L’età dei totalitarismi in Europa tra le due guerre mondiali

MARCO MARTINI

L’età dei totalitarismi in Europa tra le due guerre mondiali

ANNO ACCADEMICO 2020/21

DIPARTIMENTO DI SCIENZE STORICHE, FILOSOFICHE, LETTERARIE E STORICO-ARTISTICHE

SCUOLA BIENNALE UNIVERSITARIA POST-LAUREAM DI SPECIALIZZAZIONE IN STORIA – AA. AA. 2019/20 e 2020/21

TESI DI SPECIALIZZAZIONE IN “STORIA CONTEMPORANEA”:
L’ ETA’ DEI TOTALITARISMI IN EUROPA TRA LE DUE GUERRE MONDIALI

Specializzando: Dott. Marco Martini (matr. n° 00309A20)
Relatrice (docente Tutor): Prof. ssa Benedetta Canacari

INTRODUZIONE

Scopo del presente lavoro è quello di ricostruire, anche con evidenti ripercussioni didattiche, l’affermazione dei totalitarismi in Europa tra le due guerre mondiali.
Sarà innanzitutto doveroso precisare la differenza tra le categorie di “totalitarismo” ed “autoritarismo” e ricercare le cause, di crisi economica e di tensioni politiche internazionali che hanno condotto proprio in quel determinato periodo storico, alla nascita dei totalitarismi.
Di conseguenza, questa tesi si articolerà in 4 capitoli, il primo dedicato alla nascita ed all’avvento del fascismo in Italia, a partire dalla formazione del giovane Mussolini, alla costituzione dei “fasci di combattimento” ed al programma di San Sepolcro, inseriti nel più ampio contesto della genesi dei nuovi partiti politici italiani (quali il partito popolare ed il partito comunista), dei problemi del primo dopoguerra e delle lotte sociali verificatesi durante il “biennio rosso” (1919-20). In seguito si affronterà lo spinoso problema scaturito dal mito della “vittoria mutilata” e della “questione fiumana” per parlare della crisi del sistema liberale, con i deboli governi che si sono succeduti dal 1919 al 1922 e che hanno portato alla “marcia su Roma”. Dopo aver analizzato il discorso di insediamento di Mussolini al Parlamento, si tratteranno dettagliatamente gli anni della costruzione del regime fascista dal 1922 al 1925, con le relative scelte economiche liberiste di questo periodo, che tradiscono già e svelano il recente demagogico programma di piazza San Sepolcro a Milano, falsamente “protezionistico”; particolare importanza è rivestita, in questo frangente, dalle elezioni del 1924, dal “caso Matteotti” e dalla presa di potere di Mussolini con il noto discorso alle Camere del 3 gennaio 1925, con il quale s’instaura ufficialmente la dittatura fascista in Italia. Si passerà poi a studiare i rapporti del fascismo con la Chiesa cattolica, denigrata durante la genesi del fascismo e poi ampiamente rivalutata, per motivi opportunistici, con il Concordato dell’11 febbraio 1929. Sono questi gli anni dell’affermazione del regime, con un politica interna tendente a creare, da un lato, una serie di “poteri paralleli”, tratti caratteristici della dittatura e, dall’altro, con la promozione, da parte del duce, del culto della propria personalità, culto che risulterà ancora più accentuato con Hitler e Stalin. Alcuni paragrafi saranno dedicati alla politica estera di Mussolini, inizialmente filo franco-inglese e poco dopo già pericolosamente filo-germanica, con la sottoscrizione dell’asse Roma-Berlino, successivo alla conquista dell’Etiopia; sarà proprio l’alleanza con il dittatore tedesco, nel 1936, che farà iniziare la parabola discendente per il consenso popolare di Mussolini, aggravata dall’ “importazione”, nel 1938, delle leggi razziali. Gli eventi del secondo conflitto mondiale saranno considerati non con una trattazione a sé, che risulterebbe poco proficua, ma contestualmente alla maturazione dei regimi totalitari; sono gli anni in cui si sviluppa infatti sempre più l’opposizione al fascismo, che confluirà nella Resistenza per condurre poi, nel 1943, alla caduta di Mussolini. Il capitolo sul fascismo si concluderà con la trattazione delle vicende belliche dal 1943 al 1945 e quindi delle “due Italie”, il Regno del Sud e la Repubblica nazi-fascista di Salò, per giungere alla fine definitiva della dittatura ed alla conclusione del secondo conflitto mondiale. Non si mancherà, infine, di focalizzare l’attenzione anche sulla tragedia dimenticata delle foibe istriane. La presentazione delle varie interpretazioni storiografiche sul fascismo concluderà questo primo ampio capitolo.
Nel capitolo successivo, molto più breve del primo, si tratteranno per sommi capi i totalitarismi in Portogallo, con la dittatura di Salazar, in Ungheria, con la nascita del partito filo-nazista ed antisemita delle “croci frecciate” ed in Spagna, con l’instaurazione del regime franchista successivamente al termine della guerra civile, che ha insanguinato il Paese dal 1936 al 1939.
Il terzo capitolo sarà invece dedicato allo stalinismo in Unione Sovietica: dopo aver affrontato il problema della “successione” a Lenin, ci si concentrerà sulla politica interna di Stalin, con l’industrializzazione, i gulag, le “grandi purghe” del 1936-38, la repressione del dissenso interno, l’istruzione ed il “lavaggio dei cervelli” con i canoni del “realismo socialista”.Non si dimenticherà la politica antisemita di Stalin e si porterà anche una testimonianza inerente le analogie tra gulag sovietico e lager nazista. L’ultimo paragrafo prospetterà il futuro “disgelo” iniziato, sia pure con profonde contraddizioni, da Kruscev nel 1956, ma conclusosi soltanto con Gorbaciov tra la fine degli anni ‘80 ed il 1991, anno del colpo di Stato.
Nel quarto ed ultimo capitolo si affronterà la nascita, l’affermazione e la caduta del nazionalsocialismo in Germania con Hitler, dalla crisi del 1929 alla fine della debole Repubblica di Weimer alla fondazione del III° Reich, per sconfinare ancora negli eventi bellici; particolare attenzione sarà ovviamente dedicata all’antisemitismo ed alla Shoah.
Costante, nel corso del lavoro, sarà la ricerca di analogie e differenze tra queste differenti forme di totalitarismo; la tesi sarà corredata dall’analisi di documenti e discussioni critico-storiografiche che porranno le premesse per la conclusione, nella quale si terrà presente quello che, a mio avviso, è stato uno dei più seri, se non il più serio, lavoro storiografico sui totalitarismi, ovvero lo studio effettuato dalla filosofa ebrea Hannah Arendt, pietra miliare da considerare ancora attualissimo per non dimenticare le origini dei totalitarismi; la Arendt ci ha quindi offerto una lezione di storia, per usare un’espressione cara a Benedetto Croce, “sempre contemporanea”.
Il primo e l’ultimo capitolo saranno quelli trattati con maggiori approfondimenti, anche per quanto concerne la documentazione storiografica.
Nel corso del lavoro sarà segnalata anche un’accurata filmografia.
Concluderanno l’elaborato la bibliografia concernente documenti coevi e saggi afferenti alla letteratura secondaria.

