente la psicologia razionale perché avrebbe confuso l’Io Penso, che è universale, con l’io empirico, che è invece individuale e che non può comprendere l’immortalità dell’anima, né pronunciarsi in proposito. La cosmologia razionale concerne il mondo, che, come si è visto nell’Analitica Trascendentale, è solo un complesso di fenomeni; esiste un mondo noumenico, ma è inconoscibile anche per la ragione. Non si può quindi legittimamente parlare neanche di cosmologia razionale. Kant critica infine la teologia razionale e le tre fondamentali prove sull’esistenza di Dio. La prova ontologica confonde essenza ed esistenza e cade nell’errore di paralogismo, errore commesso da Anselmo d’Aosta nel Medioevo e ripetuto da Cartesio in età moderna. La prova cosmologica fa derivare l’esistenza di Dio da quella del mondo, ma è questa per Kant un’operazione arbitraria, perché la legge di causalità non si può applicare fuori del mondo fenomenico. Criticando la prova fisica, addotta da Newton, Kant afferma che l’ordine del mondo potrebbe provenire da un finalismo intrinseco al mondo naturale, e non c’è quindi bisogno di ricorrere a Dio: neanche la prova fisica dimostra quindi l’esistenza di Dio, che resta un noumeno. La teologia non è quindi scienza, a differenza della matematica e della fisica, ma metafisica. La facoltà umana conoscitiva studiata qui da Kant è quindi la ragione, che resta “impotente” nella conoscenza del noumeno

La critica alla metafisica tradizionale, con la quale si chiude l’opera, non porta però Kant allo scetticismo, ma a seguire altre strade, diverse da quelle teoretiche, per vedere se la metafisica, che è comunque fondamento della vita morale umana, può essere più valida in campo pratico: in tale ricerca consiste la Critica della Ragion Pratica (1788).

7.La Critica della Ragion Pratica ed il problema morale: la legge morale o “imperativo categorico”, le sue massime ed i postulati della “Ragion Pratica”, gli “imperativi ipotetici”, “Santità” o “Virtù”, “Felicità”, “Sommo Bene”. Il “Primato” della “Ragion Pratica” sulla “Ragion Pura”: lettura della “Conclusione” della Critica della Ragion Pratica: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”

Nella Critica della Ragion Pratica (1788) Kant affronta il problema morale (intendendo anche qui l’esame della Morale universale dell’Umanità), convinto che nell’uomo esista una legge morale, universale, necessaria e del tutto autonoma, dettata dalla sola ragione umana, e non immessa nell’uomo da Dio. Osservazioni analoghe si riscontrano già in un’opera del 1785, la Fondazione della metafisica dei costumi. L’uomo è quindi creatore ed arbitro della legge morale, che si presenta come un imperativo categorico che contrasta con le inclinazioni sensibili umane: la legge morale è quindi un comando, un’autorepressione, da parte dell’uomo, dei propri sentimenti. Tale rigorismo etico, di origine protestante pietista, concepisce il dovere solo in funzione ed in virtù del dovere stesso: la legge morale è quindi anche astratta e formale, non spiega il contenuto di un’azione, il senso, ma comanda, in modo assoluto e indiscutibile, soltanto l’azione. In proposito Kant distingue due tipi di imperativi: l’imperativo categorico, che è uno solo, unico ed universale per tutta l’umanità, e gli imperativi ipotetici, che sono invece infiniti e comandano qualcosa in vista del fine che si vuole raggiungere; ad esempio, l’imperativo ipotetico afferma “Se vuoi essere promosso, devi studiare”, mentre l’imperativo categorico ordina soltanto “Studia”. L’imperativo categorico prescinde quindi dal contenuto dell’azione per prescriverne solo la forma. Per tale rigorismo, che giunge all’autorepressione delle inclinazioni sensibili, e per il suo formalismo, così vuoto ed astratto, la morale kantiana sarà duramente accusata da Hegel di “eteronomia”, e cioè negazione della morale stessa, di essere quindi una morale del dominio (Herrschaft) della ragione sui sensi.

