Le carte Villari all’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”

Marco Martini

Le carte Villari all’Accademia Toscana di Scienze e Lettere
“La Colombaria”

ANNO ACCADEMICO 2018/19
CONSORZIO INTERNAZIONALE EUROPEO INTERUNIVERSITARIO:
Università di Roma “La Sapienza”- Bournemouth Polytechnic (UK)
Università degli Studi di Udine – Università degli Studi di Foggia
Università degli Studi del Molise – Università degli Studi di Torino
Università degli Studi di Cassino – Università degli Studi di Camerino
Università degli Studi di Sassari – University of Chester (UK)
Università degli Studi “Guglielmo Marconi” – Università degli Studi di Bari
Universitatea “Ovidius” di Constanta (Romania)
CORSO ANNUALE POST-LAUREAM DI PERFEZIONAMENTO IN ARCHIVISTICA E BIBLIOTECONOMIA (MASTER DI I° LIVELLO)
SIGLA “ABI” – SETTORE DISCIPLINARE:
“SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE” –
FOR.COM. FORMAZIONE PER LA COMUNICAZIONE
NR. ID. DI MATRICOLA: 00313A19
TESI DI PERFEZIONAMENTO IN “ARCHIVISTICA E BIBLIOTECONOMIA”

LE CARTE VILLARI ALL’ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE <>

PERFEZIONANDO: DOTT. MARCO MARTINI
ID. MATRICOLA N° – 1500 ORE DI STUDIO – 60 C.F.U.
DOCENTE TUTOR : DOTT. SSA DANIELA DI MARCO

INTRODUZIONE: LA “COLOMBARIA” NEL RESPIRO DELLE ISTITUZIONI CULTURALI FIORENTINE

Sorta con la denominazione “Società Colombaria Fiorentina” nel 1735 nella torre detta della “Colombaia” del prestigioso Palazzo del fondatore Giovanni Girolamo de’ Pazzi, l’Accademia fu nel 1934 parzialmente modificata nelle sue “Costituzioni” e retta da un nuovo Statuto, che venne poi radicalmente riformato nel 1942. L’Accademia assunse allora la denominazione di “Accademia Fiorentina di Scienze Morali la Colombaria”.
Trascorsa la guerra del 1940-1945 che, per la distruzione del centro di Firenze operata dal comando militare tedesco nella notte fra il 3 ed il 4 agosto 1944, privava l’Accademia della sua sede di via dei Bardi, ov’ essa aveva stanza fin dal 1823 e ne distruggeva quasi totalmente le preziose raccolte e la ricca Biblioteca (solo un esiguo numero di manoscritti fu salvato), l’Accademia riprendeva la sua vita, prima in sede di fortuna, poi, dal 1952, per una convenzione con il Comune di Firenze, in un complesso di sale del medievale ex convento delle Oblate in via Sant’Egidio.
Subito dopo la guerra i soci decisero che l’Accademia assumesse la denominazione di “Accademia Toscana di Scienze e Lettere la Colombaria”. La torre “Colombaia” è situata nel prestigioso Palazzo Pazzi, in via Sant’Egidio n. 23, nel centro storico di Firenze.
Ciò che fondamentalmente occupa i soci e gli studiosi sono l’attività culturale dell’Istituto e la ricerca, che si concretizzano nella pubblicazione annuale di un volume di “Atti e memorie” ed in quella di una “Collana di Studi”.
Sin dall’origine l’intento della Colombaria fu quello di innestarsi nella cultura, nel complesso del sapere, mai univoco e monocorde, e di costituire equilibrati rapporti tra le discipline in una libera ed autonoma opera di ricerca, frutto di razionale e civile modo di vivere e di pensare.
Nel duecentocinquantesimo anno di vita, l’Accademia è giunta a buon punto nel recuperare, restaurare, rintracciare, da un lato parte della sua vecchia biblioteca, dei codici, dei manoscritti, delle carte rare, quali annali e tramogge, dall’altro a riordinare e sistemare disegni, stampe ed altro pochissimo materiale rintracciato.
Nel duecentocinquantesimo anno dalla fondazione, ovvero nel 1985, è stata organizzata una mostra, costituita di alcuni pezzi tra i più significativi, che hanno proposto la storia interna dell’Accademia nei suoi vari momenti, nei suoi intenti, nel suo mutare a seconda della rispondenza ad epoche e situazioni precise. Lo scopo è stato quello di ricordare la
storia culturale fiorentina e toscana riflessa nello specchio dell’Accademia tra il 1735 ed il 19451.
Numerose sono le accademie, le biblioteche, gli archivi e le istituzioni culturali a Firenze, già nominata “capitale europea della cultura” nel 1985: l’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” s’inserisce tra queste. Esemplare, da questo punto di vista, il caso della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, dietro piazza Santa Croce, sul lungarno, con oltre 20 fondi archivistici aggregati che comprendono carte di personalità, famiglie ed enti religiosi; pregevole è la sua sala di “manoscritti e rari”, che ebbi modo di frequentare spesso, nella mia attività di giovane studioso e ricercatore. Alla Nazionale di Firenze fa inoltre capo un polo bibliotecario comprendente le biblioteche Marucelliana (di grande pregio l’immensa sala di lettura), Laurenziana, Riccardiana, che ha sviluppato un catalogo OPAC a partire dal quale è possibile rintracciare documentazione archivistica2; non si dimentichi inoltre la biblioteca della Facoltà di “Lettere e Filosofia” di piazza Brunelleschi, con il suo annesso ricchissimo “pozzo”, dal quale, nei primi anni ‘80 del secolo scorso, sono stati prelevati numerosi fondi per essere studiati proprio in seno alla Colombaria. Degna di menzione è anche la biblioteca dell’ex Facoltà di Magistero, sita in via del Parione.
Unicum nel proprio genere il Gabinetto Scientifico-Letterario G. P. Vieusseux, che con i suoi due secoli di storia costituisce uno dei principali istituti di cultura italiani. Il patrimonio documentario del Gabinetto è suddiviso in due sezioni: l’Archivio storico e l’Archivio contemporaneo “Alessandro Bonsanti”. L’Archivio storico del Gabinetto Vieusseux raccoglie la documentazione prodotta dall’Istituto, dalla fondazione fino ad oggi. Conserva inoltre alcuni nuclei archivistici aggregati e carte private ottocentesche. L’archivio contemporaneo venne invece costituito nell’ottobre 1975 per iniziativa dell’allora direttore Alessandro Bonsanti. Nato con lo scopo di raccogliere materiale vario relativo a personalità del mondo contemporaneo, l’Archivio raccoglie documenti relativi alla letteratura ed alla critica letteraria ma anche alla musica ed al teatro, alle arti ed alla critica artistica.
Attualmente sono conservati più di 130 fondi, per un totale di oltre 500.000 documenti e 50.000 volumi, giunti per donazione, deposito e comodato, che, una volta ordinati e inventariati, sono messi a disposizione del pubblico secondo precise normative mirate alla tutela di questo importante patrimonio.
Le Accademie fiorentine della Crusca e dei Georgofili, infine, non necessitano nemmeno di presentazioni3.
Tra gli studi più celebri curati dall’Accademia, editi dalla casa editrice Olschki, ricordiamo i seguenti: C. Pellegrini, Il Boccaccio nella cultura francese, Firenze, Leo S. Olschki, 1971; G. Galigani, Il Boccaccio nella cultura inglese e anglo-americana, Firenze, Leo S. Olschki, 1974; G. Devoto, La lingua come sedimento e come responsabilità, Firenze, Leo S. Olschki, 1975; O. V. Hessen, Secondo contributo all’archeologia longobarda in Toscana, in <>, Firenze, Leo S. Olschki, 1975; R. Patrucco, Lo stadio di Epidauro, in <>, Firenze, Leo S. Olschki, 1976; G. Nencioni – E. Sestan – E. Garin, R. Ridolfi, Gino Capponi. Linguista, storico, pensatore, Firenze, Leo S. Olschki, 1977; L. B. Palagi, Il carteggio apocrifo di Seneca e San Paolo, in <>, Firenze, Leo S. Olschki, 1978; E. Bocca – G. Tognon, Vincenzo Gioberti, Appunti inediti su Renato Cartesio. La storia della filosofia, Firenze, Leo S. Olschki, 1981; W. Cavini – M. C. Donnini Macciò – Biblioteca Medicea Laurenziana – Accademia Toscana di Scienze e Lettere <> – Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Firenze, Le Pandette di Giustiniano. Storia e fortuna della <>. Mostra di codici e documenti, 24 giugno – 31 agosto 1983, Catalogo a cura di Enrico Spagnesi, Firenze, Leo S. Olschki, 1983; B. Sani, Rosalba Carriera. Lettere, diari, frammenti, in <>, voll. I/II, Firenze, Leo S. Olschki, 1985; L. Caretti, Giuseppe de Robertis. Giornata di studio e mostra documentaria promossa dal Gabinetto scientifico letterario G. P. Vieusseux, in <>, Firenze, Leo S. Olschki, 1985; M. S. Funghi – D. Manetti, Studi su papiri greci di logica e medicina, in <>, Firenze, Leo S. Olschki, 1985; AA. VV., Le Pandette di Giustiniano. Storia e fortuna di un codice illustre. Due giornate di studio, Firenze 23-24 giugno 1983, in <>, Firenze, Leo S. Olschki, 1986; A. M. Chiavacci Leonardi, Gaetano Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici (1947-1965), in <>, Introduzione di E. Garin, Firenze, Olschki, 1986; F. Adorno – F. Decleva Caizzi – F. Lasserre – F. Vendruscolo, Protagora, Antifonte, Posidonio, Aristotele. Saggi su frammenti inediti e nuove testimonianze da papiri, in <>, Firenze, Leo S. Olschki, 1986; S. De Rosa, Niccolò Stenone nella Firenze e nell’Europa del suo tempo. Mostra di documenti, manoscritti, opere nel terzo centenario della morte, Firenze, Olschki, 1986.
Non si possono, infine, non ricordare i seguenti due studi: Comune di Firenze – Gabinetto G. P. Vieusseux, Il Marzocco. Carteggi e cronache fra Ottocento e Avanguardie (1887 – 1913), Mostra documentaria coordinata da C. Del Vivo, Catalogo a c. di C. Del Vivo – M. Assirelli, Firenze, Palazzo Strozzi, 19 novembre 1983 – 14 gennaio 1984 (la dott. ssa Caterina Del Vivo, ricercatrice presso il Gabinetto Vieusseux e sorella di mia cognata, m’incaricò di pubblicizzare, mediante volantinaggio, il lavoro, di cui mi fece omaggio); AA. VV., Rara volumina. Rivista di Studi sull’editoria di pregio e il libro illustrato, n. I, M. Pacini Fazzi Editore, Lucca, 1994.

CAPITOLO I°: IL GRUPPO DI RICERCA

Il professor Francesco Adorno, ordinario di storia della filosofia antica presso la Facoltà di “Lettere e Filosofia” dell’Università degli Studi di Firenze aveva stipulato una convenzione con la Regione Toscana, in base alla quale la Colombaria avrebbe svolto un’intensa attività di ricerca concernente la ricostruzione della cultura fiorentina in particolare, e, più in generale, toscana. L’esimio Prof. Francesco Adorno presiedeva allora l’ “Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria”: fu così che iniziai la mia attività di studioso e ricercatore (ero ancora un giovane studente universitario all’inizio del terzo anno di corso di laurea), che si protrasse dal novembre 1984 al giugno 1986.
Mi dedicai al riordino ed alla schedatura delle carte di Pasquale Villari, storico, politico e docente universitario durante il Gabinetto di Rudinì, nel 1891-92. Il Prof. Adorno, al tempo già vetusto erudito incartapecorito, si circondò, quali collaboratori, di un gruppo di giovani studiosi e ricercatori che avrebbero dovuto schedare e riordinare, ai fini di successive pubblicazioni, le carte manoscritte rimaste nel pozzo della biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze, sita in piazza Brunelleschi, come si è detto. Tali carte furono quindi portate all’Accademia, ove, nel novembre 1986, iniziammo il nostro lavoro. Ebbi come colleghi altri studiosi, più o meno giovani, ma comunque tutti più anziani di me, che è mia intenzione salutare e ricordare. In queste occasioni spesso si teme di dimenticare di mentovare sempre qualcuno, cercherò pertanto di non incorrere in questi errori. Veniva talora a trovarci il Prof. Cesare Vasoli, docente di filosofia rinascimentale, aveva l’aspetto di un vecchio alchimista, già vegliardo, decrepito e barbogio, ma sommamente erudito; la sua scomparsa, come quella del Prof. Adorno e del signor Liberanome, è in me cagione di continuo sconforto! Voglio ricordare innanzitutto Fabio Bazzani, grigio, perennemente emaciato e già affetto da calvizie, allora dottore di ricerca e cultore della materia in filosofia morale presso la cattedra del Prof. Aldo Zanardo, si occupava al tempo delle carte di Annibale Pastore, appassionato studioso della Sinistra hegeliana, autore di un importante studio su Weitling e Max Stirner, oggi è un affermato ricercatore; Antonietta Alberti, già di ruolo come giovane ricercatrice, esperta di filosofia antica e collaboratrice presso la cattedra del Prof. Adorno, collaborava alla rivista “Atene e Roma” e si occupava di papiri greci, Annamaria Bigio, classicista, specializzata in filosofia antica, Mario Casaglia, oggi mio collega, Stefano De Rosa, Marco Massimiliano Lenzi, docente di lingua e letteratura italiana all’Università per stranieri di Firenze ed alla “Dante Alighieri”, oggi anche poeta, Maria Grazia Macconi, medievista, perfezionata con il professor Franco Cardini ed esperta della situazione della donna nel Medioevo, oggi antichista, Silvano Morelli, Anna Olivieri, assistente volontaria in filosofia morale, collega del già citato Bazzani, studiosa delle carte di Felice Tocco, il Prof. Rosario Pintaudi, grecista e già ordinario di papirologia, Susanna Rosi, studiosa della storia dell’Asia anteriore antica, esperta latinista, grecista ed ittitologa presso la cattedra della Prof. ssa Imparati, Antonella Squilloni, esperta di filosofia antica e dottoranda di ricerca presso l’Università Europea, con sede a Fiesole, il Prof. Enrico Spagnesi, calvo anch’egli, vice coordinatore dei nostri lavori, allora intento a studiare le Pandette di Giustiniano e docente di Storia delle fonti e del diritto medievale presso l’Università di Trieste, un vero e proprio topo di biblioteca, un ratto del manoscritto, un roditore di pergamene, ovviamente nel senso più nobile degli epiteti (si dilettava talvolta in un’ironica imitazione il citato Bazzani), ed infine il signor Liberanome, vecchio e simpatico segretario dell’Accademia, una vera cariatide ingiallita ed ammuffita dal tempo, una canizie consumata, un vero signore d’altri tempi ormai scomparso da anni, come lo stesso Chiar.mo Prof. Adorno, al quale andrà sempre la mia più profonda gratitudine e riconoscenza per l’esperienza che mi ha concesso di provare nei tre anni in cui mi ha consentito di dedicarmi a queste prestazioni di opere d’ingegno.
Ringrazio, in ultimo, la casa editrice Olschki di Firenze per la preziosa e costante collaborazione nel corso di questo lavoro e per i continui suggerimenti inerenti i criteri di schedatura, regesto4 e catalogazione, in considerazione, in particolare, dell’ assenza, negli anni ‘80 del secolo scorso, dell’ausilio dei moderni strumenti informatici di inventario e catalogazione. Quanto tempo è trascorso!
Colgo l’occasione per salutare tutti gli amici, i colleghi di altre discipline, di materie affini e dei miei stessi insegnamenti, i miei studenti, di ieri, di oggi e di domani, con i quali mi pregio di coltivare rapporti culturali ed umani anche quando, da anni, sono giunti al termine dei loro studi.
E’ mio intento ringraziare anche le tredici celeberrime Università ivi consorziate, delle quali dieci italiane e tre europee (due inglesi ed una romena), da me menzionate nel frontespizio-copertina, per l’ineccepibile organizzazione didattica dei Corsi e per avermi offerto l’occasione di un sì alto quanto imperdibile momento formativo!
I nostri studi riguardavano quelle figure che, tra fine Ottocento e primo Novecento hanno insegnato presso l’Ateneo fiorentino: si tratta delle carte autografe e manoscritte di Pasquale Villari, Ernesto Giacomo Parodi, Pio Rajna, Annibale Pastore, Alessandro Chiappelli, Antonio Borgese, Domenico Comparetti. Ad ognuno di noi fu affidata una ricerca, a me toccò quella di Pasquale Villari e, terminato questo lavoro, quella di Ernesto Giacomo Parodi (la schedatura delle carte Parodi tuttavia non è stata terminata in quanto, nel 1987 abbandonai l’attività accademica per dedicarmi all’insegnamento nell’alta Lombardia ed, in secondo luogo, da lì a due anni fu interrotta la convenzione con la Regione Toscana per mancanza di fondi, come sovente, aihmé, accade in simili situazioni di precarietà).
La motivazione del presente lavoro nasce quindi da un’esperienza personale, quella di una ricerca d’archivio, che intendo rievocare, non solo per una sorta di “nostalgia culturale” del clima fiorentino, quanto per dare alla luce, finalmente, le carte Villari, la cui schedatura è stata da me interamente svolta e portata a termine.
Il presente studio che mi accingo ad iniziare sarà articolato in un’introduzione, relativa alla contestualizzazione dell’Accademia “La Colombaria” nel respiro delle accademie e delle istituzioni culturali a Firenze, ed in 3 distinti capitoli: il primo, relativo al gruppo di ricerca costituitosi presso l’Accademia per volontà del prof. Adorno, il secondo, relativo alla presentazione della figura di Pasquale Villari come storico, docente universitario, politico, inserito nel contesto storico della crisi di fine Ottocento, ed il terzo, articolato a sua volta in 3 paragrafi, rispettivamente attinenti alla tecniche di schedatura, ad un excursus panoramico sulla storia della scrittura (dal papiro al manoscritto al libro a stampa), per concentrarsi infine sulla schedatura ed il regesto del fondo Villari; seguiranno le considerazioni conclusive. Rendo noto fin d’ora che la bibliografia sarà alquanto contenuta, proprio poiché si tratta di una ricerca d’archivio, nella quale acquistano sommo valore non tanto la letteratura secondaria, quanto, ovviamente, le fonti primarie, addirittura manoscritte in questo caso. Voglio infine far presente che è stato riscontrato, nel fondo Villari, un manoscritto originale del Savonarola, sicuramente attinente ad una delle due grandi opere storiche dell’autore, attinenti rispettivamente a Girolamo Savonarola ed a Niccolò Machiavelli.