CAPITOLO I: IL FASCISMO.

I.1.I problemi primo dopoguerra mondiale in Italia, il “biennio rosso”, la nascita del Partito Popolare e del Partito Comunista d’Italia.
Diversi furono i problemi, in Italia, alla fine del primo conflitto mondiale:
1.innanzitutto la delusione per la “vittoria mutilata”, connessa alla questione fiumana, alla quale si erano opposti inglesi, francesi, americani;
2.riprese anche la polemica tra gli interventisti, che si consideravano “veri italiani”, ed i neutralisti, che si consideravano pacifisti e democratici;
3.i reduci di guerra trovarono le loro case bruciate, distrutte, e spesso i soldati erano contadini che, dopo la guerra, si trovavano disoccupati;
4.l’aumento vertiginoso dell’inflazione stava creando una nuova classe di proletari tra la piccola e la media borghesia;
5.l’industria bellica conobbe il problema della “riconversione industriale”, vale a dire la necessità di ritrasformare l’industria da bellica a civile;
6.la “questione meridionale” dei contadini del Sud era rimasta insoluta, molti contadini erano infatti diventati i soldati e l’unico lavoro che erano ora in grado di fare era quello del milite;
7.il governo liberale ancora in carica, quello di Vittorio Emanuele Orlando, rappresenta un modello politico prebellico, ormai superato di fronte all’emergere dei due grandi partiti di massa, quello cattolico e quello socialista;
8. l’ala massimalista del P. S. I. (Partito Socialista Italiano) proponeva la collettivizzazione delle terre e delle fabbriche1 e la loro gestione con modelli simili ai Soviet;
9.il biennio 1919-20 fu noto come “biennio rosso”, con imponenti manifestazioni ed occupazioni delle fabbriche a Torino. L’occupazione delle fabbriche fu organizzata da Antonio Gramsci, futuro fondatore del Partito Comunista d’ Italia P. C. d.’I, Partito Comunista d’Italia, divenuto poi Partito Comunista Italiano).
Le elezioni politiche del 1919 videro l’affermazione dei socialisti e del Partito Popolare Italiano (P. P. I), appena fondato da don Luigi Sturzo, prete siciliano sensibile ai problemi sociali del sud. Si votò non più con il sistema maggioritario, che premiava i singoli candidati presenti in un collegio elettorale, ma con il sistema proporzionale, voluto da don Sturzo, che premiava i partiti. Il “biennio rosso” fu caratterizzato da un forte aumento di iscritti ai sindacati, come la C. G. L., di orientamento socialista massimalista, da scioperi molto consistenti, più di quelli del 1901, 1902, 1904, 1908, soprattutto nel settore ferrotranviario, da saccheggi di negozi, scontri armati tra polizia e dimostranti, occupazione delle fabbriche, soprattutto a Torino, con Antonio Gramsci, che nel 1919 aveva fondato la rivista “L’ordine nuovo”, di ispirazione leninista, alla quale si oppose il socialista Amedeo Bordiga, che nella rivista “Il Soviet” sosteneva, pur sempre con una posizione massimalista, la priorità di conquistare il potere dello Stato piuttosto che quello di occupare le fabbriche. Il 21 gennaio 1921 si tenne il congresso del P.S.I. a Livorno: l’ala massimalista di Gramsci e Bordiga si staccò e diede vita al P. C. d’ I., che vedeva nell’
U. R. S. S. l’unico modello di Stato Socialista concretizzabile. Intanto, proprio da scissioni con i partiti socialisti, in tutta l’Europa si stavano formando i partiti comunisti d’ispirazione filo-sovietica (come in Spagna, nello stesso 1921, e ,fuori dell’Europa, in Cina, nello stesso anno, con Mao-Tse-Tung). Tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia2 ricordiamo, oltre a Gramsci ed a Bordiga, anche Umberto Terracini, Palmiro Togliatti, Angelo Tasca, Arturo Labriola, Andrea Costa, Gaetano Salvemini. Due altri grandi eventi sono da ricordare, inoltre, durante il biennio rosso: 1.l’occupazione dell’Alfa a Torino; 2.il cosiddetto “sciopero delle lancette” alla Fiat di Torino, nel settembre 1919, cioè il volontario ritardo di un’ora al lavoro da parte degli operai, il giorno di ripristino dell’ora solare.

