Is there still an international order?

 MARCO MARTINI

 

IS THERE STILL AN INTERNATIONAL ORDER?

 

 

 

 

Global Challenges for the New Millennium: economic interdependence, migrations, wars and forgotten conflicts.

IS THERE STILL AN INTERNATIONAL ORDER?

Winter School – Department of Political Science – University of Pisa –

WINTER SCHOOL 25-26-27  October 2016 – International Convention

Convegno Internazionale di Studi Geopolitici (in bilingue, italiano-inglese, tutte le relazioni sono doppiate con traduzione simultanea ed auricolare).

Atti del Convegno Internazionale di Storia e Politica.

                           C’E’ ANCORA UN ORDINE INTERNAZIONALE?     

Ringraziamenti.

Un vivo e sincero ringraziamento, per niente formale, al Dott. Andrea Giannotti, nostro brillante ex studente del Liceo di Forte dei Marmi, ora esperto sovietologo, bi-laureato in tempi veramente “record” e dottore di ricerca in “Storia delle relazioni internazionali”, uscito sempre con il massimo dei voti e lode, per avermi invitato ad un sì proficuo Convegno di Studi, ricco di utilissimi spunti ed interventi sulla politica odierna, e per avermi omaggiato del suo illuminante lavoro scientifico, Fra Europa e Asia. La politica russa nello spazio post-sovietico, Giappichelli, Torino, 2016, frutto di entusiasmo nella ricerca, di appassionati interessi e di indiscutibili e peculiari competenze geo-storiche, favorite anche da una completa padronanza della lingua russa, che gli ha consentito di accedere direttamente alle fonti, senza fuorvianti mediazioni di traduzione. Nell’Ateneo pisano, un vero cultore della materia, nel senso più nobile dell’accezione, uno spirito mai prevaricatore, ma un giovane studioso sempre aperto alla condivisione di argomenti culturali di altissimo livello ed a quella dialettica che è l’unica molla di progresso e formazione umana ed intellettuale. Ma quel che più mi preme sottolineare, conoscendo Andrea fin dai suoi non lontani studi liceali, è la costanza nello studio e la progressione nei risultati ottenuti, sempre nuova e crescente ed animata da sincero amore verso la ricerca, non incline alle logiche di basso mercato e ai salotti letterari, che pur volentieri lo ospiterebbero.

Con i migliori auguri di una splendida quanto indiscutibilmente meritata carriera accademica. Marco Martini

Tuesday, 25th October

9.30 Registration of participants.

10.00 Presentation of Winter School, Maurizio Vernassa, University of Pisa.

10.30 Opening remarks, Cosimo Ferri, Vice Minister of Justice of Italy.

11.00 Distinguished Lecture: Is there still an International Order?, Elena Dundovich, University of Pisa.

11.30 Stefano Garzonio, University of Pisa, Cultural Cooperation in Italian-Russian Relationships.

11.45 Debate.

12.30 Lunch break.

The Powder Keg of the Middle East

H.15.00 Distinguished Lecture: H.E. Amre Moussa, General Secretary of the Arab League, 2001-2011, An Overview on the Middle East.

H.16.00 Case Studies, Francesco Tamburini, University of Pisa, The Region of the Great Maghreb five years after the “Arab Spring”.

Patrizia Paoletti Tangheroni, Commission for Foreign Affairs of the Italian Chamber of

Deputies, 2001-2008, The Egyptian Case.

Mohammed Masjed Jame’i, University of Teheran, Ambassador of Islamic Republic of

Iran to the Holy See, 1991-1997, Iran and its Unstable Region.

17.30 – 19.00 Working groups coordinated by Yara Khalaf, Ain Shams University, Il Cairo.

Wednesday, 26th October

Does Europe still exist?

H.9.30 Distinguished Lecture: Marinella Neri Gualdesi, University of Pisa, One Europe, Two Europes, Differentiated Integration: what options for post Brexit EU?

H.10.30 Case Studies, Anna Loretoni, Sant’Anna School of Studies, European Identity in Crisis.

Marcello Di Filippo, University of Pisa, The Challenge of Migration and the EU: a Fortress with increasingly sealed compartments?

Sara Poli, University of Pisa, Intergovernmental Cooperation and Terrorist Attacks in Europe.

H.12.00-13.30 Working groups coordinated by Azzurra Bassi and Volodia Clemente, University of Pisa. The European Union and its «Neighbourhood»

H.13.30 lunch break.

The European Union and its <<Neighbourhood>>.

H.15.00 Distinguished Lecture: Serena Giusti, Sant’Anna School of Advanced studies, The EU’s Transformative Power challenged in the post-Soviet Space.

H.16.00 Case Studies H.E. Jolanta Balciuniene, Ambassador of Lithuania to Italy, Geopolitics of Baltic Region.

Tatiana Zonova, MGIMO (Moscow State Institute of International Relations), The Black Sea and the Mediterranean in the Russian Foreign Policy.

Aleksandr Konkov, MGU (Moscow State University), Caucasian Region: Lessons Learnt and Challenges to Overcome.

H.17.30 – 19.00 Working groups coordinated by Azzurra Bassi and Volodia Clemente, University of Pisa.

Thursday, 27th October

Beyond Crises. New Horizons for International Cooperation.

H.9.30 Distinguished Lecture: Andrea Giannotti, University of Pisa, Cooperation: Necessary Step towards a New International Order.

H.12.00 Conclusions and Finale Debate.

H.13.00 Certification Cerimony.

 

Martedì 25 ottobre 2016.

I° modulo. Is there still an International Order?