L’imperativo categorico si esplica in tre massime: 1)”Agisci secondo una massima che implichi la sua validità universale”; 2)”Considera l’umanità, in te e negli altri, sempre come fine, mai come mezzo”; 3)”Cerca di costituire una legislazione universale”, che Kant definisce “Regno dei fini” o “Regno dei giusti”.  La seconda, come si può notare, è la più romantica delle tre massime (emerge una concezione morale antitetica a quella di Machiavelli, per il quale il fine di un’azione giustificava i mezzi), mentre la terza invita a cercare altre persone che vivono seguendo i dettami della legge morale. La “ragion pratica”, ossia la morale, presenta anche tre postulati, che l’uomo necessariamente pone in sé una volta avvertita la presenza della legge morale: 1) la libertà, che è però sempre limitata dalla legge morale, 2)l’immortalità dell’anima e 3)l’esistenza di Dio; questi ultimi due postulati sono quindi possibili in ambito morale, anche se non lo erano in quello teoretico. L’immortalità dell’anima è un postulato necessario per conseguire la “santità”, che è la perfetta conformità alla legge morale, e l’esistenza di Dio è un postulato indispensabile per il raggiungimento del Sommo Bene, che è la perfetta unione di virtù ( o santità) e di felicità (non intesa come piacere, ma come disposizione delle cose della natura secondo il volere della legge morale). Dio è infatti supposto e la legge morale non deriva da Dio, come si è detto. Dio è postulato, e non dimostrato razionalmente, dalla legge morale, per il raggiungimento di quanto essa comanda, e cioè il raggiungimento del Sommo Bene. La santità rappresenta quindi il punto di vista soggettivo, lo sforzo del soggetto, mentre la felicità trova invece il suo fondamento nell’oggetto, nelle cose delle natura, nel mondo esterno. Il Sommo Bene, in quanto sintesi di santità (o virtù) e felicità, si pone, di conseguenza, come la sintesi morale  tra soggetto ed oggetto, cioè tra santità (o virtù) e felicità.

Postulando, anche se non dimostrando razionalmente l’esistenza di Dio, Kant pone il “primato della ragion pratica sulla ragion pura”, perché nella ragion pura non era possibile neanche postulare l’esistenza di Dio. Con l’affermazione di questo “primato” si chiude la Critica della Ragion Pratica. Leggiamo quindi la conclusione della Critica della Ragion Pratica in cui si afferma questo “primato”.

“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di reverenza sempre nuove e crescenti, quanto più spesso e più a lungo il pensiero vi si ferma su: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Queste due cose, non ho da cercarle fuori della portata della mia vista, avvolte in oscurità, e nel trascendente; né devo, semplicemente, presumerle: le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal luogo, che occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a grandezze immensurabili, con mondi sopra mondi, e sistemi di sistemi; e, oltre a ciò, ai tempi senza confine del loro movimento periodico, del loro inizio e del loro durare. La seconda parte dal mio Io invisibile, dalla mia personalità; e mi rappresenta in un mondo che ha un’infinità vera, ma è percepibile solo dall’intelletto, e con il quale (ma, perciò, anche al tempo stesso con tutti quei mondi visibili) mi riconosco in una connessione non semplicemente accidentale, come nel primo caso bensì universale e necessaria. La prima veduta, di un insieme innumerabile di mondi, annienta, per così dire, la mia importanza di creatura animale, che dovrà restituire la materia di cui è fatta al pianeta (un semplice punto nell’universo), dopo essere stata dotata per breve tempo (non si sa come) di forza vitale. La seconda, al contrario, innalza infinitamente il mio valore, come valore di una intelligenza, in grazia della mia personalità, in cui la legge morale mi rivela una vita indipendente dall’animalità, e perfino dall’intero mondo sensibile: almeno per quel che si può desumere dalla destinazione finale della mia esistenza in virtù di questa legge; la quale destinazione non è limitata alle condizioni ed ai confini di questa vita, ma va all’infinito”.

Il destino dell’uomo, dunque, è l’infinito: si nota qui come Kant inizi a distaccarsi dall’Illuminismo razionalistico della Critica della ragion Pura per tendere verso il Romanticismo, che sarà tutto proteso, nella sua poesia e nella sua filosofia, verso appunto l’ansia d’infinito; tale distacco sarà ancora più evidente nella Critica del giudizio. La famosa frase “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”, con la quale solitamente si suole intitolare questa conclusione kantiana, è scritta sulla lapide del filosofo.