CAPITOLO II°. PASQUALE VILLARI, MINISTRO ED “AMMINISTRATORE DELLA CULTURA”: STORIA, POLITICA E DOCENZA UNIVERSITARIA.

E’ opportuno e doveroso introdurre la figura di Pasquale Villari fornendo alcune notizie bio-bibliografiche5. Storico e uomo politico, nato a Napoli nel 1826 e morto a Firenze nel 1917, subì l’influsso culturale di Francesco De Sanctis6 e della sua “eccezionale” Storia della letteratura italiana; con il De Sanctis partecipò al moto napoletano del 1848. Fallito il moto, fu costretto a recarsi in esilio a Firenze, ove trascorse un decennio di studi politici e ricerche in biblioteche, archivi ed accademie fiorentine, quali l’Accademia di Belle Arti e la Società “Dante Alighieri”. Dal 1859 al 1865 fu docente di storia all’Università di Pisa e successivamente, fino al 1913, insegnò storia moderna e propedeutica storica presso l’Istituto di Studi Superiori di Pisa. Ricoprì la carica di deputato tra il 1870 ed il 1876 e tra il 1880 ed il 1882; nel 1884 fu eletto senatore del Regno d’Italia. Nel primo Gabinetto di Rudinì (1891) fu nominato ministro della Pubblica Istruzione, dal 1896 al 1903 fu presidente della “Dante Alighieri”, lasciò un notevole ed importante epistolario e scrisse articoli ed opere di vasto respiro storico, politico e didattico. Nel 1891, in qualità di ministro della Pubblica Istruzione, tentò una riforma di ogni ordine e grado di scuola ed una riforma universitaria, ma non riuscì nell’intento. Fu uno degli iniziatori del Positivismo in Italia, ma tutto il dibattito critico postumo si accentra sulla questione di un “Villari positivista”7 o di un “Villari idealista”8; scrisse inoltre molti articoli sulla “Dante Alighieri”.
Pasquale Villari (Napoli, 3 ottobre 1827 – Firenze, 7 dicembre 1917), storico e politico italiano, ministro della Pubblica Istruzione durante I° Gabinetto di Antonio Di Rudinì (1891-92).
Le sue principali opere furono Introduzione alla storia d’Italia dal cominciamento delle Repubbliche del Medioevo alla riforma del Savonarola (1849), L’origine è il progresso della
filosofia della storia (1859), Storia di Girolamo Savonarola e dei suoi tempi (2 voll., 1859-61); a tali opere, che gli procurarono la ben meritata fama come storico, seguirono
Niccolò Machiavelli e i suoi tempi (3 voll., 1893-94), Le invasioni barbariche in Italia (1900), L’Italia da Carlo Magno alla morte di Arrigo VII (1910) ed altri ancora.
Il problema più vivo dell’Italia post-risorgimentale su per lui la questione meridionale, sulla quale scrisse un importantissimo articolo intitolato Di chi la colpa? O sia la pace e la guerra, oltre alle Lettere meridionali (edizione definitiva nel 1878) ed a corrispondenze da Napoli, che lo resero celebre anche come un notissimo meridionalista.
I manoscritti e i documenti a stampa (questi ultimi decisamente minoritari) che si presentano nella parte dedicata al “Villari politico”, da un lato offrono una panoramica del materiale esaminato e dall’altro, più analiticamente, mettono in risalto le fonti che sono sembrate più rilevanti per l’attività ministeriale e politica di Villari. Tali documenti appartengono quasi tutti al 1891, anno in cui Pasquale Villari era Ministro della Pubblica Istruzione nel Gabinetto di Rudinì.
Sono, quelli in cui si trova ad operare Villari, anni difficili per l’Italia post-unitaria e post-risorgimentale: ai governi, prima della cosiddetta Destra Storica (1861-1876), seguirono quelli di “Sinistra”, inaugurati da Agostino Depretis; sul piano internazionale nel 1882 viene fondata, su iniziativa di Bismarck, la Triplice Alleanza e si delineano così già blocchi contrapposti, con l’intento bismarckiano di isolare la Francia nella politica colonialista. Nel 1878 era morto Vittorio Emanuele II di Savoia, il grande re del Risorgimento italiano, al quale era successo l’indegno figlio Umberto I. In politica interna, sono questi gli anni del trasformismo, una degenerazione del “connubio” cavouriano, tendente ad intrighi, manovre di corridoi di palazzo e scambi di voti e favori per far passare determinate leggi in parlamento: è l’inizio della corruzione parlamentare. A Depretis, morto nel 1887, era succeduto Francesco Crispi, un “autoritario di sinistra”, di matrice mazziniana e garibaldina (nel 1860, insieme a Rosolino Pilo, aveva promosso la “spedizione dei mille”), con simpatie repubblicane: la sua politica fu infatti definita con la categoria storica di “autoritarismo”. Protezionista e statalista in politica interna, aveva abolito anche la pena di morte, ma al tempo stesso represso nel sangue la protesta dei contadini, in Sicilia, detta “dei fasci siciliani”. In politica estera aveva tentato la conquista dell’Etiopia, ma le truppe italiane verranno massacrate ad Adua dal negus Menelik nel 18969.
Nel 1892, con il Congresso di Genova, era intanto nato il Partito Socialista Italiano, in un momento di gravi tensioni sociali. L’età crispina sarà interrotta soltanto da una breve parentesi del liberale Giovanni Giolitti, che sarà presto costretto a dimettersi perché coinvolto anch’egli nello scandalo della Banca Romana. E’ quindi un momento di gravi tensioni sociali, che nel periodo 1896-1903 si concretizzano in una serie di governi autoritari e militaristi, di destra, che altro non fanno che peggiorare la situazione e portare a quella fase tristemente nota come “crisi di fine secolo”. Antonio Di Rudinì è uomo conservatore, che nel 1898 farà reprimere a Milano, dal generale Bava Beccaris, una manifestazione: si lasciano 300 morti sulle strade, Bava Beccaris fa sparare a civili inermi, bambini, vecchi, donne, vengono addirittura cannoneggiate le mura di un convento e vengono arrestati dirigenti socialisti e cattolici.
A Di Rudinì succederanno altri due governi, molto reazionari, rispettivamente del generale Pelloux e di Saracco, si tratta di governi instabili, destinati a durare poco tempo. Nel 1900 l’anarchico Gaetano Bresci uccide il re Umberto I: il nuovo re d’Italia sarà Vittorio Emanuele III, che affiderà il compito di formare il nuovo governo ad un uomo moderato, Zanardelli, affiancato, di fatto, dal liberale Giovanni Giolitti, destinato poi a succedergli per un lungo periodo noto come “età giolittiana”. Questi sono quindi i difficili anni, insanguinati da tensioni sociali, nei quali Villari si trova ad operare, come ministro, studioso e docente universitario. Morì nel 1917, anno, per l’Italia, della disfatta di Caporetto, ma anche dell’ingresso statunitense nella “Grande Guerra” e della gloriosa Rivoluzione bolscevica d’ottobre!
Quella ministeriale fu l’ attività politica principale di Villari. Sono state così dedicate tre parti a tali attività:
1. Riforma dell’Istruzione elementare: abbiamo un documento del 1879, ma la parte più cospicua di non molti documenti – poche carte concernenti le leggi sui pagamenti, le nomine ed i licenziamenti dei maestri elementari – è attinente al periodo 1885-1900. Si tratta di tutte carte a stampa.
2. Riforma dell’Istruzione secondaria: da rilevare l’opuscolo a stampa del 1888 di Bellio, relativo all’insegnamento della geografia, e le proposte di riforma inviate a Villari da Masi, Cerruti, Morelli, Rava, Luzzati, Chinaglia ed altri, tutte del 1891. Sempre di questo anno sono i documenti che biasimano la carenza di sussidi per i licei classici e gli istituti tecnici, soprattutto per questi ultimi; è poi da rilevare un appunto manoscritto sugli stipendi degli insegnanti delle prime scuole sperimentali.
3. Progetti di riforma per l’università: si discute particolarmente della Facoltà di Architettura, con un documento di Boselli datato 1889, e di un disegno di riforma per la Scuola di Paleografia (si veda in proposito la parte relativa al carteggio), disegno a cui hanno contribuito particolarmente Girolamo Vitelli e Pio Rajna.
Altre questioni concernenti questo argomento, sul quale abbiamo il maggior numero di documenti, sono quelle della proposta dell’esame di laurea come esame di per sé già abilitante all’insegnamento o all’esercizio della professione, e della separazione del corso degli Studi della Scuola di Belle Arti da quella, più complessa, di Applicazione (ossia di specializzazione) per gli ingegneri. La questione della riforma universitaria era comunque sentita come esigenza generale e non solo da Villari; abbiamo, in proposito, documenti di Bocci e di Baccelli.
E’ presente un documento non datato relativo alla “questione Sbarbaro”, ovvero una petizione per il richiamo alla cattedra universitaria (si veda in proposito la parte relativa al carteggio). Oltre alla questione universitaria, Villari si è interessato, ed abbiamo ivi un’ampia rassegna della stampa, tutta dell’anno 1891, delle Belle Arti, a riguardo non solo del loro funzionamento in quanto Accademia, ma anche per ciò che concerne le qualifiche e gli stipendi del personale addetto a biblioteche, musei, gallerie, e scavi archeologici. Villari, oltre che professore, politico e storico, è stato socio di varie accademie ed istituzioni culturali e di ricerca: è da ricordare quale presidente della “Dante Alighieri” dal 1896 al 1903, e di questa sua attività è conservato l’ordine dei soci e lo statuto dell’Accademia, oltre a un documento teso a tutelare gli interessi degli studiosi italiani in Brasile; sono tutte carte datate tra il 1888 ed il 1900.
Della questione estera ed in particolar modo della situazione degli italiani immigrati in Brasile abbiamo un proposito due capitoli, uno dedicato alle migrazione degli italiani in Brasile ed uno, di assai più vaste dimensioni, riguardante la questione delle scuole italiane all’estero. Su questo argomento vi sono molti documenti non datati ed altri datati tra il 1891 ed il 1908, sui progetti Baccelli e Bianchi per le modificazioni dei programmi di tali scuole, modificazioni costituite da un più ampio insegnamento delle lingue, sia classiche che moderne. E’ poi da rilevare il progetto Scalabrini per l’insegnamento del diritto coranico ai musulmani di Tripolitania, Cirenaica ed Albania.
Altri documenti dimostrano che Villari si è interessato, quale presidente del consiglio degli archivi di Stato, alle modifiche dell’organico degli archivi, in particolare di quello fiorentino, causa le gravi carenze economiche di personale; è presente, in proposito, una copia del Marzocco e un documento sulla grandiosa opera del fondatore degli archivi toscani, Cesare Paoli (si veda, a riguardo, il carteggio relativo). Alla questione economica è stata dedicata la parte che ha per titolo “bilancio”, nella quale compaiono molti documenti non datati, comprendenti tabelle a) sulle spese, aumenti e diminuzioni per gli istituti e corpi scientifici e letterari nella Pubblica Istruzione, b) sugli stipendi dei professori ordinari nelle varie università italiane e sugli stipendi dei docenti degli istituti superiori di Milano e Firenze e della Reale Accademia Scientifico-Letteraria di Milano, c) sulle somme stanziate per la società di Storia Patria.
Una delle parti più importanti è quella relativa alla Riforma dei provveditorati e degli ispettorati agli studi: in proposito, oltre a documenti interessanti, anche se non datati, di Cammarota, Sfera-Carini, Agostini, è rilevante la proposta Masi del 1891; essa concerne osservazioni e proposte circa l’abolizione dei Provveditorati agli Studi e l’istituzione di organi regionali per le scuole secondarie.
La divisione delle sezioni non segue un ordine cronologico: tali documenti, in parte alluvionati10 e rimasti sepolti dalla polvere e dalle ragnatele per decenni, sono quasi tutti del periodo in cui Villari era Ministro della Pubblica Istruzione e sono stati ordinati secondo le tematiche del materiale. Ogni tema si scandisce cronologicamente e la presente disposizione delle sezioni segue un ordine alfabetico (argomento per argomento); laddove è stato possibile, dal contenuto dei documenti, manoscritti ed a stampa, si è cercato di risalire alla datazione o al periodo a cui si riferiscono le carte non datate; si sono poi fornite alcune notizie sui personaggi mancanti11.
Per Villari, alla base di tutti i problemi, è sempre la cultura. Si pensi a L’Italia giudicata da un meridionale (pubblicata nella nuova antologia il 1/12/1883), dove si esamina la personalità di P. Turiello, insigne studioso che, proprio dato i suoi studi, non è possibile accusare di partigianeria; Turiello è infatti studioso che non procede a priori, non è un teorico, ma affronta i fatti senza preconcetti. Ma, secondo Villari, “fatta” l’Italia, il compito essenziale è sempre stato quello di “fare gli italiani”, come diceva D’Azeglio ed è questo “l’ufficio delle scuole”12; soltanto così potranno formarsi intellettualmente e moralmente personalità come Turiello. Fino ad ora, scrive Villari, dalla storia delle istituzioni scolastiche d’Italia ne sono usciti i pittori, scultori, scrittori scienziati, ma non ne è uscito “l’uomo”. La scuola è poi strettamente connessa alla questione sociale: è il tema ripreso nella rassegna settimanale “Il socialismo in Italia”, fondata a Firenze il 30 giugno 1878 da Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino con un fine determinato, quello di dimostrare le esigenze della questione sociale come necessità urgente. Fu, come era naturale, una rivista di propaganda e di lotta.