10.00 Presentation of Winter School, Maurizio Vernassa, University of Pisa.

La “Winter School” rappresenta un punto di osservazione critico sugli eventi internazionali. Il titolo è già provocatorio: esiste ancora un ordine internazionale alla luce dell’affermazione della globalizzazione? Docenti, ricercatori, diplomatici s’interrogheranno su questa domanda che richiede la costruzione di un’umanità nuova. Ma la prima domanda che dobbiamo porci è “Esiste un’Europa?” Solo dopo aver risposto a questa domanda possiamo chiederci se esiste ancora un ordine internazionale.

 

10.30 Opening remarks, Cosimo Ferri, Vice Minister of Justice of Italy.

Si pronuncia sul rapporto tra religioni e ideologie, per notare come le ideologie sovente siano elementi di conflitto piuttosto che di apertura e comunicazione.

Il Dott. Andrea Giannotti, con il suo contributo scientifico, ha offerto uno stimolo allo studio dei rapporti tra Russia ed Europa.

Lo studio della geopolitica è essenziale per lo sviluppo economico, a partire dal turismo.

In quasi tutti i Paesi europei stanno nascendo movimenti antieuropeisti: come è possibile costruire un’unione europea e che senso ha un’unità monetaria senza un’unità politica, senza una costituzione europea, che è stata bocciata dai referendum popolari?

Il fenomeno migratorio implica i difficili problemi dell’accoglienza controllata e dell’integrazione, sempre più connessa con la crescente violenza. Tutte queste criticità inducono a riscrivere un ordine internazionale.

11.00 Distinguished Lecture: Is there still an International Order?, Elena Dundovich, University of Pisa.

In un odierno sistema anarchico a livello internazionale, la domanda è provocatoria. La carta di Peters del 1973 segue quella dello spagnolo Gerardus Mercator del 1569. In questa carta, l’Europa appare erroneamente il doppio dell’America, il Nord America sembra più grande dell’Africa. Per secoli è valsa la carta di Mercator, per secoli il baricentro delle relazioni politiche diplomatiche era l’Europa.

Dopo la fine della guerra fredda (1991) e fino al 2008 c’è stato un progressivo indebolimento dell’Europa ed il trionfo di un sistema prima multipolare e non più bipolare , in seguito abbiamo avuto un sistema a guida americana. Gli Stati-nazione sono sempre più deboli, e dopo il 2008, quando inizia la crisi, il quadro si inverte: gli Stati Uniti hanno ridimensionato il loro ruolo, mentre gli Stati-nazione hanno giocato sempre più un ruolo preponderante in difesa dei propri interessi.

Da anni si parla di globalizzazione: è un processo che inizia negli anni ’70, anche se il termine è degli anni ’90. La circolazione di idee e scoperte era già presente negli anni ’70. La crisi del 2008 ha dimostrato la crisi anche della globalizzazione, basti pensare alla fame nel mondo: oggi è più legittimo parlare di mondo multipolare con interessi trasversali che non di globalizzazione, è quindi più opportuno parlare di trasversalità.

La comunità internazionale è composta da 193 Stati membri (l’ultimo ammesso è il Sud Sudan, il 14 luglio 2011). Di questi, 67 sono stati coinvolti in conflitti o situazioni di tensione ad intensità variabile.  734 gruppi armati (milizie, gruppi separatisti, gruppi terroristi) operano in aree di crisi interne al territorio di questi 67 Stati. La domanda iniziale che dobbiamo porci è, come si è detto, se esiste un’Europa o più Europe: nord-occidentale, baltica, mediterranea, centro-orientale ed Unione Europea.  A queste si aggiunge la Russia, euro-asiatica, ben studiata dal dott. Andrea Giannotti. Sono Europe diverse tra loro per storia, economia ed obiettivi di politica estera. Tali diversità incidono tantissimo sulle scelte. Cos’è l’Unione Europea? L’Unione Europea è in una condizione di perenne sofferenza, dalla Brexit alla tentata Grexit, ai rapporti con la Russia. I russi, da sempre, hanno ricercato un loro spazio ad est: questo spiega il conflitto con l’Ucraina.

Non siamo di fronte ad una nuova guerra fredda.

In Asia vi sono stati di tensione o aperti cruenti conflitti in 16 Stati, sul territorio dei quali operano 169 tra milizie, guerriglieri, gruppi terroristici, separatisti, anarchici. L’Asia comprende 49 Stati. In Asia vi sono anche alcuni “Stati fantasma”, come Taiwan. Il Medio Oriente rischia una nuova “guerra dei trent’anni”. Vi sono più di 7 Stati in conflitto, come la Turchia con i curdi, e 244 milizie. Le guerre in Iraq ed in Siria e le guerre arabo-israeliane sono le zone più “calde” di questo conflitto: Iraq e Siria sono sicuramente due sconfitte di questa “seconda guerra dei trent’anni”, in quanto non si ricostruiranno più i confini precedenti. Sunniti e sciiti sono inoltre in costante conflitto. L’Afghanistan è stato prima devastato dall’intervento sovietico, poi dai talebani, poi dall’intervento americano, la Siria è in preda ad una guerra civile. Tutte queste cause, tra loro dialetticamente connesse, hanno contribuito alla nascita del terrorismo internazionale.

In Africa vi sono 54 Stati, in 29 di essi vi sono tensioni o aperti crescenti conflitti: Somalia e Nigeria sono tra le zone “più calde”. Fame, mancanza di acqua, sviluppo demografico impressionante e migrazione di 60 milioni di persone, che oggi fuggono da guerre e persecuzioni. L’80% di queste si sta insediando nei Paesi limitrofi alle zone di crisi e questo porta all’inevitabile necessità di politiche di gestione.

