La Grande Nazione: modelli costituzionali nella Rivoluzione francese

ANNO ACCADEMICO 2015/16

CONSORZIO INTERNAZIONALE EUROPEO INTERUNIVERSITARIO:

Università di Roma “La Sapienza”- Bournemouth Polytechnic (UK)

Università degli Studi di Udine – Università degli Studi di Foggia

Università degli Studi del Molise – Università degli Studi di Torino

Università degli Studi di Cassino – Università degli Studi di Camerino

Università degli Studi di Sassari – University of Chester (UK)

Università degli Studi “Guglielmo Marconi” – Università degli Studi di Bari

Universitatea “Ovidius” di Constanta (Romania)

AREA TEMATICA: DIPARTIMENTO DI SCIENZE STORICHE, FILOSOFICHE E LETTERARIE

CORSO ANNUALE POST LAUREA DI PERFEZIONAMENTO IN RICERCA STORICA:

 “LA RICERCA STORICA: METODI PER LA DIDATTICA”

TESI DI PERFEZIONAMENTO IN

“STORIA MODERNA”

LA GRANDE NAZIONE: MODELLI COSTITUZIONALI NELLA RIVOLUZIONE FRANCESE

 

PERFEZIONANDO: DOTT. MARCO MARTINI – MATR. N. 00241A16

DOCENTE TUTOR: CHIAR.MO  PROF. DANIELE MAGRELLI

Dedica, memorie, saluti, ringraziamenti ed invocazione.

Dedico questo lavoro alla mia famiglia estinta ed in particolare a mia madre, recentemente venuta a mancare, sempre ricordandovi, Marco.

Non posso iniziare questo lavoro senza ricordare con infinita devozione il grandissimo Jacques Le Goff, maestro di tutti noi nella ricerca storica e recentemente, ahimè, scomparso!

In memoria del Chiar.mo Prof. Salvo Mastellone ,già mio docente di “Storia delle dottrine politiche”  al Corso annuale di Perfezionamento post-laurea  in “Storia medievale, moderna e contemporanea” dell’Università di  Firenze nel lontano a. a. 1988/89, studioso di animo liberale, ahimè  venuto a mancare il 26 gennaio 2012, all’età  di 92 anni, il cui ricordo m’è fonte inesauribile d’inestinguibile dolore.

In ricordo del Chiar. mo Prof. Paolo Viola, storico marxista, normalista e professore ordinario all’Università di Palermo, la più autorevole voce italiana sulla Rivoluzione francese, allievo di Albert Soboul  e  prematuramente spentosi l’11 novembre 2005, cagione d’ ininterrotto mio spargimento di lacrime!

Ringrazio il Chiar.mo Prof. Sergio Luzzatto, studioso marxista ed esperto dell’argomento in questione, ordinario di storia moderna all’Università di Torino, mio coetaneo e giovane storico, per la ricchezza delle giornate di studio alle quali ho avuto il piacere di partecipare e per lo studio sul fratello minore di Robespierre, recentemente pubblicato.

Colgo l’occasione per salutare tutti gli amici,  i colleghi di altre discipline, di materie affini e dei miei stessi insegnamenti, i miei studenti, con i quali mi pregio di coltivare rapporti culturali ed umani anche quando, da anni, sono giunti al termine dei loro studi.

E’ mio intento ringraziare anche le 13 celebri Università ivi consorziate, delle quali 10 italiane e 3 europee (2 inglesi ed 1 romena), da me menzionate nel frontespizio-copertina, per l’ineccepibile organizzazione didattica dei Corsi e per avermi offerto l’occasione di un sì alto momento formativo! 

Un particolare ringraziamento al Chiar. mo Prof. Daniele Magrelli per l’assistenza fornitami con costante cordialità.

Infine, come Dante invocò l’aiuto di Apollo per comporre “l’ultimo lavoro”, cos’io, nell’apprestarmi ad elaborare una sì alta opera di ricerca storica, invoco il Grande Erodoto, nella raffinata arte della ricerca maestro di tutti noi!!!  

 

Viareggio (LU), Anno Accademico 2015/16                         Marco Martini

 

 

 

INTRODUZIONE.

 

La Rivoluzione francese non fu soltanto un  ‘bagno di sangue’ immotivato, ma il crogiuolo della modernità, nel quale maturarono una serie di principi che sono alla base della società civile contemporanea, quali il diritto di rappresentanza, la democrazia, l’uguaglianza giuridica, la libertà di espressione e di culto. Per questo la ‘Grande Rivoluzione’ è stata un laboratorio di modelli costituzionali.

Nel presente studio si ripercorreranno le tappe dell’evento rivoluzionario più importante del Settecento e tra i più travolgenti della storia, con l’ausilio delle fonti primarie, mediante un accurato lavoro di scavo del testo e di ricerca storica[1]. Saranno in particolar modo studiate le costituzioni del 1791, del 1793 (Costituzione dell’anno I) e del 1795 (Costituzione dell’anno III), inserite nel più ampio contesto che abbraccia l’arco di tempo compreso tra il 1788 (l’anno che precede la presa della Bastiglia) ed il 1795, anche se alcuni storici tendono a vedere la conclusione della Rivoluzione nel 1799, tesi non condivisa, come si vedrà, dallo scrivente. Il lavoro sarà articolato in 3 capitoli (ed in successivi paragrafi): nel I si cercherà di delineare il panorama della Francia alla vigilia della Rivoluzione e si parlerà del 1789, anno simbolo della presa della Bastiglia; nel successivo sarà considerato l’arco di tempo compreso fra il 1790 ed il 1792, centrale nel contesto rivoluzionario, mentre nell’ultimo si prenderà in esame in particolare il terrore, e comunque il periodo compreso tra la morte del re, la reazione o “restaurazione” termidoriana e la Costituzione dell’anno III, ultimo modello costituzionale  “partorito” dalla Rivoluzione. Si concluderà il lavoro considerando, con ampio spazio, il dibattito storiografico più recente in materia, ivi comprese le interpretazioni venute alla luce nella ricorrenza del II bicentenario della presa della Bastiglia.

Nella bibliografia infine, saranno considerate, oltre alle fonti storiche primarie e secondarie, anche i siti internet consultati e l’imponente apparato filmografico e documentaristico che si è sviluppato in materia.

Lo scopo è quello di mostrare come nell’evento sicuramente più rivoluzionario dell’età moderna si siano alternate, a seconda delle varie e numerose fasi, luci ed ombre: l’interpretazione seguita dal sottoscritto sarà quella moderata di Ferrero[2], storico vissuto tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, di scuola hegeliana.

Il metodo seguito sarà quindi duplice: quello dell’argomentazione delle vicende che hanno portato alle Costituzioni, e quello di una serrata analisi testuale.

Insieme ad elaborazioni e riflessioni concettuali profonde, non  mancheranno, nel presente lavoro, curiosità e particolarità che hanno animato e ‘colorito’, nel bene e nel male, la Rivoluzione.

Ci si è in sostanza proposti un duplice obiettivo, reciprocamente intrecciato: da un lato analizzare la Rivoluzione francese come laboratorio di modelli costituzionali moderni, come si è precisato nell’Introduzione, dall’altro offrire una valido ausilio didattico, relativo alla storia generale della Rivoluzione francese dalle cause al suo epilogo, a chiunque voglia avvicinarsi allo studio di questo evento epocale.

CAPITOLO I: DALLA VIGILIA DELLA RIVOLUZIONE ALLO  “SCACCO AL RE” (1788/6 OTTOBRE 1789).

 

 

I.1. LA FRANCIA DELL’ANCIEN REGIME: LE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE.

 

La Francia di Luigi XIV, Luigi XV e Luigi XVI è la patria dell’assolutismo monarchico, che ha rifiutato qualsiasi apertura al programma del Dispotismo Illuminato. Le terre erano quasi tutte nelle mani dei nobili, che fin dai tempi del Re Sole vivevano oziosamente a corte, nella reggia di Versailles[3], e si tenga presente che nella Francia del XVIII secolo era pressoché assente l’industria, l’unica attività era infatti quella artigianale, oltre all’agricoltura. L’alto clero possedeva anch’esso delle terre, deteneva il monopolio della cultura e dell’istruzione e godeva di antichi privilegi, come la riscossione delle decime dai contadini. Nobili e clero non pagavano tasse ed erano in rapporti molto stretti: gli alti prelati erano infatti di origine nobile e per far carriera ecclesiastica si doveva essere nobili. Invece contadini, operai, borghesi, intellettuali, quali professori, medici, avvocati, notai, commercianti, professionisti, pagavano le esose tasse imposte dal re Luigi XVI per mantenere gli sfarzi della corte ed in particolare il lusso della regina, Maria Antonietta d’Asburgo Lorena, di origine austriaca (era la sorella dell’imperatore Leopoldo d’Austria) ed anche per questo invisa al popolo francese ed in particolare alle donne, che nel corso della Rivoluzione svolgeranno un ruolo importantissimo[4]. Le popolane infatti, e non soltanto loro, erano solite apostrofare la regina come  “l’austriaca”, evidenziando con tale epiteto una decisa antipatia nei confronti della sovrana, costretta, per procura, a sposare il giovanissimo Luigi Capeto all’età di soli 14 anni. Maria Antonietta, a differenza di altri sovrani, come l’ultimo zar di Russia Nicola II Romanov e sua moglie, non amò mai suo marito, e ciò trova conferma nei numerosi tradimenti coniugali dei quali fu protagonista. La regina era inoltre dedita al gioco d’azzardo.

A questo si aggiunse il fatto che il 1788 fu l’anno più critico, in tutto il Settecento francese, per il raccolto del grano, elemento fondamentale di sussistenza per il popolo.

Anche il basso clero fa parte del terzo stato, cioè di coloro che non appartenevano né all’alto clero né alla nobiltà, come l’abate Sieyés, teologo e fisico, che nell’opuscolo Che cos’è il terzo stato? Rivalutò il terzo stato, che non ha mai contato niente, mentre rappresenta il 98% della popolazione francese (l’ 1,5% è rappresentato dai nobili e lo 0,5% dall’alto clero). Sieyés rappresenta una delle voci più alte della cultura illuministica contro una società ancora feudale, in cui l’agricoltura è l’attività economica principale, praticata con mezzi molto arretrati. Alla fine del Settecento, inoltre, in Francia, si assiste ad un notevole incremento della popolazione e ad una carenza di risorse alimentari. Il terzo stato, scrive Sieyés, è la stessa nazione francese, è tutto il popolo francese, che vuole abolire quei privilegi feudali, nobiliari, di casta, che lo opprimevano. I nobili sono dei parassiti, ma è il terzo stato che lavora, produce, mantiene la Francia, mentre sulle casse francesi gravano ancora i bilanci passivi delle fallimentari guerre combattute dal Re Sole. Fino al momento, scrive Sieyés, il terzo stato non è contato nulla, ora chiede di contare per quello che rappresenta, cioè tutto il popolo francese, un popolo oppresso da privilegi di casta che devono essere aboliti, come si evince dal testo che segue:

“1. Che cos’è il terzo stato? Tutto.

2. Che cos’è stato finora nell’ordinamento politico? Nulla.

3. Che cosa chiede? Divenirvi qualche cosa.

Chi dunque oserebbe dire che il terzo stato non ha in sé tutto ciò che occorre per formare una nazione completa? Esso è un uomo forte e robusto con un braccio ancora in catene. Se si eliminasse l’ordine privilegiato, la nazione non sarebbe qualcosa di meno, ma qualcosa di più.

Oggi che cos’è il terzo stato? Tutto, ma un tutto oppresso ed ostacolato. Che cosa sarebbe senza l’ordine privilegiato? Tutto, ma un tutto libero e fiorente. Nulla può procedere senza di lui, tutto andrebbe molto meglio senza gli altri. Non basta però aver mostrato che i privilegiati, lungi dall’essere utili alla nazione, possono solo indebolirla e nuocerle; occorre anche provare che l’ordine dei nobili non trova posto nell’organizzazione sociale, che esso non solo è un peso per la nazione, ma non potrebbe nemmeno farne parte. […] Se dunque in Francia si vogliono riunire i tre ordini in uno solo, bisogna in primo luogo abolire ogni ordine di privilegi. Occorre che il nobile ed il prete abbiano come unico interesse l’interesse comune e godano, in forza della legge, dei diritti di un semplice cittadino”[5].

L’abate Sieyés è un uomo politico di origine borghese, un prelato appartenente al basso clero e quindi al terzo stato; persona di ispirazione liberale, fu tra i protagonisti nella fase iniziale della Rivoluzione francese come rappresentante del terzo stato alla convocazione degli stati generali il 5 maggio 1789 ed uno degli artefici della nascita dell’Assemblea Nazionale Costituente.

Il 27 aprile 1789 esplode l’ “Affaire Hanriot et Reveillon”, due industriali di Parigi che al faubourg St. Germain (uno dei quartieri operai più politicamente turbolenti di Parigi, insieme al faubourg St. Antoine) tengono un discorso in cui propongono per risollevare le casse dello Stato di Francia, di dimezzare il già basso salario degli operai. Da tener presente infatti che la paga giornaliera di un operaio, 25 soldi, era sufficiente per comprare 2 pagnotte, e i 2 industriali proponevano di portarla a 15 soldi. Dopo il discorso, il popolo del quartiere prende d’assalto le case dei due industriali, le cui teste, mozzate a colpi d’ascia (non era stata ancora inventata la ghigliottina) vennero portate su due picche per le strade di Parigi: si evince fin da qui come il gusto per il sangue ed il senso del macabro, durante la Rivoluzione, siano ossessionanti.

In questo contesto economico, i ministri delle finanze Turgot, Necker e Calonne furono, uno di seguito all’altro, licenziati dal re, poiché proposero, per sanare il deficit delle casse, di far pagare le tasse anche ai nobili ed all’alto clero. Il re rifiutò bruscamente, ma alla fine richiamò Necker, il più abile, dal quale accolse il consiglio di convocare l’assemblea degli Stati Generali, cioè l’assemblea dei tre ordini, alto clero, nobili e terzo stato, assemblea che veniva convocata solo in casi di gravissima necessità (era stata convocata da Filippo IV il Bello, re di Francia, nel 1300, contro Bonifacio VIII, per chiedere l’aiuto del popolo francese contro il tentativo teocratico del papa, e da Maria de’ Medici, reggente di Luigi XIII, nel 1614).

 

 

I.2. GLI STATI GENERALI, IL PROBLEMA DEL VOTO, LE “LAMENTELE”, L’ASSEMBLEA NAZIONALE, IL “GIURAMENTO DELLA PALLACORDA” E L’ASSEMBLEA NAZIONALE COSTITUENTE.

 

Il 5 maggio 1789 il re convocò a Versailles l’assemblea degli Stati Generali, ossia dei rappresentanti dei nobili, dell’alto clero e del terzo stato, anche se appartenenti, questi ultimi, al ceto medio borghese (medici, notai, avvocati ed intellettuale (professori).

I rappresentanti del terzo stato fecero presenti le lamentele dei loro elettori, redatte nei Cahiers de doléances (Quaderni di lamentele), in cui chiedevano una politica fiscale più equa verso i ceti più deboli, l’abolizione della tassa sul sale, l’abolizione delle decime, l’abolizione dei privilegi feudali per i nobili e l’alto clero, la possibilità di far carriera militare ed ecclesiastica anche per coloro che non erano nobili. Si supplicano, inoltre, il re ed i nobili di ripartire le tasse in modo equo e proporzionale al reddito; chiedono di poter vivere in modo dignitoso da poter fare l’elemosina ai poveri. Chiedono infine una revisione del codice penale che garantisca la libertà individuale. Emerge, nel complesso, il quadro di un Paese insoddisfatto, deciso ad ottenere significativi cambiamenti, come si evince dal testo stesso:

“Il Re è umilissimamente supplicato […] di ordinare che tutti i cittadini, senza distinzione di ordini, siano tenuti a concorrere a tutte le tasse presenti e future in proporzione ai loro redditi, di qualunque natura essi siano.