Di fondamentale importanza, sembra, per comprendere il valore di certe forme di istruzione, il tema del discorso pronunciato da Villari per l’inaugurazione dell’anno accademico 1901-1902 nel Regio Istituto di Scienze Sociali di Firenze “Cesare Alfieri”. Villari si pone qui, in particolare, la questione dell’utilità effettiva di tali istituti e si chiede in cosa essi debbano differire dalle facoltà giuridiche. In proposito, sembra utile considerare la parte dello studio di documenti relativi a tale argomento, con particolare riferimento al manoscritto relativo all’ Istituto giuridico di Torino (con i relativi riferimenti al carteggio); sempre a questo proposito, sembra opportuno anche il confronto con i manoscritti e i documenti a stampa attinenti la questione dell’istruzione e della riforma universitaria, la parte più cospicua di questo studio.
Si fa presente, in proposito, che già il ministro Matteucci nel 1862 aveva cominciato con l’istituire le facoltà politico-amministrative, che poco dopo furono soppresse per la carenza di studenti, i quali continuarono a preferire la Facoltà di Giurisprudenza.
Il Villari sottolinea che tali istituti andarono scomparendo anche per un’altra ragione: sebbene gli insegnamenti venissero affidati a persone competenti e pratiche di amministrazione, i risultati non furono incoraggianti. Due, conclude Villari, sono quindi i motivi del fallimento di questi istituti. Tuttavia Villari ritiene fondamentali tali istituzioni per vari motivi, il più importante dei quali sembra essere quello del fallimento di un’istruzione strettamente giuridica, fondata sopra una sola legislazione: l’uomo di Stato, il politico, il ministro non possono quindi basarsi su un’educazione strettamente giuridica e professionale; l’insegnamento giuridico dev’ essere affiancato a quello storico, che deve essere il più universale possibile. Villari conclude questo studio13 affermando che le scuole di scienze sociali non potranno mai pretendere di assumere una forma immobile e cristallizzata, ma dovranno continuamente adattarsi ai mutamenti sociali, insistendo, in particolare, sul carattere morale che tali istituti devono avere; in proposito cita il testo di Aristide Gabelli, L’uomo e le scienze morali (edito a Firenze da Le Monnier nel 1871), ma, afferma Villari, solo la conoscenza della società e della storia ci farà comprendere il valore morale delle nostre azioni e non basta determinare ciò che si deve fare, poiché la sola ragione non è sufficiente, né appagante, ma entra in campo un’altra sfera, quella della coscienza essenza del valore morale della persona. Solo in tal modo, afferma Villari, si potrà rendere onore al fondatore della Scuola “Cesare Alfieri”14.
Un problema che non è presente in questi documenti è quello della questione meridionale, che portò però Villari ad interessarsi da vicino del problema dell’emigrazione, per il quale abbiamo invece una sezione di documenti. Villari si era interessato a tale problema visitando le regioni dove tale fenomeno si era manifestato più intensamente e discutendone con gli stessi emigranti e le loro famiglie. Come problematica generale, da un lato l’emigrazione provocava l’aumento dei salari, rarefacendo la manodopera, ma dall’altro, come ci illustra Luigi Villari15 (figlio di Pasquale ed autore di una nota biografia sul padre, anch’egi storico, aderirà al fascismo e sarà il padre di altri due importanti storici, Lucio, esperto della Rivoluzione francese e del Risorgimento, di scuola liberale crociana, e Rosario, storico dell’età contemporanea e dei totalitarismi in particolare, dichiarato marxista, autore dei noti manuali in uso per decenni nei licei italiani), non giovava all’agricoltura, per non parlare della tubercolosi e di altre malattie dell’allentamento dei legami familiari e dell’aumento dell’alcoolismo: tutto ciò non contribuiva affatto alla prosperità generale del Paese.
A ciò si aggiungeva la non produttività dell’emigrato rimpatriato e la conseguente diffusione della piccola proprietà. Inoltre, l’emigrazione rappresentava una selezione delle forze migliori: solo i sani partivano. Un altro inconveniente era quello che le masse degli emigranti giunti all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, si concentravano nelle metropoli, venendo però ghettizzate e vivendo in pessime condizioni, così che il loro lavoro in Italia era accompagnato anche qui da gravi malattie; le cause dell’emigrazione andavano per Villari ricercate nella miseria e nell’abbandono in cui sono state lasciate le classi lavoratrici del contado meridionale e ciò, secondo Luigi Villari, è da attribuirsi ai governi in popolari che lo hanno preceduto. La sua profonda conoscenza della storia italiana lo porto ad un’analisi che vedeva tale catastrofe connessa alla mancanza di un’ unità organica ed al prevalere invece di interessi individualistici e particolaristici; il compito attuale, per Villari era proprio quello di ricomporre le varie parti per formare il tutto (documenti non mancano, come abbiamo visto nella prima parte di questo capitolo).
Per ciò che concerne l’attività pedagogica del Villari, per la scuola primaria il suo ideale era un’istruzione adeguata alla mentalità dei bambini italiani senza copiare criteri stranieri: per questo il lavoro manuale dev’ essere sviluppato nei bambini con età inferiore agli undici anni, affinché l’abilità tecnica abbia un fine nell’educazione mentale, che deve essere un focolaio di cultura e di sviluppo di sentimenti morali (si veda, in riguardo a ciò, la parte specifica dei documenti dedicata all’istruzione elementare).
Per ciò che riguarda l’insegnamento secondario, pur insistendo sulla superiorità della scuola classica, che doveva formare gli spiriti ed insegnare le lingue, Villari non era soddisfatto nei di tali scuole in generale, che oscillavano tra la pedanteria minuziosa e il dilettantismo scapigliato e senza metodo, né dell’Istruzione tecnica, in parte ibrida ed in parte professionale, ma comunque priva di continuità (si veda in proposito la parte specifica dello studio dei documenti dedicata a tale argomento).
In generale Villari si mostrò difensore della scuola laica, ma con animo calmo, senza esasperazioni anticlericali allora di moda; la scuola, in primo luogo, non doveva mai porre l’uomo in seconda posizione; far ciò avrebbe significato dimenticare l’uomo.
Si occupò (come è possibile vedere dei documenti esaminati) della riforma e dell’Istruzione universitaria delle Scuole Speciali di Architettura, delle sovvenzioni ai musei ed agli Archivi di Stato, dei quali ebbe spesso l’opportunità di parlare in Senato; è da dire, in proposito, che tra i documenti studiati è presente una rassegna della stampa attinente ai musei, alle gallerie, agli scavi archeologici ed ai beni culturali in genere).
Nel 1864, quando Villari era direttore della Scuola Superiore Normale di Pisa, lo compì il suo primo viaggio in Germania per rendersi conto del sistema scolastico di quel Paese; soprattutto egli pensava che si dovesse curare l’istruzione superiore, che più di tutte diffonde la cultura generale, mentre quella elementare offre solo le coordinate per l’istruzione e quella universitaria la completa, finalizzandola a scopi particolari; si stimava in Italia a 40.000 il numero (a quei tempi molto elevato) di studenti delle scuole elementari che non proseguiva gli studi universitari16. Il viaggio in Germania convinse Villari ancor più dell’urgenza della riforma scolastica, pur con tutte le difficoltà che essa portava. Una legge non basta a far buona una scuola e per questo, si sostiene, sarebbe dannoso “trasportare” le scuole tedesche in Italia: i tedeschi hanno troppa fiducia nel metodo e poca nell’uomo. Non si devono, secondo lo storico, formare dei dotti, ma degli uomini, e l’erudizione deve servire all’uomo e non viceversa17. Il Professor Villari ci offre qui, mi si consenta di dirlo, una lezione di vera “didattica attiva”, concreta, della quale bisognerebbe che i politici del nuovo millennio facessero tesoro.
Gli interessi di politica internazionale di Villari si trovano fusi nella sua attività per la Società “Dante Alighieri”, della quale fu presidente per sette anni (dal 1896 al 1903), succedendo in tale carica a Ruggero Bonghi (per la “Dante Alighieri”, come detto, è presente un’apposita sezione). La “Dante Alighieri”, afferma Villari nel suo primo discorso tenuto come presidente, deve tutelare la lingua e la cultura italiana dentro e fuori i confini nazionali, anche perché questo è l’unico modo di farla conoscere all’estero, di contro alle sempre attuali persecuzioni austriache intente costantemente a sradicare quegli elementi etnici che sono invece tipicamente italiani. Ecco come sorgono i problemi etnici e linguistici di Bolzano e di Trieste di cui si parla nei documenti studiati.
L’inizio della maturità teorica e politica del Villari si può datare al 1876, anno in cui esce il celebre opuscolo Di chi la colpa? O sia la pace e la guerra. Se, come teorico, Villari esamina qui il positivismo di Roberto Ardigò, come politico interpreta lo sgomento dell’opinione pubblica, indagando, da un lato sulle cause della fragilità politico-militare italiana, e dall’altro riuscendo ad evitare pessimismo e partigianeria. Proprio sul problema della sconfitta contro l’Austria, egli illustra qui come non si possa ridurre il problema di avvenire concreto ad un problema di parte. Villari accusa particolarmente un fatto: gli italiani seguono con interesse solo le grandi questioni politiche, dimostrando però la loro noncuranza verso i problemi finanziari ed amministrativi (si tenga ivi presente la sezione relativa all’amministrazione), riducendo così il governo nelle mani di pochi che diventano odiosi. Scrivevi Villari, di proprio pugno: “Un governo di pochi è sempre meschino e personale, odioso sospettoso d’ogni nuovo venuto, è sempre una consorteria e qualche volta può divenire una camorra”18. Per questo “la colpa è de’ capi”19.
Come afferma Luigi Villari20, “l’amministratore della cultura” fu un uomo poliedrico e che comunque dimostrò una seria comprensione della vita politica italiana, cercando di risolvere alcuni dei più assillanti problemi del Paese, influendo su tanti suoi contemporanei e sull’ambiente in cui visse e lavorò. Come storico (per questo si vedano i documenti del volume al problema dedicati) dimostrò una speciale competenza della storia del Medioevo e del Rinascimento in Italia, nella quale applicò il suo metodo storico, che dev’ essere scientifico, comparativo, tutto teso alla ricerca del “vero”, poiché solo in questo senso, afferma Villari, la filosofia è storia, è libertà21. Ma ciò a cui lui più tenne, come sostenne Luigi Villari, furono indubbiamente i nostri problemi economici e sociali e l’evoluzione dell’educazione nazionale22. Si notano, in Pasquale Villari, evidenti influssi vichiani ed hegeliani e si preannunciano teorie dello storicismo crociano.
In conclusione, è possibile affermare che, per ciò che riguarda la personalità di Villari, riteniamo che siano ancora necessari sondaggi specifici volti a chiarire singoli aspetti e momenti dell’opera villariana23.

CAPITOLO III°. IL CARTEGGIO: REGESTO. LA RICOSTRUZIONE DELLA

CULTURA FIORENTINA E TOSCANA TRA FINE OTTOCENTO E PRIMO

NOVECENTO.

III.1. Premessa.

Il complesso del Fondo Villari prelevato dal pozzo della biblioteca della Facoltà di “Lettere e Filosofia” dell’Università degli Studi di Firenze, sita in piazza Brunelleschi, e sul quale ho lavorato 3 anni (esattamente dal 29 ottobre 1984 al marzo 1986) per poi restituire le carte alla medesima biblioteca, era così costituito:
Parte prima – Carteggio:
I scatola: ff. 1-564;
II scatola: ff. 565-1032;
III scatola: ff. 1033-1521.

Parte seconda – Il pensatore ed il maestro:
1. Le riflessioni sulla storia e di storia.
a) Pasticcio di uno studente, ms., carte 1- 406;
b) Appunti ms. sul rapporto tra la psicologia e la storia, carte 407 – 416;
c) Appunti ms. sul problema della lingua tedesca fuori della Germania e sulla storia politica
di Malta,carte 417 – 438.
2. L’attività didattica. Lavori scolastici e tesi di laurea. Carte 439 – 748.

Parte terza – Villari storico:
Sezione I: Savonarola.
a) Carte manoscritte 1 – 176;
b) Documenti storici: carte 177 – 704;
c) Note, appunti e codici: carte 705 – 897;
Sezione II: Machiavelli.
a) Quaderno ms.: carte 898 – 983;
b) Documenti storici: carte 984 – 2664;
c) Note, appunti e codici: carte 2665 – 2813;
Varie: carte 2814 – 2974
Parte quarta – Pasquale Villari ministro ed amministratore della cultura.
I scatola:
I-Accademia delle “Belle Arti” – ff. 1 – 20;
II-Società “Dante Alighieri” – ff. 21 – 35;
III-Amministrazione – ff. 36 – 155;
IV-Archivi di Stato – ff. 156 – 254;
V-Bilancio – ff. 255-379;
VI-Emigrazione-ff. 380-414;
VII-Istruzione elementare – ff. 415-449.

II scatola:
VIII-Istruzione elementare – ff. 450-572;
IX-Istruzione universitaria – ff. 573-820;
X-Provveditori ed Ispettori – ff. 821-866;
XIScuole italiane all’estero – ff. 867-1033.

Parte quinta -Varie generali.
I scatola: ff. 1 – 201 (carte varie generali autografe di Villari, che, per attinenza delle generiche tematiche trattate, non sono state inserite nelle altre specifiche parti del fondo).