Più pacifica invece la situazione in America meridionale e centrale.

Tutto ciò contribuisce a disegnare un quadro di crisi internazionale. Le sfide del futuro portano a nuovi orizzonti coloniali, quali le calotte polari e l’esplorazione dell’universo; è una guerra “strisciante”, sotterranea, che riguarda U.S.A., Canada, Russia, Cina. Un’altra guerra taciuta è la cyber wars, cioè la guerra digitale di informazione. Esiste ancora un odine internazionale, a questo punto? Hanno senso l’U.E. o l’O.N.U.? E quale? Gli U.S.A. sono oggi coinvolti dalla peggior campagna elettorale della loro storia, con Trump e Hillary Clinton. Saranno gli U.S.A. in grado di porsi come un futuro Paese guida? Ed in caso di risposta negativa, ci sarà un altro Stato guida a livello planetario? E quale?

Il ritorno alle singole sovranità monetarie nazionali comporterebbe danni gravissimi alle singole economie, solo a partire dalla necessaria riconversione di bancomat, carte di credito, libretti degli assegni.

 

11.30 Stefano Garzonio, University of Pisa, Cultural Cooperation in Italian-Russian Relationships.

Stefano Garzonio è ordinario di slavistica all’università di Pisa. Sottolinea l’importanza di difendere le lingue nazionali per difenderci dalla globalizzazione, in sintonia con la recente presa di posizione dell’Accademia della Crusca. La tradizione, la filologia, la conoscenza linguistica sono elementi essenziali delle relazioni culturali internazionali. Solo cent’anni fa la Russia era un Impero zarista, poi ha conosciuto 70 anni di socialismo sovietico per diventare infine una Repubblica federativa russa. Molti problemi, dalla Russia zarista, sono oggi rimasti insoluti, come quelli dei rapporti dell’ex U.R.S.S. con i Paesi satelliti. Non è possibile studiare i rapporti della Russia odierna senza conoscere la storia dell’Unione Sovietica o gli studi dei viaggiatori russi in Italia.

Rispetto al cinema ed alla musica, la letteratura conosce oggi in Italia un periodo di crisi, a differenza di quanto avviene in Russia, in cui la lettura e la letteratura sono sempre molto sentite. A Venezia esiste oggi un ottimo centro culturale russo ed anche il mondo cattolico russo ha stretto forti relazioni con l’Italia.

 

II° modulo. The Powder Keg of the Middle East

H.15.00 Distinguished Lecture: H.E. Amre Moussa, General Secretary of the Arab League, 2001-2011, An Overview on the Middle East.

Sua Eccellenza è stato segretario della Lega Araba dal 2001 al 2011. E’ questa una lectio magistralis sulla situazione in Medio Oriente. Esiste, per Sua Eccellenza, un ordine internazionale, ma al tempo stesso c’è anche una cattiva gestione di quest’ordine. Oltre alle migrazioni ed alle guerre vi sono conflitti dimenticati. I problemi odierni partono dalle definizioni di pace, sviluppo e sicurezza internazionali. Sua Eccellenza identifica sistema internazionale e sistema di Stati: senza la cooperazione tra Stati non è possibile la creazione di un sistema di cooperazione internazionale. Dopo la Conferenza di Bretton Woods sono sorte organizzazioni specializzate del sistema O.N.U., quali la F.A.O., che hanno avuto successo. E’ fallito il Consiglio di Sicurezza, quindi la sicurezza, mentre l’aspetto economico, pur non essendo perfetto, ha raggiunto esiti soddisfacenti, come, ad esempio, con l’UNESCO e l’UNICEF. E’ possibile credere che la leadership americana del mondo continuerà? Il mondo va in direzione di un ordine rinnovato, e non è affatto detto che gli U.S.A. rimarranno al posto di guida dopo le politiche fallite in Iraq, Siria, Afghanistan. Dopo l’invasione dell’Iraq, gli U.S.A. non hanno pensato al futuro del Paese.

Non esiste, al momento, una politica americana verso il Medio Oriente, mentre i problemi persistono, la politica palestinese è ancora presente. Non si è pensato agli effetti della Brexit, come la stessa permanenza della Scozia nella G. B., analoghe voci si muovono dall’Irlanda del Nord. Più che di “primavera araba”, in Medio Oriente e nel mondo arabo si deve parlare di cambiamento: quasi il 70% della popolazione medio-orientale è costituita da arabi è costituita da giovani sotto i 35 anni. Questi giovani, oggi, grazie ad internet, possono collegarsi ai giovani europei, e questi contatti porteranno al cambiamento, questa sarà la vera rivoluzione. E’ oggi impossibile ridisegnare i confini del 1960: oggi, grazie alla rete, i popoli conoscono in anticipo le decisioni del potere, ed in caso di decisioni non gradite, le reazioni sarebbero immediate. E’ impensabile presupporre oggi che le due ex superpotenze possano determinare il destino dei Paesi arabi. C’è quindi bisogno di un nuovo ordine regionale, in Medio Oriente per il Medio Oriente. E’ impossibile pensare, ad esempio, al futuro della Siria senza il contributo della Siria. L’Egitto, nella regione Mediorientale gioca un ruolo fondamentale, insieme alla Palestina, all’Iran ed anche a Israele. Israele deve riconsiderare la questione palestinese: la Palestina deve avere un proprio Stato. Senza questo sarà impossibile una cooperazione internazionale. Ultimo elemento fondamentale per raggiungere quest’obiettivo è offerto dagli scambi culturali all’interno del Mediterraneo: questa “società mediterranea” include anche Israele. Anche l’Europa del Sud deve necessariamente collaborare.  Il Mediterraneo deve diventare quindi una vasta regione, che includa anche i Paesi Baltici.