Di obbligare i decimatori titolari di diritto di decima […] ad accordare ai curati una parte che sia veramente e realmente congrua, ossia adeguata, sufficiente e capace di mantenerli e di farli vivere in modo onesto e metterli in condizione di esercitare la carità verso i poveri.

Di voler riformare il codice civile e penale, abbreviare e semplificare le forma giudiziarie  […]; abolire i tribunali speciali e, se possibile, la vendita delle cariche.

Che vengano anche abrogati tutti i regolamenti e tutte le leggi che nocciono all’agricoltura […].

Che vengano soppresse le gabelle del sale […].

Che venga garantita la libertà individuale dei cittadini e che nessuno venga punito senza essere prima udito.

Di prendere in considerazione che il paese delle Alte Cevenne non è in condizione di sopportare un aumento di imposte […].

Questa comunità fa voto che la nobiltà latifondista venga abolita in tutto il regno, che tutte le imposte […] siano egualmente ripartite in ogni comunità, senza distinzione di beni e di persone.

Che nel regno venga abolita la decima […], ma che venga pagato al decimatore e ad ognuno degli ecclesiastici un onesto stipendio. Qualora la decima non venisse abolita […], che ogni tipo di foraggio ne sia esente; che alla decima sia sottratto ogni tipo di semente e che vi sia soggetto un solo raccolto tra quelli fatti nello stesso anno e sullo stesso terreno”[6].

Il ministro Necker illustrò la grave crisi finanziaria del regno e sottolineò la necessità di far pagare le tasse anche ai nobili ed all’alto clero. Il terzo stato, che rivendicava di rappresentare la stragrande maggioranza della popolazione francese, chiedeva che per deliberare sulle necessarie riforme del Regno di Francia, so votasse per testa, e non per ordine: in questo modo il terzo stato avrebbe avuto la maggioranza, ma il re si oppose, sostenendo che si era sempre votato per ordine.

Il 17 giugno 1789 i rappresentanti del terzo stato, ivi compreso il basso clero ed alcuni nobili ed alti prelati illuminati (come l’arcivescovo di Nancy), si dichiararono Assemblea nazionale ed il 20 giugno occuparono la sala della pallacorda[7], ove giurarono di non separarsi fino a quando non avessero dato alla Francia una costituzione: è questo il noto “giuramento della Pallacorda”, accogliendo così la proposta dell’abate Sieyés.

Il 9 luglio l’Assemblea Nazionale si autoproclamò Assemblea Nazionale Costituente. La bandiera francese, che era rappresentata da una corona d’oro in campo bianco, simbolo della monarchia, fu cambiata in bianca, rossa e blu, blu con riferimento ai mari che bagnano la Francia, rossa con riferimento al sangue dei martiri caduti per la patria, bianca per il rispetto verso la monarchia, ancora molto importante. Con gli stessi colori fu fatta una coccarda, che tutti, compreso il re dovevano applicare o cucire sulla giacca o sul cappello. Il re, di fronte a questi atti del terzo stato, licenziò Necker, per la seconda volta, e chiamò un esercito mercenario di soldati svizzeri, che non parlavano nemmeno francese, ma solo tedesco, a difesa della reggia di Versailles, residenza stabile della famiglia reale. Ma tali mosse del re non piacquero al terzo stato, che temeva una violenta repressione da parte dei mercenari.

 

 

I.3. LA PRESA DELLA BASTIGLIA E LA “GRANDE PAURA”. L’ABOLIZIONE DEI DIRITTI FEUDALI E LA DICHIARAZIONE DELL’ ’89. IL RE A PARIGI.

 

Accanto alla guardia reale si formò la Guardia Nazionale, un esercito popolare, ma regolare, comandato dal marchese generale La Fayette, l’eroe della Rivoluzione americana, un fautore della monarchia costituzionale, un nobile idealista ed illuminato. Il re, dopo aver richiamato Necker nel suo ruolo di ministro delle finanze, lo licenziò nuovamente, e questa fu la miccia che portò le masse ad entrare nella scena politica: dopo un primo giorno di assalto ai forni e di disordini violenti in tutta Parigi[8] (13 luglio), il 14 dello stesso mese, alle 5 di pomeriggio, una folla comandata da Camille Desmoulins, un giovane avvocato che faceva il giornalista, in quanto non eletto all’Assemblea degli Stati Generali perché balbuziente, prese la fortezza della Bastiglia, un carcere nel quale vi erano soltanto 7 prigionieri, tra cui un pazzo, che credeva di essere un imperatore romano, ed un esiguo deposito di armi, gli stessi cannoni della fortezza, posti come emblema sugli spalti, erano poco funzionanti. La Bastiglia non era un carcere duro: ai prigionieri era concessa l’ora d’aria, il cibo era buono, ci si poteva arredare la cella liberamente, i rapporti dei detenuti con i carcerieri erano buoni, come lo stesso Voltaire, che vi era stato imprigionato ben due volte a causa delle sue idee fortemente anticlericali, ci attesta, prima di fuggire in Inghilterra, ospite del filosofo empirista scettico David Hume, con il quale poi litigherà, rompendo così l’amicizia. Ma la presa della Bastiglia ebbe tuttavia un fortissimo significato simbolico: era l’allegoria dell’assolutismo monarchico e fu l’occasione che vide le masse fare il loro trionfale ingresso nella storia. Fu espugnata essenzialmente per due motivi: per protestare contro il licenziamento di Necker[9], ordinato dal re, e contro l’arrivo dei soldati mercenari stranieri, chiamati anch’essi dal re. Il governatore De Launay ricevette una delegazione di popolani, che invitò addirittura a pranzo, ma, visto il suo rifiuto di consegnare la fortezza, il popolo parigino la prese e la testa del governatore fu mozzata a colpi d’ascia nella vicina piazza di Grève e portata in giro su una picca: è questo il primo esempio di come il senso del macabro e del sangue sia ossessionante, in tutte le fasi della Rivoluzione. Il re, assente per una deludente battuta di caccia, fi avvisato dal suo domestico personale soltanto in tarda serata, ma, almeno al momento, non comprese la portata dell’evento rivoluzionario, che si limitò a considerare come una semplice  “ribellione”, sottovalutandone quindi la portata e soprattutto il segnale d’avviso.

Nella seconda quindicina di luglio, le campagne francesi vengono prese d’assalto dai contadini inferociti, che danno letteralmente alle fiamme i documenti in cui si attestavano gli antichi privilegi nobiliari, di origine ancora feudale: è la “Grande Paura”, un fenomeno psicologico dal doppio significato. La paura è infatti, in primo luogo, quella dei nobili allarmati per l’arrivo delle bande contadine (le campane delle chiese dei villaggi suonavano

“ a martello” per avvisare dell’incombente pericolo), ma è anche quella dei contadini, che temono un complotto aristocratico. Si diffonde la sindrome del complotto, del tradimento, della cospirazione: il panico regna quindi ovunque[10].

Nella notte tra il 4 ed il 5 agosto 1789 i nobili più illuminati, come il marchese La Fayette, il vecchio principe Mirabeau, l’arcivescovo di Nancy, rinunciano spontaneamente ai loro privilegi feudali, anche per il diffuso timore della  “Grande Paura”, oltre che per sincere ed illuminate convinzioni.

Intanto fu istituito il comune, prima a Parigi e poi in tutta la Francia, una struttura politica municipalistica finora assente in Francia: il primo sindaco di Parigi fu l’astronomo Bailly, autore di una Storia dell’astronomia.

Il 26 agosto 1789 l’Assemblea Nazionale Costituente approva la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino”, mentre fu respinta, dalla stessa Assemblea, una “Dichiarazione dei diritti delle donne”: fu un testo d’ispirazione illuministica, ad imitazione della “Dichiarazione d’indipendenza americana” del 4 luglio 1776. Fu un documento chiave per comprendere le idee ed il progetto politico dei rivoluzionari. Esso poneva a fondamento delle scelte politiche e sociali il rispetto dei diritti naturali dell’uomo: libertà, proprietà, sicurezza, resistenza all’oppressore, uguaglianza dei diritti (non sociale, in questo testo). Si nota, nel documento, l’influenza de L’Esprit des lois (1748) di  Montesquieu. Questo emerge nella stessa Dichiarazione:

“I Rappresentanti del popolo francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri […] In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:

Art. 1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.

Art. 2. Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imperscrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressore […]

Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa.

Art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge. […]

Art. 8. La Legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e prorogata anteriormente al delitto, e legalmente applicata.

Art. 9. Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge.

Art. 10. Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge.

Art. 11. La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo: ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge. […][11]

Art. 16. Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione”.

I punti fondamentali di tale Dichiarazione dei diritti possono concettualmente essere sintetizzati nei seguenti:

  1. Bisogna difendere i diritti naturali dell’uomo, ossia libertà, proprietà, sicurezza, resistenza all’oppressore;
  2. I limiti della libertà individuale sono stabiliti dalla legge e la libertà di un individuo termina dove inizia quella di un altro;
  3. Solo per legge si può punire ed una legge non può mai avere valore retroattivo;
  4. Ognuno dev’essere considerato innocente fino a prova certa di colpevolezza;
  5. Sono ammesse libertà di culto e di espressione scritta ed orale;
  6. La società è fondata sulla separazione dei poteri[12].

Il re, inizialmente, si rifiutò di firmare e ratificare questi due atti, vale a dire l’abolizione dei diritti feudali e la Dichiarazione del 26 agosto, ma presto dovette cedere: il re, di fronte all’incalzare della Rivoluzione, della quale è sempre più “prigioniero”, è costretto a compiere una serie di  “passi indietro”: è il crollo dell’antico regime[13].

Il 6 ottobre 1789 una folla di donne marcia su Versailles e praticamente costringe il re e la sua famiglia a trasferirsi al palazzo reale, a Parigi, sotto la  “protezione” della guardia nazionale: come scrive Michelet, “Gli uomini hanno fatto il 14 luglio; le donne, il 6 ottobre. Gli uomini si sono impadroniti della Bastiglia monarchica; le donne, della monarchia stessa; l’hanno messa nelle mani di Parigi, vale a dire della Rivoluzione”[14]. Con i suoi continui “indietreggiamenti” si può ora veramente parlare di  “scacco al re”!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO II: DALLA COSTITUZIONE CIVILE DEL CLERO ALLA REPUBBLICA (1790/22 SETTEMBRE 1792).

 

 

II.1. LA COSTITUZIONE CIVILE DEL CLERO ED I RAPPORTI TRA CHIESA E RIVOLUZIONE.

 

Per risanare lo Stato sul piano finanziario, alla fine del 1789 si decise di requisire i beni ecclesiastici: l’Assemblea stabilì l’emissione di speciali titolo di Stato, gli assegnati, che come garanzia avevano le terre ed i beni requisiti alla Chiesa ed incamerati dallo Stato. Durante la Rivoluzione circolavano come carta moneta, perdendo progressivamente valore fino ad essere soppressi in età napoleonica.

Nel 1790 fu varata la Costituzione civile del clero: i preti dovevano giurare fedeltà allo Stato e diventavano praticamente impiegati statali, stipendiati dallo  Stato (la costituzione civile del clero fu quindi una forma di gallicanesimo, ovvero una mossa del potere laico, statale, di assoggettare la Chiesa, l’autorità spirituale, in Francia), ma il clero francese si divise tra clero giurato, la minoranza, e clero refrattario, la maggioranza, presente soprattutto nelle zone agricole come la Vandea ed incoraggiato dal papa Pio VI. Il clero refrattario fu però perseguitato dalla Rivoluzione. Tuttavia i rapporti tra Chiesa e Rivoluzione non erano pessimi, almeno inizialmente, e certe preghiere come il “Te Deum” furono tollerate; in seguito i rapporti peggiorarono quando fu introdotto il divorzio e furono fatte entrare nel Pantheon le spoglie del filosofo illuminista Voltaire; alla fine della Rivoluzione, durante il terrore, furono addirittura chiuse le chiese ed il culto di Cristo fu sostituito con quello della Dea Ragione o dell’Essere Supremo, cioè della Natura, sotto l’influsso del filosofo deista Jean – Jacques Rousseau, che Robespierre, fautore di questa “riforma” religiosa, aveva conosciuto quando era solo un ragazzo, ma dal quale era rimasto affascinato. Robespierre stesso considerava pericoloso l’ateismo. La Natura era simbolicamente rappresentata da una pianta. Al culto di Cristo, della Madonna e dei Santi si sostituì dunque, seppur gradualmente,  una forma di religione laica, basata sulla fedeltà morale assoluta (nel senso kantiano della Critica della Ragion pratica) alla virtù repubblicana e rivoluzionaria, tesa a combattere e a denunciare tutti i nemici della Rivoluzione, i complottatori controrivoluzionari. Il processo di scristianizzazione fu inaugurato da Hebert, un fanatico rivoluzionario, e completato da Robespierre, dopo che quest’ultimo aveva mandato Hebert al patibolo.

II.2. I CLUB RIVOLUZIONARI, PRODROMI DEI MODERNI PARTITI POLITICI.

 

A partire dal 1790 erano nati in Francia dei club privati, che troveranno sviluppo nell’Ottocento, durante il Risorgimento, e che costituiscono i prodromi dei moderni partiti politici. A partire dal centro e procedendo verso sinistra, troviamo proprio al centro i

  1. Foglianti, dispregiativamente chiamati “Palude” dall’estrema sinistra; auspicavano per la Francia una monarchia costituzionale. Tra questi, ricordiamo La Fayette e Mirabeau, che morì di morte naturale poco dopo l’inizio della Rivoluzione. Avevano un orientamento politico liberale e moderato.
  2. Girondini, repubblicani, di sinistra, con Brissot, ma non estremisti;
  3. Cordiglieri, repubblicani e democratici, popolari, di sinistra, più a sinistra dei girondini. Tra questi Georges Danton, Camille Desmoulins (non estremisti, avvocati), Hebert e Marat (estremisti, soprattutto quest’ultimo). La loro sede era un convento francescano, con riferimento alla corda portata intorno alla vita dall’ordine francescano.
  4. Giacobini, l’estrema sinistra repubblicana, con Robespierre (avvocato, compagno di studi di Desmoulins nel collegio dei gesuiti durante il regno di Luigi XV), Louis Antoine Saint-Just e Chouton (costretto su una sedia a rotelle causa una malattia), questi ultimi due particolarmente estremisti. Erano detti anche “Montagnardi” perché, in seno all’Assemblea Nazionale Costituente, occupavano gli scranni posizionati più in alto, a sinistra, quindi erano quelli “della Montagna”. Erano chiamati giacobini perché avevano la sede del loro club nel convento sconsacrato di San Giacomo, messo loro a disposizione dall’abate Gregoire, un prete giacobino, pentitosi delle sue scelte giacobine, si dice, in punto di morte. Vicino ai giacobini vi erano anche i
  5. Sanculotti, popolani, non presenti nell’Assemblea Nazionale Costituente, così chiamati perché indossavano i pantaloni lunghi, senza le culotte dei nobili (“sans les coulottes”); erano soliti portare anche il berretto frigio, un berretto rosso[15].

 

 

 

 

II.3. LA COSTITUZIONE DEL 1791, LA FUGA DEL RE E L’ECCIDIO DEL CAMPO DI MARTE.