Si tratta pertanto, nel complesso, di 6477 carte, tutte numerate, schedate, catalogate e riassunte che, per forza di cose, non potranno, nel presente lavoro, essere riportate nel loro regesto dettagliato, ma che saranno quindi sintetizzate nei loro nodi concettuali più significativi.
Prima di entrare nel vivo dei documenti, sembra opportuno riportare le abbreviazioni utilizzate nel regesto del fondo Villari:
laf. = lettera autografa firmata;
la. = lettera autografa;
lf. = lettera firmata;
baf. = biglietto autografo firmato;
cpaf. = cartolina postale autografa firmata;
cpa. = cartolina postale autografa;
cpf. = cartolina postale firmata;
naf. = nota autografa firmata;
na. = nota autografa;
lcs. = lettera circolare a stampa;
afs. = annuncio circolare a stampa;
ldf. = lettera dattiloscritta firmata;
ld. = lettera dattiloscritta;
m. = minuta di Pasquale Villari;
m. = minuta;
V. = lettera di Villari (escluso quando è destinatario);
sl. = senza luogo;
sa. = senza anno (di stampa);
sd. = senza data (di stampa);
bs. = busta;
t. = telegramma;
tc.= telegramma cifrato;
mt. = minuta telegramma;
v. = vedi (riferimento, cfr.);
ci. = carta intestata;
CV. = carteggio Pasquale Villari.
La casa editrice Leo S. Olschki ha stabilito inoltre, per quanto concerne le abbreviazioni, le seguenti norme per gli autori dei cataloghi e dei regesti, che costituiscono la forma corrente delle abbrevizioni. Nel presente studio saranno seguiti entrambi i criteri, che risultano essere complementari senza contraddittorio:
A., AA. = autore/i;
app. = appendice;
anast. = anastatico;
art. = articolo/i;
autogr. = autografo/i;
cap., capp. = capitolo/i;
cfr. = confronta;
cit., citt. = citato/i;
cm. = centimetro/i (per la misurazione dei documenti);
cod., codd. = codice/i;
ed. = edizione;
ecc. = eccetera;
f., ff. = foglio/i;
fasc. = fascicolo;
fig., figg. = figura/e;
f.t. = fuori testo;
ibid. = ibidem (citazione che si riferisce alla stessa pagina cui si è fatto riferimento nella
citazione precedente);
ID. = Idem (citazione successiva dello stesso autore);
ivi = (citazione che si riferisce allo stampato cui si sia fatto riferimento nella citazione
immediatamente precedente);
misc. = miscellanea;
ms., mss. = manoscritto/i;
n., nn. = numero/i;
nota = nota (sempre per esteso);
n.t. = nel testo;
op. = opera;
op. cit. = opera citata; (si usa quando l’espressione sostituisce interamente il titolo ed altre
indicazioni);
p., pp. = pagina/e;
passim = passim (indica che l’oggetto della citazione ricorre con tale frequenza nell’opera
citata che l’elenco dei numeri delle pagine ne riuscirebbe scarsamente
utile);
rist. = ristampa;
r v = recto, verso (per la numerazione delle carte nei manoscritti);
sec., secc. = secolo/i;
sg., sgg. = seguente/i;
suppl. = supplemento;
t., tt. = tomo/i;
tab., tabb. = tabella/e;
tav., tavv. = tavola/e;
trad. = traduzione;
v., vv. = verso/i;
vol., voll. = volume/i.

III.2. Dal papiro al manoscritto, dal manoscritto al libro a stampa.
Prima di affrontare il regesto del fondo in oggetto, ci è parso interessante ricordare, sia pure per sommi capi, una panoramica della storia della scrittura, dalle prime incisioni preistoriche dei graffiti agli scritti cinesi su tela, alle tavolette egizie, alle pietre usate in Oriente, per proseguire con i papiri greci ed egiziani, i manoscritti in età medievale, l’invenzione dei caratteri stampati di Gutemberg intorno alla metà del ‘400, per arrivare infine al libro moderno ed a quello odierno, in formato “digitale”.
I segni che in ogni parte del mondo gli uomini hanno inventato per comunicare tra loro sono diventati via via scritture differenti trascritte su altrettanto differenti materiali che niente avevano in comune con la carta che si usa oggi. Nella sua lunghissima storia di oltre 5000 anni la scrittura incontra il libro nella sua attuale forma riconoscibile non meno di 1500 anni fa e ne occorreranno molti altri ancora prima di passare alla sua struttura definitiva.
Prima che la comunicazione fosse affidata alle pagine di carta dei libri, gli uomini scrivevano su altri supporti: foglie, pezzi d’osso, gusci di animali, pietra, argilla, legno, tavolette cerate, tessuto, papiro, pelli d’animale e altro ancora. Ogni materiale aveva caratteristiche proprie e richiedeva strumenti adatti per lasciare impressi segni cuneiformi, gereoglifici, ideogrammi, alfabetici ecc. delle varie scritture.
Tralasciando i supporti più primitivi come foglie, ossa, pietre ecc. gli antenati della carta vanno cercati in materiali più vicini e simili alla carta stessa, non tanto come costituzione fisica ma come utilizzo per la scrittura: i tessuti di seta, i fogli di papiro e le pelli di pergamena.
La nascita del libro nella sua forma tipica di oggetto formato da fogli piegati, raccolti in fascicoli, cuciti insieme e rilegati non si trova quindi in un unico luogo geografico ma compare indipendentemente in più luoghi evolvendosi da precedenti forme dettate dai vari materiali usati.
Prima dell’invenzione della carta nel 105 d. C. in Cina e della sua lenta diffusione verso l’Occidente, si scriveva principalmente su 3 materiali, considerati gli antenati della carta stessa, la seta (in Estremo Oriente), il papiro (nel bacino del Mediterraneo), la pergamena (in Asia Minore). Curiosamente ma altrettanto naturalmente questi tre differenti materiali, dopo essere stati scritti, assumevano la stessa forma arrotolandosi attorno a un bastoncino. Si scriveva su una faccia sola e per leggere una mano teneva il rotolo e con l’altra si srotolava il lungo foglio per poi riavvolgere il tutto dalla parte opposta.
Quando in Cina venne scoperto il sistema di feltrazione delle fibre che diede origine alla carta, materiale più economico e rapido da fabbricare che si sostituì alla seta, rimase naturale mantenere la forma di rotolo con un lungo foglio di carta avvolto intorno a un bastoncino di bambù. A differenza della seta però la carta mal sopporta di essere arrotolata, soprattutto perché i rotoli venivano riposti orizzontalmente e in questo modo si formavano schiacciamenti e piegature.
Probabilmente fu proprio un rotolo schiacciato e appiattito a far nascere il primo libro con pagine piane, chiamato poi in seguito libro a fisarmonica,essendo costituito dal lungo foglio di carta come nei rotoli ma con pieghe alternate a valle e a monte in modo da permettere un’apertura e una chiusura facili e veloci. Contrariamente alla seta infatti la carta conserva le pieghe che la irrobustiscono e le danno struttura e solidità quindi fu relativamente naturale passare dalla forma arrotolata alla forma piegata.
Dall’estremo Oriente all’Europa, simile alla struttura dei libri orientali cuciti sul dorso sono i primi libri di epoca romano-cristiana, che nascono dall’unione dei “codici” e dei “volumi”. Queste due parole, usate oggi come sinonimi della parola libro, in realtà significavano cose molto diverse e solo il loro uso applicato allo scrivere ha portato al significato attuale. Codex era la tavola di legno con cui a Roma si preparavano le tavolette cerate per la scrittura. Quando si misero insieme più tavolette legate insieme sul dorso da striscioline di cuoio o di corda si continuò a chiamare codice quello che poi successivamente prenderà il nome di libro.
Estremamente pesante e rigido il codice permetteva una suddivisione in pagine vantaggiosa rispetto all’altro sistema usato nello stesso periodo dai romani e cioè il rotolo di papiro di provenienza egiziana. Il papiro arrotolato, chiamato volumen che significa appunto avvolgere, era costituito da un unico lungo foglio fatto da striscioline tagliate della pianta di papiro accostate e sovrapposte fra loro. Anche la parola volume, come già per la parola codice, verrà poi usata come sinonimo di libro. I Romani cercarono allora di sfruttare le migliori caratteristiche delle due forme di libro, il codice costruito con le pagine di legno e il volume di papiro arrotolato, per arrivare a un unico risultato che comprendesse il meglio di entrambe. Intorno alla fine del I° secolo d. C si fabbricarono i primi libri veri e propri fatti con pagine di leggeri fogli piani di papiro messi uno sull’altro e legati sul dorso ad imitazione dei codici di tavolette cerate che pian piano andarono scomparendo.
Mentre a Roma si diffondevano i nuovi libri di papiro, in tutta l’Asia Minore si scriveva sulla pergamena, pelle di animale seccata e levigata chiamata così perché originaria della città di Pergamo. La pergamena, sia nella sua terra d’origine sia nei paesi dove veniva esportata manteneva la forma di rotolo come già era successo per le seta cinese e per il papiro egiziano. A differenza della seta e del papiro però poteva essere scritta su entrambe le facce e questa possibilità favorì la trasformazione da rotolo voluminoso e scomodo da leggere recto-verso in libro costituito da pagine da sfogliare. Rispetto ai libri di papiro fatti di singole e fragili pagine la pergamena permetteva di essere piegata e sovrapposta in fascicoli che venivano poi cuciti su nervature per ottenere libri di grande spessore. Quando i libri di pergamena arrivarono in Europa si affiancarono a quelli già esistenti e di nuovo ci furono miglioramenti di forma e d’utilizzo. A ricordo dei vecchi codici si mantennero due tavolette di legno sopra e sotto il libro membranaceo (così veniva chiamata in Italia la pergamena) per proteggerlo e costituire così le prime forme di rilegatura. Successivamente le rilegature si fecero con materiali diversi dal legno come ad esempio cuoio, pelle, metallo, avorio, tessuto, cartone ecc., spesso arricchiti da decorazioni incise o a rilievo, fregi, borchie e anche pietre preziose.
Nella seconda metà del II° sec., in ambito cristiano, gli scritti letterari si presentano sotto una forma decisamente nuova, il «quaderno con le pagine», in latino codex. Questo fatto, irreversibile, andava di pari passo con la fissazione, la raccolta e la diffusione delle opere che i cristiani riconoscevano come «Scritture». Tale inedita presentazione del libro si imporrà fino ai giorni nostri. Nell’antichità, essa soppianterà progressivamente il rotolo, in ebraico “meghillah”, in latino “volumen”.
Nel mondo greco-romano, il passaggio dal volumen al “codex” era cominciato nel I° sec. e terminerà di fatto all’inizio del V°. Fin da subito, i cristiani furono i primi e ardenti promotori di questa forma rivoluzionaria di libro. Alcuni pensano che ne fossero gli inventori, ma nessuno sarebbe in grado di provarlo. La simultaneità dell’affermazione del codice letterario con la formazione del corpus cristiano delle Scritture è tuttavia sorprendente. Parallelamente, la pergamena soppiantò il papiro. Gli ebrei la preferivano da tempo. Presso di loro, l’uso della pelle si era progressivamente diffuso a partire dal VI° sec. a. C.; in questo modo, essi imitavano i Persiani, loro dominatori. I manoscritti ritrovati nelle grotte di Qumran sono dei preziosi testimoni, visto che la maggior parte di essi è su pergamena. Alle soglie dell’era cristiana, si trattava di un’eccezione ebraica, che diventerà cristiana in seguito. Nella società ellenistica e poi romana, i rotoli erano di solito su papiro. Nella tarda romanità, verso il IV° sec, si impose l’uso generalizzato della pergamena. Ciò fu determinante per il successo irreversibile del codice.
Il rotolo si presentava come una striscia continua, utilizzata da un solo verso e limitata in lunghezza. Qualche caso di «opistografia» (dal greco opistographos, «scritto sul verso») o di scrittura sulle due facce si incontrano però nei testi di Qumran.
Le biblioteche avevano imposto alcune normalizzazioni. Il rotolo era lungo tra sette e dieci metri. Un dialogo di Platone corrispondeva ad una misura standard. Una simile costrizione determinò la suddivisione di lungi insiemi in unità più brevi. Così, la Legge di Mosè si trovò suddivisa in cinque libri, ognuno con il proprio titolo. Alcuni rotoli comprendevano più scritti di taglia media, per esempio i dodici piccoli Profeti, ma di solito la lunghezza del libro coincideva con quella del volumen. Fino al III° sec. a.C., l’ampiezza dei rotoli era piuttosto ridotta. Ognuno poteva accogliere, per esempio, un libro di Omero, una tragedia di Euripide o un discorso di Demostene, cioè un testo che andava da 600 a 1000 righe o versi. La lunghezza dell’opera poteva essere determinata da quella del rotolo di cui si disponeva. Talvolta il tempo di una lettura pubblica serviva da misura nella delimitazione di una unità. Le cose evolsero. La dimensione del rotolò si allungò. Ciò è attestato tra l’altro dalla lunghezza dei libri storici di Polibio (II° sec. a.C.) o di Diodoro Siculo (I° sec. a. C.). Tre secoli prima, i libri di Tucidide erano ben più corti. La situazione cambiò radicalmente con il codice, il quale non imponeva tali limiti. Alcuni fogli separati venivano tagliati nel formato voluto, impilati uno sull’altro, legati nel mezzo con un filo e infine piegati. Il tutto poteva ricevere una copertina o una rilegatura. La più antica che si possieda è a forma di portafoglio, con un codice di Filone di Alessandria del III° sec. Libri di grande valore o un insieme di libri potevano essere copiati su un solo codice. La costituzione del corpus letterario trovo qui un potente incentivo. I primi e grande beneficiari ne furono gli scritti composti e raccolti dai cristiani.
Il termine codice, anticamente caudex, è latino. La sua traslitterazione greca “kodix” è relativamente tarda. Il termine indica dapprima una raccolta di inventari o di archivi. Nel III sec., dopo la riforma di Diocleziano, lo si incontra nei papiri egizi con il significato di registro fiscale o di catasto. Nel mondo greco, non esisteva un termine specifico per il codice letterario. Si usava biblos o biblion, «libro». Si faceva ricorso ad altri vocaboli, in funzione dell’uno o dell’altro aspetto o componente dell’oggetto: membranai «pergamena», deltos «tavoletta», derma «pelle», pyxios «tavoletta», teuchos «tomo», somation «piccolo corpo».
L’origine del codice è romana. Presso i Latini, il termine indicava un insieme di tavolette legate tra loro da una cordicella. Seneca (morto nel 65) attesta che «il nome caudex è dato dagli antichi a un insieme di più tavolette» (plurium tabularum contextus caudex apud antiquos uocatur); e precisa che «il nome di codex è dato alle tavolette pubbliche» (publicae tabulae codices dicuntur). Si chiede poi se Claudio Caudex, console nel 264 a.C., non derivasse il suo soprannome da caudex, la forma antica del codice (De brevitate vitae, 13). Soltanto all’inizio del III sec. il termine indicherà dei quaderni di pergamena o di papiro con dei testi letterari: all’inizio e fino a quel momento li si chiamava membranae, «pergamena». La prima attestazione letteraria del «codice» nel senso di libro si incontra in un poema di Commodiano della seconda metà del III° sec.
Si possono distinguere tre tappe nella storia della formazione e dell’affermazione del codex letterario.
1. Inizialmente vi è la tavoletta da scrittura, di cera o di legno, probabilmente di origine orientale. La si utilizzò in Grecia e soprattutto a Roma per i conti, i testamenti, la registrazione delle nascite o per gli esercizi a scuola. Si legavano le tavolette per due, tre o più, e ciò dava il dittico, il trittico, ecc. Si praticava un foro nel quale passava una cordicella.
2. Venne poi il libretto di pergamena (“membranae” in latino e poi “membranai” in greco), il precursore immediato del codice vero e proprio. Probabilmente da Roma, il suo uso si diffuse assai rapidamente, nel I° sec., fino al Medio Oriente.
Sono questi i «quaderni di pergamena», chiamati proprio membranai, che Paolo di Tarso chiede a Timoteo di portargli (2Tm 3,14). Si trattava di quadernetti di note, di appunti o brogliacci di lettere. Una trentina d’anni prima, sembra che i discepoli di Gesù di Nazareth abbiano usato delle membranai nelle loro missioni, su cui avrebbero annotato le dichiarazioni del loro maestro e soprattutto le loro relazioni spesso commentate di ciò di cui erano i testimoni diretti. In vista degli spostamenti, probabilmente frequenti, nelle regioni ellenofone, alcune di queste note dovevano essere tradotte in greco. Questa potrebbe essere l’origine scritta delle tradizione raccolte e trasmesse dalla prima letteratura cristiana, dalla fine del I° sec. alla metà del II°. Si pensi, tra l’altro, alle raccolte dei «loghia del Signore». I racconti evangelici non erano ancora né diffusi né identificati in quanto tali.
3. Dal libretto di pergamena al codice letterario il passo fu breve. Alcuni lo compirono senza attendere troppo. Vi era infatti la tendenza a svalutare le membranae, riservate ai brogliacci da buttare e alle note personali. E il rotolo di papiro si mantenne a lungo, a Roma come altrove: restava il supporto nobile delle opere letterarie. Bisognerà attendere la fine del IV sec. perché gli effetti di tale rivoluzione fossero acquisiti. È durante questo periodo di esitazione che i cristiani si distinsero. Fin dal II° sec., essi adottarono prevalentemente il codice, a cui riservarono presto l’esclusività della loro produzione scritta. Era per loro un modo di sottolineare la differenza con gli Ebrei. Ma ancora più, il mezzo per imporsi attraverso la mediazione peculiare dei loro scritti nella società culturale del mondo greco-romano. Ma non sembra che abbiano inventato la cosa. Negli anni 84-86, il poeta e polemista Marziale (Epigrammi, I, 2) raccomandava le membranae contenenti le proprie opere e altre come quelle di Omero, di Virgilio, di Tito Livio e di Ovidio. Non senza eccessi, egli vanta la capacità e la maneggevolezza di questa nuova forma di libro.
Sino alla fine del IV° sec., le statistiche elaborate a partire dai documenti ritrovati sono eloquenti. Per i testi cristiani, a partire dalla fine del II° sec., la percentuale di codici è molto superiore a quella di rotoli; e il passaggio dal papiro alla pergamena sembra verificarsi pressoché sistematicamente, mentre il contrario si verifica per le opere greche e latine. Quanto agli ebrei, essi rimasero fedeli al rotolo di pergamena, tradizionale presso di loro.
Ragioni pratiche ed economiche possono aver spinto i cristiani ad adottare il codice con rapidità e determinazione. Sull’esempio di Marziale, certo spinto dalla propaganda, essi dovettero apprezzare la comodità dell’oggetto nei loro viaggi missionari. Può aver giocato anche il ricorso più agevole a dei passi paralleli nelle Scritture, più facili da consultare. Vi è anche il costo più contenuto del prodotto, la sua solidità e l’estensione del contenuto. Altre cause hanno influito, probabilmente più determinanti. Dalla fine del I° sec. all’inizio del II°, circolavano delle raccolte delle lettere di Paolo. Si tratta delle prime vere e proprie edizioni di ciò che si chiamerà il «corpus paolino». Il numero delle lettere variava da una raccolta all’altra, sette, otto o dieci; ma l’ordine di classificazione tendeva all’uniformità. Simili operazioni erano di un’importanza capitale. E il codice nascente offriva ai creatori e ai diffusori di testi cristiani la qualità di un supporto desiderato. Dal momento che la nuova religione aveva la vocazione all’universalismo, ci si doveva comportare di conseguenza. La conservazione, la comunicazione e l’uso del patrimonio scritto si trovavano meglio garantiti dal codice, soprattutto in pergamena.
In ambito cristiano, si manifestò un effetto di reciprocità tra, da una parte, lo sviluppo e la promozione del codice e, dall’altra, la costituzione delle collezione di scritti riconosciuti e omologati come «Scritture». Prima vennero i libri della Settanta, poi le lettere di Paolo e infine i vangeli e altri scritti. In questo modo, per forma, per confezionamento e per contenuto dei loro libri, i cristiani si distinguevano tre volte dagli ebrei. Il codice recava in sé un dinamismo assemblatore; la sua ampiezza era percepita come illimitata, perlomeno in teoria. Liberati dalla costrizione fisica del rotolo, gli scribi cristiani andarono oltre. Solo gli gnostici e altri eresiarchi, grandi produttori di libri, furono dei seri concorrenti. Si noti che il filosofo Porfirio, morto a Roma verso il 305, adottò il codice per l’edizione delle Enneadi di Plotino, suo maestro. Egli faceva della sua opera, sull’esempio delle Bibbie cristiane e degli scritti gnostici, una sorta di bibbia della sapienza ellenistica, ad uso dei pagani colti. Gli ebrei non poterono evitare l’impatto dell’ambiente circostante e poco a poco l’uso del codice si diffuse presso di loro. Tuttavia, la lettura della Torah in sinagoga continuò ad essere svolta su rotolo; il codice veniva consentito solo per l’insegnamento o lo studio. Vedere dei cristiani realizzare delle copie della Legge sottoforma di codices ha probabilmente turbato gli ebrei fin dalla metà del II° sec. I libri santi venivano trattati alla stregua di quaderni per appunti o di brogliacci; vi era in ciò qualcosa di sacrilego. Provenienti da ambienti urbani, a loro agio con il commercio e la trasmissione di idee, i cristiani promotori del codice manifestavano una viva presa di coscienza della loro differenza rispetto all’ebraismo. In questo modo, essi contribuirono ad inaugurare un diverso mezzo di comunicazione, anzi una nuova modalità di cultura. A differenza degli ebrei, essi si inserirono del tutto naturalmente nella società circostante con il significativo apporto di una nuova risorsa culturale. Del resto, nelle loro assemblee diventate regolari, i rotoli della Legge si trovarono assai relativizzati rispetto al Vangelo come memoria e come messaggio: era in riferimento a quest’ultimo che essi celebravano. Ciò che essi proclamavano come santo o sacro non erano né prima di tutto né essenzialmente dei libri.
Quando, intorno all’ XI° e al XII° secolo la tecnica di fabbricazione della carta arrivò in Europa (Italia, Francia, Germania), la forma del libro aveva già una sua struttura definita e i fogli di carta, relativamente economici e semplici da fabbricare lentamente sostituirono la pergamena, dapprima solo per libri considerati poco preziosi e successivamente, con l’introduzione dei caratteri a stampa inventati nel 1450, sulla pressocchè totalità della produzione editoriale. L’invenzione dei caratteri stampati di Johann Gutemberg, Il tedesco che intorno al 1450 inventò i caratteri mobili, prima di legno, poi di ferro, rivoluzionò la cultura del tempo, che fuoriuscì dai monasteri per laicizzarsi. Infatti, anche se la produzione libraria rimaneva, almeno inizialmente, essenzialmente religiosa, finì la tradizione dei monaci amanuensi, e la Chiesa non era più l’unica depositaria del sapere, come era invece stata fino a tutto il Medioevo. Il primo libro ed il più diffuso stampato fu comunque la Bibbia e la letteratura religiosa delle Laudes era vastissima, ma, accanto a testi religiosi, si iniziarono a pubblicare anche libri dal contenuto profano. Inoltre, nacque una nuova professione, quella dello stampatore, dell’editore (celebri furono le edizioni di Aldo Manuzio a Venezia, appunto le “manuziane”, molto pregiate e ricercate ancora oggi dai collezionisti del libro antico). I libri stampati nel ‘400 presero il nome di “incunaboli”, dal cuneo utilizzato per la stamperia, mentre per i testi del secolo successivo si parla di “cinquecentine”.
Ma eccoci arrivati nel XXI° secolo, quando inizia a diffondersi l’e-book, Ma eccoci arrivati nel XXI° secolo, quando inizia a diffondersi l’e-book, termine che deriva dalla contrazione delle parole inglesi electronic book, viene utilizzato per indicare la versione in digitale di una qualsiasi pubblicazione. La sua caratteristica distintiva è quella di avere uno schermo che emula la stampa su carta. Ma, a differenza di un libro cartaceo, le funzioni di un e-book possono andare ben al di là della semplice lettura del solo testo. Il termine, che deriva dalla contrazione delle parole inglesi electronic book, viene utilizzato per indicare la versione in digitale di una qualsiasi pubblicazione. La sua caratteristica distintiva è quella di avere uno schermo che emula la stampa su carta. Ma, a differenza di un libro cartaceo, le funzioni di un e-book possono andare ben al di là della semplice lettura del solo testo.