I)LIBERTA’ = OBBEDIENZA INCONDIZIONATA ALLA LEGGE MORALE.

SANTITA’ O VIRTU’: PERFETTA CONFORMITA’ ALLA LEGGE MORALE-à SOGG.

FELICITA’ = DISPOSIZIONE DELLE COSE DELLA NATURA SECONDO IL VOLERE DELLA

LEGGE MORALEàOGG.-à IMPERATIVO CATEGORICO (UNICO, FORMALE, UNIVERSALE);

Imperativi ipotetici (infiniti e condizionati).

II)IMMORTALITA’DELL’ANIMAàSANTITA’ O VIRTU’(CONFORMITA’ ALLA LEGGE MORALE)à SOGG.

III)ESISTENZA DI DIO à SOMMO BENE (SANTITA’ O VIRTU’+FELICITA’)-à SOGG.+ OGG.

8.La religione nei limiti della semplice ragione: la “Chiesa invisibile”, religione e morale.

Con il postulato dell’esistenza di Dio l’etica conduce alla religione: la religione kantiana è essenzialmente razionale, non necessita di dogmi, clero o culto, perché consiste nella “conoscenza di tutti i doveri come comandamenti divini”, afferma Kant ne La religione nei limiti della semplice ragione (1793).  Osservazioni analoghe si ritrovano in un’opera del 1797, La metafisica dei costumi, in cui Kant, dopo la morte di Federico Guglielmo II, che gli aveva ingiunto di non scrivere opere del genere, riprende la sua libertà di scrittore. La religione vagheggiata dal filosofo è quella naturale, deistica, degli illuministi, in contrapposizione alle religioni rivelate (positive, storiche). I seguaci di tale religione, coincidente con la morale e comprensibile con il solo uso della ragione, costituiscono la “Chiesa invisibile”. Il cristianesimo è per Kant l’unica religione positiva che può essere ricondotta, mediante la spiegazione razionale dei suoi dogmi, alla religione naturale. Cristo non è il figlio di Dio, disceso dal cielo, ma l’ideale di uomo morale, ed il peccato originale è un “male radicale” dovuto alla continua inclinazione umana a trasgredire la legge morale.

9.Diritto e politica: moralità, legalità, cosmopolitismo giuridico ne La pace perpetua.

Al tema della morale si collegano quelli del diritto e della politica. Per comprendere il diritto dobbiamo tener presente la distinzione kantiana tra moralità e legalità: la moralità è il conformarsi alla legge morale solo per sé stessa, come si è detto, e non per interessi personali o imposizioni esterne, da parte, ad esempio, di uno Stato, mentre la legalità non è il necessario conformarsi alla legge morale, che è interna, ma a quanto è comandato esteriormente. Moralità e legalità possono anche coincidere, ma non necessariamente. Sulla legalità si fonda il diritto, che bada all’esteriorità dell’azione; diritto innato fondamentale è la libertà di ognuno nel rispetto della libertà altrui e garantire tale diritto è compito dello Stato, che è una comunità giuridicamente ordinata e definita da Kant  “Stato di diritto”. La concezione kantiana dello Stato è quindi decisamente liberale, tipica del pensiero illuminista. Kant fa propria e rielabora anche la tesi volterriana del “cosmopolitismo illuminista”, sostenendo, in uno scritto del 1795 intitolato Per la pace perpetua, il “cosmopolitismo giuridico”, tendente ad una confederazione mondiale di Stati liberi, poiché solo il cosmopolitismo giuridico può garantire agli uomini la “pace perpetua”, che è il fine supremo della storia. E’ anche questa una teoria illuministica possibile soltanto nel campo del diritto internazionale.

10.La Critica del giudizio ed il problema estetico: giudizi determinante e riflettente. Il giudizio riflettente estetico: “bello” e “sublime”, “bello libero” e “bello aderente”, “sublime dinamico” e “sublime matematico”. Il giudizio teleologico.

