Scrivere “a ventura” o “col compasso”. Lettere degli scrittori del primo Cinquecento.

MARCO MARTINI

Scrivere “a ventura” o “col compasso”. Le lettere degli scrittori nel primo Cinquecento

Atti del Convegno Nazionale di Studi Filosofici sul Rinascimento – Scuola Normale Superiore di Pisa e di Firenze in collaborazione con l’ Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento di Firenze
Palazzo Strozzi, Firenze, Sala Conferenze, venerdì 25 Ottobre 2019

SCRIVERE “A VENTURA” O “COL COMPASSO”: LETTERE DEGLI SCRITTORI DEL PRIMO CINQUECENTO

A. A. 2019/20 – Programma:

1)10:00 Paola Moreno, Université de Liège
«Io non vi scrivo spesso come desiderrei, perché non ho tempo». Le lettere di Francesco Guicciardini durante il periodo della luogotenenza (giugno 1526 – maggio 1527)
2)10:30 Andrea Guidi, Univ. dell’Insubria / SBF 1015 Muße, Freiburg
Ozio forzato e strategie di comunicazione nelle lettere di Machiavelli: una riconsiderazione

RELAZIONI

1)10:00 Paola Moreno, Université de Liège
«Io non vi scrivo spesso come desiderrei, perché non ho tempo». Le lettere di Francesco Guicciardini durante il periodo della luogotenenza (giugno 1526 – maggio 1527)
Dal 1499 al 1540 Guicciardini scrisse e ricevette 4000 lettere, considerate oggi un patrimonio storico e letterario. Nel 1499 Guicciardini ha 16 anni e scrive la prima lettera, a carattere giuridico; l’ultima lettera è del 1540, anno della sua morte. Non scrive mai di affetti familiari, anche quando scrive a parenti, al padre Piero in primo luogo. Scrive lettere a carattere giuridico, letterario e politico: ci ha quindi lasciato un ricchissimo epistolario. Guicciardini non si abbandona alla retorica, ma entra nel merito della storia fiorentina. Dal giugno 1526 maggio 1527 è luogotenente del papa Clemente VII, nel conflitto franco- asburgico, che si concluse drammaticamente, con il sacco di Roma del 1527, anche a causa di un voltafaccia del papa. Scrive a capi militari, al papa, a diplomatici, agli amici, primo fra tutti Machiavelli, l’amico più caro: scrive anche quasi 30 lettere al giorno. Talvolta si serve di un copia lettere, da lui personalmente scelto. Moltissime sono le lettere scritte tra novembre e dicembre 1526. Inutilmente il veneziano Della Rovere tentò di essere nominato luogotenente al suo posto. Numerose sono le lettere che scrive da Modena a Venezia, per sollecitarla, durante la guerra franco-spagnola (1494-1559) ad aiutare Firenze, e notevoli sono le sue abilità diplomatiche, come emerge dal carteggio. Guicciardini frequenza il fronte durante le guerre d’Italia e da qui scrive al vescovo di Casale, al marchese di Saluzzo, al duca di Ferrara, s’interessa dell’approvvigionamento delle truppe. Quello che emerge è la varietà di registri linguistici e lessicali utilizzata dal nobile fiorentino, che non scrive mai “in copia”, ripetendo le stesse parole. Scrive ad Alessandro Del Caccia ed a Boschetto, suoi sottoposti; la ricchezza lessicale, che colpisce il lettore, si adegua alla varia tipologia di destinatari. Con personaggi di rango più elevato, contiene le emozioni, scrive “col compasso”, ad esempio, nel caso del Ghiberti che altrove definisce “orecchio del papa”, con il marchese di Saluzzo, invece, si confida sulla guerra, scrive “a ventura” e non trattiene i suoi sentimenti, le sue emozioni, cosa che non può fare con il duca di Ferrara, che è infido, né con il papa, che ha attuato la “politica dei due forni”. Come è noto dalla sua teoria della “discrezione” e del “particulare”, Guicciardini non crede che si possa interpretare la storia in base a categorie o a ideologie “pre-costituite”. Nel complesso, preferisce scrivere “col compasso”, con metodo scientifico, “per ridurre la ventura”, cioè “l’avventura”: nota è infatti la sua lucida analisi della storia, superiore a quella dell’amico Machiavelli.

2)10:30 Andrea Guidi, Univ. dell’Insubria / SBF 1015 Muße, Freiburg
Ozio forzato e strategie di comunicazione nelle lettere di Machiavelli: una riconsiderazione
L’epistolografia, come la trattatistica e la memorialistica, è un genere diffusissimo nel rinascimento. Machiavelli scrive all’amico Francesco Vettori (10 dicembre 1513), oratore ed ambasciatore fiorentino a Roma presso il papa, “col compasso”: Machiavelli è costretto all’esilio, che lui intende come “otium” latino, a contatto con classici, ma dopo essere stato nei campi con i contadini. Cicerone, ad esempio, avrebbe dato la vita per la Repubblica romana, mentre Machiavelli è costretto ad umiliarsi per ottenere qualche riconoscimento, quando è in esilio, e concluderà la sua parabola politica ed esistenziale con amara delusione, come è noto. Vettori confida a Machiavelli, invece, di bramare all’ozio, verso il quale è impossibilitato dagli impegni diplomatici, preclusi allo statista fiorentino. Nelle lettere del 1514 Machiavelli “segue” Vettori, nell’epistolario, su temi erotici, tanto cari a Vettori. Machiavelli lo “segue” con lo strategico obiettivo di poter ottenere qualche incarico: in questo caso, emerge una concezione ciceroniana dell’amicizia (De amicitia). Gli anni 1516-17 sono quelli in cui Machiavelli scrive meno lettere ed assume un tono quasi melodrammatico: scrive, in questo periodo, a Paolo Vettori, fratello di Francesco, sempre con scopi opportunistici. Nella nota lettera a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513 Machiavelli costruisce la maschera di sé stesso, come anche in alcune sue opere, quali i sei Dialoghi dell’arte della guerra. Machiavelli, come sempre, mischia verità e finzione allo scopo di dimostrare la validità delle proprie tesi; fin dall’inizio dell’ esilio progetta di stabilire relazioni diplomatiche con i Medici.

Scrivere “a ventura” o “col compasso”. Lettere degli scrittori del primo Cinquecento.ultima modifica: 2019-10-25T16:52:02+02:00da m_200
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