JEAN JACQUES ROUSSEAU E LA DIFFICILE “EDUCAZIONE NEGATIVA” DEL NOBILE: “L’EMILE OU DE L’EDUCATION”

JEAN JACQUES ROUSSEAU E LA DIFFICILE  “EDUCAZIONE NEGATIVA” DEL NOBILE:

L’EMILE OU DE L’EDUCATION

Rousseau sostiene che non si possono trattare i fanciulli come se fossero degli adulti ( si nota la distanza da Locke) e per formare l’intelligenza è necessario il contatto con la natura. Per questo l’educazione di Rousseau è rivolta al nobile: il selvaggio non ha bisogno di essere educato, perché è già educato dalla natura. I 5 libri in cui è divisa l’opera corrispondono ad altrettante fasi dello sviluppo di Emile, e cioè: prima infanzia (dal primo al secondo anno); seconda infanzia (dai 3 ai 12 anni); adolescenza (dai 12 ai 15 anni); dopo i 15 anni fino alla maturità; la virilità.

INTRODUZIONE

Il saggio rousseauiano è la grande utopia sull’educazione umana, in cui si ammirano tesi eccelse che urtano con errori insensati, è la contraddizione tra genio e follia. Nel XVIII° secolo non esisteva alcuna educazione familiare ed il bambino nobile, appena nato, veniva affidato ad una nutrice. Tale educazione, retorica e superficiale, è denunciata da Rousseau, per il quale l’uomo nasce, vive  e muore in schiavitù: “nasce immobilizzato nelle fasce, vive incatenato alle sue istituzioni, muore cucito in un sudario”.

LIBRO I.

Emile, nobile orfano, vive in campagna, affidato alle cure del precettore Jean Jacques, lontano dalla corruzione della cosiddetta “società civile”. Privo di ogni nozione, compie le sue prime esperienze.

Emile è uno “spirito comune”, nobile ed orfano, che ha bisogno d’educazione, perché sono i nobili ed i ricchi che maggiormente hanno bisogno d’educazione, mentre il povero può diventare un uomo da solo. I primi sensi del bambino sono puramente affettivi: piacere e dolore, non hanno altra percezione. Il bambino vuole subito muoversi, toccare e maneggiare tutto, e non bisogna opporvisi: solo così distinguerà il caldo dal freddo, il duro dal morbido, le forme e le qualità sensibili dei corpi, solo così scoprirà lo spazio. Nel pianto, primo mezzo d’espressione, si ha l’idea di potere e comando, ma non dobbiamo cedere, per non fargli sviluppare tale malsana idea: quando vuole carpire un oggetto con la mano e non arriva a prenderlo, 1)va portato all’oggetto o 2)non va ascoltato. Il bambino parla imitando i suoni: come ascolta il bla-bla della balia, ascolterà il maestro in classe, e la balia può trastullarlo con canti diversi, ma non stordirlo incessantemente. La grammatica dell’età infantile è più generale della nostra. I paesani parlano a voce alta, con un accento marcato e parole mal scelte, ma meglio così che non farsi intendere o parlare senz’accento come in città: l’accento è l’anima del discorso. Un uomo abituato nei salotti non saprà parlare al popolo in una sommossa: il bambino va abituato a parlare solo agli uomini; quando occorrerà, saprà parlare anche alle donne. Quando balbetta pretenderà di essere ascoltato, ma non deve esercitare alcuna tirannia. Inutile è poi fornirgli un ampio vocabolario, per fargli usare più parole di quante idee abbia in testa. Per il vocabolario ridotto è infatti lodevole la saggezza contadina: usare grandi parole è inoltre ipocrisia e vanagloria.

LIBRO II.

Emile fa l’esperienza del dolore: soffrire è la prima cosa che si deve imparare; è poi assurdo pensare di insegnargli a camminare. Per rendere felice l’infanzia non dobbiamo infatti preoccuparci di incatenare il bambino, per preparare noi, un futuro a lui. Prima di pretendere di educare gli altri, bisogna educare noi stessi. Assurdo è ragionare con un fanciullo, perché la ragione è la facoltà umana che si sviluppa più tardi. Fino all’età di 12 anni è preferibile far crescere il bimbo in campagna, al riparo da vizi ed errori, lasciando fare alla natura, con l’educazione negativa. La prima idea da dare al fanciullo è quella della difesa della proprietà, perché le cose non si difendono da sole. Il bambino non deve permettersi di trattare i grandi come suoi pari: se picchia, va picchiato, perché i piccoli colpi diventeranno omicidi. Non bisogna intervenire nel corso della natura: sarebbe come un uomo che, per mettere a profitto tutta la vita, non vuole mai dormire, agendo così da folle! In educazione è preferibile perdere tempo, piuttosto che pensare erroneamente di guadagnarne. La natura deve realizzarsi liberamente, senza corrompersi, perché solo così è possibile sperare in una società migliore. I castighi saranno rari e solo se necessari, e comunque sempre in conseguenza di azioni commesse. Il bambino farà ciò che gli conviene fare, secondo la necessità delle cose: convenienza e necessità sono quindi le due molle ispiratrici del suo comportamento. In questo Rousseau riprende i concetti espressi dal filosofo greco Platone nella Repubblica, che non considera come opera politica, ma come il più bel trattato sull’educazione che sia mai stato scritto. La lettura è il “flagello dell’infanzia”, ed è inutile insegnarla fino a quando non sarà utile: i libri annoiano il fanciullo. Il corpo in continuo movimento è più adeguato al fanciullo rispetto agli studi puramente speculativi: la disposizione fisica, bene o mal coltivata, è quella che rende i fanciulli vivaci o goffi, anche di mente. L’educazione fisica ha quindi la priorità. L’esperienza ed i sensi, ad esempio, insegneranno al fanciullo come direzionare una vela per proseguire la rotta o muovere una leva per lanciare un sasso: la natura ed i sensi non c’ingannano mai, ci inganniamo solo nei giudizi. La paura del buio e della notte è dovuta all’ignoranza: il bambino deve ricordarsi come erano le cose in pieno giorno, quindi deve “vedere senza vedere”. L’educazione dei sensi, come il tatto e la vista, è molto importante; disegno e geometria sono importanti per la precisione. Emile ha 10-12 anni: è più forte ed abile dei suoi coetanei: essere occupato, per lui, vuol dire divertirsi. E’ fatto per guidare, amministrare i propri simili: sarà padrone senza voler comandare e gli altri gli obbediranno senza credere di obbedire e, comunque, è sempre felice.