 

Nel 1791 l’Assemblea Nazionale Costituente emanò la Costituzione: la Francia diventa una monarchia costituzionale, il clero giurato deve ora giurare fedeltà alla Costituzione, che è ispirata alla “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 26 agosto 1789 ed alla separazione dei poteri codificata dal filosofo illuminista Charles Louis de Montesquieu nel 1748 ne Lo spirito delle leggi. Il re è sovrano per volontà della Nazione, non più per diritto divino, il potere esecutivo spetta al sovrano, che nomina i ministri, ma quello legislativo all’Assemblea Nazionale Costituente, unicamerale. Il sovrano può però esercitare il diritto di veto sulle decisioni dell’Assemblea, cioè del Parlamento. Il potere giudiziario spetta ai giudici, che sono elettivi, mentre i ministri, di nomina regia, non fanno parte dell’Assemblea. Il sistema elettorale fu limitato su base censitaria. Il re è costretto a firmare anche la Costituzione, oltre a tutti gli atti precedenti, ed a giurarvi fedeltà: con una serie di progressivi “indietreggiamenti” il re è quindi sempre più “prigioniero” della Rivoluzione, e per questo, insieme alla sua famiglia, tentò di fuggire in Austria, dal cognato, l’imperatore Leopoldo, travestito da nobiluomo, ma la sua carrozza fu fermata a Varennes, sul confine, ed il re fu riportato a Parigi, sotto gli occhi sbigottiti della folla, quasi incredula. Il re fu fermato e riconosciuto nei pressi di una locanda sul confine grazie alla testimonianza di un contadino al quale la carrozza aveva chiesto informazioni sulla strada da seguire; in cambio di tale preziose notizie, il monarca, dalla carrozza, sia pure travestito da nobiluomo, aveva commesso l’errore di elargire ben un “Luigi d’oro” (una moneta regale d’oro) all’uomo, che, interrogato dai soldati della Guardia nazionale che stavano cercando il monarca in fuga, riferì l’accaduto e la direzione presa dalla carrozza.

I monarchici costituzionali foglianti ed i moderati, per salvare il re, diffusero la falsa voce che il monarca era stato rapito, e l’Assemblea accettò la motivazione, ma i giacobini ed i sanculotti accusarono invece il re di aver tentato la fuga e di aver pertanto tradito la Francia ed invocarono la necessità di trasformare il Paese in una repubblica, con una manifestazione non autorizzata al Campo di Marte, che fu repressa nel sangue dal generale La Fayette, all’insaputa del re: vi furono 50 morti, lo stesso Robespierre[16], che aveva partecipato alla manifestazione, dovette rifugiarsi in casa del cittadino Maurice Duplay, un giacobino che gli resterà amico fino alla fin; Duplay era in realtà un falegname, un ambizioso piccolo borghese che si era schierato con i giacobini.

Uando la Costituzione del 1791 fu finalmente adottata, essa nascondeva tuttavia una contraddizione, suscettibile di un’ “impasse” costituzionale: per proteggere la sovranità nazionale dai pericoli della rappresentanza, permetteva al monarca di far uso del suo diritto di veto contro i decreti legislativi, e quindi di paralizzare l’Assemblea Nazionale per la durata di due legislature. Ma per proteggere la Costituzione stessa dai pericoli di un’azione popolare condotta in nome della sovranità della Nazione, essa richiedeva all’Assemblea un periodo di tre legislature per poter rivedere la Costituzione stessa. Queste disposizioni spiegano il conflitto tra i principi di costituzionalità e quelli di sovranità della Nazione, urto che si verificò durante le settimane che precedettero l’evento del 10 agosto 1792.

A causa del diritto di veto da parte del re, la Costituzione del 1791, notò Brissot, poteva funzionare soltanto con un “ re rivoluzionario”, e Luigi XVI non era certo questo tipo di monarca. Così, non appena risultò, nella primavere del 1792, che il diritto di veto da parte di Luigi Capeto si opponeva alla volontà sovrana della Nazione, invece di permettersi di realizzarsi, fu in pericolo non soltanto il re, ma anche la Costituzione stessa.

Mentre le crescenti richieste popolari di una sospensione o di una deposizione del re si appellavano al principio della sovranità della Nazione, esse erano denunciate all’Assemblea come sovversive nei confronti di una Costituzione che non aveva previsto nulla per questo genere di circostanze. I deputati insistevano sul fatto che la Costituzione poteva essere salvata solo con mezzi costituzionali, ma non riuscivano a mettersi d’accordo sulla natura di questi mezzi. E, mentre i politici temporeggiavano e tergiversavano, le richieste popolari di un’azione contro il re furono seguite da sollecitazioni per un’immediata modifica della Costituzione, sollecitazioni che includevano anche un rifiuto delle disposizioni restrittive stabilite dalla Costituzione del 1791 in materia di revisione costituzionale. Nel denunciare queste disposizioni durante la seduta del 25 luglio 1792 come un dimostrazione supplementare del fatto che “tutti i popoli della terra non  hanno mai potuto delegare per un momento la loro sovranità, senza che coloro ai quali l’hanno delegata abbiano cercato di asservirli”[17], Isnard, d’accordo su questo punto con Chabod, sostenne che “il popolo francese avrà sempre il diritto incontestabile di cambiare la sua Costituzione, quando lo giudicherà opportuno”[18]. Il 4 agosto una famosa risoluzione della sezione di Mauconseil proclamò che era impossibile salvare la libertà con mezzi costituzionali, ed annunciò che la Costituzione stessa non  poteva più essere considerata un’espressione della Volontà generale. Nella stessa logica, una petizione presentata al Campo di Marte dichiarò nulle le decisioni prese dall’Assemblea Costituente dopo la fuga di Varennes e fece appello, contro la Costituzione del 1791, ai principi contenuti nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 26 agosto 1789[19].

Presentata all’Assemblea il 6 luglio, questa petizione reclamava la deposizione del re, l’elezione di una Convenzione costituzionale ed un programma di mobilitazione rivoluzionaria; la giustificazione per tutto ciò era che “la patria è in pericolo, rientriamo nella Rivoluzione”. Il 10 agosto 1792 la demolizione della Costituzione del 1791 non era altro che la logica conseguenza di questo appello a riprendere la Rivoluzione[20].

 

 

II.4. LA GUERRA E LE VARIE POSIZIONI A RIGUARDO, IL PROCLAMA DEL DUCA DI BRUNSWICH E  L’ARRESTO DEL RE.

 

L’Assemblea, in seguito ad una rivolta di schiavi neri a Santo Domingo, nelle Antille, una colonia francese, concesse la libertà agli schiavi neri nelle colonie francesi e requisì, oltre ai beni ecclesiastici, anche quelli dei nobili fuggiti all’estero.

L’Europa temeva che la Rivoluzione potesse contagiare anche altri Stati; i nobili fuggiti all’estero, inoltre, diffamavano la Rivoluzione.

Una particolare ostilità verso la Francia rivoluzionaria era presente in Austria ed in Prussia, che costituirono una coalizione antifrancese che minacciava i confini della Francia. L’Assemblea Nazionale ed il re dichiararono guerra alla Prussia ed all’Austria. Diverse furono le posizioni in proposito, dei vari club:: i giacobini, con a capo Robespierre, erano contrari alla guerra perché pensavano che la guerra contro potenze straniere potesse distrarre il popolo dalla Rivoluzione intestina; la guerra ha inoltre, affermò Robespierre, una natura sempre controrivoluzionaria. I girondini, con Brissot, erano invece favorevoli al conflitto ed auspicavano una vittoria francese sulle potenze reazionarie dell’Austria e della Prussia per diffondere le idee rivoluzionarie. Il re era favorevole alla guerra come i girondini,  cordiglieri ed i foglianti (cioè tutta l’Assemblea tranne i giacobini), ma per opposte motivazioni: auspicava una sconfitta della Francia rivoluzionaria, che avrebbe appunto significato una sconfitta della Rivoluzione.

Il duca di Brunswich, austriaco, emanò un proclama nel quale affermava che avrebbe messo a ferro ed a fuoco tutta la Francia se fosse stato fatto minimamente del male al re ed alla sua famiglia. Le prime battaglie, insignificanti, segnano le sconfitte francesi, con la gioia nascosta del re e della sua famiglia: il re aveva infatti pagato le truppe affinché, sul confine, si ritirassero, consentendo l’avanzata austro-prussiana.

Tuttavia il proclama del duca di Brunswich restò inascoltato: i giacobini, con Robespierre, ed i sanculotti, popolani non presenti in Assemblea, fecero arrestare il re sotto l’accusa di tradimento. Il 10 agosto 1792 i sanculotti, con l’appoggio della Guardia Nazionale, costrinsero il re e la sua famiglia a rifugiarsi all’Assemblea Nazionale. Il re è ora letteralmente “prigioniero” della Rivoluzione: siamo quindi passati dallo “scacco al re” allo “scacco matto”! Robespierre, da questo momento, sapeva già che saremmo arrivati ad un punto in cui sarebbe stato impossibile salvare il re e la Rivoluzione al tempo stesso.

Il poeta e capitano Rugé de l’Isle, intanto, coniò “La Marsigliese”, oggi nazionale francese, cantata prima da un battaglione di volontari di Marsiglia e poi da tutti i soldati francesi al fronte. La canzone, composta nel 1792, diventò subito popolarissima ed animò i soldati al fronte, con i quali il popolarissimo Danton intratteneva ottimi rapporti.

 

 

II.5. SETTEMBRE 1792: LE “STRAGI DI SETTEMBRE”, LA CONVENZIONE, LA VITTORIA DI VALMY, LA REPUBBLICA, IL “CALENDARIO RIVOLUZIONARIO”.

 

Nel settembre 1792 si diffondeva sempre più, dopo l’arresto del re, l’idea di un complotto controrivoluzionario: una folla di sanculotti e popolani prese d’assalto le carceri di Parigi, ove erano detenuti moltissimi prigionieri politici, come nobili e preti refrattari, che furono massacrati; questo episodio è passato alla storia come “massacri di settembre” o “stragi di settembre”, che furono aspramente criticati da Desmoulins, mentre Danton tentò invano di fermarli.

Intanto, con forte preoccupazione del re, che, insieme alla sua famiglia, è detenuto nel carcere della Conciergerie, l’esercito francese sconfigge duramente gli austro-prussiani a Valmy; ora, in seno alla Convenzione[21] (nuova denominazione dell’Assemblea Nazionale, con un significato più fortemente rivoluzionario), anche Robespierre ed i giacobini cambiano idea sulla guerra e ritengono necessario proseguire il conflitto per far trionfare la Francia rivoluzionaria e schiacciare i complottatori.

Il 22 settembre 1792 fu proclamata la Repubblica: Mirabeau era intanto morto per vecchiaia, mentre La Fayette, monarchico costituzionale accusato di tradimento, emigra in Belgio; molti moderati lasciano la Francia.

Sempre nel settembre 1792 fu varato un nuovo calendario, il “calendario rivoluzionario”: cambiano i nomi dei mesi, che assumono nomi derivati dalle stagioni e dalla natura e gli anni vengono contati, in nome del laicismo repubblicano, non più dalla nascita di Cristo, ma dall’entrata in vigore della Repubblica. Il 1793, ad esempio, sarà quindi l’anno I della Repubblica. Il calendario rivoluzionario restò in vigore fino all’ anno XIII della Repubblica, quando fu ripristinato il vecchio sistema di computo del tempo. I mesi del calendario rivoluzionario erano Vendemmiaio (settembre/ottobre), Brumaio, Frimaio, Nevoso, Piovoso, Ventoso, Germinale, Florile, Pratile, Messidoro, Termidoro, Fruttidoro. La giornata di riposo era ogni decade, poiché era stata cancellata la domenica, in nome del più estremo laicismo repubblicano. Tutti i mesi erano di 30 giorni e l’anno iniziava il 22 settembre, data della proclamazione della Repubblica. Le feste erano dedicate alle virtù laiche ed erano le seguenti: Virtù, Genio, Lavoro, Opinione, Ricompense, Rivoluzione (14 luglio), Natura (l’8 giugno, festa inserita soltanto alla fine della Rivoluzione, l’ 8 giugno 1794, con la proclamazione del culto dell’Essere Supremo, appunto la Natura stessa). Ogni mese era diviso in3 decadi, i 5 giorni mancanti dell’anno (o 6, in caso di anno bisestile), venivano dedicati per celebrare le suddette 6 divinità. Il giorno rimaneva di 24 ore. Il 1° del mese del calendario rivoluzionario corrispondeva al giorno 22 del mese del calendario gregoriano.

Il calendario rivoluzionario rimase in vigore fino al 1800 e funzionava nel modo seguente:

Era repubblicana  
1° vendemmiaio settembre
1° brumaio ottobre
1° frimaio novembre
1° nevoso dicembre
1° piovoso gennaio
1° ventoso febbraio
1° germinale marzo
1° fiorile aprile
1° pratile maggio
1° messidoro giugno
1° termidoro luglio
1° fruttidoro agosto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO III: DALLA MORTE DEL RE ALLA COSTITUZIONE DELL’ANNO III.

 

 

III.1. IL RUOLO DELLA STAMPA. IL DIBATTITO IN SENO ALLA CONVENZIONE E LA MORTE DEL RE.

 

Un ruolo significativo, durante la Rivoluzione, fu assunto dalle riviste, che prolificarono; tra le principali ricordiamo “Il vecchio cordigliere” di Desmoulins, “L’amico del popolo” di Marat, stampato al “Café Le Prequope[22] (una locanda fondata nel Seicento da Precopio de’ Coltelli, un italiano, e frequentata da tutti i grandi rivoluzionari, Robespierre, Marat, Danton, Desmoulins, Hebert; oggi si trovano lì un biglietto straziante di Maria Antonietta, con l’addio ai figli  ed alla cognata, che chiama affettuosamente “sorella mia”, datato 16 ottobre 1793 ore 5 del mattino, un appello finale di Robespierre all’esercito, datato 27 luglio 1794 e macchiato di sangue, il tavolo di Rousseau, ove mangiava, un tavolo donato da Voltaire a Federico II di Prussia e rotto da un colpo di tacco ferrato inferto dal rivoluzionario Hebert mentre richiamava il silenzio della folla per un’arringa), “Al ladro! Al ladro!”, “E’ incredibile”, “La bocca di ferro”, “Il rivoluzionario di Parigi”, quest’ultima edita da Marat[23].

La Convenzione decise di sottoporre il re ad un processo. Fu accusato:

  1. Della strage del c Campo di Marte, diretta da La Fayette, e della quale il re era all’oscuro di tutto;
  2. Di tradimento, avendo tentato di fuggire in Austria dal cognato;
  3. Di complottare con le potenze straniere, Austria e Prussia, durante la guerra, auspicando la sconfitta francese;
  4. Di avere ridotto alla fame il popolo francese.

Tutte le accuse, ad eccezione della prima, rispondevano a verità.

Il giacobino Louis Antoine St. Just, il più giovane eletto alla Convenzione, pronunciò un celebre discorso per la condanna a morte del re, che fu ghigliottinato su delibera della Convenzione con una maggioranza di un solo voto. Giacobini e Cordiglieri votarono per la morte, mentre i Girondini e la Palude per la sospensione della pena. Per la prima volta, nella storia di Francia, un re fu legalmente ucciso[24]. La sentenza, tramite ghigliottina, fu eseguita il 21 gennaio 1793 alle 10,15 circa di mattina, in piazza della Rivoluzione, ex piazza Luigi XV, ribattezzata piazza della Concordia da Napoleone, nome che porta ancora oggi. La ghigliottina era stata inventata da un tedesco e poi ceduta al dottor Guillottin, dal quale prese il nome, che l’aveva proposta al re come uno strumento per alleviare i tormenti ai condannati, provocando, con un taglio immediato della testa, una piacevole sensazione di fresco sulla schiena (questa, almeno, era la tesi del dottor Guillottin); il re, esperto di arti meccaniche e di oggetti di precisione (come gli orologi), l’aveva modificata con una lama che scendesse obliqua e non perpendicolare. Il re salì sulla ghigliottina con estrema dignità e pronunciò un discorso in cui dichiarava la propria innocenza, nell’auspicio che il suo sangue non ricadesse sulla Francia. Il discorso fu interrotto dal rullo dei tamburi. Il boia, Samson, era un monarchico costituzionale, armato fino ai denti, sotto la giubba nera, in quel momento, pronto a difendere il re, qualora ci fosse stata una sommossa immediata, ma questo non accadde[25].