I.2.Il giovane Mussolini, i fasci di combattimento ed il programma di San Sepolcro.
In questo contesto di grandi tensioni sociali, nel 1919 Benito Mussolini aveva creato i fasci di combattimento. Mussolini era un maestro elementare, emiliano, di Predappio, figlio di una maestra elementare, il padre lo aveva chiamato Benito in onore al rivoluzionario e presidente messicano Benito Juarez. Era un socialista massimalista, prima maestro elementare, come sua madre, ma in seguito fu allontanato dalla scuola da parte del provveditorato agli Studi a causa delle sue idee massimaliste. Divenne poi giornalista de “L’avvenire del lavoratore” e di “Lotta di classe”, riviste della II Internazionale Socialista (1889-1914). In seguito diventò direttore de “L’Avanti”, organo di stampa del P.S.I. Mostrò idee pacifiste, repubblicane, anticlericali, antimonarchiche, vicini al sindacalismo anarco-insurrezionalista francese di Sorel. Fu, da giovane, fiero avversario dei riformisti e contrario alla guerra di Libia. Nel 1914 si dichiarò però favorevole all’ingresso dell’Italia in guerra: stava maturando idee interventiste che gli causarono l’espulsione dal Partito Socialista italiano e da “L’Avanti”. Combatté nella prima guerra mondiale e, abbandonando l’internazionalismo giovanile, maturò idee nazionaliste, riprese nel quotidiano “Il popolo d’Italia”, da lui fondato e destinato a diventare l’organo di stampa del futuro P. N. F. (Partito Nazionale Fascista). Fu particolarmente sensibile al problema dei reduci di guerra. Nel 1919 in Piazza San Sepolcro a Milano espose il suo programma femminista, statalista, operaista, anticlericale, unicamerale, repubblicano, anti-monarchico e socialista; sostenne la necessità di concedere il voto alle donne, il voto a 18 anni, la confisca dei beni ecclesiastici, il suffragio universale anche femminile, la riduzione della giornata lavorativa ad 8 ore; inoltre proponeva di aumentare le tasse ai ceti sociali più ricchi, di rivalutare il ruolo dei sindacati e di portare a 25 anni la soglia di eleggibilità. Apparentemente fu un programma socialista, ma molto falso e demagogico, destinato ad essere ribaltato in soli 2 anni.
Documento: Benito Mussolini, “Il programma di San Sepolcro”, marzo 1919.
“Noi vogliamo, per il problema politico: a) suffragio universale a scrutinio di lista regionale con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne. b) il minimo di età per gli elettori abbassato ai 18 anni, quello per i deputati abbassato a 25 anni. c) l’abolizione del Senato.
Per il problema sociale noi vogliamo a) la sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavoratori la giornata legale di otto ore di lavoro. b) i minimi di paga. c) la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell’industria.
Per il problema finanziario noi vogliamo a) una forte imposta straordinaria sul capitale, a carattere progressivo, che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze. b) il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense vescovili, che costituiscono una enorme passività per la nazione, in privilegio di pochi. c) la revisione di tutti i contratti di forniture di guerra e il sequestro dell 85% dei profitti di guerra”3.