Nella Critica del giudizio (1790), ultima delle tre grandi “Critiche” kantiane, il filosofo si pone il problema estetico: si consideri che il termine “estetica” è qui inteso da Kant nel moderno senso di “dottrina dell’arte” e non in quello etimologico di “dottrina della sensibilità”, come invece nell’Estetica Trascendentale. Simili considerazioni si trovano anticipate in una breve opera del 1764, le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, uno scritto di difficile lettura, come la stessa Critica del giudizio e la Critica della Ragion Pura; la Critica della Ragion Pratica è sicuramente, fra le tre “Critiche”, la più accessibile.

Più in particolare, nella Critica del giudizio Kant si propone di superare il dualismo esistente tra ragion pura e ragion pratica, cioè tra il determinismo della natura e la legge morale. Per superare tale “incommensurabile abisso”, Kant si rivolge alla sfera del sentimento, inteso come una facoltà dell’anima.

Quest’opera studia due tipi di giudizio: 1)il giudizio determinante ed 2)il giudizio riflettente; questo secondo si articola in A)giudizio estetico ed in B)giudizio teleologico.

1)Il giudizio determinante si fonda su un concetto universale già dato, come una legge universale o una categoria del pensiero, sulla quale agisce l’intelletto; è il giudizio conoscitivo del quale si è parlato nella Critica della Ragion pura.

2)Il giudizio riflettente non si fonda invece su una legge universale, ma sulla facoltà di giudicare, di riflettere sul mondo della natura precedentemente costituito dall’intelletto. Con tale riflessione l’uomo cerca di trovare l’accordo che deve intercorrere tra il mondo fenomenico e le esigenze della vita morale; egli infatti avverte il bisogno che le leggi della natura si accordino, o almeno non siano in contrasto, con il suo agire morale. I giudizi riflettenti sono, per Kant, due: A)il giudizio estetico ed B)il giudizio teleologico. Il giudizio estetico ha per oggetto lo studio del bello e del sublime. Il sentimento del bello è puramente soggettivo e non presenta alcun nesso con l’oggetto; è inoltre universale e necessario perché, pure in mancanza di regole oggettive del gusto, l’uomo giunge necessariamente a riconoscere la bellezza di un oggetto attraverso la sua contemplazione. Il bello, può essere libero, e cioè appreso dall’uomo senza la presenza di alcun concetto (come un arabesco o una musica senza parole), e aderente, appreso dall’uomo con riferimento ad un particolare concetto (si pensi alla bellezza di un palazzo o di un animale). Il sentimento del sublime, distinto da quello del bello, nasce invece dal contrasto tra l’immaginazione e la ragione: l’immaginazione avverte l’incapacità e l’impotenza dell’uomo a cogliere l’immensità della natura con la ragione, che riconosce la propria inadeguatezza in proposito ed è spinta a superare tale sentimento d’impotenza traducendo in un piacere l’accettazione dei propri limiti. Importante è la dottrina kantiana del sublime perché anticipa già il Romanticismo. Kant distingue in proposito il sublime dinamico, che è la contemplazione di ciò che è “assolutamente potente” ed imponente (si pensi ai terremoti, ai vulcani, per esempio), è lo stupore umano di fronte alla grandezza della natura, ed il sublime matematico, che è lo stupore umano di fronte a ciò che è “assolutamente grande” (come il cielo o l’oceano, ad esempio).

Nel giudizio teleologico (finalistico), il secondo dei giudizi riflettenti, Kant studia la natura non in senso meccanicistico, illuminista quindi, ma come diretta verso un fine superiore (teleologia = studio del fine, dello scopo, dal greco telo  = fine o scopo), che non è intrinseco alla natura, né proviene dagli organismi viventi, ma è dovuto ad una mente divina ordinatrice. Tale finalismo è per Kant la rivelazione dell’intima consonanza dell’uomo con la natura, consonanza inspiegabile se il mondo fenomenico della natura non fosse l’emergere di una realtà noumenica più profonda. L’uomo, infatti, per la natura limitata delle sue possibilità conoscitive, deve ammettere che nel mondo fenomenico esista una causa suprema che agisce secondo dei fini superiori: solo in questo modo può farsi un concetto delle possibilità di questo mondo. Il concetto di fine non è dimostrabile per esperienza, ma, scrive Kant nella “Conclusione” della Critica del giudizio,  “noi non possiamo pensare in altro modo e capire la finalità se non perché ce la presentiamo insieme con il mondo come il prodotto di una causa intelligente, ossia di Dio”. La visione finalistica di Kant qui espressa non soppianta quella meccanicistica, ma la integra nel momento in cui l’intelletto umano trova un limite alla spiegazione meccanicistica. Solo così l’ “incommensurabile abisso” tra il determinismo della natura e la libertà della legge morale viene superato e i due mondi ci appaiono come una medesima realtà.