Nel suo noto discorso alla Convenzione, St. Just aveva sottolineato come l’esistenza in vita del re costituisse motivo di coesione per le forze controrivoluzionarie presenti nel Paese; affermò anche che un re è per sua natura un tiranno ed un usurpatore, destinato ad essere padre di una lunga discendenza di tiranni ed usurpatori e che un re prigioniero e spodestato, in una repubblica, non ha senso, perché “Un re deve regnare, o morire”[26].

Il discorso di St. Just, tenuto alla Convenzione per la morte del re, fu applaudito calorosamente (lo stesso Robespierre, concordando con St. Just, incontrato per la prima volta nell’agosto 1792, affermò “Poiché provo tanta compassione per gli oppressi, non posso provarne alcuna per gli oppressori”). Quando il re fu ghigliottinato, la sua testa fu immediatamente mostrata al popolo, che restò in silenzio, secondo alcune fonti, esclamò “Viva la repubblica” secondo “Il rivoluzionario di Parigi” di Marat.

Rovesciata la monarchia, il governo della Francia divenne radicalmente provvisorio, molto prima che la Convenzione avesse formalmente dichiarato, il 10 ottobre 1793, che il governo sarebbe rimasto “rivoluzionario fino alla pace”. La riaffermazione rivoluzionaria della sovranità della Nazione effettuata il 10 agosto 1792 aprì di nuovo uno spazio concettuale tra Rivoluzione e Costituzione, uno spazio che l’Assemblea Costituente era stata così ansiosa di chiudere quando, concludendo i propri lavori, neppure un anno prima, aveva dichiarato che la Rivoluzione e la Costituzione erano state ultimate. E proprio in questo periodo di vuoto avrebbe preso forma il Terrore, prima che sorgessero nuovi tentativi di indirizzare ancora una volta la Rivoluzione verso un’espressione costituzionale.

Tutto questo suggerisce che le scelte costituzionali operate dall’Assemblea nazionale alla metà di settembre del 1789 ebbero una terza ed ultima conseguenza. Nella misura in cui, accettando il veto sospensivo, l’Assemblea respingeva le tesi di Sieyès in favore di una teoria della rappresentanza fondata sulla divisione del lavoro, essa rifiutava in realtà un discorso del sociale, fondato su un riconoscimento di una distribuzione disuguale della ragione, delle funzioni e degli interessi, in favore di un discorso del politico fondato invece sulla teoria della Volontà generale unitaria.

Per dirlo nei termini più generali possibili, l’Assemblea optava per il linguaggio della volontà politica piuttosto che per quello della ragione sociale, per quello dell’unità piuttosto che per quello della diversità, per quello della virtù civica piuttosto che per quello del commercio, per quello della sovranità assoluta anziché per quello dei diritti dell’uomo. Il che significa che, a lungo termine, optava per il Terrore.

 

 

III.2. LA CONTRORIVOLUZIONE VANDEANA, IL COMITATO DI SALUTE PUBBLICA, IL TRIBUNALE RIVOLUZIONARIO.

 

Nella primavera 1793, alla morte del re, si scatenò, da parte dei contadini e del clero della Vandea, una controrivoluzione realista. La Vandea era regione contadina tradizionalista. Fu una vera e propria guerra civile che fu soffocata nel sangue dalla Guardia Nazionale per ordine di Robespierre.

Per frenare l’inflazione, sempre più alta, e la conseguente crisi economica, la Convenzione stabilì un prezzo massimo per i generi di prima necessità, come pane e latte: fu il cosiddetto “calmiere dei prezzi” (ad imitazione dell’editto del maximum di Diocleziano nel 301). Fu anche stabilito un minino necessario per gli stipendi.

Sempre nella primavera 1793 furono formati un Comitato di Salute Pubblica, presieduto da Robespierre, che aveva potere esecutivo e quindi svolgeva attività di governo, ed il tribunale rivoluzionario, ideato dal cordigliere Danton come strumento per condannare i complottatori, ma che ben presto divenne uno strumento di terrore cieco e feroce, con il quale si mandavano alla ghigliottina anche tanti innocenti o rivoluzionari stessi[27].

 

 

III.3. IL TERRORE: LA “LEGGE DEI SOSPETTI”, LA COSTITUZIONE DELL’ANNO I, LE MORTI DI MARAT E DI MARIA ANTONIETTA. L’ANTICLERICALISMO. LE COSTITUZIONI DEL 1791 E DEL 1793 A CONFRONTO.

 

La legge del 22 pratile 1793, proposta da St. Just, prevedeva la condanna a morte per semplici sospetti, e fu chiamata per questo “legge dei sospetti”. In base a questa legge, l’accusato doveva portare convincenti prove della propria innocenza e non doveva essere il tribunale rivoluzionario, presieduto dal giudice Fouchier, a dimostrare la colpevolezza[28]. Fu il terrore. Ma al solo terrore auspicato da St. Just, ancora più estremista di Robespierre, Robespierre, in un celebre discorso ribadì la necessità, per il bene della Nazione, di conciliare il terrore e la virtù:

“La democrazia è uno Stato in cui il popolo sovrano, guidato da leggi che sono il frutto della sua opera, fa da se stesso tutto ciò che può far bene, e per mezzo dei suoi delegati tutto ciò che non può fare da se stesso. E’ dunque nei principi del governo democratico che dovrete ricercare le regole della vostra condotta politica. Ma, per fondare e per consolidare la democrazia tra di noi, per poter giungere al regno pacifico delle leggi costituzionali, bisogna condurre a termine la guerra delle libertà contro la tirannia, ed attraversare con successo le tempeste della Rivoluzione […].

Bisogna soffocare i nemici interni ed esterni della Repubblica, oppure perire con essa. Ora, in questa situazione, la massima principale della vostra politica dev’essere quella di guidare il popolo con la ragione, e i nemici del popolo con il Terrore. Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione è ad un tempo la Virtù ed il Terrore. La Virtù, senza la quale il Terrore è cosa funesta, il Terrore, senza il quale la Virtù è impotente. Il Terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque un’emanazione della Virtù”[29]. Con questo Robespierre reintroduce la pena di morte per i nemici della Repubblica, alla quale era precedentemente sempre stato contrario.

Nel 1793 venne approvata dalla Convenzione una nuova Costituzione, detta “Costituzione dell’anno I” della Repubblica, ispirata alle idee volterriane di democrazia e tolleranza, in senso radicale e socialista, a suffragio universale maschile, ma non entrò mai in vigore. La Rivoluzione francese fu quindi un laboratorio di modelli costituzionali. La Costituzione dell’anno I fu il frutto estremo dell’Illuminismo.

Charlotte Corday, una nobildonna, accoltellò Marat, fanatico capo dei Cordiglieri, nella sua vasca da bagno, dopo essersi introdotta in casa del rivoluzionario annunciando alla cameriera che doveva far firmare al cittadino[30] Marat un ordine di cattura di alcuni complottatori controrivoluzionari. Marat, prima della rivoluzione, era un ricercato che si era nascosto, per lungo tempo, nelle fogne di Parigi, ove aveva contratto una malattia della pelle che gli recava un fastidioso prurito, per cui, per alleviare il dolore, era costretto a fare frequenti bagni di acqua e zolfo. L’originale vasca da bagno nella quale Marat fu assassinato è oggi conservata al Museo delle cere di Parigi.  Charlotte Corday considerava Marat uno dei responsabili del terrore ed era convinta che la sua morte avrebbe portato beneficio alla Francia, sia pure nella piena consapevolezza che per lei non ci sarebbe stata possibilità alcuna di salvezza. Così avvenne: Charlotte Corday fu ghigliottinata e Marat venerato come un martire della Rivoluzione, si iniziò, nelle chiese (non erano ancora state chiuse) e nel Pantheon, a pregare “sul cuore di Gesù e sul cuore di Marat”. Si consideri, in proposito, il quadro di Jacques Louis David, il celebre pittore neoclassico della Rivoluzione, che rappresenta la morte di Marat come una pietà religiosa.

Alla fine del 1793 la Francia attraversò un periodo di anticlericalismo, di “scristianizzazione” in cui furono chiuse le chiese, mentre la Rivoluzione si stava intanto trasformando in una dittatura del Comitato di Salute Pubblica, ovvero di Robespierre, St. Just e Chouton; Danton e Desmoulins si opposero invece agli abusi dei tribunali rivoluzionari.

Il 16 ottobre 1793 viene ghigliottinata Maria Antonietta, accusata di

  1. Complicità con il fratello Leopoldo d’Austria;
  2. Di avere svuotato le casse dello Stato francese per i suoi vizi;
  3. Di incesto con il figlio, un’accusa tanto grave quanto falsa ed infamante, per la quale Maria Antonietta ricevette una solidarietà anche dalle popolane, che pure la odiavano e che presenziavano al processo.

Il figlio le fu tolto e fu fatto educare dal cittadino Simon (definito un “cittadino virtuoso” dai giudici del tribunale rivoluzionario) ai principi della Rivoluzione: sarebbe stato il futuro Luigi XVII, che non regnò mai in Francia e del quale si perdono le tracce quando il ragazzo ha solo 9 anni; si pensa sia stato ucciso dai rivoluzionari. Maria Antonietta, a differenza del marito Luigi Capeto, fu processata già dal tribunale rivoluzionario, non ancora inventato nel gennaio dello stesso 1793 (per questo motivo il re era stato infatti processato dalla Convenzione). Anche l’ex regina, odiata dal popolo francese per le sue origini austriache, affrontò la morte, come Luigi XVI, con grande dignità. A differenza del re, che era stato portato in piazza della Rivoluzione in carrozza reale, la ex regina viene trasferita al luogo del suo supplizio su una volgare carretta, nella quale si trasportavano i detenuti comuni, lasciata alle ingiurie della folla, che gridavano “morte all’austriaca”. E’ fatto reale che dal momento dell’arresto le si imbiancarono, per la tensione nervosa, tutti  capelli, pur non avendo ancora compiuto i 38 anni al momento della sua esecuzione, mentre è sicuramente un falso quanto si dice circa l’espressione “Se il popolo non ha pane, mangi le brioches”, frase che Maria Antonietta non avrebbe mai pronunciato. Alla sua esecuzione, il popolo applaudì in modo scrosciante, a differenza di quanto invece si era verificato al momento della morte del re. Nel tragitto, compiuto sulla carretta, la ex regina di Francia è stata ritratta a carboncino dal già citato pittore David, che era appostato su una finestra, vicino a rue St. Honoré (dove era la casa di Robespierre) ancora esistente (come sono ancora esistenti molti balconi originali del tempo). Sembra a questo punto opportuno presentare il seguente schema di confronto fra le costituzioni del 1791, monarchica costituzionale, e del 1793, o costituzione dell’anno I della Repubblica, frutto estremo del giacobinismo e, come si è detto, ma entrata in vigore:

CATEGORIE COSTITUZIONE DEL 1791 COSTITUZIONE DEL 1793
DICHIARAZIONE DEI DIRITTI I diritti naturali dell’uomo sono: libertà, proprietà, sicurezza e resistenza all’oppressione. Per libertà si intende la libertà individuale soggetta al limite della legge. Essa ha come fondamento il concetto di proprietà privata.

L’uguaglianza non compare fra i diritti naturali, ma è identificata con la fruizione dei diritti civili.

I diritti naturali sono: uguaglianza, libertà, sicurezza, proprietà. La sequenza non è casuale: il primo dei diritti è l’uguaglianza, che non compariva nell’elenco del 1789 e che precede la libertà, di cui è condizione. La proprietà è relegata all’ultimo posto, preceduta dal diritto alla sicurezza, dal cui mantenimento sembra dipenderne il godimento (la proprietà non può essere d’ostacolo alla sicurezza).
FORMA DI STATO La Francia è una monarchia costituzionale: il re detiene, insieme ai suoi ministri, il potere esecutivo e risponde del suo operato all’Assemblea legislativa, espressione della nazione ed eletta a suffragio limitato. La Francia è una repubblica. La Convenzione è l’Assemblea legislativa eletta a suffragio universale. Essa nomina un esecutivo di 24 membri scelti da un elenco di nomi proposti dai dipartimenti.
CONCETTO DI SOVRANITA’ La sovranità appartiene alla Nazione, che la delega ai suoi rappresentanti. Il concetto di Nazione (il complesso di individui legati dalla stessa lingua, storia, cultura) non coincide con quello di popolo, ma presuppone l’assenso ad un certo ordinamento. “La sovranità risiede nel popolo” recita la Dichiarazione dei diritti del 1793 (art. 25). “La legge è l’espressione […] della Volontà generale” (art. 4). I concetti di sovranità popolare e di Volontà generale amante del bene comune derivano da Rousseau e presuppongono una scelta radicalmente democratica. Tutto il popolo è sovrano e gode dei diritti politici. La costituzione prevede il suffragio universale.
LIBERTA’, UGUAGLIANZA E DEMOCRAZIA “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri”, così recita la Dichiarazione dei diritti del 1789 (art. 4). Si tratta di una definizione “liberale” di libertà, intesa come diritto del singolo all’esercizio autonomo delle proprie facoltà ed abilità, che si interrompe solo nella misura in cui diviene ostacolo per altri. Lo Stato agisce dunque come difensore dei diritti dei singoli. L’uguaglianza viene considerata solo sul piano giuridico-civile, e mai economico: tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge. “Lo scopo della società è la felicità comune” (Dichiarazione dei diritti, art. 1). Questo significa che il bene comune precede quello individuale e in un certo senso lo condiziona. Se la Volontà generale esprime la legge, il singolo che vi si opponga è da considerarsi nemico del bene comune. La Costituzione prevede una profonda attenzione ai problemi sociali. Lo Stato si fa carico della condizione dei meno abbienti (“I soccorsi pubblici sono un debito sacro”, art. 21). Viene promosso il servizio della pubblica istruzione allo scopo di consentire pari opportunità a tutti i cittadini.

 

Ricordiamo, a questo punto, alcuni degli articoli della Costituzione dell’anno I:

“Art.1- Lo scopo della società è il bene comune.

Il governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali ed imperscrittibili.

Art.2 – Questi diritti sono l’eguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà.

Art.3 – Tutti gli uomini sono uguali per natura e di fronte alla legge.

Art.4 – La legge è espressione della libera e solenne Volontà Generale; essa è uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca; essa può ordinare solo ciò che è giusto ed utile alla società; può proibire soltanto ciò che le è nocivo.

[…]

Art.16 – Il diritto di proprietà è quel diritto, spettante ad ogni cittadino, di godere e di disporre a suo piacimento dei suoi beni, delle sue rendite, frutto del suo lavoro e della sua attività”[31].

E’ interessante conoscere, alla fine di questo periodo, alcune “curiosità” che hanno contraddistinto la Rivoluzione francese nella sua fase terminale: durante il Terrore, al macabro spettacolo della piazza della Rivoluzione non mancavano le donne, che, assistendo alle esecuzioni, si portavano da cucire a maglia! Durante il Terrore, si arrivò a proibire l’espressione “re” nel gioco delle carte, sostituita con quella di “potere esecutivo”!! Infine, si diede la caccia persino ai gatti bianchi, perché, nella follia rivoluzionaria, si riteneva che il colore del loro pelo ricordasse quello della monarchia!!!

 

 

III.4. L’ “INCORRUTTIBILE“  ED I SUOI PIU’ STRETTI COLLABORATORI.