I.3. L’Italia tra il 1919 ed il 1922: da Nitti alla marcia su Roma.
Nel 1919 si dimette il governo di Vittorio Emanuele Orlando e dal 1919 al 1922 si susseguono quattro governi deboli e inadeguati a fronteggiare la grave situazione sociale: Nitti, Giolitti, Bonomi e Facta. Primo dei problemi fu quello della “questione fiumana”, alimentato dai nazionalisti come “mito della vittoria mutilata”. Nel 1919, alla testa di 9000 legionari, tra i quali vi erano moltissimi nazionalisti, ma anche qualche socialista massimalista, il poeta-soldato Gabriele D’Annunzio4 occupò in armi la città di Fiume, che alla fine della guerra era stata dichiarata “città libera”. Al debole governo Nitti seguì, nel 1920-21, nuovamente Giolitti, la cui tattica risultò però inadeguata di fronte alle gravi tensioni sociali, dovute anche all’aumento del prezzo del pane. Giolitti era ormai vecchio e non riusciva più a controllare le tensioni sociali, mentre si facevano sempre più strada i socialisti ed i cattolici. Nel 1920 lo statista fece sgombrare in armi la città di Fiume e Mussolini lasciò solo D’Annunzio perché 1.voleva legittimare moralmente il movimento dei fasci di combattimento, nonostante una certa base del suo movimento avesse seguito D’Annunzio; 2. accusare la democrazia parlamentare e le vie diplomatiche di inefficienza. Intanto gli squadristi fascisti si organizzavano come un esercito parallelo a quello regio: a bordo delle loro camionette, urlando i loro violenti slogan, con il manganello e l’olio di ricino incendiavano le sedi del P. S. I., del P. C. d’ I., della C. G. L. e delle case del popolo, ferendo e uccidendo sindacalisti ed esponenti politici di sinistra. Giolitti non frenò lo squadrismo, che anzi vedeva di buon occhio come unica possibilità per arginare il “pericolo rosso”. Il fascismo, tradendo così il demagogico programma di San Sepolcro, si affermava inizialmente nelle campagne, come un movimento violento, a servizio dell’alta borghesia agraria del Nord e della Puglia, contro le “leghe bianche”, cattoliche, e soprattutto contro le “leghe rosse”, molto forti tra i contadini socialisti e comunisti dell’Emilia Romagna. Nel 1920 venne anche temporaneamente risolta la questione fiumana con il Trattato di Rapallo o Carta del Carnaro (nome del golfo in cui sorge Fiume): l’Italia ottenne l’ Istria e Zara, Fiume dichiarata nuovamente città libera, ma sarebbe dovuta diventare italiana nel 1924. Nel 1921, a Roma, il movimento dei fasci di combattimento diventa P. N. F. (Partito Nazionale Fascista). Le squadre fasciste assunsero una denominazione più legale, quella di “camicie nere”. Il programma del P. N. F., nel 1921, segna già un ribaltamento rispetto al programma di San Sepolcro del 1919. Il P. N. F. cerca rapporti con l’esercito, è monarchico, filo-clericale, antisocialista, patriottico, nazionalista, anti-liberale. I liberali sono considerati troppo deboli. L’ascesa al potere di Mussolini è avvantaggiata dalle fratture interne all’opposizione tra socialisti e comunisti a sinistra, ed all’interno del partito popolare al centro. Nel Partito Popolare si distinguono infatti tre anime 1.i donsturziani, sindacalisti e sensibili alla questione sociale; 2.una corrente centrista, nemica sia dei socialisti che dei fascisti; 3 Una terz’ala, cattolica, alto-borghese, di proprietari terrieri, che guarda volentieri al fascismo. Il P. N. F. è invece compatto. Nelle elezioni del 1921 Mussolini è alleato a Giolitti e mentre il P. N. F. conquista 35 seggi, i liberali sono duramente sconfitti, ma Mussolini ha utilizzato quest’ alleanza sempre con lo scopo di legittimare il P. N. F. agli occhi dell’opinione pubblica. A Giolitti, tra il 1921 ed il 1922, seguono i deboli governi Bonomi e Facta, soprattutto Bonomi, che non considerò il pericolo del P. N. F. e degli squadristi, le cui violenze erano ritenute semplice “scaramucce” di teppisti da piazza. Il P. N. F. si fa sempre più strada, di fronte alla noncuranza dello Stato. Davanti alle violenze fasciste, l’atteggiamento della polizia, della magistratura e dei governi fu infatti quello della trascuratezza del fenomeno, dell’indifferenza. In questo contesto le intimidazioni si incrementano ed il fascismo, dopo essersi affermato nelle campagne del Nord e della Puglia, si afferma nelle città del centro e del nord, quali Milano, Genova, Livorno, Ancona. Solo a Parma i fascisti furono