Si consideri, per la Critica del giudizio, la seguente mappa concettuale riepilogativa:

I.GIUDIZIO DETERMINANTE

|à LIBERO

II.GIUDIZIO RIFLETTENTE: A)ESTETICO | = = > BELLO

|                     |à ADERENTE

|

|

|                          |à DINAMICO

| = = > SUBLIME

|                           |à MATEMATICO

B)TELEOLOGICO: Natura ßà Uomo

11.Conclusioni: Kant illuminista e romantico.

Al termine della filosofia critica kantiana, possiamo considerare Kant come illuminista e romantico: il filosofo si dimostra infatti illuminista nella Critica della Ragion Pura (1781), per i suoi interessi scientifici e teoretici verso la matematica e la fisica; nella Critica della Ragion Pratica (1788), malgrado la sua concezione morale risulti impregnata ancora di elementi illuministici, le massime dell’imperativo categorico risultano già indirizzate verso il Romanticismo;  nella Critica del giudizio (1790), infine, emergono gli interessi kantiani già in chiave prevalentemente romantica, come si nota dalle considerazioni sul bello e sul sublime e dall’emergere di una più profonda realtà noumenica, che pone il grande mistero della natura. Possiamo quindi affermare che Kant è inizialmente illuminista, ma gradualmente si orienta verso il Romanticismo, e che le tre “Critiche” segnano questa progressiva evoluzione del pensiero kantiano. Quest’ultima “Critica” sarà infatti una delle opere kantiane più studiate dai romantici: le filosofie del Romanticismo prenderanno il loro avvio da Kant, ma in Kant stesso troveranno motivi e spunti per andare “oltre Kant”.

Secondo il noto filosofo della storia Benedetto Croce (cfr. B. Croce, Alfieri protoromantico) il punto di riferimento letterario della filosofia kantiana è l’eroe tragico di Vittorio Alfieri, come emerge dalle sue tragedie: in Mirra, la fanciulla si uccide solo alla fine del suo travaglio interiore, dopo aver confessato i suoi turpi sentimenti di amore sensuale al proprio padre, in Saul, il vecchio re d’Israele si uccide prima dell’arrivo dell’esercito nemico dei Filistei, ossessionato da sé stesso, sfiduciato nello stesso Abner, suo primo ministro e genero. L’eroe alfieriano è un eroe tragico perché lotta da solo, contro sé stesso, è scisso nel suo interno, nella sua coscienza di soggetto, nel suo io empirico: per questo ripercorre, in sede letteraria, lo stesso itinerario compiuto dal soggetto in Kant, un soggetto che non arriva mai a conoscere completamente l’oggetto, limitato dal noumeno. Nonostante, infatti, le tensioni protoromantiche del secondo Kant (come si evince dalla Critica della Ragion Pratica e dalla Critica del giudizio), il soggetto rimane irretito dentro sé stesso, perché anche la ragione è impotente nella completa conoscenza, il “cielo stellato” rimane “sopra di me”. Il rapporto conoscitivo del soggetto con l’oggetto, il mondo esterno, il non-io, la realtà, sarà ultimato, come si è detto, solo da Hegel, il massimo esponente dell’Idealismo, la corrente filosofica corrispondente al Romanticismo in letteratura. In sede letteraria, al tempo stesso, l’eroe alfieriano non lotta contro un polo esterno, ma contro sé stesso: l’eroe alfieriano è quindi un eroe che anticipa soltanto l’eroe romantico, quello che combatte le guerre d’indipendenza contro l’Impero Asburgico, esaltato, non a caso, da Manzoni in una celeberrima ode civile quale “Marzo 1821”. Si può quindi sostenere che come Kant, in filosofia, anticipa Hegel, come il Criticismo pone le premesse per l’Idealismo, così in letteratura Foscolo anticipa Manzoni, il Neoclassicismo ed il Preromanticismo “aprono le porte” al sentimento Romantico, l’Illuminismo anticipa il Risorgimento, nel quale il soggetto, in questo caso l’eroe, lotta e quindi si rapporta completamente con l’oggetto, ovvero il mondo esterno.