 

Ma in che modo l’avvocato di Arras è potuto diventare, nel giro di poche settimane, il padrone assoluto della Francia? La questione che tormenta Necker nel 1797 è banale, poiché di solito le rivoluzioni trasformano esistenze ordinarie in destini eccezionali. La maggior parte dei protagonisti della Rivoluzione francese potrebbe esser sottoposta alla stessa indagine. Ma, per giustificare Necker, si può affermare che nessuno di essi ha sposato la propria epoca come Robespierre, che nessuno si è fuso a tal punto in essa da far segnare con la propria morte sul patibolo la conclusione di molte storie della Rivoluzione. La morte di Robespierre, accompagnata dai clamori della folla che grida “morte al tiranno”, è anche la morte della Rivoluzione stessa. Robespierre fa dono totale di sé stesso, nel momento della vittoria come in quello della sconfitta, mentre i suoi avversari, innalzandosi sui cadaveri dei loro predecessori, sembrano non pensare che verrà anche il loro turno. Il 9 termidoro Robespierre non sarà preso alla sprovvista, poiché la sua morte costituisce l’orizzonte di tutti i suoi discorsi. “Conosco la sorte che mi è riservata”, affermava già nel 1791. La stessa morte di Marat è avvertita dall’Incorruttibile come il funesto presagio della propria: “Gli onori del pugnale sono riservati anche a me…la mia caduta si avvicina a grandi passi”. Un “trapasso prematuro” è il prezzo che deve pagare “l’uomo virtuoso”, scrive Robespierre nella sua celebra dedica a Rousseau. Sviluppa instancabilmente il tema della Virtù perseguitata e del trionfo ineluttabile del delitto. Destinato ad una morte imminente dai nemici che vede appostati ovunque sul suo cammino, Robespierre lascia ai posteri la cura di giudicare e di giustificare il suo sacrificio per “il bene dei suoi simili”.

Sul piano sentimentale c’è il vuoto, tuttavia le donne gli stanno intorno, “Tenacemente occupato ad ornarsi la mente, sembrava ignorare che c’era un cuore cui pensare”, dice di lui uno dei suoi professori. La sorella Charlotte lo adora, ma le fidanzate che gli si attribuiscono sono solo delle corrispondenti, alle quali dedica rime scipite che celebrano la purezza dei suoi sentimenti o, più prosaicamente, un esemplare della sua ultima arringa. E’ casto per scelta, perché anche la castità è per lui una virtù, e quando la Convenzione si popolerà di sanculotti e di berretti frigi, egli continuerà ad ostentare cravatta e parrucca incipriata (le parrucche erano infatti l’unica sula passione e l’unico suo vizio). Eppure è in lui che s’incarna lo spirito della Rivoluzione. Fin da piccolo è il compagno inviso alle madri degli altri, quello che esce sempre con il massimo dei voti a scuola.

I suoi discorsi alla Convenzione ed in seno al Comitato di Salute Pubblica dimostrano la maestria della sua abilità retorica, che Robespierre non attribuiva mai a meriti personali, ma ad un’emanazione della Virtù.

Se Robespierre fosse uscito vittorioso nella prova del 9 termidoro, qualche altra carretta di condannati avrebbe preso la via del patibolo, ma eccolo vinto, ed il terrore viene colpito al cuore. Il 9 termidoro, liquidando Robespierre e gli altri montagnardi, chiude l’epoca del terrore, almeno nella sua forma più brutale.

Tra coloro che Robespierre attirò a sé emergono in particolare due figure: Chouton e St. Just.

Il primo, anch’egli avvocato, nato con un carattere dolce, amabile, una mente aperta e giusta, fin dal 1793, tra i colleghi del foro, aveva avuto una reputazione di uomo pieno di bontà e condiscendenza. Il suo studio era di facile accesso ai poveri, sempre sicuri di poter ottenere consultazioni gratuite; era consigliere di alcuni ospedali e di altri istituti pubblici.

Disgraziatamente, dal 1787 Chouton era affetto da continui disturbi, che egli attribuiva ai reumatismi per la gotta, e che gli rendevano difficile l’esercizio per la professione. Egli imputava l’origine del suo male ad un infortunio sopravvenutogli durante un’avventura boccaccesca con la sua amante. Di fatto, perse quasi del tutto l’uso delle gambe e fu costretto su una sedia a rotelle, oggi conservata.

Poi si sposò, ma la malattia fece progressi spaventosi che niente poté arrestare. Sembra che la malattia avesse modificato il carattere di Chouton. Da quando si era dato alla politica, viveva con la moglie Maria Brunel in una mediocrità che confinava con la miseria e tutte le sue risorse finanziarie erano assorbite dalle cure di ogni genere. Soffriva atrocemente, senza che il male gli lasciasse un momento di sospiro; a tali dolori si aggiunse quello per la perdita di un figlio, Ippolito, che morì nell’anno II della Repubblica per un male misterioso. L’uomo buono per antonomasia giunse a proclamare che avrebbe veduto tagliar la testa ai Girondini senza nemmeno torcere lo sguardo. Difendeva sempre Robespierre, definendolo un “cittadino esemplare, il migliore di tutti noi”, e per Robespierre, Chouton fu un alleato utilissimo. Al Comitato di Salute Pubblica, di cui faceva parte, non ricoprì tuttavia un ruolo fondamentale, nonostante i suoi discorsi fossero sempre ascoltatissimi.

Figura diversa era St. Just: di un’eloquenza meno affascinante rispetto a quelle di Robespierre e di Chouton, al Comitato di Salute Pubblica, di cui faceva anch’egli parte, s’imponeva per la sua brutalità e per la sua fredda calma al tempo stesso, in quanto sapeva ben controllarsi. Il suo ingegno era vulcanico, il suo cuore di ghiaccio. Figlio di un maresciallo della gendarmeria, fu addirittura denunciato dalla madre per il furto dell’argenteria in casa, avvenuto prima della fuga a Parigi. Laureato anch’egli in giurisprudenza, scrisse un poema in versi scandalosi, ma a Parigi si alleò subito con Robespierre ed i Giacobini. Fu il più giovane membro della Convenzione e del Comitato di Salute Pubblica. Ebbe un carattere vendicativo sul piano personale, cinico, sadico, vanitoso, autoritario; odiava Desmoulins, l’amico di Robespierre, che lo derideva, e del quale disse che gli avrebbe portare la testa come San Dionigi .

Fatta carriera politica, fece sparire dei documenti che potevano comprometterlo.

Agostino Robespierre, fratello minore dell’Incorruttibile, detto “Robespierre il giovane”, fu invece un personaggio minore della Rivoluzione, e fu piuttosto modesto anche come avvocato; uomo falso, ubriaco, volgare, diversissimo quindi dal fratello. Era comunque anch’egli stato eletto come deputato alla Convenzione, dove i montagnardi, suoi compagni di partito, lo chiamavano “Il grande urlatore, uomo tutto di polmoni, per niente di cervello”[32]. Ammirava tuttavia sia il fratello Massimiliano che la sorella Charlotte, sebbene questa spesso lo rimproverasse, in quanto, nonostante la contrarietà di Maxìm, s’intrometteva spesso in materia politica.

 

III.5. IL “GRANDE TERRORE”: LE MORTI DI DANTON E DESMOULINS, LA BATTAGLIA DI FLEURUS, IL CULTO DELL’ ”ESSERE SUPREMO”.

Robespierre eliminò, nel 1794, tutti gli oppositori politici, e condannò alla ghigliottina non solo un fanatico come Hebert, anche Danton e Desmoulins, che era stato suo compagno di scuola nell’adolescenza e al di cui matrimonio Robespierre aveva fatto da testimone; la rivista fondata da Desmoulins, “Il vecchio cordigliere”, fu chiusa con l’accusa di complotto controrivoluzionario. Nella fase terminale della Rivoluzione, la paura del complotto, della cospirazione, del tradimento sono ossessionanti[33]. Fu ghigliottinata anche Lucie, la moglie di Desmoulins. Al momento della decapitazione di Danton, la folla restò ammutolita, sconvolta; la sua testa, particolarmente grossa, dopo la decapitazione fu addirittura mostrata al popolo, come da richiesta dello stesso Danton.

Tra la primavera del 1793 e la primavera del 1794 vi furono più di 50.000 ghigliottinati dal tribunale rivoluzionario, è il periodo del Terrore, che si chiamò “Grande Terrore” nei mesi di giugno e luglio 1794, in cui vi furono, in neanche 2 mesi, più di 1000 vittime della ghigliottina, che fu più volte spostata all’interno di Parigi, perché in piazza della Rivoluzione il fetore del sangue aveva fatto diminuire i prezzi delle case.

Nella primavere 1794 i francesi sconfiggono definitivamente gli eserciti nemici nella battaglia di Fleurus: la guerra, vinta dalla Francia, è ora conclusa.

L’8 giugno 1794 Robespierre proclama il culto dell’Essere Supremo: fu il frutti estremo del laicismo repubblicano, Dio è identificato con la Natura, è quindi un deismo di matrice illuministica. Ma la popolarità del dittatore è ormai al tramonto, nello stesso 8 giungo Robespierre viene deriso dalla folla, e non più acclamato.

Robespierre, detto l’incorruttibile, moralista intransigente, colui che aveva mandato a morte l’amico Desmoulins ed il popolare Danton, che si era invece arricchito e corrotto con la Rivoluzione (durante il Terrore si era allontanato da Parigi ed era andato a vivere in campagna, e, rimasto vedovo, si era nuovamente sposato, con una messa celebrata da un prete refrattario). Robespierre aveva coniato un’idea di virtù ripresa dalle polis greche e dalle idee strenuamente repubblicane di Cicerone, fuse con la democrazia de Il contratto sociale di Rousseau, in base alle quali aveva propugnato una fedeltà assoluta agli ideali repubblicani. Negli studi era stato un modello, sempre uscito con il massimo dei voti, membro di un circolo di poeti, “Il gruppo dei Rosati”[34], viveva isolato, assistito amorevolmente dalla sorella e dal fratello Agostino, un personaggio minore della Rivoluzione (peraltro mai avvantaggiato da Maximilién, che si dimostrò veramente un “incorruttibile”); nella vita, sia pubblica che privata, era una persona molto fredda, schivo alle donne, unica sua civetteria era la passione per le parrucche[35].

Ma con la morte di Danton (nel cui spettacolare processo, come un ‘Socrate moderno’, l’accusato si trasformò in giudice accusatore, suscitando mai tanto la solidarietà popolare da costringere il giudice Fouchier a far procedere il processo a porte chiuse, senza la presenza del pubblico) la popolarità di Robespierre era caduta e con la vittoria di Fleurus la guerra era stata vinta e non c’era più bisogno di una dittatura.

Il 27 luglio 1794 Robespierre tiene un discorso alla Convenzione, dalla quale mancava da tempo, asserragliatosi ormai soltanto nel Comitato di Salute Pubblica insieme a pochissimi montagnardi, come St. Just e Chouton, in cui afferma che vi sono, in seno alla Convenzione stessa, altri complottatori, ma si rifiuta di fare i nomi; la Convenzione gli si rovescia contro e gli impedisce di parlare. Robespierre, St. Just e Chouton sono costretti a rifugiarsi all’Hotel de Ville (il palazzo del comune di Parigi), dal qual lanciano un inutile appello di aiuto all’esercito; la guardia nazionale irrompe nel palazzo ed i tre montagnardi vengono arrestati, insieme ad altri membri del Comitato di Salute Pubblica. Il capitano Merda della guardia nazionale aveva ferito Robespierre con un colpo di pistola, fracassandogli alcuni denti e la mandibola inferiore. Arrestati la notte del 9 termidoro (27 luglio), vengono ghigliottinati il giorno successivo (28 luglio 1794), senza processo, verso le 8 di sera. La Rivoluzione ed il terrore erano finiti, ma la ghigliottina lavorerà ancora molto in Francia, innanzitutto nella caccia ai giacobini che sta per scatenarsi. La Rivoluzione ha finito per fagocitare i suoi stessi figli.

 

 

III.6. LA REAZIONE TERMODORIANA: LA CADUTA DI ROBESPIERRE, LA COSTITUZIONE DELL’ANNO III E IL DIRETTORIO.

 

Nel 1795 fu approvata una nuova costituzione, la Costituzione dell’anno III, in base alla quale sono elettori soltanto coloro che pagano un minimo di imposte: è una costituzione censitaria, che vede la borghesia come classe trionfante della Rivoluzione francese, e non il proletariato. Tale costituzione prevedeva la separazione dei poteri (teoria, come si è già detto, elaborata da Montesquieu ne L’Esprit des lois del 1748). La Francia resta una repubblica, ma ad indirizzo liberale-moderato, con un nuovo organo di governo, il Direttorio, costituito da 5 membri, che aveva potere esecutivo, mentre il Comitato di Salute Pubblica fu abolito.

La politica del Direttorio fu piuttosto oscillante: vi predominava una componente di nobili filomonarchici antigiacobini, si diede la caccia ai giacobini superstiti, ma le idee giacobine si erano ormai diffuse in tutta l’Europa, ed era impossibile pensare di cancellarle con un “colpo di spugna”, come erroneamente penseranno di fare le potenze europee al Congresso di Vienna, tra il 1814 ed il 1815[36].

La Rivoluzione francese era scoppiata come una deflagrazione tra la primavera e l’estate del 1789. Il re Luigi XVI, che aveva convocato l’Assemblea degli Stati Generali per sottoporle il grave deficit di bilancio, si trovò a fronteggiare una borghesia agguerrita, vertice del Terzo Stato, che rivendicava una Costituzione e diritti ritenuti fondamentali. Se “fraternità, libertà, uguaglianza” (“fraternità” è un concetto laico, da non confondersi con la categoria cristiana di “fratellanza”) fu il trinomio rivoluzionario universalmente passato alla storia, in realtà la questione dei diritti fu messa a fuoco in modi diversi nelle varie fasi della Rivoluzione, passando da una prospettiva moderata ad una di democrazia radicale, e riapprodando infine al moderatismo, questa volta, però, di matrice repubblicana.

In breve la Rivoluzione diventò un fatto europeo, dal momento che la Francia venne coinvolta in un lungo conflitto con le più importanti potenze assolutistiche del continente, decise a stroncare una rivoluzione sovversiva che era costata la testa ai reali di Francia e, con loro, ad una folta schiera di aristocratici. La guerra segnerà, nel bene e nel male, le sorti della Rivoluzione, che comunque ebbe il merito di aver proposto in modo definitivo ed irreversibile un modello politico alternativo a quelli tradizionali.

 

 

 

 

 

III.7. I PRINCIPALI AVVENIMENTI DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE: CRONOLOGIA FONDAMENTALE.