respinti dalla popolazione. Il pacifismo è ora per Mussolini la “bandiera di ipocrite donnicciuole”. Mussolini mirava in alto, alla presidenza del governo, ma comprese che per far questo non bastava la violenza, bisognava inserirsi nei giochi politico-diplomatici del Paese: sconfessò le sue idee repubblicane aderendo la monarchia, si avvicinò alla grande industria che appoggiò nelle lotte contro le rivendicazioni operaie, si schierò a fianco della borghesia agraria nelle conflitti contro i braccianti delle leghe rosse e bianche. Il 28 ottobre 1922 progettò una marcia su Roma: un pugno di uomini in camicia nera comandati da un quadriunvirato formato da Bianchi, Balbo, De Vecchi e De Bono. Facta, capo del governo, invitò il re Vittorio Emanuele III a proclamare lo stato d’assedio, ma il re si rifiutò perché, erroneamente, s’illuse che Mussolini potesse risolvere i gravi problemi del Paese. Mussolini non partecipò alla marcia su Roma: era a Milano, raggiunse Roma due giorni dopo in treno, compiendo la famosa “rivoluzione in vagone letto”. Il 30 ottobre 1922 fu ricevuto dal re, che gli affidò l’incarico di formare il nuovo governo: fu questo il vero atto di morte dello Stato liberale italiano. Il re accettò le dimissioni di Facta. Lo storico meridionalista e socialista Gaetano Salvemini scrisse che “la sinistra non fu in grado di convogliare a sinistra quei reduci di guerra che non chiedevano altro che andare a sinistra e che furono invece accolti dalla propaganda fascista, che offrì loro un posto di lavoro come squadristi, sfruttando la loro unica capacità, quella della violenza, che avevano sviluppato come soldati nella Grande Guerra”. Quella di Salvemini è dunque una lodevole operazione di autocritica da parte della sinistra. Nel suo discorso di insediamento, colmo di offese al Parlamento, si possono già chiaramente scorgere i germi della prossima dittatura.
Documento: “Discorso di insediamento di Mussolini”.
“Io sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle “camicie nere”, inserendola intimamente come forza di sviluppo, di progresso e di equilibrio nella storia della nazione. Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere, mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non si abbandona dopo la vittoria. Con trecentomila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il fascismo. Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli, sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto. […].
Ho costituito un governo di coalizione e non già con l’intento di avere una maggioranza parlamentare, della quale posso oggi fare benissimo a meno, ma per raccogliere in aiuto della nazione boccheggiante quanti, al di sopra delle sfumature dei partiti, la stessa nazione vogliono salvare.
[…] Lo Stato è forte e dimostrerà la sua forza contro tutti, anche contro l’eventuale illegalismo fascista, poiché sarebbe un illegalismo incosciente ed impuro che non avrebbe alcuna giustificazione. Devo però aggiungere che la quasi totalità dei fascisti ha aderito perfettamente al nuovo ordine di cose. Lo Stato non intende abdicare davanti a chicchessia.
Chiunque si erga contro lo Stato sarà punito. Questo esplicito richiamo va a tutti i cittadini ed io so che deve suonare particolarmente gradito alle orecchie dei fascisti, i quali hanno lottato e vinto per avere uno Stato che si imponga a tutti, dico a tutti, con la necessaria inesorabile energia”.5
Documento: Gaetano Salvemini rinuncia all’insegnamento sotto la dittatura fascista.
“Signor rettore, la dittatura fascista ha soppresso oramai completamente, nel nostro Paese, quelle condizioni di libertà mancando le quali l’insegnamento universitario della storia – quale io l’intendo – perde ogni dignità perché deve cessare di essere strumento a libera educazione civile, il ridursi a servile adulazione del partito dominante oppure a mere esercitazioni erudite, estranee alla coscienza morale del maestro e degli alunni.
Sono perciò costretto a dividermi dai miei giovani, dai miei colleghi, con dolore profondo, ma con la coscienza sicura di compiere un dovere di lealtà verso di essi prima che di coerenza e di rispetto verso me stesso.
Ritornerò a servire il Paese nella scuola, quando avremo riconquistato un governo civile. Pregandola di comunicare a chi di ragione questa mia lettera di dimissioni, sono in perfetta osservanza di lei obbl.mo”6.