LIBRO III.

E’ il terzo stadio dell’infanzia: la virilità, dai 12 ai 15 anni. E’ un periodo breve, ma intenso ed il più prezioso per l’apprendimento. Inizia l’educazione intellettuale. Emile non impara la scienza, ma la scopre, man mano che ne ravvisa l’utilità. L’unico libro concessogli è Robinson Crusoe perché stimola l’iniziativa e l’industriosità. Alla conclusione di questa fase Emile, più che istruito, sarà predisposto per l’istruzione. Il bambino che legge e basta non pensa, non s’istruisce, ma immagazzina solo parole. E’ desideroso di sapere, anche perché è desideroso di essere considerato sapiente dai coetanei: la lettura proviene quindi da un suo spontaneo desiderio, non da una costrizione. Emile impara ad usare la bussola e con intuizione e deduzione personali studia la fisica, non  con formule trasmessegli passivamente ed astrattamente. Emile viene portato dal precettore Jean Jacques nella foresta di Montmorency: qui si orienterà con ciò che la sua testa deduce. Emile ha 15 anni: ha poche conoscenze, ma sicure, ed è in possesso di un buon metodo per evitare gli errori.

LIBRO IV.

Le passioni hanno una fonte naturale: l’amore. Emile scopre ciò che sul sesso si tiene nascosto ai fanciulli, ma nessuno glielo dice. Emile ha 16 anni: si fonda in lui il senso morale, la solidarietà umana, e grazie a questa scopre il valore dell’amicizia. Studia la storia ed entra in contatto, naturalmente e spontaneamente, con la religione: in questo mondo tutto ha un fine e ciò presuppone l’esistenza di un Essere Superiore, che è Dio. E’ questa la professione di fede del vicario savoiardo, con cui Emile s’incontra (Rousseau apre una parentesi e, sotto forma di romanzo, rievoca i propri ricordi di quando aveva 16 anni). Segue una critica alle religioni rivelate, ai miracoli, all’oscurità dei dogmi, alla molteplicità dei libri sacri, che si conclude con un più benevolo esame del Vangelo. La tolleranza, afferma il vicario savoiardo, costituisce l’essenza ed il contenuto morale della religione. L’educazione, inizialmente “negativa”, si è fatta sempre più “positiva” ed ora diventa diretta perché Emile accetta liberamente la guida saggia ed esperta del proprio educatore.

Emile è anche prevenuto contro l’opinione, che spinge i giovani verso la dissolutezza. A Parigi Emile si forma il gusto, coltiva i veri piaceri: nel gusto letterario, ignoto ai ricchi corrotti, il ruolo privilegiato alle letterature antiche.

LIBRO V.

L’ultimo libro parla dell’incontro di Emile con la donna, Sophie: la donna non dev’essere serva dell’uomo, ma deve curare il suo aspetto e la sua mente, perché così vuole la natura. Sophie dimostra di avere buone doti di sposa e di madre ed Emile se ne innamora, anche se l’eccessiva civetteria è un metodo di imposizione e potere, da parte delle donne, che va combattuto. L’uomo parla di ciò che sa, la donna di ciò che le piace, e per questo non coglie mai il vero. Ma la donna ha due guide, la ragione ed il sentimento interiore, mentre l’uomo ha solo la ragione. Emile prosegue intanto anche nei suoi studi politici. I due decidono di sposarsi, ma in quale paese andare a vivere? Il consiglio del precettore è quello di vivere nel proprio paese, tra i compatrioti che lo hanno protetto quand’era bambino: ora Emile dev’essere pronto ad aiutarli e deve vivere in amicizia con loro. Tuttavia, per saggiare gli affetti, Emile ritiene necessaria una separazione di due anni, e parte per un viaggio; al ritorno, si sposerà. Il precettore abbandona il proprio ruolo solo dopo il matrimonio. L’opera si chiude con l’annuncio della paternità di Emile.

Il messaggio conclusivo dell’autore è che il fanciullo non è un piccolo uomo immaturo, un adulto in miniatura, ma una realtà in sé compiuta, che come tale necessita di educazione.

 

JEAN JACQUES ROUSSEAU E LA DIFFICILE “EDUCAZIONE NEGATIVA” DEL NOBILE: “L’EMILE OU DE L’EDUCATION”ultima modifica: 2015-05-12T17:03:39+02:00da m_200
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