 

Sembra doveroso, arrivati al termine di questo studio, riportare una cronologia fondamentale dei principali avvenimenti che hanno contraddistinto, anno per anno, la Rivoluzione francese, nell’arco di tempo considerato (1788/95), con particolare attenzione al periodo compreso tra il 5 maggio 1789 e la fine del 1795:

 

ANNI, MESI E GIORNI AVVENIMENTI CORRISPONDENTI
1788 Terribile crisi del raccolto del grano durante tutta l’annata: è la carestia generale.
1789  
27 aprile “Affaire Reveillon”: Henriot e Reveillon tengono un comizio per la riduzione del salario degli operai; vengono decapitati dalla folla inferocita.
 5 maggio Gli Stati Generali, assemblea del clero, nobili e terzo stato (borghesia) si radunano a Versailles.
17 giugno I rappresentanti del terzo stato, accogliendo la proposta dell’abate Sieyés, dichiarano che rappresentano essi la quasi totalità del popolo francese e si costituiscono in Assemblea Nazionale.
20 giugno Giuramento della Pallacorda: i partecipanti all’Assemblea Nazionale si impegnano a non separarsi fino a quando non avranno dato alla Francia una costituzione.
 9 luglio L’assemblea nazionale prende il nome di Assemblea Nazionale Costituente, arrogandosi così il diritto di redigere una costituzione.
14 luglio La notizia che il re si accinge a compiere un colpo di Stato suscita un vivo fermento tra il popolo di Parigi, che, arringato dal giovane Camille Desmoulins, dopo aver saccheggiato l’Hotel des Invalides, assale la Bastiglia, vecchia prigione di Stato. Nello stesso il giorno il popolo, padrone dell’Hotel de Ville, crea una nuova municipalità ed una Guardia Nazionale.
 4 agosto (notte) L’Assemblea Nazionale Costituente vota l’abolizione dei diritti feudali (servitù della gleba, corvées, eccetera).
26 agosto L’assemblea Nazionale Costituente vota la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino.
 5 ottobre Un corteo popolare, formato soprattutto da donne, si dirige a piedi da Parigi verso Versailles.
 6 ottobre Il corteo assale la reggia di Versailles ed uccide le guardie. L’intervento di La Fayette e della Guardia Nazionale salva i sovrani, che lasciano la reggia per recarsi a Palazzo Reale, a Parigi.
 2 novembre L’Assemblea Nazionale Costituente dispone l’incameramento dei beni della Chiesa e poiché tali beni non si possono vendere senza deprezzamento, si decide di emettere dei bigliettoni detti assignats (assegnati), che avevano come garanzia i beni confiscati.
1790  
12 luglio L’Assemblea Nazionale Costituente vota la costituzione civile del clero, nuovo ordinamento della Chiesa di Francia.
1791  
20 giugno La famiglia reale tenta la fuga, ma il re a Varennes (sul confine) viene riconosciuto e costretto a tornare a Parigi, dove l’Assemblea Nazionale Costituente lo sospende per 3 mesi dalle sue funzioni.
settembre E’ completata la costituzione, basata sul sistema censitario e sulla monarchia costituzionale.
1 ottobre In seno all’Assemblea sono presenti i vari partiti o club rivoluzionari in seno all’Assemblea: Foglianti o “Palude”, Girondini, Cordiglieri, Giacobini o Montagnardi.
1792  
20 aprile Luigi XVI dichiara guerra all’Austria ed alla Prussia (la dichiarazione gli viene praticamente imposta dai Girondini), con l’appoggio di quasi la totalità dell’Assemblea (esclusi i Giacobini).
10 agosto La folla assale il palazzo delle Tuileries e l’Assemblea dichiara decaduta la monarchia. Il re e la regina Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena vengono arrestati.
20 settembre L’Assemblea Nazionale Costituente diventa Convenzione, che avrà il compito di creare una nuova costituzione, che si chiamerà Costituzione dell’anno I della Repubblica (1793): con essa si sancirà il principio del suffragio universale. L’esercito francese riporta a Valmy un’importante vittoria sui Prussiani.
21 settembre La Convenzione proclama la Repubblica.
 6 novembre Vittoria francese sugli Austriaci a Jemappes, in Belgio
1793  
21 gennaio Esecuzione di Luigi XVI.
 1 febbraio Prima coalizione antifrancese, alla quale partecipano Austria, Prussia, Inghilterra, Spagna ed altre potenze minori.
 6 aprile La Convenzione, sotto la pressione degli avvenimenti, istituisce un Comitato di Salute Pubblica, presieduto da Danton, fornito di pieni poteri esecutivi in materia di politica interna ed estera. La Convenzione istituisce anche il Tribunale Rivoluzionario contro i cittadini sospettati di tradimento verso la Repubblica e la Rivoluzione.
 2 giugno Il popolo di Parigi, istigato da Marat, assedia il Palazzo della Convenzione e si fa consegnare 29 deputati girondini. Il potere si accentra nelle mani dei Giacobini e del loro capo, Massimiliano Robespierre, che presiede anche il Secondo Comitato di Salute Pubblica.
settembre Robespierre fa votare la “legge dei sospetti” (22 pratile) contro i cittadini in voce di tradire la Repubblica. La legge viene inasprita il 10 giugno 1794. E’ il periodo in cui Robespierre esercita poteri dittatoriali e che, per le numerose vittime condotte alla ghigliottina, va sotto il nome di Terrore.
1794  
27 luglio (9 termidoro) I partiti della Convenzione si coalizzano contro Robespierre (reazione termidoriana).
28 luglio Robespierre è decapitato insieme al fratello Agostino, a St. Just, a Chouton e ad altri montagnardi estremisti, facenti parte del Comitato di Salute pubblica. E’ la fine del Terrore e l’inizio del sopravvento della ricca borghesia, che emerge come classe dominante e dirigente.
1795  
ottobre Viene sciolto il Comitato di Salute Pubblica, considerato un obsoleto strumento del terrore. La Convenzione porta a termine una Costituzione con il nome di Costituzione dell’anno III della Repubblica (1795) o “Costituzione termidoriana”: essa affida il potere esecutivo a un Direttorio, un organo costituito da 5 membri. Sono elettori non più tutti i cittadini, ma soltanto coloro che pagano un minimo di imposte: è la fine del suffragio universale e la vittoria della borghesia, con un sistema elettorale basato sul suffragio censitario limitato.
26 ottobre La Convenzione si scioglie. La Rivoluzione francese è finita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: IL DIBATTITO STORIOGRAFICO. IL “BILANCIO”.

 

La storiografia sulla Rivoluzione francese ha evidenziato tre principali filoni storiografici: uno cattolico-revisionista, uno liberale-moderato, uno marxista-legittimista.

Tratteremo tali interpretazioni seguendo le varie linee di pensiero, e considerandole quindi una per volta, indipendentemente dall’interazione cronologica tra le varie tendenze: l’ordine cronologico sarà pertanto considerato all’interno di ogni linea interpretativa.

Partiremo quindi la disamina delle critica sulla Rivoluzione francese iniziando dal considerare le interpretazioni degli storici “ di destra”, per poi spostarsi “al centro” e concludere “a sinistra”.

La critica storica cattolico-revisionista è magistralmente interpretata dal conte Joseph De Maistre[37], per il quale la Rivoluzione francese fu un colossale errore, frutto estremo dell’Illuminismo e del giacobinismo, “un’opera atroce del demonio[38]”, al quale bisogna contrapporre una società teocratica, fondata sull’infallibilità del potere pontificio; il potere del papa deriva la propria infallibilità, infatti, direttamente da Dio e proprio per questo, dal potere del papa deve dipendere quello del re. Infallibilità spirituale e sovranità temporale sono quindi sinonimi, poiché il papa è infallibile, deve anche possedere il potere politico, ma per poter essere uno strumento di governo, tale potere dev’essere anche assoluto. Una volta riconosciuta la sovranità della Chiesa, non si potrà più protestare contro le sue decisioni. Per governare bene, la Chiesa dev’essere anche organizzata come una monarchia assoluta, ma temperata dall’aristocrazia, in modo che il suo governo risulti il migliore di quelli possibili. Il governo della Chiesa è Uno, Unico, Unito, Assoluto, come anche quello della Repubblica, che è sempre Uno, Unico, Unito, Assoluto. L’infallibilità implica la supremazia. Di conseguenza, non è possibile contestare al Papa alcun errore, così come non si può contestare ad un monarca: l’autorità del Papa è e dev’essere infallibile. L’uomo, per sua natura, è perverso e corrotto, e necessariamente dev’essere governato. Il governo assoluto è necessario per costruire una società civile. Solo l’Inghilterra, secondo De Maistre, nel 1689 è riuscita a costruire una società senza il governo assoluto[39], ma tale esperienza deve ancora superare “la prova del tempo”[40]; infatti la “cancrena della libertà”[41]  minaccia la Costituzione inglese. La Francia, secondo De Maistre, nella sua ansia di libertà, si è coperta di ridicolo e di vergogna, “ponendo sul trono un gendarme[42]”, vale a dire Napoleone I Bonaparte, mentre il popolo è rimasto schiavo. La Rivoluzione francese fu quindi, nel suo complesso, anche una grande utopia rivoluzionaria, alla quale De Maistre contrappone la sua altrettanto visione utopica, un’utopia controrivoluzionaria.

Sempre sul fronte revisionista, altri si trasformarono rapidamente da sostenitori a denigratori della Rivoluzione e delle sue idee, come Vittorio Alfieri, che, dopo aver composto nel 1789 un’ode entusiastica[43], si scagliò con inaudita violenza contro i francesi nei versi e nelle prose del Misogallo.

Una specie di “bibbia dei controrivoluzionari” d’ogni nazione divennero le Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, pubblicata dall’inglese Edmund Burke nel 1790, in cui, ad essere condannata senza appello è l’idea stessa di una brusca rottura con l’autorità della tradizione e con l’ordinamento gerarchico della società. Uno dei bersagli principali della polemica di Burke furono gli intellettuali francesi, accusati di astratto utopismo e di irreligiosità. Ben presto divenne consuetudine negli ambienti conservatori attribuire il cataclisma francese ad un complotto ordito da philosophes atei, da massoni e giansenisti.

Il celebre storico Tocqueville, nella metà dell’Ottocento, afferma che alla vigilia della Rivoluzione il terzo Stato è già destinato alla sconfitta, in quanto è fortemente dilaniato, al suo interno, tra i contadini, che chiedono l’abolizione dei diritti feudali sulle terre, ed i borghesi, che avanzano pretese sul terreno costituzionale: la tesi di Tocqueville[44] sarà ripresa dagli storici sostenitori dell’interpretazione revisionista della Rivoluzione francese, anche nel Novecento.

Il maggiore storico moderno revisionista della Rivoluzione francese è senza dubbio Georges Lefebvre: nelle sue due principali opere[45] dimostra serietà e profondità nell’analisi degli avvenimenti, l’azione reciproca dell’economia e dei fattori sociali sulla vita politica è sempre vagliata con precisione; la fedeltà ai fatti e l’impegno della ricostruzione scientifica gli hanno fatto guadagnare la stima di uno studioso di parte avversa, il marxista Albert Soboul, che pure sottolinea il punto di vista soggettivo, dichiaratamente di parte, di Lefebvre. In modo particolarmente minuzioso Lefebvre analizza il fenomeno della ‘Grande Paura’, esploso nelle campagne francesi nella seconda quindicina del luglio 1789: fu un evento ‘reciproco’, dalle forti connotazioni psicologiche, in quanto se la ‘Grande Paura’ dei nobili era dovuta alle  bande dei contadini, dai nobili chiamati “briganti”, che assaltavano i castelli degli aristocratici al fine di dare alle fiamme gli atti attestanti gli antichi privilegi feudali, la “Paura” dei contadini e dei “citoyens” (“cittadini”, l’appellativo che precede il nome proprio e che viene usato abitualmente in Francia dopo l’abolizione dei diritti feudali, avvenuta la notte del 4 agosto 1789) francesi nasceva invece dalla convinzione che la nobiltà si stesse coalizzando contro la Francia rivoluzionaria, nasceva cioè dal timore di un “complot aristocratique”.

In età contemporanea, uno storico particolarmente attratto dagli ambienti controrivoluzionari è stato Oliver Blanc, che ha pubblicato, come giornalista, numerosi articoli su riviste specializzate, di lui si ricordi L’ultima lettera[46], in cui  riporta, con straziante commozione, le ultime parole dei condannati alla ghigliottina; si tratta di un complesso di lettere che i condannati a morte durante la Rivoluzione francese e soprattutto nella fase culminante del Terrore hanno scritto ai loro parenti, ma, automaticamente intercettate dalla burocrazia, non raggiungevano mai i loro destinatari. Disperse nelle varie serie degli Archivi nazionali, queste lettere non erano mai state utilizzate ed erano rimaste inedite prima d’oggi. Blanc si è dimostrato uno studioso particolarmente attento ai funesti esiti della “Legge dei sospetti”.

Negli anni ’70 del Novecento risulta particolarmente interessante la tesi dello storico marxista Francois Furet, che, dopo aver visto nella Rivoluzione francese il luogo di nascita della democrazia moderna e dell’uguaglianza dei diritti[47], rivede la propria posizione in un’ottica revisionista, affermando che la Rivoluzione si è da tempo conclusa, e questa conclusione, saggia e moderata, è avvenuta per opera degli uomini della democrazia liberale e della cultura laica, “ignorando la degenerazione del tremendo ‘93”[48].

Su una linea revisionista si colloca infine Zeffiro Ciuffoletti, che, con la sua teoria del complotto[49], ha sostenuto che la Rivoluzione francese non fu un movimento di popolo, come in realtà fu, anche se il proletariato non festeggerà la sua vittoria, ma come complotto massonico, segreto, di pochi intellettuali borghesi, che veramente si limitarono a guidare le fila.

Il maggiore interprete di una linea moderata della Rivoluzione francese fu indiscutibilmente lo storico liberale Guglielmo Ferrero[50], per il quale si possono distinguere nettamente due fasi all’interno di questo complesso fenomeno rivoluzionario che ha interessato la Francia dal 1888 al 1795: si tratta di due fasi di natura diversa, che sono state spesso, secondo Ferrero, erroneamente confuse, l’una artefice di un nuovo orientamento dello spirito umano, di nuovi valori, quali quelli di “Liberté, Fraternité, Egalité”, coniati e scanditi dalla convocazione degli Stati Generali (5 maggio 1789), dal “Giuramento della Pallacorda” (17 giugno 1789), dalla Costituzione di un’Assemblea Nazionale Legislativa (9 luglio 1789), dalla presa della Bastiglia (14 luglio 1789), dall’abolizione dei diritti feudali (notte del 4 agosto 1789), dalla “Déclaration des droits de l’homme et du citoyen” (26 agosto 1789), da figure molto popolari come quelle di Camille Desmoulins e di Georges Danton, dall’istituzione della Guardia Nazionale con il marchese La Fayette, nobile generale illuminato, dalla costituzione civile del clero (luglio 1790), dalle Costituzioni del 1791 (monarchico-costituzionale) e del settembre 1792, che insatura la Repubblica, dalla battaglia di Valmy; ma proprio dallo settembre 1792 si avverte una svolta profondamente negativa, contrassegnata dai “massacri di settembre” nelle carceri francesi, e seguita dalla morte del re (21 gennaio 1793), dalla sanguinosissima repressione vandeana, dalla creazione dei tribunali rivoluzionari (1793), dalla legge del 22 pratile, dal Terrore montagnardo, che ha portato alla ghigliottina Desmoulins e Danton (aprile 1794). Questa seconda fase della Rivoluzione, mediante il meccanismo della paura, ha finito con il fagocitare la prima, ha condotto, secondo Ferrero, la Rivoluzione a negare sé stessa, arrivando così ad un risultato molto diverso da quello che si attendevano i suoi iniziatori. Ferrero è quindi uno storico moderato, che legge gli eventi rivoluzionari con gli occhi di Hegel, e sulla cui linea si colloca anche lo scrivente: proprio nel 1807 il più grande idealista tedesco aveva criticato questa seconda fase della Rivoluzione, il terrore, distinguendola dalla prima[51].

Sempre su questa linea moderata si collocano gli storici Savine e Bournand, autori di una biografia su Robespierre[52], nella quale emergono tutti gli aspetti, sia positivi che negativi: Robespierre è “l’Incorruttibile”, che, a differenza del popolarissimo Danton, non si è mai arricchito dopo la sua elezione alla Convenzione, Robespierre è l’avvocato tutto dedito al lavoro, insigne studioso ed intellettuale, filosofo, profeta e teorico della Rivoluzione, bravissimo a scuola fin dall’infanzia, uno dei più vivaci poeti del gruppo dei “Rosati”, ma è anche il tiranno, che in nome di una cieca ed astratta fedeltà ad un’ altrettanto astratta idea di “Virtù”, non esita a ordinare il massacro della controrivoluzione vandeana, cattolica e filorealista, ed a mandare alla ghigliottina anche i suoi più stretti amici e collaboratori.

Nella sua visione moderata, lo storico Bourgin[53] sottolinea gli aspetti maggiormente positivi della ‘Grande Rivoluzione’, che va commentata e commemorata tanto per gli aspetti negativi quanto per quelli positivi. Si deve condannare in essa l’esaltazione fanatica di un astratto individualismo che ha portato sia il senso umanitario alla ghigliottina, sia il terrore come istituzione legale; il cammino della Rivoluzione francese fu un itinerario faticoso e tragico al tempo stesso verso la libertà, destinato comunque, per Bourgin, a destare l’attenzione non soltanto degli storici, ma anche di ogni uomo libero. Bourgin, nel sottolineare come la Rivoluzione francese abbia segnato l’inizio di una nuova era, ne paragona la portata a quella di Copernico in campo astronomico. In modo particolare Bourgin definisce la Rivoluzione come il “manifesto della libertà dell’uomo e del cittadino”[54],  come si può rilevare dalla “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 26 agosto 1789.