I.4. La costruzione del regime fascista (1922-25) ed i primi atti del regime (1926-27).
Il primo governo di Mussolini è un governo conservatore, ma di coalizione: ne fanno parte fascisti, in maggioranza, anche se avevano solo 35 parlamentari, ma anche popolari, nazionalisti, come il generale Diaz, e liberali. Liberali come Giolitti ed il filosofo Benedetto Croce guardano inizialmente con favore Mussolini. La politica economica andò a sostegno dei latifondisti, contro i sindacati, in un’ottica decisamente liberista: sono abbassati i salari dei lavoratori. Mussolini svuotò di potere il parlamento, procedendo con decreti, e quindi trasferendo al governo, di fatto, la funzione del Parlamento; si assiste ad una progressiva restrizione della democrazia. Nel 1922 fondò il Gran Consiglio el Fascismo, un organo parallelo al governo, nel 1923 la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, un organo parallelo all’esercito nel quale confluirono molti squadristi7. Sempre nel 1923 affidò il filosofo Giovanni Gentile il ministero la Pubblica Istruzione, dopo il rifiuto di Croce, con il compito di fare una riforma nell’ottica autoritaria del regime. Benedetto Croce aveva già infatti compreso qual era la vera natura del fascismo, ma la riforma Gentile segue quindi un “canovaccio crociano”, per cui sarebbe più opportuno parlare di “riforma Croce-Gentile”. La riforma Gentile della scuola è classista, pone il liceo classico come scuola di élite, delle future classi dirigenti: il classico è l’unica scuola dalla quale si può accedere a tutte le facoltà universitarie. Seguono il liceo scientifico, anch’esso quinquennale, dal quale si può accedere alle sole facoltà scientifiche, l’Istituto Tecnico Commerciale, che consente l’accesso soltanto ad “Economia e Commercio”, l’Istituto Tecnico per Geometri, che dà accesso solo alla Facoltà di Architettura. l’istituto magistrale, di durata quadriennale, per formare le future maestre, consentiva l’ accesso solo alla facoltà di Magistero. Seguono gli istituti professionali o scuole di avviamento al lavoro, di durata biennale, dai quali non si può accedere ad alcuna facoltà universitaria. La scuola era fondata su 2 assiomi: 1)una rigidissima selezione (agli esami di Stato della fine degli anni ‘20 la percentuale dei respinti sfiora il 90%), con frequenti esami, e 2)la superiorità della cultura umanistica su quella scientifica e tecnica. Ancora nel 1923 fu approvata la legge Acerbo (dal nome del ministro che l’ha predisposta), una nuova legge elettorale, maggioritaria, che assegnava i tre quarti dei seggi alla coalizione di maggioranza relativa. Nel 1924 si tengono nuove elezioni, in un clima politico di minacce, intimidazioni, violenze, ricatti, brogli elettorali: i partiti conservatori si presentano uniti in un unico “Listone” fascista, composto da fascisti, nazionalisti, liberali, anche se Giolitti, che come Croce aveva compreso il pericolo del fascismo, presentò una lista autonoma di “Giolittiani”, che non ebbe successo, dissociandosi così dal partito liberale, che si era alleato con il P. N. F. Il listone, in questo clima di violenze e intimidazioni, ottenne il 65% dei voti, cioè la maggioranza assoluta, ed una altrettanto maggioranza schiacciante di seggi. Il deputato socialista Giacomo Matteotti in Parlamento denunciò i brogli elettorali ed il contesto di intimidazioni in cui si sono erano le elezioni nella primavera 1924, ma nel giugno 1924 scompare misteriosamente ed ll suo cadavere viene ritrovato nell’agosto dello stesso anno in un bosco romano. Mussolini inizialmente negò la matrice fascista dell’omicidio, ma, in segno di protesta, i deputati dell’opposizione abbandonarono l’aula di Montecitorio e si recarono sul colle Aventino (rievocando l’episodio della secessione dell’Aventino avvenuto nell’antica Roma); seguì un momento di tensione all’interno del