 

H.16.00 Case Studies, Francesco Tamburini, University of Pisa, The Region of the Great Maghreb five years after the “Arab Spring”.

Tamburini concorda con Sua Eccellenza Moussa sulla nozione di “primavera araba” intesa come “cambiamento”. Non esiste, per Tamburini, un’etnia maghrebina: su 5 Paesi, soltanto 2 hanno subito cambiamenti radicali, Tunisia e Marocco. Solo lì abbiamo avuto una sorta di democrazia, per quanto sia inapplicabile al Nord Africa il paradigma occidentale di “democrazia”. Un peggioramento epocale si è invece avuto in Libia, un “failed State”, uno Stato fallito, che rischia di trasformarsi in una cellula tumorale per il Maghreb. Il “non Stato” libico è visto come imposto dall’esterno e quindi non è accettato dalle parti politiche, anche differenti, libiche e l’infiltrazione dell’ISIS ha complicato ancora la situazione. L’Algeria è rimasta gestita dalla solita oligarchia del Fronte di Liberazione Nazionale, mentre la Tunisia rappresenta il modello più avanzato di “democrazia araba”. In Libia vi son o attualmente due governi, Tabruk e Tripoli, che non si riconoscono; vi sono più armi in circolazione che abitanti. Per Tamburini i cambiamenti di oggi, avvenuti dopo le primavere arabe, hanno creato instabilità ed anarchia, quindi, a 5 anni di distanza, il bilancio è un amaro risultato.

 

Patrizia Paoletti Tangheroni, Commission for Foreign Affairs of the Italian Chamber of

Deputies, 2001-2008, The Egyptian Case.

I recenti cambiamenti avvenuti in Egitto dopo Mubarak, con il partito dei Fratelli Musulmani prima e la dittatura militare in seguito, non hanno giovato all’Egitto. Alla fine della II guerra mondiale le due superpotenze si contrappongono, con la NATO del 1945 ed il Patto di Varsavia del 1955. La stessa Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948 è stata disattesa. Il Consiglio di Sicurezza non ha svolto il proprio ruolo. Con la caduta del comunismo, gli U.S.A. sono rimasti l’unica potenza. La crisi di Suez del 1956 e l’annuncio, da parte egiziana della nazionalizzazione del canale, ha portato all’alleanza tra Francia, Inghilterra ed Israele per occupare l’Egitto. Sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica si trovarono in una situazione imbarazzante perché gli Stati Uniti avevano condannato, proprio nel 1956, l’invasione sovietica dell’Ungheria. Iniziarono così a sgretolarsi due ex imperi coloniali, quello inglese e quello francese. L’Egitto oggi è impegnato contro il terrorismo e contro il fanatismo dei Fratelli Musulmani, che sono andati al potere pur senza partecipare alle elezioni politiche dopo la caduta di Mubarak. Nel 2013 si è verificata una sollevazione popolare di 30 milioni di persone che ha portato al potere i militari: non è stato quindi un golpe. Gli altri Stati arabi non hanno tenuto, nei confronti del terrorismo, una posizione sempre chiara né laica. Tra i vari gruppi terroristici vi sono differenze profonde, che sono esplose in scontri, come Isis ed Al-Qaeda. L’Egitto si pone fuori, attualmente, da questo conflitto e la religione, in questo contesto, è soltanto uno degli elementi di contrasto. Da tutto questo emerge l’importanza della formazione culturale. In Egitto oggi le moschee hanno una “certificazione di permesso” che non esiste, ad esempio, per le moschee in Italia. La formazione è quindi un processo fondamentale per scongiurare una “seconda guerra dei trent’anni”.

 

Mohammed Masjed Jame’i, University of Teheran, Ambassador of Islamic Republic of

Iran to the Holy See, 1991-1997, Iran and its Unstable Region.

Per spiegare l’instabilità dell’Iran è opportuno spiegare prima quella del Medio Oriente. L’Islam ha una cultura lunga, complessa, che comprende anche una cultura religiosa. L’Iran è caratterizzato da una forte eterogeneità religiosa, la scissione tra sunniti e sciiti, i vari gruppi di sciiti, la presenza, sia pure largamente minoritaria, di protestanti e cattolici. Si rende necessaria una modernizzazione della società iraniana. Tra il 1992 ed il 1995 Jame’i è stato ambasciatore presso la Repubblica Islamica della Santa Sede. La modernizzazione dell’Iran ha riguardato le strutture, come le strade e gli ospedali, ma la situazione resta instabile in tutta l’area, compresi il nord Africa e la Turchia, per la presenza di tante minoranze. La società araba, proveniente dalle tribù e dai capi tribù, si è affacciata al Novecento come una società “congelata”, che ha ghettizzato le minoranze, inizialmente sciite, che si trovavano sulle montagne. La maggioranza era infatti inizialmente sunnita. Il dominio delle tribù ha caratterizzato i Paesi Arabi per 4 anni. La scelta dei capi di Stato, di favorire economicamente una tribù rispetto ad un’altra, non è stata accettata dalla popolazione, e questa competizione fra le tribù ha frenato lo sviluppo della società. Un ruolo particolare, in questo panorama, riveste Israele: prima della fondazione dello Stato di Israele (1948), la società era mobile, vi erano grandi migrazioni da un Paese ad un altro. La nascita di Israele ha interrotto questo flusso. Molti Paesi rimasti a livello tribale sono, paradossalmente, più stabili di altri che hanno voluto adottare un sistema democratico di tipo europeo.