III.3. Il fondo Villari.
Presentiamo innanzitutto alcuni manoscritti originali rinascimentali, attinenti agli studi villariani su Savonarola e Machiavelli; si tratta di figure quali Marino Giorgio, Vitellozzo Vitelli, Domenico Pisani, il duca di Modena. Sono documenti, come si può vedere, tutti datati tra il 1496 ed il 1503; evidenti, in alcuni casi, le tracce di alluvionamento.
Gli strumenti dello studioso di manoscritti sono i guanti (è opportuno lavarsi comunque sempre le mani dopo aver toccato antichi manoscritti), una buona luce e soprattutto le lenti di ingrandimento (utilizzate spesso quelle con la luce incorporata). Non è più, infatti, il tempo del lume delle candele!
La conservazione dei libri antichi impone il riparo dalla luce, ma anche una certa areazione dei libri, che non devono quindi trovarsi troppo attaccati tra loro e vanno aperti e sfogliati di sovente; in caso di muffa, occorre immediatamente chiudere ermeticamente il libro in un sacchetto di nylon e portarlo da un restauratore specializzato in restauro di libri antichi.
Segue ora il regesto dei documenti più significativi24. La numerazione del regesto è progressiva all’interno della sezione.

III.3.I.Villari storico.
Si esaminano in questa sezione i documenti relativi allo studio delle opere di Niccolò Machiavelli. Si tratta di 19 documenti, di varia lunghezza.

III.3.I.A. Studio delle opere di Niccolò Machiavelli.

1. APPUNTI autografi ed apografi delle opere di N. Machiavelli conservati nelle biblioteche di Firenze. 14 carte scritto su 1 pagina, cm 14,5 X 31, autografo.
Si articola in 3 punti principali:
1) Si mette in rilievo che la biblioteca Palatina conserva alcuni autografi, tra i quali i frammenti delle Istorie fiorentine con altri scritti provenienti dalla famiglia Ricci.
2) Si evidenzia il volume catalogato con il numero 1451eKVIII presso la “Biblioteca magliabechiana” nel quale sono presenti i seguenti autografi:
I. “Descrizione della peste”.
II. “Capitoli per una bizzarra compagnia”.
III. “Il libro dell’arte della guerra” (frammento)
IV. “Commedia in versi”
V. “Andria”
VI. “Orazione per un magistrato”.
Il sen. Carlo Filippo Strozzi compose il volume (n.366 della sua libreria). Egli pose di sua mano il frontespizio: “N. 366/Amadio Niccolucci/Arte della guerra/frammenti originali/di alcune sue opere/Amadio Niccolucci”.
Contini nella rel. Pag. 65 del “IV° centenario di N. Machiavelli”, Firenze, 1869, pensò che quella nota fosse del bibliotecario Follini.
3) Nella stessa biblioteca magliabechiana, sono di Niccolò Machiavelli (sono catalogate 335ClVII):
I. “Belfagor”.
II. “Andria”.
III. “Serenata”.
Tale missiva, quasi ignorata, appartiene a Simon Berti.

2. IL PRINCIPE cm. 14,4 x 31,2
Sono 2 noti autografi di Biagio Buonarroti, del libro del Principe.
I°: c/o bibl. Laurenziana (Coll. 32 Banco XLIV). Dedica all’autore (secondo l’uso dei tempi)
e proverbi greci e latini.
II°: c/o bibl. Riccardiana (Coll. 2603). Vi è soltanto la dedica dell’autore.
Variazioni dei due autografi rispetto alla VII ed. del 1550, relative al II° cap. (sono sottolineate le differenze nel confronto ipertestuale fra i 3 codici):
CODICE LAURENZIANO
“Io lascero indietro el
Ragionare delle Repubbliche”;
“perché altra volta ne ragionai ad lungo”.
“Volterommi solo al principato et andro ritescendo li ordini soprascripti et dusputero come questi principati”.
CODICE RICCARDIANO
“Io lascero indietro el ragionare delle Repubbliche”;
“perche altra volta ne parlai a lungo”.
“Volterommi solo al Principato e andro ritescendo li ordini soprascripti et disputero come questi principati”.
EDIZIONE VII
“Il lascero indietro il ragionare delle Repubbliche”;
“perche altra volta ne ragionai a lungo”.
“Volterommi solo al Principato: et andero nel ritescere queste orditure di sopra disputando come questi Principati”.
Edizione VII: è riprodotta con qualche variante, in alcuni recenti codici del XVII e XVIII secolo. Tali codici sono: cod.42 ClXXX (bibl. Magliabechiana) e nei cod. 2442 e 3163 (bibl. Riccardiana).

3. ISTORIE FIORENTINE cm. 14,2 x 31.
I frammenti autografi delle Istorie fiorentine si trovano nella Biblioteca palatina e provengono dalla famiglia Ricci.
-Del II° libro rimangono 10 carte.
-Il IV° libro ha 10 carte.
-Del VI° libro rimangono 18 carte.
-Il VII° libro ha solo 4 carte.
L’apografo di tutti gli 8 libri (come fu forse presentato da Machiavelli a Clemente VII), è conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana (cod. 34 Banco XLIV). Niccolò Machiavelli fa precedere una dedica a Clemente VII. Fino al VII° libro non vi sono variazioni. Si legge infatti: “…R.mo S.S. Julio Card.le de Medici Ill.mo”. Nel libro VIII° si nota una variazione: “…al santiss. Beatiss. Padre Clemente VII. Pontefice Maximo”. Tali correzioni servirono all’edizione dei Giunti del 1537.
Nella Biblioteca Magliabechiana si trova un altro apografo (contenente tutti gli 8 libri delle Istorie fiorentine. La collocazione è la seguente: cod.85CL.XXV. In tale apografo è mancante la dedica.
Confrontiamo ora i 2 codici per quanto riguarda l’inizio del Proemio (sono sottolineate le differenze):
CODICE LAURENZIANO 34 Banco 44 CODICE MAGLIABECHIANO 85 CL.25
“L’animo mio…” “Lo animo mio”
“…Drento et di fuori” “Dentro et fuora”
“dagli” “dalli”
“pensava” “pensavo”
“Arezzo” “arezo”
“dua” “diuoi”
“in drieto” “in dietro”
I primi 4 libri delle Istorie (l’ultimo dei quali non è intero) sono posseduti dalla stessa biblioteca laurenziana (Cod. 37 Banco XLIV). Notiamo ora le differenze (sottolineate) tra i due codici:
COD. LAUR. 34 B.44 COD. LAUR. 37 B.44
“drento et di fuori” “dentro et fuora”
“pensava” “pensava” (resta invariato)
“dua” “di noi”
Sembra che questo secondo codice laurenziano riproduca la versione del citato codice magliabechiano.