P. N. F. e Mussolini lasciò la segreteria del partito a Farinacci, che era stato socialista in passato, con lo scopo di placare gli animi dei cattolici fascisti, piuttosto inorriditi dall’ accaduto, ma poco dopo riprese le fila del comando, mentre il re, per la seconda volta (la prima era stata in occasione della marcia su Roma), non intervenne per fermarlo. Il 3 gennaio 1925, con un noto discorso al parlamento, Mussolini getta la maschera e si assume ogni responsabilità morale e politica dell’accaduto, instaurando così ufficialmente la dittatura: affermò che se il fascismo era un’associazione a delinquere, lui ne era il capo ed il responsabile. Tra il 1925 ed il 1926 emanò il Codice Penale Rocco e le leggi fascistissime, con le quali istituì la pena di morte per i reati politici, oltre che per gli attentati alla vita del capo del governo e del re. In tal modo giustificò l’accoltellamento, da parte dei fascisti, del sedicenne bolognese Anteo Zamboni, che aveva attentato alla vita di Mussolini. Sostituì i sindaci con i podestà, nominati direttamente da lui, sciolse tutti i partiti, ad eccezione di quello fascista, e tutti i sindacati; istituì, nel 1926, il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, per i reati politici, cioè il dissenso di opinione. Molti intellettuali, oppositori del regime, soffrirono il carcere e l’esilio. Nel 1927 emanò la “Carta del lavoro” e nel 1929 stipulò i Patti Lateranensi con la Chiesa cattolica di Pio XI (che definì Mussolini “uomo mandato dalla Provvidenza”), un papa conservatore: il dittatore si accaparrò così anche il consenso dei cattolici e ciò contribuì a legittimare moralmente sempre più il fascismo. Nel 1924 ottenne che la città di Fiume, considerata città libera dal 1920 al 1924, fosse ammessa all’Italia, attirando così anche il consenso dei nazionalisti. Nel 1925 i deputati aventiniani furono destituiti e seguirono molti arresti. Antonio Gramsci, fondatore della rivista socialista “L’Ordine Nuovo”, del Partito Comunista italiano, de “L’Unità”, nel 1927 sarà condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di prigionia nel duro carcere di Turi, presso Bari, dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato (Mussolini al processo aveva affermato letteralmente “Bisogna impedire a questo cervello di pensare per vent’anni”), ma scontò solo 10 anni perché morì in cella nel 1937 per le precarie condizioni di salute, aggravate dalla dura detenzione.
Documento: “Discorso di Mussolini al Parlamento del 3 gennaio 1925”.
“Ebbene, io dichiaro qui al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano che assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda.
Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa.
Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico, morale, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico, morale io non l’ho creato con una propaganda che va dall’ intervento fino ad oggi. In questi ultimi giorni non solo i fascisti ma molti cittadini si domandano: C’è un Governo? Questi uomini hanno una dignità come uomini? Ne hanno anche una come Governo?
Sono stato io che ho voluto che le cose giungessero a questo determinato punto estremo E’ ricca la mia esperienza di vita in questi sei mesi. Io ho saggiato il partito. Come per sentire la tempra di certi metalli bisogna abbatterli con un martelletto, così ho sentito la tempra di certi uomini. Ho visto che cosa valgono e per quali motivi ad un certo momento quando il vento è infido, scantonano per la tangente. Ho saggiato me stesso. E guardate che io non avrei fatto ricorso quelle misure se non fossero stati in giuoco gli interessi della Nazione.
Un popolo non rispetta un Governo che si lascia vilipendere. Il popolo vuole rispecchiata la sua dignità, nella dignità del Governo, ed il popolo, prima ancora che lo dicessi io, ha detto: Basta! La misura è colma!8”