 

Wednesday, 26th October.

III° modulo. Does Europe still exist?

H.9.30 Distinguished Lecture: Marinella Neri Gualdesi, University of Pisa, One Europe, Two Europes, Differentiated Integration: what options for post Brexit EU?

L’U.E. si trova in uno stato di crisi, che ha condotto ad un’ulteriore divisione gli Stati membri. I Paesi anti-Schengen sono quei Paesi che rifiutano la libera circolazione delle merci e delle persone, quali Norvegia (che non fa parte dell’U.E.), Svezia, Danimarca, Polonia. Vi sono poi i Paesi anti-austerity, quali Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro (il Sud Europa). Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia ed Ungheria sono 4 Paesi in dissenso, mentre Francia, Germania ed Italia sono 3 Paesi che hanno preso l’iniziativa di rilanciare l’Europa. Furono i Paesi fondatori dell’U.E. A questi vanno aggiunti i Paesi russo-critici, ovvero l’est europeo, ed i Paesi che vorrebbero uscire dall’U.E., vale a dire Gran Bretagna, Francia di Marie Le Pen, Austria, Olanda, Danimarca, Svezia, Grecia.

Sono quindi forti le fratture all’interno dell’Europa. Quali sono gli strumenti per combattere questo tentativo di disgregazione? Jurgen Habermas ha parlato di “frenetico immobilismo”, quindi non ci sono, al momento, proposte concrete. L’Europa soffre di una crisi non solo istituzionale, ma anche politica. Dal 2011, cioè da quando è esplosa la crisi greca, sorgono nuove sfide, come quella energetica. L’Europa non è stata, al momento, in grado di trovare soluzioni a lungo periodo. Crisi gravissime sono quelle rappresentate dai fenomeni migratori, dalla crisi della moneta unica. In Germania, tra i vari partiti, manca un programma comune, tra liberali, popolari e socialdemocratici. Dall’altro lato si registra la crescita di potere del Consiglio Europeo, che va verso un modello presidenzialistico, centralistico, intergovernativo. La richiesta del Regno Unito di uscire dall’Unione europea potrebbe essere l’occasione affinché l’Europa si doti di strumenti più efficaci di difesa. L’idea di un euro a due velocità non è una prospettiva realistica, almeno in tempi brevi; piuttosto vi è l’idea di un’eurozona “a cerchi concentrici, che deve partire da un nucleo comune più integrato, con una politica fiscale comune e una difesa comune. Il cerchio esterno dei Paesi europei continuerebbe a  condividere con il centro della circonferenza la scelta delle libera circolazione delle merci e delle persone. Si possono, in proposito, intravedere 3 posizioni:

a) di Sergio Fabrini;

b) dell’Istituto Brugel di Bruxelles;

c) dell’Istituto Affari Internazionali (I.A.I.).

a) Secondo Fabrini, pur non essendo possibile un ritorno agli Stati nazionali, l’eurozona deve diventare la base di un’unione politica. Bisogna preservare il mercato unico salvaguardando un’unione politica che sia sovranazionale. Si è svuotata la democrazia nazionale, senza che si sia costruita un’unità sovranazionale più forte.

b) L’Istituto Brugel di Bruxelles propone un’Europa a due livelli, un primo cerchio, più interno, politicamente molto unito, ed un secondo cerchio, più esterno, che condivida i mercato unico e che possa accogliere anche altri Paesi, quali la G.B. e la Turchia. E’ necessaria, per il cerchio esterno, la libera circolazione dei lavoratori, una politica di sicurezza. E’ una proposta, quindi, con differenti livelli di integrazione.

c) L’Istituto Affari Internazionali (I.A.I.) sostiene l’integrazione differenziata: è necessario creare un ministero del Tesoro a livello europeo, ed è questa la tesi suggerita da Marco Draghi. L’eurozona così si integra e si rafforza. Sottolinea i rischi della differenziazione e ribadisce la necessità della moneta unica.

Italia, Germania, Francia e Spagna hanno presentato a Bruxelles una proposta per una maggiore difesa dell’Europa, con investimenti molto più consistenti, proposta che si scontra, almeno in parte, però, con il ruolo rivestito dalla N.A.T.O. e con la G.B., che sta uscendo dall’U.E., ma che pretende, paradossalmente, ancora, di condizionare le scelte. Non si parla, in ogni caso, di un esercito comune europeo.

Questa frammentazione mette a rischio l’identità europea e presenta la possibilità di avere “più Europe”, come sottolineato da vari Stati membri. Sembra quindi che il processo di integrazione non sia più irreversibile. Lo sfaldamento sociale e la sfiducia dei cittadini europei, che hanno subito diseguaglianze, è forse l’ostacolo più forte, portato avanti dai giovani, che maggiormente subiscono questa crisi economica e finanziaria. E’ necessario, in conclusione, rivedere ed aggiornare il modello ottimistico del passato, senza perderlo però di vista, perché vorrebbe dire buttare al macero un percorso di costruzione.

 

H.10.30 Case Studies, Anna Loretoni, Sant’Anna School of Studies, European Identity in Crisis.