12.Testi kantiani.

A)Dalla Fondazione della metafisica dei costumi (1785):

1. “E’ necessario ammettere l’imperativo categorico per spiegare il concetto di dovere”;

2. “L’autonomia è il fondamento dell’etica”;

3. “Solo l’imperativo categorico, tra tutti gli imperativi, può essere incondizionato, perché è universale e disinteressato”.

B)Dalla Critica della Ragion pratica (1788):

1. “Soltanto una legge formale, cioè tale che non prescriva alla ragione nient’altro che la forma della sua legislazione universale come condizione suprema delle massime, può essere a priori un motivo determinante della ragion pratica”;

2. “La legge morale, per essere coerente ed universale, dev’essere immutabile”;

3. “E’ cosa affatto conveniente lodare le azioni in cui risplendono un’intenzione ed un’umanità grande, disinteressata e simpatica. Ma qui si deve far notare non tanto l’elevazione dell’anima, la quale è assai incostante e transitoria, quanto piuttosto la sommissione del cuore al dovere, da cui si sperare un’impressione più lunga, perché essa implica dei princìpi (laddove l’elevazione dell’anima importa soltan to emozioni)”;

4. “In una parola, la legge morale richiede l’osservanza per dovere”.

C)Dalla Critica del giudizio (1790):

1. “Il sublime matematico è ciò che è assolutamente grande senza alcuna possibilità di comparazione”;

2. “La natura, per essere giudicata dinamicamente sublime, dev’essere rappresentata come suscitante timore […]. Perciò la natura, per il giudizio estetico, non può essere una potenza, e quindi dinamicamente sublime, se non è considerata come oggetto di timore”;

3. “Una poesia può essere garbata ed elegante, ma è senz’anima. Una storia è esatta ed ordinata, ma senz’anima. Un discorso solenne è solido e ornato insieme, ma senz’anima. Molte conversazioni non sono senza interesse, ma senz’anima; perfino d’una donna si dice che è bella, affidabile e graziosa, ma senz’anima Che cosa si vuol dunque intendere con la parola anima? Anima, nel significato estetico, è il principio vivificante dell’animo. Ma ciò con cui questo principio vivifica l’anima, la materia di cui si serve, è ciò che dà uno slancio armonico alle facoltà dell’animo, e le pone in un giuoco che si alimenta da sé e fortifica le facoltà stesse da cui risulta”;

4. “Per il giudizio teleologico, l’uomo non è soltanto uno dei fini della natura, ma lo scopo ultimo della natura sulla terra, in modo che rispetto a lui tutte le altre cose naturali costituiscono un sistema di fini”;

5. “Nascosta in noi c’è un’attitudine per fini più alti”;

6. ”[…] non v’è nulla in natura (in quanto essere sensibile) di cui il principio determinante, che si trova nella natura stessa, non sia a sua volta condizionato; e questo vale non soltanto per la natura esterna (materiale), ma anche per la natura interna (pensante)”;

7. “La teleologia fisica ci spinge, è vero, a cercare una teologia”.

D)Da La pace perpetua (1795), in Scritti di filosofia politica:

1. “Nessun trattato di pace può includere l’idea di una guerra, anche se lontana”;

2. “Gli eserciti permanenti (miles perpetuus) devono, con il tempo, scomparire. E ciò perché minacciano incessantemente gli altri Stati con la guerra, dovendo sempre mostrarsi armati a tale scopo, ed eccitano gli Stati a gareggiare con loro in quantità di armamenti in una corsa senza fine […] così tali eserciti permanenti diventano essi stessi la causa di guerre aggressive […] assoldare uomini per uccidere o per farli uccidere è, a quel che sembra, fare uso di uomini come semplici macchine e di strumenti nelle mani di un altro (dello Stato), il che non può conciliarsi con il diritto dell’uomo sulla propria persona”.

 

Studi su Kant.ultima modifica: 2015-05-12T17:11:49+02:00da m_200
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