4.DESCRIZIONE DELLA PESTE. 3 carte: cm. 14,4 x 31,3 [n.6]; cm. 14,5 x 31 [n.7]; cm. 14,4 x 31,4 [n.8].
Sono 6 mss. di un volume che, presso la bibl. Magliabechiana hanno collocazione: 1451Cl.VIII. E’ composto di 6 quaderni: il 1° quaderno ha 6 carte, il 2° ne ha 10. Segue la nota latina nell’epistola per la peste. Nel 1° quaderno Villari riconosce nell’epistola la grafia di Buonaccorsi, il quale fece le seguenti correzioni ed aggiunte:
ho sentito dolore ho sentito pari dolore
in parte alcuna in parte al chuna a
simile a quello anzi ne anche simile
di presente sento quello che al presente sento
mi fussi lecito mi sia lecito
se l abito nostro civile se l habito delle nostrali veste
l’essere noi fuori l intender voi esser fuori
Segue una nota alla prefazione del Polidori alle Opere minori, che è però stata cancellata dallo stesso Villari.
La descrizione vera e propria della peste è contenuta nel 2° quaderno, le cui 10 carte (delle quali l’ultima è bianca) hanno una doppia numerazione, da 1 a 3. La descrizione è autografa, ma al testo del Machiavelli furono fatte alcune correzioni ed aggiunte dal Buonaccorsi:
Testo di Niccolò Machiavelli: Correzioni e/o aggiunte del Buonaccorsi: “Proposto” corr. “Proponimento”
“stenta” corr. “travaglia”
“non si puote andare” corr. “difficilmente et con timore si va”
“fermi e fori” agg. “i giudici o le corti”
Correzioni ed aggiunte proseguono (complessivamente se ne contano circa una quindicina). Villari riporta infine, questa volta non cancellata, la prefazione del Polidori alle Opere minori.
Segue un quaderno di 4 carte (tutte scritte), contenenti i capitoli, come si è detto, “per una bizzarra compagnia”; tale quaderno non dà però alcun titolo al componimento, che è autografo.

5. Arte della guerra. 1 carta cm. 14,4 x 31,3
E’ il terzo trattato degli autografi compresi nel volume già citato; le 183 carte sono numerate in quest’ ordine, che, a giudizio di Villari, è molto mal disposto: 7-16; 97-110; 113-154; 161-166; 169-183. Seguono infine 2 altre carte doppie, non numerate, contenenti aggiunte e correzioni dell’autore. Tra le carte delle tavole si trova l’alfabeto greco.

6. Commedia in versi. 1 carta cm. 14,4 x 31,2
Senza titolo, è ritrovabile nel codice magliabechiano con lo con la collocazione 1451C. VIII; è in un quaderno di 52 carte, ma la numerazione comincia soltanto dalla seconda carta poiché la prima è bianca. Al termine della Commedia è leggibile una nota, da Villari ritenuta anch’essa di Machiavelli.

7. Decennali. 1 carta* cm. 14,4 x 31,2
*Nota: è sulla stessa carta della commedia in versi.
Il primo decennale è posseduto dal codice Mediceo Laurenziano 41 Banco XLIV, preceduto dalla doppia dedica, latina ed italiana, del 9 novembre 1504. Il secondo decennale, aggiunto, è di altra mano. Una copia del primo decennale, che servì alla stampa, preceduto da una dedica, è presso la biblioteca magliabechiana (Cod 604 Cl. XXV).

8. Andria. 1 carta cm. 14,3 x 31,2
Di questa commedia abbiamo due autografi, entrambi conservati nella biblioteca magliabechiana; il primo autografo, forse bozza della traduzione del testo di Terenzio, fa parte del volume strozziano precedentemente citato a proposito dell’Arte della guerra (Cod. 1451 Cl. VIII). Si sono perdute le prime parole causa l’umidità della prima delle 36 carte, non numerate, di più quaderni; il sesto quaderno presenta alcune autografe correzioni. Il secondo autografo dell’Andria è nel cod. 335 della Cl. VII.
Tutte le correzioni citate da Villari sono riprodotte secondo la bozza.

9. Belfagor . 1 carta cm. 14,4 x 31,2
L’autografo di questa novella contenuta nel Cod 335 Cl. VII della biblioteca magliabechiana ha il solo titolo di Favola e presenta varie correzioni.

10. Orazione. 2 carte cm. 14,5 x 31,3 (carta indicata con il n. 13) e cm. 14,7 x 31 (carta indicata con il n. 14).
Sono le ultime carte del citato volume strozziano. Il testo presenta alcune correzioni autografe, per es.: TESTO: “IGNORANZA”; CORREZIONE: “INESPERIENZA”. Vi sono anche alcune scritture di altra mano. Ni margini della prima facciata si trova la bozza di una lettera di raccomandazione per una causa (che forse segue l’altra, che è nella sesta facciata). Nella quinta e sesta facciata è poi sempre contenuto un frasario di epistole latine, che Villari ritiene essere della stessa mano. Il Contini credette che tale “frasario” fosse “un dialogo latino”. Gli editori del 1828 credettero che tale discorso, breve e superficiale, fosse frutto degli scritti giovanili dell’autore: Villari nega addirittura che tale discorso possa essere collocato tra le sue opere.
Il citato volume strozziano, oltre i 6 autografi, presenta diversi scritti di altri, tra cui è notevole un frammento del “Discorso” stesso, che inizia con le seguenti parole “Questa genera negli Stati”. Villari opera adesso un confronto filologico fra il testo del frammento e quello dell’autografo, riportati su 2 colonne (quest’ultima carta si presenta in uno stato notevolmente carente). Forse il “Discorso”, che doveva essere pronunciato da uno dei Signori, non fu composto da Machiavelli (“Dal Machiavello”, scrive Villari), ma trascritto e nuovamente composto su quello di cui resta il frammento.

11. Carte autografe. 2 carte cm. 21 x 30 e cm. 20,9 x 29,8 – Restauro.
Parla delle imprese del Re Carlo VIII di Francia e dei soldati francesi “in arme fiere”; si dice che dal cielo il ”glorioso lampo” che gli “portò trionfo, gloria e grande onore”. Oltre che delle imprese militari (l’autografo cita Genova, Pisa, Lucca e Siena), si parla delle cause che lo hanno spinto nella sua “discesa” in Italia.

12.Autografo. 8 carte cm 21 x 30,3; 20,9 x 30; 21 x 30,3; 21 x 30,3; 21,1 x 30,3; 20,9 x 30,2; 20,8 x 30,4; 21 x 30,2.
Sembra della mano che ha scritto l’autografo precedente, ma anche questo non è firmato. Parla della reazione del popolo francese che “del suo Signore vede el sangue bagnar l’arme e’ l cavallo”. La folla reagisce “tutta ripiena d’ ira e di furore”. Sul campo di battaglia (non è nominato il luogo) si contano oltre 1000 morti. Il popolo francese è molto afflitto (“tutta la patria piange”), la battaglia fu molto cruenta (“o quanto fu crudel questa bataglia”), da entrambe le parti (“Da l’una parte e l’altra”), “senza alcuna pietade”. Il re di francia, sconvolto per i suoi morti, comanda la distruzione di un castello (di cui non è fatto il nome), “fin da fondamenti”, senza avere pietà, né per “li grandi”, né per “gl’inocenti”. Sono molto descritte le scene della battaglia e la stanchezza degli uomini (“i vivi più combatter non poteano”). La battaglia infuria per ogni strada. Dalla parte italiana, si evidenzia la tensione dello stato d’animo (“tutta Italia con l’animo acceso”), mentre la speranza viene sempre meno (“che la speranza ogni giorno gli manca”) e si parla proprio della speranza in Dio. Si discute di Firenze e Roma (“Fiorenza e Roma”), le due città che ospitarono questo re, ed a Firenze “cosa alcuna gli fu contraria”.

13. Versi rimati (manoscritti). 1 carta cm. 21,3 x 30,3
E’ una poesia dedicata a Giuliano de’ Medici; se ne esaltano la bontà, che in lui è virtù divina, e l’ingegno, che lo fecero degno “del cel più che del mondo”; se ne evidenziano le “facultà” e l ”’alta probità” morale, tanto che, si dice, l’universo fu lieto del suo regno di pace.

14.Versi rimati (manoscritti). 18 carte cm. 18,2 x 30,4
Tutte le 18 carte sono versi rimati (il primo verso è sempre in rima con il terzo, come nei versi rimati precedenti) che tendono ad esaltare la famiglia de’ Medici con particolare riferimento a Piero e ad Alessandro, testualmente citati. Tali carte sembrano essere scritte dalla stessa mano che ha redatto i versi precedenti; l’inizio dei versi esalta proprio le virtù di Piero De Medici, definito “Socratico e dottissimo”, che venne “a supplir” la nobile famiglia fiorentina “con santo magisterio”, tanto che il suo stimato ingegno fu degno d’alloro. L’umanità del suo animo appare dal suo volto, la sua sottile astuzia, lungi da frode ed infamia, gli fece superare ogni superbia, e con la nobiltà del suo animo amministrò la giustizia. La vita di Alessandro de’ Medici fu, per valore e virtù, quasi pari a quella di Piero: se ne notano infatti anche qui l’acume e l’ingegno, il cui nome risplende nelle sue infinite virtù. Tanti “rampolli” ne verranno e qui il poeta opera notevoli similitudini con la vita di una pianta e la natura in genere; i Medici saranno la gloria di Firenze (“di che si gloria il campo fiorentino”), ma una virtù di Alessandro viene particolarmente evidenziata, virtù non presente nell’ “ignobil vulgo” o nel sangue della “femminaccia vile”: l’impegno a salire ogni “via difficile e superba”, a superare ogni ostacolo, a costo di qualsiasi fatica (“salir se di sudor pria non son molli”), per raggiungere le vette luminose della sua vita (“quel vertice sacro”). E “più saliva”, più desiderava “salire” (“così per queste faticose scale montava e di montar voglia agumenta”). La cima del monte “è di bellezza senza esempio”, che vale la pena di durar tanta fatica (“o quanto è grato el sudar de la fronte”). Successivamente (nelle 10 carte raggruppate sotto il numero 4) si parla delle minacce verso l’Italia e delle difese dei robusti “petti italiani” contro i “barbari” per difendere i confini (“per custodir dell’Italia le soglie”). Si allude spesso a Marte e alla “Dea” che domina il monte (“non è bontà dove costei non sia”). Si descrivono, inoltre, le scene dei combattimenti con gli invasori (“la fanteria con focosi tormenti…”). Ovunque, in questi versi rimati, si esalta la gloria medicea (“del Medice baron”, del “forte duce”). Parla poi della forza militare di alcune città, Prato, Pescia, Bologna, ma soprattutto Pisa (“Fausti veder e robusti pisani fatti da natura per la guerra”). Vi sono inoltre similitudini e richiami con la storia antica e religiosa (Cesare, l’impero romano, Cristo e le persecuzioni dei cristiani), mentre gli “eroi” della milizia trovano conforto nella memoria, quindi nel ricordo di questi versi che, in conclusione, ribadiscono quanto, tra codardi e traditori, solo la famiglia medicea, passando anche oltre gli intrighi pontifici, ha “acremente” combattuto “per la gloria di tutta Italia”.
N.B.: dopo 2 carte (evidenziate con il n. 2), seguono 6 carte (riunite con il n. 3) ed infine 10 carte (con il n. 4).

15. Versi rimati (frammento manoscritto). 1 carta scritta su 1 parte, cm. 21 x 30,8
In soli 10 versi si esprime la magica bellezza della donna, nella chiarezza del viso, ella è
l’ “argiento”, il “fiore del’ orto”, l’unico essere che può dare un senso di conforto anche alla morte.

16.Versi rimati: morte di Giovanni de’ Medici. Biblioteca Palatina. Libro contrassegnato E.6.6.78. MDXXXII. 18 carte scritte su 2 parti cm. 21,7 x 30,3
Si esalta la gloria di Giovanni de’ Medici, magnanimo, vigile e forte “defensore” d’Italia. L’esordio, quasi impedito dal troppo pianto, è dedicato a Marte. Ambizione d’onore e desiderio vengono qui indicate come le principali caratteristiche della sua personalità. Sono da notarsi le ironie sul potere (“O Roma delle mani funeste e ladre): si deplora la degenerazione del potere dopo Giovanni e si rimpiange il suo governo (“Quando veggiava il potente Giovanni…). Si paragona l’ “imperio” del “medice baron” all’ “Atene d’Alcibiade” ed alla “Sparta severa”. Se ne esaltano l’inviolata e santa fede e la forza del “generoso petto” fu con tutti un “fido amico”. [Giovanni de’ Medici era stato anche citato nei precedenti versi rimati]. La sua bontà d’animo fu nota in tutta la Toscana; questi versi rimati si concludono proprio con una nota di questo genere, si evidenzia come, chi sia avaro d’animo, molto o poco, non può “star con alcun de la medicea prole”.

17.Autografo. Canzoni. Biblioteca Palatina. Lamento di Roma. 9 carte (8 scritte su due parti, 1 scritta su una sola parte) cm. 21 x 30,6
E’ una canzone in versi rimati. Soggetto del tema è la città di Roma, che si lamenta di aver perso “la fama e la corona”, per l’invidia, senza ragione ed a torto, delle altre città.
Roma ricorda le sue conquiste nella storia, le sue conversioni (di “infideli” e “pagani”), le conquiste di “Faenza, Guascogna e Bretagna”, ricorda, con rammarico, di aver dominato l’Italia. In tale rimpianto, non si sente più neanche la voglia di vivere ancora, ma si nota soltanto la “memoria andar al fondo”. E nessuno, si dice, può riparare a tale dolore. E’ una città addolorata anche dagli affanni. Le previsioni per gli anni futuri sono ancora più dolorose: perfino la fede cristiana verrà a mancare ed il “granturco in Italia verrà!”.
Il popolo romano vive ora “in discordia et errore”, e, ai dolori precedenti, s’aggiungono nuovi dolori. Si ricordano poi le glorie dei “7 re di Roma” e si prosegue elogiando Cesare; perfino “Caligola viveva con gloria”. Si ricordano poi Domiziano, Adriano, Antonino Pio, Commodo e Severo, che ricordano, ora tristemente, a Roma, le sue province. Roma, adesso, non può che biasimare il suo crudele destino e piangere la sua morte e la sua disgrazia, pensando alle sventure. Ma dove sono finiti Marco Aurelio, Alessandro Massimo, Decio, Galerio e Costantino? Nulla più esalta Roma, ma anzi, la “strazia”. Ma, in conclusione, si afferma che la sventura che ha colpito Roma ben presto colpirà anche il resto d’Italia, che sarà sommersa dal dolore e spogliata della libertà. Al termine della disperazione, s’intravede una sola speranza: la fede e la preghiera.

18.Versi rimati (non autografi di Villari). 10 carte cm. 22 x 32,2
E’ descritta, molto precisamente, la scena di una battaglia, dove s’inneggia all’ “arte militar fulgor divina”. Inizialmente vengono descritte le insegne delle parti. Viene messo in risalto il carattere di uno dei capitani delle parti: combattendo “in valle in monte in piano”, a lui non mancarono mai cortesia ed umanità (“questo fu sempre pien de cortesia gentil benegno honesto e molto humano”).
Ecco che, verso la metà dei versi, si evidenziano il valore, la virtù e la giusta fama dei soldati di Napoleone (“gente in arme assai famosa”). Segue una nota che esalta il degno “ingegno” (si pensa, ovviamente, a quello strategico) del “conduttiero”. Finita la battaglia, viene evidenziata la vittoria del “fier Colonna”, a cui viene dato il monte di San Miniato.
Vengono, in conclusione, deplorati i “falsi piagnoni” che combattevano per “dispetto”. Si incitano poi i toscani a partecipare attivamente alla guerra (“povero te, sonato fiorentino ch’abbandonato sei da tutto il mondo”), essendo giunti, ormai, “al fine del canto”.