Anna Loretoni insegna filosofia politica alla Scuola Sant’Anna di Pisa. Quando si parla di identità europea si deve parlare di identità politica e non di identità culturale, cioè non in riferimento a lingua e tradizioni comuni, non in riferimento ad una Weltanschauung (visione del mondo). L’identità politica dev’essere aperta e modificabile. Jurgen Habermas ha parlato di “patriottismo costituzionale”, presente nel Trattato di Lisbona. L’identità nazionale non è alternativa a quella politica, ma integrativa. “Identità” non significa “omogeneità”, l’identità non è una categoria marginale: l’identità comporta la democratizzazione. Furio Cerutti ha lavorato sulla categoria di identità: l’identità è ciò che dà senso alla vita associata (“identità-specchio”), ma comporta anche un elemento che sta fuori (“identità-muro”), che, anche, divide. Il “muro” è quindi a)differenza, ma anche b) esclusione, scontro di civiltà. Vi sono quindi due muri, uno poroso, aperto all’integrazione, l’altro di divisione, esclusione. Il tema della memoria della guerra, delle due guerre mondiali, fatto di imperialismo e persecuzione, è un elemento che porta alla pacificazione tra Stati che si sono fatti la guerra. Oggi, una guerra tra Stati dell’U.E. è impensabile, malgrado i conflitti presenti. L’esclusione della pena di morte e della tortura sono già elementi presenti nella Carta europea, che connotano l’identità europea, che si distingue da altre identità. In questo senso l’idea di “civilian power” ha portato ad una ridefinizione del concetto di sicurezza, che non è più una difesa militare, ma civile. Lo Stato moderno nasce da una necessità di difesa dal pericolo esterno, il “civilian power” vuole rispondere al problema della sicurezza interna. La crisi dell’U.E. è una crisi, in primo luogo, politica, di identità. L’Europa è “necessaria”, come affermava Habermas, ma deve rilanciare il suo progetto politico attraverso la discussione su ciò che vuole diventare.

 

Marcello Di Filippo, University of Pisa, The Challenge of Migration and the EU: a Fortress with increasingly sealed compartments?

Marcello Di Filippo è professore associato di diritto internazionale presso l’Ateneo pisano. L’area Schengen non è un’area per la libera circolazione di chiunque. I confini non sono stati eliminati, ma possono essere reintegrati. L’area Schengen non coincide con l’U.E. L’asilo comune europeo consente l’ingresso comune dei profughi, che provengono da Paesi in guerra o da altri Paesi in cui vengono sistematicamente violati i diritti umani. Se viene riconosciuto lo stato di “profugo”, lo Stato accogliente si prende cura del profugo.

L’Italia si trova geograficamente in una posizione svantaggiata, in quanto ai margini dei Paesi dai quali si verifica l’esodo, ma l’Italia è un Paese dell’area Schengen come altri; per questo è necessaria una collaborazione, ai fini di un’equa distribuzione.

Nel 2015 è stato ratificato un documento che si è mosso in tal senso, ma che, di fatto, si è rivelato un fallimento. Il documento parlava infatti della necessità di ridistribuire 160.000 persone, ma in realtà il numero è molto più elevato. I controlli sui confini esterni sono difficili, ma dopo gli attacchi di Parigi e Bruxelles sono state avanzate proposte di maggiore severità, per controllare i confini sia esterni che interni all’U.E., e questo a danno della Grecia. Ciò spiega la recente “esplosione” di costruzione di muri, che tuttavia non fermeranno i flussi. E’ quindi necessario agire alla fonte, nei Paesi in cui i flussi hanno origine. Il summit del 2015 tra Africa e U.E. che si è tenuto a La Valletta si muove in questa positiva ottica, come anche la dichiarazione tra U.E. e Turchia. La mancata collaborazione ha causato, ad esempio, il grave episodio che ha visto respingere gli afghani dalla Turchia. L’U.E. deve quindi aiutare alcuni Paesi a rafforzare le proprie economie per evitare che i flussi possano interessare anche coloro che non fuggono da Paesi in guerra, ma da situazioni economiche di particolare povertà e per questa operazione è necessario, ovviamente, un apposito fondo monetario. L’Ungheria, ad es., non si sta dimostrando una democrazia liberale. L’U.E. deve sopravvivere per questo.

 

Sara Poli, University of Pisa, Intergovernmental Cooperation and Terrorist Attacks in Europe.

Il presente intervento vuol essere più uno stimolo per la discussione che non una lectio ex cathedra. Il tema affrontato, molto duro, è quello dei recenti attacchi terroristici, soprattutto in relazione a quello francese del 2015. Cosa ha fatto la Francia dopo aver subito l’attacco? Ha ricercato l’aiuto dell’U.E. o dei singoli Stati? Cosa implica ciò per una politica di difesa comune e come ha inciso sulla coesione dell’U.E.? E’ la clausola di solidarietà che sancisce anche l’aiuto in caso di disastri naturali, ma in questi ultimi casi la legge è più imperativa, mentre è possibilista in caso di attacco terroristico. In ogni caso, gli aiuti sono previsti soltanto per gli Stati membri. Gli aiuti possono essere economici, politici, militari, ma in caso di attacco terroristico e di aiuti militari, la normativa è molto generica. La Francia si è avvalsa di una cooperazione intergovernativa piuttosto che di un intervento sovranazionale. Come mai? La scelta della Francia ha mostrato un chiaro segno di sfiducia nei confronti dell’U.E., anche se su questo punto dissente la relatrice, in quanto la Francia voleva reagire agli attacchi terroristici colpendo le fonti degli attacchi stessi, che non si trovano in Europa, ma in Iraq ed in Siria.

 

IV° modulo. The European Union and its <<Neighbourhood>>.

Presentazione di Andrea Giannotti, Università di Pisa.

L’insieme di crisi, incertezze, conflitti limitrofi all’U.E. condiziona la stabilità stessa dell’Unione. Si intravedono 3 aree geografiche:

a)bacino del Mar Baltico (Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia);

b)recenti Paesi entrati nell’U.E., quali la Romania;

c)il Caucaso (non fa parte dell’U.E.).