L’interpretazione legittimista della Rivoluzione francese tende a giustificare, sia pure con diverse sfumature, ogni evento del lungo periodo rivoluzionario come un “bagno di sangue necessario” alla vittoira della libertà e della borghesia, nuova classe sociale, in ascesa durante il Settecento.

Karl Marx dedica la prima parte di un suo importante studio del 1871[55] alla Rivoluzione dell’ ’89. Per il teorico del socialismo scientifico la “base” o “struttura” di una società è determinata dall’economia, mentre tutto l’apparato legislativo, ideologico, politico, religioso, culturale in senso generale costituisce la “sovrastruttura”, che è fortemente condizionata dalla struttura; di conseguenza, quando muta la struttura, cioè l’economia di una società, deve mutare anche la sovrastruttura. E’ questo proprio il caso della Rivoluzione francese: ad un cambiamento strutturale (l’economia della Francia non era trainata dalla nobiltà parassitaria, che vive a corte, nella “prigione dorata”  di Versailles fin dai tempi del Re Sole, ma dalla borghesia, nuova classe sociale in ascesa che costituiva il 96% della popolazione), non ha corrisposto un cambiamento strutturale, poiché il potere politico era ancora detenuto dalla nobiltà e dall’alto clero, che rappresentavano solo il 4 % del popolo francese (rispettivamente l’1,5% la nobiltà e lo 0,5% l’alto clero, vescovi e cardinali)come aveva giustamente sottolineato l’abate Sieyés nel suo già citato opuscolo Saggio sui privilegi. Che cos’è il terzo stato? Tale sfasatura ha, secondo Marx, inevitabilmente causato un urto tra struttura e sovrastruttura, che ha portato alla vittoria della prima, cioè della borghesia sulla nobiltà, come attesta anche la Costituzione dell’anno III (1795). La borghesia, e non il proletariato che fa gli assalti e che svolge la sola funzione di “cane da battaglia”, è infatti la classe sociale uscita egemone dalla Rivoluzione; nello scontro fra struttura e sovrastruttura vince infatti sempre la struttura, secondo Marx, in quanto è l’economia, e non la politica, l’ossatura di qualsiasi società. Im questo senso Marx interpreta la storia in chiave sociale, come “lotta di classe”[56]. La vittoria della struttura sulla sovrastruttura è la vittoria, sempre adottando una terminologia economicistica marxiana, delle forze produttive, vale a dire della nuova classe sociale in ascesa, la borghesia, con le competenze teoriche e tecniche di cui necessita, sui rapporti di produzione, che incarnano invece la classe vecchia dominante ormai al tramonto, vale a dire la nobiltà e l’alto clero.

Sempre nell’Ottocento, Jules Michelet, storico di tendenza politica progressista, sottolinea come la Rivoluzione in Francia non fu soltanto il prodotto della ragione illuministica, ma anche del “cuore”, cioè delle emozioni, che non potevano più tollerare un mondo ingiusto e profondamente diviso: in questo contesto Michelet ricostruisce vita, passioni ed entusiasmi di donne che furono coinvolte nella Rivoluzione e che pagarono, anche al caro prezzo della vita, quel gigantesco rovesciamento del mondo; quella di Michelet è quindi, sostanzialmente, un’analisi sociologica[57], centrata sulle donne, che furono protagoniste di ogni fase della Rivoluzione, dall’assalto ai forni del 13 luglio 1789 al trasferimento del re e della sua famiglia da Versailles al Palazzo Royal di Parigi il 6 ottobre dello stesso anno. Inoltre, per Michelet, la Rivoluzione francese fu veramente una rivoluzione popolare e patriottica, come dimostra l’entusiasmo dei soldati della Guardia Nazionale nella guerra contro l’Austria; fu una rivoluzione patriottica e libertaria, “la rivoluzione più rivoluzionaria che ci sia mai stata”, veramente trainata dal popolo[58].

Dichiaratamente di parte marxista è lo storico Albert Soboul, che nella Rivoluzione francese vide, insieme a quella inglese del XVII secolo, il coronamento della lunga evoluzione economica e sociale che ha reso la borghesia padrona del mondo. L’origine della società francese, come di quella inglese, consisteva infatti proprio nella presenza, tra il popolo e l’aristocrazia, di una forte classe borghese, che aveva, a poco a poco, elaborato una propria ideologia e formati i quadri di una nuova società, la società dell’antico regime era destinata a soccombere[59].

Su questa tesi dell’inevitabile fine dell’antico regime si colloca anche lo studio di Paolo Viola[60], uno storico marxista contemporaneo che tuttavia si mostra meno ‘ortodosso’ di Soboul, in quanto non manca di sottolineare come, ad esempio, l’istituto dei tribunali rivoluzionari fosse in realtà la negazione di ogni forma di legalità[61] e come la morte di Luigi XVI, il 21 gennaio 1793, abbia aperto in Francia una crisi di potere che avrebbe presto portato alla dittatura personale di Robespierre e di pochi altri[62].

Lo storico Marco Revelli, docente universitario di Scienza della Politica, si colloca sempre su una linea progressista della Rivoluzione francese: ha studiato in particolar modo la figura di Robespierre, che viene sostanzialmente difeso e definito un “democratico radicale ed intransigente”, esempio del primato dello spirito pubblico e delle virtù repubblicane, senza le quali una democrazia evapora e degenera in oligarchia o comunque in un regime del privilegio[63].

Aldilà di ogni interpretazione più o meno ideologica o di parte, resta il monumentale studio complessivo sulla Rivoluzione francese di Francois Furet e di Mona Ozouf[64], opera che ogni persona che voglia seriamente avvicinarsi a quest’evento epocale non può non considerare: qui si studiano avvenimenti, protagonisti, creazioni ed istituzioni, interpreti  e personaggi storici con trattazioni esaurienti, degne d’un sapere enciclopedico.

La Rivoluzione francese è stata, oltre che la fine di secolari istituzioni politiche, sociali ed economiche, anche, e forse in maggior grado, l’inizio di un’era nuova. Le “nuove epoche”, è vero, si susseguono ogni tanto nella storia: per esempio la rivoluzione di Copernico non è stata di minore rilevanza di quella francese, né il piano del tutto diverso.

La Rivoluzione francese, tuttavia, la si deve ricordare e “commemorare” tanto per gli aspetti negativi quanto per quelli positivi. Se si deve condannare in essa l’esaltazione fanatica di un astratto individualismo che ha portato sia il senso umanitario alla ghigliottina (e non metaforicamente) sia il terrore come istituzione legale, dobbiamo però anche ricordare che essa, alle origini, fu il manifesto della libertà dell’uomo e del cittadino, come si può rilevare dalla “Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 26 agosto 1789.

In questa veste di cammino, sia pure faticoso e tragico, verso la libertà, la Rivoluzione oggi e sempre desterà l’interesse e l’attenzione non solo degli storici, ma di ogni spirito che voglia sentirsi veramente  “libero”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA.

 

A)FONTI PRIMARIE:

 

  1. AA. VV., Cahiers de doléances, Niort, 1925;
  2. AA. VV., Costituzione del 1791 della Rivoluzione francese*;
  3. AA. VV., Costituzione dell’anno I della Repubblica francese, 22 settembre 1793*;
  4. AA. VV., Costituzione dell’anno III della Rivoluzione francese (1795)*;
  5. AA. VV., Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, in “Atti dell’Assemblea Nazionale Costituente”, 26 agosto 1789*;
  6. Burke E., Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, Londra, 1790, a c. di M. Respinti,  Ideazione, Roma, 1998;
  7. Montesquieu C. L., Esprit des lois, 1748, a c. di M. Ghio, in Grande antologia filosofica, vol. XIV, Marzorati, Milano, 1968;
  8. Robespierre M. M. I., Discorso contro la guerra; Discorso per la condanna a morte di Luigi Capeto; Discorso su governo rivoluzionario e governo costituzionale; Discorso per l’approvazione immediata della legge del 22 pratile; in Robespierre, ovvero la Rivoluzione, a c. di M. Revelli, in “Liberazione”, Roma, 2005, anche in La rivoluzione giacobina, a c. di G. Cantoni, Milano, “Universale economica”, Milano, 1953;
  9. Rousseau J. J., Il contratto sociale, a c. di A. Bruno, Laterza, Bari, 1948;
  10. Sieyés E.-J., Saggio sui privilegi. Che cos’è il terzo stato?, Editori Riuniti, Roma, 1978;
  11. St. Just L. A., Discorso pronunciato alla Convenzione per la morte del re, 16 novembre 1792, in Discorsi alla Convenzione e scritti scelti, a c. di P. Basevi, “Universale economica”, Milano, 1952;
  12. Tocqueville A. de, L’antico regime e la rivoluzione, 1856, in Scritti politici, a c. di N. Matteucci, Utet, Torino, vol. I, 1969.

*Tutti i sopracitati testi sono tratti dai volumi di A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia moderna, Torino, Einaudi, 1952 e Costituenti francesi del periodo rivoluzionario 1789-1795, Firenze, 1946.

 

 

 

B)FONTI SECONDARIE:

  1. AA. VV., Duecento anni dalla Rivoluzione francese. 1789-1989: la democrazia dei moderni, in “Il contemporaneo”, “Rinascita”, 11 marzo 1989, n°9;
  2. AA. VV., 1789-1799. I dieci anni che sconvolsero il mondo, a c. di G. Dell’Arti, con articoli di L. Villari, L. Caracciolo, M. Vovelle, ne “La Repubblica”;
  3. Blanc O., La dernière lettre, Editions Robert Laffons, S. A., Paris, 1984, trad. it. L’ultima lettera, a c. di G. Gennusa, Sugarco, Milano, 1984;
  4. Bluche F. – Riasl S. – Tulard J., La Rivoluzione francese, a c. di N. Zandegiacomi, Newton, Milano, 1994;
  5. Bourgin G., La Rivoluzione francese, Fratelli Melita Editori, a c. di G. B. R. Figari, Genova, 1988;
  6. Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, vol. I, Le origini del Risorgimento, Feltrinelli, Milano, 1956;
  7. Ciuffoletti Z., Il complotto massonico e la Rivoluzione francese, Medicea, Firenze, 1989;
  8. De Maistre J., Del Papa (1819), in I controrivoluzionari, a c. di C. Galli, Il Mulino, Bologna, 1981;
  9. Duclos P., La notion de Constituion  dans l’oeuvre de l’Assemblée constituante de 1789, Paris, Dalloz, 1932;
  10. Egret J., La révolution de notables. Mounier et le monarchiens, 1789, Paris, Armand Colin, 1950;
  11. Ferrero G., Le due rivoluzioni francesi, Sugarco, Milano, 1986;
  12. Furet F., Critica della Rivoluzione francese, Laterza, Roma-Bari, 1989;
  13. Furet F. – Ozouf M., Dizionario critico della Rivoluzione francese, a c. di M. Boffa, Bompiani, Milano, 1989. Il Dizionario, grandioso, dopo l’importantissima Prefazione di Furet e Ozouf, è articolato in
    1. Avvenimenti.  2. Protagonisti.  3. Creazioni e istituzioni.  4. Idee.

5.Interpreti e storici;

  1. Furet F. Richet D., La Rivoluzione francese, a c. di S. B. Cattarini e di C. Patanè, Laterza, Bari, 1980;
  2. Gaxotte P., La Rivoluzione francese, a c. di M. R. Zannini, Mondadori, Milano, 1997, nella collana “Oscar Storia”;
  3. Gerbi, A., La politica del Settecento, Laterza, Bari, 1928;
  4. Godechot J., La Grande Nazione. L’espansione rivoluzionaria della Francia nel mondo 1789-1799, Einaudi, Torino, 1962;
  5. Godechot J., Le rivoluzioni (1770-1799), Mursia, Milano, 1975;
  6. Hegel G. W. F., Fenomenologia dello Spirito, a c. di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze, 1979;
  7. Kant I., Critica della ragion pratica, a c. di F. Capra, Laterza, Bari, 1986;
  8. Kapferer J.-N., Le voci che corrono. I più antichi media del mondo, a c. di L. Guarino, Longanesi, Milano, 1988;
  9. Lefebvre G., La grande paura del 1789, a c. di A. Garosci, Einaudi, Torino, 1973;
  10. Lefebvre, L’Ottantanove, a c. di A. G. Garrone, Einaudi, Torino, 1975;
  11. Le Goff J., Ricerca e insegnamento della storia, a c. di A. Santoni Rugiu, Casale Monferrato, 1988;
  12. Lemaire A., Les lois fondamentales de la monarchie francaise d’apres les théoriciens de l’ancien régime, Paris, 1907;
  13. Luzzatto S., Bonbon Robespierre, Einaudi, Torino, 2009;
  14. Marx K., La guerra civile in Francia, Editori Riuniti, Roma;
  15. Marx K., Manifesto del partito comunista, a c. di D. Losurdo, Laterza, Roma-Bari, 2003;
  16. Michelet J., Le donne della Rivoluzione, a c. di L. Baruffi, prefazione di Lucio Villari, Bompiani, Milano, 1996;
  17. Michelet J., Storia della Rivoluzione, a c. di C. Giardini, Milano, 1960;
  18. Savine A .- Bournand F., Maximilien-Marie-Isidore de Robespierre, a c. di L. Taroni, I Dioscuri, Milano, 1989;
  19. Soboul A., La Rivoluzione francese, a c. di G. Vettori, Newton, Milano, 1988;
  20. Soboul A., 1789, l’anno primo della libertà, Episteme, Milano, 1975;
  21. Valensise M., “La constitution francaise”, in K. M. Baker (sotto la dir. di) The French Revolution and the Creation of Modern Political Culture, t. 1, The Political Culture of the Old Regime, Oxford, Pergamon Press, 1987;
  22. Viola P., E’ legale perché lo voglio io. Attualità della Rivoluzione francese, Laterza, Bari, 1984;
  23. Viola P., Il crollo dell’antico regime. Politica e antipolitica nella Francia della Rivoluzione, Donzelli Roma, 1993;
  24. Viola P., Il trono vuoto. La transizione della sovranità nella Rivoluzione francese, Einaudi, Torino, 1989;
  25. Vovelle M., Breve storia della Rivoluzione francese, Laterza, Roma-Bari, 1979;
  26. Vovelle M., La Francia rivoluzionaria. La caduta della monarchia 1787-92, Laterza, Roma-Bari, 1974;
  27. Vovelle M., La mentalità rivoluzionaria. Società e mentalità durante la Rivoluzione francese, Laterza, Roma-Bari, 1987.

 

         C)SITOGRAFIA:

 

  • Si tenga presente il sito dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, con sede a Napoli (Palazzo Filomarino, via Benedetto Croce): www.iiss.it

 

 

D)FILMOGRAFIA:

 

  1. Chouans!, regia di Philippe De Broca, con Philippe Noiret e Sophie Marceau, Francia, 1988;
  2. 2.      Danton, di A. Wayda, 1983, con Gerard Depardieu (anche se il film ha come sfondo criptato la situazione polacca negli anni ’80, con gli scioperi dei cantieri di Danzica sotto il regime comunista del generale Jaruselskij, rappresentato in Robespierre, combattuto dal sindacato Solidarnosc di Lech Walesa, identificato appunto in Danton, la voce del popolo);
  3. La Rivoluzione francese, a cura della R.A.I., 1989, film documentaristico in 4 parti: 1.La Bastiglia; 2.La Costituzione; 3.I processi; 4.Il terrore, 360’ ca.;
  4. La Rivoluzione francese. Verso la repubblica, parte I, a c. della History Channel, 50’ ca., “Il Giornale”, documentario, dvdteca storica;
  5. La Rivoluzione francese. L’età del terrore, parte II, a c. della History Channel, 50’ ca., “Il Giornale”, documentario, dvdteca storica;
  6. La Rivoluzione francese, documentario a c. di A. Angela, 2 h. ca.