19. Versi rimati manoscritti. 1 carta.
Seguono, su un altro foglio, a conclusione del I° pacco della prima scatola, versi rimati manoscritti, in endecasillabi, da restaurare. La scrittura, che non sembra quella di Villari, è precedentemente stata incontrata a proposito di altri versi rimati manoscritti (dove, come in questo caso, il 1° verso è sempre in rima con il 3°) sulla famiglia Medici. Questi manoscritti non sono in stato leggibile.
Passiamo adesso allo studio delle opere di Girolamo Savonarola: è il regesto di sei esemplari.

III.3.I.B. Studio delle opere di Girolamo Savonarola.
1. 2 carte – cm. 22,5 x 31
Nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze è stato ritrovato il codice Savonarol sermones 423 (segnatura moderna IX.28). La scrittura, senza numerazione di carte, è tutta di una mano, e della stessa che ha scritto il Cod. VII25. Sono 25 carte e paiono in copia fatta di quelli del codice autografo di San Marco.

2. Appunti (non sono autografi di Villari) 293 carte di varie dimensioni.
Sono riportati appunti e lettere contenenti un saggio autografo (stampato), fatto per le prediche sulle “lamentazioni” di Geremia, codici depositati presso la Biblioteca Riccardiana, copie di novelle letterarie della fine del Settecento (1781-1783), versi rimati e bozze in italiano, latino, spagnolo, appunti su Federico I Barbarossa e Venceslao II. Copie di lettere e minute della fine del Quattrocento, studi su Savonarola. Tra le carte annoverate sono presenti anche frammenti vari. Le carte, come tutte le precedenti, sono manoscritte.

3. Appunti su Savonarola. 24 carte di piccole, ma varie dimensioni. Le carte, solo poche firmate, sono comunque, sicuramente, tutte di Villari, come appare dalla grafia, e costituiscono un documento importantissimo per gli studi dell’autore su Savonarola.
Vengono citati i vari codici, tra cui quello autografo di San Marco e quello magliabechiano. In quest’ultimo II-II-437, già strozziano, vi è l’indice della scrittura relativa a fra Girolamo Savonarola. Nel Cod. Palatino 1079 vi è una lettera in cui il Savonarola risponde ad una badessa di Ferrara, comunicandole che è stata male informata sulla vicenda della “separazione”. Savonarola auspica un colloquio con la badessa, grazie al quale ella potrebbe apprendere la verità in modo così naturale, così come “il buon albero fa anche dei frutti”. In questa parte, di 8 carte, Villari parla anche dei suoi studi sui membri della famiglia Savonarola: Antonio, Michele I°, Giovanni I°, Michele II°, Niccolò I°, Girolamo. Si mette in evidenza la figura di Antonio Savonarola, generale che difese Padova nel 1256. Nel Codice strozziano 879 si trovano, dice poi Villari, “memorie e scritture diverse attinenti a fra Girolamo Savonarola”, cioè vi è una lunga lista di lavori o lettere di lui o attinenti a lui. Tali lavori sono presenti anche nel “Codice Magliabechiano, classe 37, Cod. 288”. Nel codice autografo di San Marco 137 vi è una predica del Savonarola in cui dice che egli stesso “aveva cominciato a costruire spiritualmente una nuova città, perché L’antica minacciava rovina, essendo minata dai vizi”. Del citato codice magliabechiano II-II-437, già strozziano, Villari, in uno studio di 4 carte, riporta che vi sono diversi manoscritti di Savonarola, tra cui: 1) una lettera di fra Girolamo Savonarola scritta a suo padre il 25 aprile 1475; 2) una lettera di Savonarola scritta a sua madre il 5 dicembre 1495; 3) studio di Savonarola su Niccolò da Ferrara; 4) discorso sopra la dottrina di opere di fra Girolamo Savonarola, fatto da egli stesso, a Roma; 5) parte della predica fatta da fra Girolamo Savonarola il giovedì dopo la quinta domenica di Quaresima del 1499; 6) lettera originale del 1497 di Giovanni Borromei a Lorenzo Strozzi sul fanciullo seguito in Santa Maria del Fiore per conto di Savonarola; 7) lettera di Roberto Giugni a Lorenzo Strozzi sulla scomunica contro Savonarola, è originale e datata 18 marzo 1495; 8) frammento di alcune cose dette da Savonarola la notte precedente alla morte; 9) lettere di Antonio Strozzi a Lorenzo Strozzi su Savonarola, una è originale è datata 22 maggio 1497; 10) lettera originale datata 4 maggio 1497 di Alessandro Giugni a Lorenzo Strozzi.
Villari, a conclusione del suo studio, non manca di riportare che sulla parte anteriore della legatura​ del citato​ codice magliabechiano è scritto, da una mano più recente, il titolo: “Memorie e scritture diverse attinenti a fra Girolamo Savonarola”. In altre 2 carte Villari discute su lavori pubblicati intorno a Savonarola, operando confronti filologici tra le varie edizioni: particolare attenzione è rivolta allo studio del Gherardi ed a quella di Del Lungo, da Villari studiato nell’Archivio Storico Italiano, Nuova Serie, I.XVIII. Sono stati da Villari consultati l’Archivio Estense, l’Archivio Storico Lombardo, anno I, 1874. Nelle ultime 4 carte, Villari commenta il libro della vita di Savonarola, scritto dai suoi compagni per una suora peccatrice (suor Petronella). In questo libro, Savonarola è definito “servo di Dio”, “un religioso di vita e di dottrina singulare e mirabile”, uno uomo difficile da trovarsi.

4. Appunti. 52 carte manoscritte di varia, ma grande dimensione.
La scrittura, che non è assolutamente di Villari, può essere quella di un suo scrivano, in funzione di copialettere. Alcune carte riguardano la descrizione di Napoli sotto il re Alfonso, un’altra carta concerne i rapporti tra Ferrara e la sede pontificia ai primi del 500: si tratta infatti di una lettera datata 1503. In altre carte si riportano lettere, tutte del codice Palatino. Nelle carte rimanenti sono riportate: 1) una lettera del 2 agosto 1498 di Francesco Deburgo, dottore in legge, al vescovo di Viterbo su un certo frate Eugenio; 2) una lettera datata Roma, 4 febbraio 1499, su “bolle ed atti della Curia Romana”. E’, infine, riportato un brano del codice di San Marco, X, n 32, intitolato “Savonarola apologia”: in quest’ultimo manoscritto si insiste particolarmente sulla “trappola” escogitata per sviare la maggioranza delle persone che davano credito alle parole del frate. Tale “trappola”, messa in atto dai frati invidiosi, tendeva a far credere alla gente che le prediche del frate altro non erano che sogni e profezie di un folle.

5. Appunti. 41 carte cm. 20 x 26
Sono ricopiate, di mano propria del Villari, varie pratiche della Repubblica intorno agli anni 1495-1498: alcune sono lettere di raccomandazione inviate al Papa per Savonarola. Due sono infatti i modi per ottenere dei buoni cittadini, uniti tra loro: 1) l’amore e 2) la forza. La giustizia, si dice, “è fondamento d’ogni bene costituita repubblica”. E’ quindi importante “mitigare” il Papa (Alessandro VI Borgia è in questo momento preoccupato anche per la situazione finanziaria della Chiesa) e sentire il suo parere, prima di mandare Girolamo Savonarola a Roma. Si discute poi anche sulla causa della scomunica, che per il Papa è quella di “alterrare” pericolosamente l’equilibrio della Chiesa. In una lettera di 4 carte del 9 Aprile 1498 viene in proposito chiesto il parere di Piero Popoleschi, Gonfaloniere di Giustizia.

6. Autografo. Società ligure di Storia Patria. 1 carta. Genova, 20 febbraio 1860. (?) a Villari.
Si ringrazia Villari delle letture di tutto il 1° volume della sua Storia di fra Gerolamo Savonarola, affermando che, se il suo studio, in Italia, non trovasse “straordinario favore”, ciò andrebbe attribuito alle condizioni presenti del Paese. Interessante risulta lo studio della discesa dei francesi in Italia e del riordinamento politico della repubblica fiorentina per opera del Savonarola. Si loda, pertanto, la continua ricerca di fonti, che si è dimostrata necessaria per il compimento di tale lavoro.
L’autografo rileva come, pur non essendo Villari un esperto di questioni religiose, sia riuscito meglio di altri ad entrare nello spirito mistico e profetico del Savonarola. Tuttavia si muovono, allo studio di Villari, alcune osservazioni, per lo più di carattere linguistico (ad esempio, si dubita che Savonarola abbia scritto “tempio” in luogo di “sepolcro”). Si discute, inoltre, sulla diffusione delle lingue greca ed araba nell’Italia del XV° secolo, e di come venivano lette le opere originali di Platone e di Aristotele. Si accenna anche, infine, a questioni di politica ecclesiastica, con Alessandro VI. Le discussioni vertono, in particolare, sul libro I° cap. IV° auspicando, al termine della lettera, di rendere maggior “giustizia” allo studio su Savonarola al termine del II° libro.
III.3.II. Villari professore.
Si tratta di lettere ed appunti riferiti all’attività di Pasquali Villari come studioso e docente universitario; sono studi prevalentemente relativi al Medioevo, oltre ad un epistolario di corrispondenza con altri studiosi. Emerge anche l’ “uomo” Villari, sempre attento al rapporto umano con i suoi studenti. Si riporta il regesto di 10 esemplari.

1.Appunti di uno studente di Villari presi alle sue lezioni di filosofia della storia (38 lezioni). Tali appunti sembra siano stati riuniti da Villari.

2. Lettera da Piccolomini a Villari 2 carte cm. 13,3 x 21 Pisa, 2 febbraio 1880
Si difende Machiavelli sul fatto che egli conoscesse, certamente l’epigramma greco dell’Antologia Planudea: i giudizi sull’imitazione di Ansonio, da parte di Machiavelli, sono “assai minimi” e “vaghi” [di contro, proprio, al giudizio di Ghiselli].

3. Lettera da A. Symonds a Villari 2 carte cm. 11 x 17, 5 21 gennaio 1880
In inglese, Symonds afferma di essere molto interessato alla rassegna degli studi di Machiavelli sugli autori greci. Ci si riferisce all’epigramma greco di cui si parlava precedentemente (Anth. Planudea IV.275) ed a quello latino (Anth. Palatina XII.78).

4. Appunti di Villari su Campanella. 14 carte cm. 21,5 x 32
Si discute sulla poco felice vita di Tommaso Campanella e sulle varie vicende che vennero a susseguirsi dal giorno in cui egli fu imprigionato: mutarono molti vicerè e più papi. Anche durante la sua prigionia, Campanella ebbe alcuni momenti di felicità: gli fu concesso, ad esempio, di studiare grazie al conte di Benevento ed al conte Di Pietro (quest’ultimo, amante delle lettere). Il cardinal Borgia però, nel 1620 prese le redini del governo e da questo punto la situazione, per il filosofo, comincia a peggiorare: troverà conforto e speranza, afferma Villari, soltanto nei suoi studi, valore nel quale egli credeva fortemente.

5. Libretto. 26 carte cm. 7 x 12,8
Libretto di appunti e note varie. Come argomenti, appare diviso in due parti: la prima riguarda propriamente note della spesa, mentre nella seconda parte seguono brevissimi appunti di Villari sulla storia romana, attinenti a Marco Aurelio, Claudio e le invasioni dei Goti.
6. Libretto manoscritto di appunti, intitolato dallo stesso Villari “Condizioni intellettuali nel Medioevo” carte cm. 14,7 x 19
Ne sono numerate da Villari soltanto 30; molte carte sono bianche. Una delle carte è staccata dal libretto ed il libretto reca sulla copertina il numero romano “I”.
Nelle prime carte vi sono riportate alcune collocazioni di biblioteche delle Università di Urbino, Roma, Napoli, Pisa, Padova, Ferrara, Bologna, Firenze, Mondovì. Si riferiscono a studi storici medievali. Seguono note di Villari sulla legislazione longobarda, sulla letteratura di Ravenna nel VII secolo, su Carlo Magno nel secolo VIII, su medici, maestri e pittori Longobardi a Pisa. Considerando poi il IX secolo, vi sono note su Benevento, Milano (studi di diritto) e circa l’editto dell’Impero di Lotario. Riguardo al X secolo, si considerano Verona, Roma (studi di diritto), la poesia pagana longobarda e gli studi di medicina a Salerno. Circa il secolo XI, vi sono note sugli studi di legge a Firenze ed a Bologna, e sugli studi greci. Vi sono, inoltre, segnalate dal Villari, due cronache su Milano, una di Arnolfo e una di Landolfo, nonché dei versi rimati, a carattere storico. Riguardo alla storia del secolo XIII, sono presenti cronache su Pisa, Venezia, Milano, Asti ed appunti su San Tommaso, San Bonaventura e su poesie latine. Seguono poi appunti sull’organizzazione della Schola Palatina, sotto Carlo magno, diretta dal monaco anglosassone Alcuino. Essa organizzava nel seguente modo le sette arti liberali: A) arti del Trivio, grammatica, retorica, dialettica.
B) Arti del Quadrivio: aritmetica, geometria, musica, astronomia. Villari segnala, inoltre, delle annotazioni sull’organizzazione dell’università di Vicenza nel Duecento, riguardo agli anni 1204, 1205, 1209. Seguono annotazioni varie sulla prosa in onore di Virgilio cantata nel Medioevo nella cattedrale di Mantova e sulla corruzione del clero nell’VIII secolo. Per questo tema, Villari rimanda agli atti del Concilio di Francoforte del 794. Seguono infine note sulle incredulità nel Medioevo e note conclusive sugli studi di legge a Modena, Mantova e Piacenza.

7. Libretto manoscritto di appunti e cronache 50 carte cm. 14,7 x 19
Non sono carte numerate ed il libretto è segnato con il numero “2” in copertina.
E’ un libretto tutto scritto in latino, ove sono presenti delle note su Augusto imperatore, sui re dei longobardi, varie cronache (tra cui una su Pietro Diacono), su Carlo magno, sulle origini di molte città italiane, tra cui Pisa, considerata specificatamente.
Sono tutti studi effettuati tra L’XI ed il XIV secolo.

8. Libretto manoscritto di appunti di Villari 47 carte cm. 14,7 x 19
Il libretto è segnato con il numero “3” in copertina; quasi tutte le carte sono bianche.
Anche le pochissime carte scritte di questo quaderno sono completamente in latino. Vi sono appunti sull’ Adelchi; è purtroppo mancante una pagina di cui è rimasto il titolo dell’argomento, attinente alla figlia di Desiderio.