H.15.00 Distinguished Lecture: Serena Giusti, Sant’Anna School of Advanced Studies, The EU’s Transformative Power challenged in the post-Soviet Space.

Ha studiato l’allargamento dell’U.E. ad Est: m. Kundera ha scritto un articolo sul desiderio, da parte dei Paesi dell’Est, di tornare al luogo d’origine (cfr. anche L’insostenibile leggerezza dell’essere). E’ il caso della “ostalgia” della ex D.D.R. L’allargamento dell’U.E. ai Paesi dell’est, se da un lato ha favorito il loro processo di democratizzazione, dall’altro ha comportato, per i Paesi dell’Europa Occidentale, un certo impoverimento. C’è stato un ritorno, nelle elezioni di alcuni Paesi, anche al partito comunista, sia pure in forme diverse, accompagnato da un ritorno a posizioni antieuropee. Questo processo di allargamento si compie, fondamentalmente, dal 2004 al 2007, mentre nel 2013 entra in Europa la Croazia. L’U.E. non ha esercitato alcuna coercizione su questi Paesi, che hanno espresso il desiderio di entrare nell’U.E. In Paesi come l’Ungheria e la Polonia oggi la democrazia è indebolita anche dall’atteggiamento di chiusura verso il fenomeno migratorio extracomunitario. Gli ex Paesi del blocco comunista hanno infatti oggi un atteggiamento di chiusura verso l’ingresso nell’Unione da parte sia di altri Stati che di singoli individui o di migrazioni di intere etnie. L’U.E. deve istituire delle politiche di interazione con i Paesi viciniori, come previsto anche dalla normativa europea. L’annessione della Crimea da parte della Russia è dovuta al non intervento dell’U.E. perché manca una legislazione in materia. La crisi ucraina ha visto un crescendo di tensioni tra Russia ed U.E., che deve frenare la propria pressione politica sul vicinato, ma al tempo stesso ricercare la collaborazione su specifici settori. Questa strategia indica linee che al momento sono ancora da percorrere. Avere ai propri confini Stati deboli non aiuta l’Unione. Riflettere sul vicinato dell’U.E. pone problemi sull’identità e la stessa U.E. Hillary Clinton avrebbe affermato che gli U.S.A. avrebbero impedito a tutti i costi un eventuale recupero, da parte della Russia, degli ex Paesi satelliti. Questo ci induce a porci la domanda: allargamento a che pro? E con quali limiti?

 

H.16.00 Case Studies H.E. Jolanta Balciuniene, Ambassador of Lithuania to Italy, Geopolitics of Baltic Region.

Dopo il crollo dell’unione Sovietica, la Russia si era impegnata nell’intraprendere una strada democratica, ma non lo ha mantenuto, a differenza della Lituania, che si è invece impegnata in questa strada. Il regime di Stalin aveva massacrato milioni di persone in Lituania. La Lituania si è sempre distinta per la sua politica filoeuropea e filoatlantica, senza dimenticare le relazioni con la Polonia, la Svezia, la Germania ed il nord Europa. Tutta l’Europa settentrionale condivide i medesimi valori di pace, sicurezza e cooperazione. In ogni caso, è sempre meglio avere una pace fragile che una guerra.

 

Tatiana Zonova, MGIMO (Moscow State Institute of International Relations), The Black Sea and the Mediterranean in the Russian Foreign Policy.

Cosa rappresenta per la Russia il Mar Nero? L’interesse della Russia per il Mar Nero è vivo fin dal Medioevo, per uscire dai suoi domi continentali; analoghi interessi la Russia ha sempre avuto verso il Baltico. Questo spiega i conflitti che la Russia ha avuto in età moderna, rispettivamente, verso l’Europa e la Svezia. Con Pietro il Grande, nel primo ‘800, si accentuano questi interessi. Già Doestoevskij affermava “Costantinopoli sarà nostra”. Si accentua l’idea di un “Grande Mediterraneo”, che includa anche il Mar Nero, tesi espressa, negli anni ’70, anche da Aldo Moro alla conferenza di Helsinki. Nel 1997 si decide di dividere la flotta: avremo una flotta russa ed una ucraina. Nel 2010 i parlamenti russo ed ucraino ratificano un accordo, ma la situazione tra i due Paesi diventa sempre più tesa e l’Ucraina ricerca la protezione dell’U.E. Nel 2014 Putin denuncia gli accordi del 1997 sulla divisione delle due flotte come dannosi per la Russia. Intanto, la guerra civile in Siria vede l’alleanza tra la Russia di Putin e la Siria di Assad. Bulgaria, Romania e Turchia, i Paesi costieri del Mar Nero sono ora convocati per decidere sul destino del Mar Nero.

 

Aleksandr Konkov, MGU (Moscow State University), Caucasian Region: Lessons Learnt and Challenges to Overcome.