 

 

 

 

 

 

 

 

INDICE

CAPP./PAR. TITOLI PP.
  Frontespizio-titolo-copertina.  1
  Dedica, memorie, saluti, ringraziamenti ed invocazione  2
  INTRODUZIONE.  3
 I. DALLA VIGILIA DELLA RIVOLUZIONE ALLO “SCACCO AL RE” (1788/6 OTTOBRE 1789).  5
 I.1. La Francia dell’ancien regime: le cause della Rivoluzione.  5
 I.2. Gli Stati Generali, il problema del voto, le “lamentale”, l’Assemblea Nazionale, il “Giuramento della Pallacorda” e l’Assemblea Nazionale Costituente.  7
 I.3. La presa della Bastiglia e la “Grande Paura”. L’abolizione dei diritti feudali e la Dichiarazione dell’ ’89. Il re a Parigi.  9
 II. DALLA COSTITUZIONE CIVILE DEL CLERO ALLA REPUBBLICA (1790/22 SETTEMBRE 1792). 14
II.1. La costituzione civile del clero ed i rapporti tra Chiesa e Rivoluzione. 14
II.2. I club rivoluzionari, prodromi dei moderni partiti politici. 15
II.3. La Costituzione del 1791, la fuga del re e l’eccidio del Campo di Marte. 16
II.4. La guerra e le varie posizioni a riguardo, il proclama del duca di Brunswich e l’arresto del re. 18
II.5. Settembre 1792: le “stragi di settembre”, la Convenzione, la vittoria di Valmy, la Repubblica, il “calendario rivoluzionario”. 19
III. DALLA MORTE DEL RE ALLA COSTITUZIONE

DELL’ANNO III.

22
III.1. Il ruolo della stampa. Il dibattito in seno alla Convenzione e la morte del re. 22
III.2. La controrivoluzione vandeana, il Comitato di Salute Pubblica, il tribunale rivoluzionario. 24
III.3. Il Terrore: la “legge dei sospetti”, la Costituzione dell’anno I, le morti di Marat e di Maria Antonietta. L’anticlericalismo. Le Costituzioni del 1791 e del 1793 a confronto. 25
III.4. L’ “Incoruttibile” ed i suoi più stretti collaboratori 30
III.5. Il “Grande Terrore”: le morti di Danton e di Desmoulins, la battaglia di Fleurus, il culto dell’ “Essere Supremo”. 32
III.6. La reazione termidoriana: la caduta di Robespierre, la Costituzione dell’anno III e il Direttorio. 34
III.7. I principali avvenimenti della Rivoluzione francese: cronologia fondamentale. 36
  CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: IL DIBATTITO STORIOGRAFICO. IL “BILANCIO”. 40
  BIBLIOGRAFIA. 48
  A)    Fonti primarie. 48
  B)     Fonti secondarie. 49
  C)    Sitografia. 51
  D)    Filmografia. 51
  INDICE. 52

 


[1] J. Le Goff, Ricerca e insegnamento della storia, a c. di A. Santoni Rugiu, Casale Monferrato, 1988.

[2] G. Ferrero, Le due rivoluzioni francesi, Sugarco, Milano, 1986.

[3] A. Gerbi, La politica del Settecento, Laterza, Bari, 1928. A Versailles i nobili passavano il tempo in futili giochi, come quello della mosca cieca, rappresentato in tante tele dell’epoca, o degli scacchi e della caccia nei parchi; in questo modo la nobiltà, vivendo a corte, era stata neutralizzata, allontanata dalla vita politica parigina.

[4] J. Michelet, Le donne della Rivoluzione, a c. di  L. Baruffi, prefazione di L. Villari, Bompiani, Milano, 1996.

[5] E.-J. Sieyés, Saggio sui privilegi. Che cos’è il terzo stato? , Editori Riuniti, Roma, 1978.

[6] Cahiers de doléances della Parrocchia di Vollerague, 27 febbraio 1789 e della Comunità di Aigues-Vives (1500 abitanti), in A. Soboul, 1789, l’anno della libertà, Episteme, 1975.

[7] Un gioco dei nobili simile al tennis.

[8] Si consideri che la Rivoluzione francese ha ottenuto un’importanza straordinaria proprio perché ha avuto il suo epicentro in una città come Parigi.

[9] Necker era un ministro particolarmente amato dal popolo francese.

[10] G. Lefebvre, La grande paura del 1789, a c. di A. G. Garosci, Einaudi, Torino, 1973 ed anche G. Lefebvre, L’Ottantanove, a c. di A. G. Garrone, Einaudi, Torino, 1975.

[11] AA. VV., Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, in “Atti dell’Assemblea Nazionale Costituente”, 26 agosto 1789.

[12] Si nota qui l’influsso de L’esprit des lois (1748) di C. L. de Montesquieu circa la tripartizione dei poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario.

[13] P. Viola, Il crollo dell’antico regime. Politica e antipolitica nella Francia della Rivoluzione, Donzelli, Roma, 1993. Si consideri che Paolo Viola, normalista dell’ateneo pisano e professore ordinario di storia moderna alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Palermo, è stato, fino al momento della sua morte, avvenuta prematuramente nel 2005, senza dubbio il maggiore esperto italiano della Rivoluzione francese, sia pure di parte marxista e fortemente anticlericale.

[14] J. Michelet, Le donne…, cit., p. 18.

[15] Viene oggi portato dai partecipanti alla “battaglia delle arance” durante il carnevale di Ivrea

[16] Robespierre abitava in Rue St. Honoré n° 398, vicino a dove oggi si trova il  “Musée Carnavalet”, il museo storico della Rivoluzione francese, nei pressi della casa di Victor Hugo, in piazza dei Vosgi, nel quartiere Marais, attualmente uno dei più trasgressivi e creativi di Parigi.

[17] A. Lemaire, Les lois fondamentales de la monarchie francaise d’après les théoriciens de l’ancien régime, Paris, 1907.

[18] M. Valensise, “La constitution francaise” in K. M. Baker (sotto la dir. di), The French Revolution and the Creation of Modern Political Culture, t. 1, The Political Culture of the Old Regime, Oxford, Pergamon Press, 1987.

[19] J. Egret, La révolution des notables. Mounier et le monarchiens, 1789, Paris, Armand Colin, 1950.

[20] P. Duclos, La notion de Constitution dans l’ouevre de l’Assemblée constituante de 1789, Paris, Dalloz, 1932.

[21] La sua sede è al di là del Pont de la Concorde, ponte lastricato con le pietre rimaste dopo il rogo della Bastiglia, in modo che i parigini potessero quotidianamente calpestare il simbolo della tirannia monarchica; altri resti della Bastiglia si trovano oggi nel sotterraneo della metropolitana di Parigi, alla stazione “Bastille”, n° 5, “Direction Bobigny”, ove si possono vedere le pietre usate come fondamenta della prigione-fortezza.

[22] Si trova nella zona universitaria della “Sorbonne”.

[23] J.–N. Kapferer, Le voci che corrono. I più antichi media del mondo, a c. di L. Guarino, Longanesi, Milano, 1988.

[24] Cfr. film Chouans!, regia di Philippe De Broca, con Philippe Noiret e Sophie Marceau, Francia, 1988. Gli “Chouans” erano i cosiddetti “rivoluzionari bianchi”, annidati soprattutto nelle campagne francesi, clericali e realisti controrivoluzionari.

[25] P. Viola, Il trono vuoto. La transizione della sovranità nella Rivoluzione francese, Einaudi, Torino, 1989.

[26] L. A. St. Just, Discorso pronunciato alla Convenzione per la morte del re, 16 novembre 1792, in Discorsi alla Convenzione e scritti scelti, a c. di P. Basevi, “Universale Economica”, Milano, 1952.

[27] Cfr. in proposito: P. Viola, E’ legale perché lo voglio io. Attualità della Rivoluzione francese, Laterza, Bari, 1984; O. Blanc, La dernière lettre, Editions Robert Laffons, S. A., Paris, 1984, trad. it. L’ultima lettera, a c. di G. Gennusa, Sugarco, Milano, 1984; F. Furet, Critica della Rivoluzione francese, Laterza, Roma-Bari, 1989; Bourgin G., La Rivoluzione francese, Fratelli Melita Editore, a c. di G. B. R. Figari, I Dioscuri, Genova, 1988.

[28] P. Viola, E’ legale…, cit.

[29] M. M. I. Robespierre, Discorso per l’approvazione immediata della legge del 22 pratile, in Robespierre, ovvero la Rivoluzione, a c. di M. Revelli, in “Liberazione”, Roma, 2005.

[30] “Cittadino” (“Citoyen” in francese) è la nuova dizione con la quale ci si chiama in Francia dopo l’abolizione dei privilegi feudali e dei titoli nobiliari. Ancora oggi si pone l’egualitario “Monsieur” o “Madame” davanti ai titoli culturali o alle professioni.

[31] AA.VV., Costituzione dell’anno I della Repubblica francese, 22 settembre 1793.

[32] S. Luzzatto, Bonbon Robespierre, Einaudi, Torino, 2009. Qui Luzzatto presenta il fratello minore dell’ “Incorruttibile” come colui che, contrario al Terrore, si è sforzato di dare alla Francia, soprattutto alle regioni dei sud, che visitava spesso mentre il fratello era a Parigi, un ordine politico. “Bonbon” era il soprannome dato ad Agostino Robespierre. Luzzatto, giovane storico e ordinario di storia moderna all’Università di Torino, si è occupato della Rivoluzione francese, anche di questioni storiche dell’Italia contemporanea, come la questione fiumana dopo la Grande Guerra ed il fascismo.

[33] Z. Ciuffoletti, Il complotto massonico e la Rivoluzione francese, Medicea, Firenze, 1989. Si tratta di uno studioso liberale e revisionista.

[34] A. Savine – F. Bournand, Maximilien-Marie-Isidore de Robespierre, a c. di L. Taroni, I Dioscuri, Milano, 1989.

[35] Esiste tutt’oggi un circolo di “Amici di Robespierre”, con sede ad Arràs, città natale di Robespierre, poco sopra Parigi, città che era stata anche il luogo ove fu firmata la pace di Arràs alla fine della guerra dei cent’anni tra Francia ed Inghilterra, e che aveva segnato la nascita dei primi due Stati nazionali unitari.

[36] G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. I, Le origini del Risorgimento, Feltrinelli, Milano, 1956. E’ uno studio dell’Italia dalla Rivoluzione francese al Risorgimento in 7 voll., di impronta gramsciana. Il testo è particolarmente importante per un’analisi della situazione italiana durante gli anni della Rivoluzione.

[37] Il conte Joseph De Maistre, diplomatico e scrittore savoiardo, fu il più intransigente ed anche il più celebre tra gli avversari della Rivoluzione francese e della cultura che l’aveva prodotta. Nei suoi scritti, la polemica antirivoluzionaria, già compiutamente espressa nelle Considerazioni sulla Francia del 1706, si traduce nella condanna di ogni forma di razionalismo e di costituzionalismo e nell’esaltazione della società teocratica, fondata sull’autorità suprema della Chiesa di Roma. In Del Papa (1819), De Maistre stabilisce una correlazione tra il concetto di infallibilità nell’ordine spirituale e quello di sovranità nell’ordine temporale ed analizza il rapporto di analogia e di reciproca dipendenza esistente tra il potere del pontefice e quello dei re. La strenua difesa del tradizionalismo più intransigente, visto come strumento della Provvidenza divina, emerge anche ne Le serate di Pietroburgo, lavoro apparso postumo, nel 1821.

[38] J. De Maistre, Del Papa (1819), in I controrivoluzionari, a c. di C. Galli, Il Mulino, Bologna, 1981, p. 79.

[39] Il riferimento implicito di De Maistre è alla Glorious revolution del 1688 ed alla “Bill of Rights” del 1689, con la quale l’Inghilterra diventa la prima monarchia costituzionale d’Europa e quindi, per estensione, del mondo di allora, con la fuga dell’ultimo monarca assoluto, Giacomo II Stuart.

[40] J. De Maistre, Del Papa (1819),…, cit., p. 87.

[41] Ibid.

[42] Ibid., p. 97.

[43] V. Alfieri, Parigi sbastigliata.

[44] A. de Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione, 1856, in Scritti politici, a c. di N. Matteucci, Utet, Torino, 1969, vol. I.

[45] G. Lefebvre, La Grande paura…, cit., e L’Ottantanove,…, cit.

[46] O. Blanc, La dernière…, cit. E’ un compendio di lettere di condannati a morte durante la Rivoluzione francese; tra queste, l’ultima, straziante lettera di Maria Antonietta ai figli ed alla cognata, e molte lettere e missive, dalla lunghezza variabile, di gente comune e di molti rivoluzionari, membri del club e militari della Guardia Nazionale.

[47] F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, a c. di S. Brilli Cattarini e di C. Patanè, Laterza, Bari, 1980.

[48] F. Furet, Critica…, cit.

[49] Z. Ciuffoletti, Il complotto massonico e la Rivoluzione francese, Medicea, Firenze, 1989.

[50] G. Ferrero, Le due rivoluzioni…, cit.

[51] G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, a c. di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze, 1979, vol. II, pp. 42-135.

[52] A. Savine – F. Bournand, Maximilien…, cit.

[53] G. Bourgin, La Rivoluzione francese,…, cit.

[54] Ibid.

[55] K. Marx, La guerra civile in Francia, Editori Riuniti, Roma. Questo testo, scritto da Marx nell’aprile-maggio 1871, venne pubblicato per la prima volta in inglese, a Londra, il 13 giugno 1871. La prima parte si occupa della Rivoluzione francese compresa fra il 1788 ed il 1795; la seconda studia le “tre gloriose giornate di luglio” (27, 28 e 29 luglio 1830) a Parigi, che portarono alla cacciata di Carlo X  (succeduto a Luigi Filippo d’Orleans, fratello del ghigliottinato Luigi Capeto XVI) e del suo ministro, il reazionario Principe di Polignac, ponendo fine alla monarchia assoluta ed instaurando la monarchia costituzionale di Luigi Filippo d’Orleans; la terza parte analizza i moti del 1848, che portarono alla breve esperienza radicale della II Repubblica francese, tra il febbraio e l’aprile del 1848 e che lasciarono poi il posto al governo repubblicano dell’alta borghesia presieduto da Luigi Napoleone Bonaparte, il futuro imperatore Napoleone III (dal colpo di Stato del 2 dicembre 1851 al crollo dell’impero francese, duramente sconfitto a Sedan nel 1870 dal cancelliere prussiano e generale Otto Von Bismarck); l’ultima studia infine l’insurrezione della Comune di Parigi nel 1871, entusiasticamente salutata da Marx come la prima forma di autogoverno socialista degli operai.

[56] K. Marx – F. Engels, Manifesto del partito comunista, a c. di D. Losurdo, Laterza, Roma-Bari, 2003.

[57] J. Michelet, Le donne…, cit.

[58] J. Michelet, Storia della Rivoluzione, a c. di C. Giardini, Milano, 1960.

[59] A. Soboul, La Rivoluzione francese, a c. di G. Vettori, Newton, Milano, 1988.

[60] P. Viola, Il crollo…, cit.

[61] P. Viola, E’ legale…, cit.

[62] P. Viola, Il trono…, cit.

[63] M. Revelli, Robespierre, ovvero la Rivoluzione, in “Liberazione”, Roma, 2005.

[64] F. Furet – M. Ozouf, Dizionario critico della Rivoluzione francese, a c. di M. Boffa, Bompiani, Milano, 1989.

La Grande Nazione: modelli costituzionali nella Rivoluzione franceseultima modifica: 2016-09-18T15:42:48+02:00da m_200
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