9. Libretto manoscritto di appunti autografo di Villari 50 carte cm 14,7 x 19
Il libretto è segnato con il numero 4 in copertina e sembra l’ultimo di una collana di studi. Molte carte sono bianche. Anche questo quaderno è scritto in latino e consta di appunti sulla situazione italiana politica ed ecclesiastica alla fine del VI° secolo (si parla di Gregorio VII) di note sulla letteratura latina in volgare, su dante, sulle università italiane. Oltre ad un quadro generale sulle università italiane, si considerano specificamente quelle di Bologna e Parigi, con riferimento ai rapporti tra studenti e professori; non mancano appunti sugli ideologi italiani in Francia, quali Rolando di Cremona, medico, Alberto di Genova, Remigio di Firenze, Giovanni di Parma, Giacomo di Viterbo, Egidio Romano (sommo ecclesiologo di indirizzo tomista). Seguono appunti sul diritto civile, la medicina e sulla condanna di Aristotele da parte dei prelati francesi tra il 1209 di 1215 (eccetto la logica), condanna che comporterà la scomunica. Quest’ultimo manoscritto è in italiano.

10. “Appunti di storia italiana per servire ad un capo di lezione” di Villari.
33 carte cm 16 x 21,5 Molte carte sono bianche.
Si tratta di un quaderno di appunti di storia medievale, scritti da Villari per le sue lezioni, riguardanti i seguenti argomenti: 1) i carolingi; 2) il feudalesimo, 3) gli ottoni e le esenzioni vescovili – primi germi del comune; 4) la cavalleria e le crociate. Sono anche, solo enumerati, ma non sviluppati, i titoli seguenti: 5) le origini del comune; 6) Gregorio VII; 7) la prima costituzione comunale.
I suoi studi sui carolingi iniziano con la successione di Ludovico, figlio di Carlo Magno, nell’ 814. Si parla inoltre di Carlomanno, di Carlo il Calvo, della pace di Verdun, fino alla deposizione di Carlo il Grosso (causa l’assedio Normanno a Parigi, che comporta un forte pagamento dei Franchi ai normanni), che segna la fine dell’Impero carolingio.
Gli studi sul feudalesimo evidenziano invece diverse nozioni: contratto, fedeltà, giuramento, protezione, servitù, signoria, vassallo, feudo, libertà individuale. La tesi fondamentale di Villari su tale questione trova la sua sintesi nell’affermazione che “il feudalesimo è il regno della diversità”. Il mondo moderno è uscito, per Villari, dall’unione di queste due forze, entrambe presenti: a) lo spirito di libertà individuale, portato dal feudalesimo e b) il principio dell’unità, portato dalla Chiesa.
Gli studi sugli Ottoni (si tratta di poche pagine) si accentrano particolarmente sulle esenzioni vescovili e sulla funzione dei vescovi-conti e su quella delle grandi contee, dei grandi marchesati e ducati.
Gli appunti sulla cavalleria e le crociate (sono solo una breve pagina), non costituiscono, come invece si potrebbe invece pensare, una storia della cavalleria delle crociate, ma vogliono soltanto evidenziare un giudizio critico su di essa: è infatti difficile, scrive Villari, stabilire la reale “gloria” della cavalleria, poiché di essa si è impadronita la tradizione poetica medievale. In tale brevissimo appunto non si accenna minimamente alle crociate, che vengono solo enunciate nel titolo.

III.3.III. Villari politico.
Queste sono tutte carte, prevalentemente lettere, inviate a Villari o da Villari ad altri politici del tempo e sono tutte degli anni 1892-93, in cui l’autore era ministro della Pubblica Istruzione e deputato nel I° Gabinetto di Antonio Di Rudinì. Sono soprattutto carte a stampa. Si tratta, spesso, di lettere di raccomandazione, a testimonianza di quanto il “trasformismo”, di cavouriana memoria (la celebre politica del “connubio” tra le forze moderate liberali e democratico-progressiste) seguito da quello di Depretis, che nel 1876 aveva inaugurato la lunga serie di governi della “Sinistra Storica”, imperasse già allora in Italia. Ci limitiamo, in questa sezione, a riportare tre significative missive.

1. Protocollo parlamentare intestato alla “Camera dei Deputati”, 2 carte, Roma, 21 maggio 1892. Avv. Pietro Sbarbaro a Villari.
Si informa Villari delle azioni contrarie ai buoni costumi” di un docente universitario di Napoli, deferito al tribunale ordinario della stessa città.

2. Protocollo ministeriale. Da Villari a Sbarbaro. 2 carte. E’ scritta da uno scrivano di Villari, ma la firma è autografa.
Villari risponde alla lettera di Sbarbaro, nella quale si richiedeva di essere richiamato all’insegnamento universitario. Villari afferma che tale decisione non dipende da lui, ma occorre invece: 1) in primo luogo, il nulla osta della facoltà nella quale Sbarbaro desidererebbe insegnare e 2) in secondo luogo, la conferma del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.
3. Protocollo ministeriale. Da Villari al comm. re sen. Giovanni Dassena. Lettera. Roma, 12 febbraio 1892. 2 carte.
Villari afferma che, prima di rispondere al sig. Carlo Morelli di Alessandria, vorrebbe parlare di persona con Dassena, a proposito del richiamo alla cattedra universitaria del prof. Pietro Sbarbaro.

III.3.IV. Il carteggio Villari.
Si tratta di lettere, manoscritte o a stampa, inerenti comunque le tre principali attività di Villari, vale a dire quelle di docente, studioso e politico, che hanno fatto di Villari non soltanto un ministro, ma, come si è detto in precedenza, un vero “amministratore della cultura”. Riportiamo tre esemplificativi documenti. Non mancano epistole di raccomandazione.

1. Alcuni maceratesi a Villari. Dattiloscritto, 2 carte, cm. 19 x 28. Macerata, 7 marzo 1892.
E’ una petizione in cui si richiede allo “storico glorioso del Machiavelli e del Savonarola”, ministro della Pubblica Istruzione, on. Pasquale Villari, di conferire a Pietro Sbarbaro la cattedra di filosofia del diritto all’Università di Roma, associandosi al voto del sen. Alessandro Rossi25.

2. Chiaia a Villari. Lettera. Roma, 1 (illeggibile) 1882. 3 carte cm. 20,7 x 26,3
Chiala, dopo essersi brevemente soffermato su come Machiavelli abbia potuto attingere alle fonti di Tito Livio, fa una lunga dissertazione sulla divisione e l’ordinamento delle truppe (esprimendosi anche con disegni), affermando che Machiavelli, malgrado i suoi errori, seppe comprendere il valore degli antichi.

3. Due lettere autografe di Gaspary a Villari. 2 carte ogni lettera cm. 11,2 x 17,6
I lettera: scritta su 1 carta, in tedesco, è datata 10 febbraio 1891.
Si tratta della raccomandazione di Gaspary a Villari del prof. Brescini per una cattedra universitaria.
II lettera: scritta su 1 carta, in tedesco, è datata 10 giugno 1891.
La lettera, scritta da Berlino, tratta lo stesso argomento della missiva precedente. Il tono delle due lettere è gentile ed ossequioso (“egregio amico”, così iniziano). Non sono scritte su alcun protocollo ministeriale o carta particolare. Evidentemente si tratta di 2 successive raccomandazioni per la stessa persona.

CONCLUSIONI

Si è presentata inizialmente la storia dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”, dalla sua fondazione avvenuta nel centro storico fiorentino nel 1735, per poi inserire la stessa nella tradizione culturale della città, passando in rassegna le principali istituzioni culturali, biblioteche, archivi, accademie di Firenze.
La motivazione della scelta della lavoro è quella di portare finalmente alla luce una ricerca
d’archivio sulle carte manoscritte di Pasquale Villari, storico, docente e politico che ha operato a Firenze tra fine Ottocento e primo Novecento. E’ una passione personale, viva nel sottoscritto fin dal tempo degli studi universitari, effettuati appunto nel capoluogo toscano.
Il punto focale della tesi è quello offrire un contributo alla ricostruzione della cultura fiorentina in particolare e toscana più in generale tra la fine dell’Ottocento ed il primo Novecento, con figure come quelle di Pasquale Villari, Pio Rajna, Alessandro Chiappelli, Antonio Borgese, Ernesto Giacomo Parodi, Felice Tocco ed Annibale Pastore.
Pasquale Villari non è stato soltanto uno storico, studioso di Gerolamo Savonarola, di
Niccolò Machiavelli e dell’età moderna, ma un politico e ministro della Pubblica Istruzione
durante il Gabinetto Di Rudinì, esattamente negli anni 1891-92; tentò una riforma
universitaria, che non fu però approvata, ma della quale si conservano i suoi progetti in
manoscritti originali. Di particolare importanza, come storico, si è studiato un manoscritto, redatto in latino, di Savonarola, riscontrato tra le sue carte. La figura dello studioso è stata inoltre collocata nel contesto storico in cui è vissuto, quello della crisi di fine Ottocento, un periodo caratterizzato da problemi e scontri sociali che culminarono con la strage, avvenuta a Milano nel 1898 ad opera del generale Bava Beccaris, e con il regicidio di Umberto I nel 1900 ad opera dell’anarchico Gaetano Bresci. Si sono esaminate, mediante un’attenta opera di schedatura e regesto, le carte del “Fondo Pasquale Villari” conservate nel pozzo della Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze e trasferite in seguito all’Accademia “La Colombaria”; si è trattato quindi di una minuziosa ricerca d’archivio. Si sono studiati in particolare i seguenti aspetti della figura di Villari: A) storico; B) politico; C) docente universitario. In quarta ed ultima istanza si è considerato l’ampio carteggio avuto dallo studioso con altri intellettuali del suo tempo, che hanno operato a Firenze quali docenti universitari tra fine Ottocento e primo Novecento. La passione che mi ha spinto ad accingermi in questa peculiare ricerca d’archivio è stata quella di voler esplorare anche questo settore della storia (quello della memorialistica, ma più precisamente della biblioteconomia e dell’ archivistica, fondamentali scienze ausiliarie della storia stessa, spesso trascurate e considerate erroneamente d’importanza subordinata, complementare, anche nello stesso ambito universitario), dopo aver profuso il mio impegno intellettuale (per quanto non sia mio costume fregiarmi di titoli accademici) nei vari settori di questa disciplina, da quella antica a quella medievale, moderna e contemporanea, da quella delle religioni a quella della Chiesa cattolica, da una didattica contenutistica alla ricerca storica. Sono, infine, l’amore e la nostalgia per Firenze che mi hanno indotto a redigere questo lavoro, Firenze, la città che mi ha dato i natali e che mi ha visto studente, anche se dalla quale mi sono in seguito allontanato.
Non sono mancate, ovviamente, data la specificità del lavoro, immagini di documenti originali, che hanno voluto ripercorrere, da un punto di vista iconografico, la lunga storia della scrittura.
Si è trattato, in sostanza, di una ricerca originalissima, in quanto fondata su manoscritti inediti, si è voluto fare un tuffo nell’affascinante storia (non indenne da una certa, inevitabile retorica) della piuma d’oca, della ceralacca e dell’inchiostro nel calamaio!

BIBLIOGRAFIA

A)Fonte primaria (unica):
• Fondo “Pasquale Villari”, in Biblioteca della Facoltà di “Lettere e Filosofia” dell’Università degli Studi di Firenze.

B)Fonti secondarie:
• AA. VV., Enciclopedia Italiana “Treccani”, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1949;
• AA. VV., Enciclopedia Italiana “Utet”, Torino, Istituto Poligrafico, Torino, 1973;
• AA. VV., Rara volumina. Rivista di Studi sull’editoria di pregio e il libro illustrato, n. I, M. Pacini Fazzi Editore, Lucca, 1994;
• Adorno F., Accademie e istituzioni culturali a Firenze, Olschki, Accademia La Colombaria, Serie “Studi”, Firenze, 1983;
• Carucci P. – Guercio M., Manuale di archivistica, Carocci editore, 2008;
• Montecchi G., Manuale di biblioteconomia, Editrice Bibliografica, 2013;
• Moretti M., Alla scuola di Francesco De Sanctis: la formazione napoletana di Pasquale Villari (1844-1849), in “Giornale critico della filosofia italiana”, anno LXIII (LXV), Sansoni, Firenze, fasc. I, gennaio.aprile 1984.
• Moretti M., La storiografia italiana e la cultura del secondo Ottocento. Preliminari ad uno studio su Pasquale Villari, in “Giornale critico della filosofia italiana”, anno LX (LXII), Sansoni, Firenze, fasc. III, settembre-dicembre 1981;
• Moretti M., Positivismo e politica tra ‘800 e ‘900, in “Schema”, anno 7, numero 1, Liviana editrice, Padova, 1985;
• Moretti M., Preliminari ad uno studio su Pasquale Villari, in “Giornale critico della filosofia italiana”, LIX (LXI), Sansoni, Firenze, fasc. I-IV, gennaio-dicembre 1980, p. 372;
• Paul A., La Bible et l’Occident, Bayard, Paris 2007;
• Spagnesi E., Duecentocinquant’anni di un’Accademia: mostra di documenti e manoscritti, ed. Olsckhi, Accademia La Colombaria, Firenze, 1985;
• Villari L., Profilo di Pasquale Villari, Mazara del Vallo (Trapani), 1951;
• Villari P., Di chi la colpa? O sia la pace e la guerra, in Lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, 1866, p. 235;
• Villari P., Introduzione alla storia d’Italia dal cominciamento delle Repubbliche del Medioevo alla riforma del Savonarola, 1849;
• Villari P., L’Italia da Carlo Magno alla morte di Arrigo VII, 1910;
• Villari P., L’origine è il progresso della filosofia della storia, 1859;
• Villari P., L’istruzione secondaria in Germania e in Italia, in Nuovi scritti pedagogici, Firenze, Sansoni, 1891;
• Villari P., La scuola e la questione sociale in Italia, in “Nuova Antologia”, Firenze, 1872;
• Villari P., Le invasioni barbariche in Italia,1900;
• Villari P., Lettere meridionali, 1878;
• Villari P., L’insegnamento della storia, Milano, Treves, 1869;
• Villari P., Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, 3 voll., 1893-94;
• Villari P., Storia di Girolamo Savonarola e dei suoi tempi, 2 voll., 1859-61.

INDICE
CAPP./PARR.
SOTTOPARR.
TITOLI
PP.

Frontespizio-titolo.
1

INTRODUZIONE: LA “COLOMBARIA NEL RESPIRO DELLE ISTITUZIONI CULTURALI FIORENTINE.
2
I.
IL GRUPPO DI RICERCA.
6
II.
PASQUALE VILLARI, MINISTRO ED “AMMINISTRATORE DELLA CULTURA”: STORIA, POLITICA E DOCENZA UNIVERSITARIA.
9
III.
IL CARTEGGIO: REGESTO. LA RICOSTRUZIONE DELLA CULTURA FIORENTINA E TOSCANA TRA FINE OTTOCENTO E PRIMO NOVECENTO.
19
III.1.
Premessa.
19
III.2.
Dal papiro al manoscritto, dal manoscritto al libro a stampa.
23
III.3.
Il fondo Villari.
30
III.3.I.
Villari storico.
31
III.3.I.A.
Studio delle opere di Niccolò Machiavelli.
31
III.3.I.B.
Studio delle opere di Girolamo Savonarola.
40
III.3.II.
Villari professore.
43
III.3.III.
Villari politico.
46
III.3.IV.
Il carteggio Villari.
47

CONCLUSIONI
49

BIBLIOGRAFIA
51

A) Fonte primaria (unica)
51

B) Fonti secondarie
51

INDICE
53

Le carte Villari all’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”ultima modifica: 2019-10-03T22:40:56+02:00da m_200
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