Il Caucaso è una regione impervia e differente al suo interno; per secoli la gente è vissuta in questa grande eterogeneità di lingue, culture, religioni. E’ un esempio di microcosmo. Si può identificare il Caucaso con un triangolo, bagnato dal Mar Nero, verso l’Europa, e dal Mar Caspio, il più grande lago del mondo, posizionato verso l’Asian centrale. Armenia, Azerbaijan ed Georgia a nord costituiscono un piccolo triangolo. Sul piano religioso, abbiamo il cristianesimo ortodosso, armeno e l’Islam. E’ un altro triangolo, che ci porta ad ipotizzare l’esistenza di un altro triangolo ancora, più ampio, tra Russia, Europa ed Asia. Dal 1783 la Russia ha una presenza permanente nel sud del Caucaso (trattato di Georgievsk). L’Armenia è il Paese più antico della regione: dal 1828 una parte dell’Armenia si è unita all’impero russo, l’Azerbaijan entra nell’Impero russo nel 1813, con il trattato di Gulistan tra Russia e Persia (il nome stesso Azerbaijan deriva dalla provincia persiana Azerbaijan). Nel 1991 è stata dichiarata l’indipendenza per tutti gli Stati del Caucaso: fu una delibera unilaterale. Armenia ed Azerbaijan sono repubbliche sovietiche fin dal 1921. La Georgia ha ottenuto la sua indipendenza nel 1918: Stalin stesso era georgiano. Le recentissime elezioni dell’8 ottobre hanno visto emergere il “partito dei patrioti della Georgia”. Differentemente dalla Georgia, l’Armenia non considera l’indipendenza del 1918 come la sua indipendenza. Dal 2015 è membro dell’Unione Euroasiatica. L’Azerbaijan si considera indipendente fin dal 1918. Le riforme costituzionali sono state confermate con il referendum del 26 settembre 2016. Il nord del Caucaso comprende 6 regioni. Possiamo parlare quindi anche di un triangolo geopolitico nel Caucaso tra Georgia, Azerbaijan ed Armenia. I rapporti tra U.E. ed Unione Euroasiatica comportano norme di convivenza, ma anche conflitti.

 

Thursday, 27th October.

V° modulo. Beyond Crises. New Horizons for International Cooperation.

H.9.30 Distinguished Lecture: Andrea Giannotti, University of Pisa, Cooperation: Necessary Step towards a New International Order.

Il tema della cooperazione internazionale rappresenta la summa dei modelli precedenti, dal Medio Oriente ai Paesi limitrofi all’U.E. La cooperazione internazionale è un passaggio fondamentale verso lo sviluppo dei Paesi più deboli. Vi è poi la cooperazione all’interno di sistemi chiusi, come l’U.E. Ma vi è anche una cooperazione tra sistemi opposti: questa cooperazione è un metodo che si è reso necessario. Il ruolo guida degli Stati Uniti si sta indebolendo: a metà degli anni ’50 sarà superato dalla Cina, poi dall’India, dal Giappone, dalla Russia. Il ruolo di pacificazione svolto dall’America nei conflitti arabo-israeliani oggi non è più possibile (anche se i tentativi sono tutti falliti). La situazione, rispetto all’ultimo trentennio, è quindi completamente cambiata. Le sfide comparse nell’ultimo ventennio richiedono una cooperazione internazionale e non possono essere risolte dai singoli Stati: il terrorismo internazionale è solo il primo di questi problemi (dal Mali alla Libia, allo Yemen).

Un altro problema è quello dell’acqua: l’Africa soffre di una mancanza d’acqua impressionante, nonostante la presenza di grandi fiumi, come il Nilo (Erodoto aveva definito l’Egitto “dono del Nilo” già nel V° sec. a. C.), e questo a causa di erronee politiche di gestione. Questi problemi richiedono infatti una cooperazione internazionale. Proprio, infatti, sul problema dell’acqua possono aprirsi conflitti.

Altro problema importantissimo è quello del narcotraffico: sul commercio della droga si abbattono e si costruiscono i governi, il narcotraffico finanzia il terrorismo a livello planetario. Le vie fondamentali del narcotraffico internazionale sono due: a) quella dell’eroina, proveniente dall’Afghanistan, e b)quella della cocaina, proveniente dal Sud America, e più precisamente dal Messico e dalla Colombia. Per affrontare queste tematiche occorrono cooperazione internazionale strategie condivise.

Particolare è il caso afghano: dopo i talebani, c’è stata un’amministrazione civile guidata dagli Stati Uniti. Il governo afghano ha affermato che molti contadini afghani sopravvivono grazie alla coltivazione dell’eroina, ma al contadino toccano appena 100 dollari: la quasi totalità del ricavato finisce nel circuito bancario internazionale per finanziare anche il terrorismo. Anche l’Italia è interessata al narcotraffico.

I servizi segreti russi hanno intercettato una nave carica di cocaina proveniente dal Messico: questo è stato un proficuo esempio di cooperazione internazionale.

Il terrorismo trova inoltre i suoi adepti anche tra i carcerati per reati comuni e la polizia penitenziaria non è in grado, attualmente, di gestire questo problema; occorrono sempre più, anche conoscenze linguistiche specializzate, in altre lingue oltre a quelle europee, quali il russo, l’arabo, il cinese, il giapponese.

Un altro caso, poco conosciuto per pressioni politiche, è rappresentato dall’Artico: Russia e tati Uniti hanno istituito in proposito un tavolo di cooperazione per la gestione della zona artica. Il Consiglio artico è costituito da Canada, Russia, Norvegia, Stati Uniti, Finlandia, ma molti altri Paesi, come Italia, Germania, Cina e Giappone sono comunque interessati alla gestione dell’Artico. Lo scioglimento dei ghiacci è un fenomeno sempre più impressionante, anche se questo è negato dalle compagnie interessate: le compagnie di Russia, Canada, Danimarca ed anche Norvegia si contendono la gestione del Mar Glaciale Artico. Il quadro complessivo è quindi di forte tensione: per lo sviluppo internazionale si richiede la circolazione di notizie e quindi maggiore cooperazione internazionale. Lo scioglimento dei ghiacci sta creando problemi enormi all’urbanistica ed alla fauna: favorire la conservazione delle foche piuttosto che delle balene o degli orsi è un problema attorno al quale ruotano interessi internazionali.

 

Is there still an international order?ultima modifica: 2016-10-28T15:36:36+02:00da m_200
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