I.5. La costruzione del regime fascista e le scelte economiche.
Con il discorso del 3 gennaio 1925, le leggi fascistissime ed il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, tra il 1925 ed il 1927 Mussolini instaura la dittatura, sciogliendo tutti i partiti politici, ad eccezione naturalmente di quello fascista, i sindacati, imbavagliando la stampa, che doveva asservirsi al regime, pena la censura. Lo Statuto Albertino rimase formalmente in vigore, ma di fatto, proprio per la sua flessibilità, fu ampiamente stravolto. Il Parlamento fu esautorato, cioè svuotato di potere, e nel 1939 Camera dei Deputati sarà sostituita con la Camera dei Fasci. La politica economica del fascismo si concretizza nella Carta del lavoro del 1927, con la quale Mussolini istituì le corporazioni, organizzazioni che riunivano lavoratori ed imprenditori al tempo stesso, con lo scopo di risolvere i conflitti sociali, sublimandoli nell’interesse dello Stato. Il termine “corporazioni” è ripreso dalle corporazioni delle Arti medievali raggruppano i lavoratori in base alla tipologia di mestiere e non per distinzioni ideologiche, a differenza dei sindacati. Di fatto, con le corporazioni i lavoratori si trovavano in una condizione di inferiorità rispetto agli imprenditori in quanto i contratti di lavoro erano concordati tra i vertici dello Stato fascista e gli imprenditori, con totale esclusione dei lavoratori, che, non essendoci più i sindacati, non avevano rappresentanti. La politica economica del Fascismo tra il 1922 del 1925 seguì quindi una linea liberista, l’iniziale demagogico programma di San Sepolcro, con sgravi fiscali per le imprese e riduzione degli stipendi per i dipendenti. Solo in seguito ad un aumento dell’inflazione, dopo il 1925, vi fu una svolta in senso protezionistico. In quest’ottica nel 1925 Mussolini lanciò due “battaglie”, quella del grano e quella della bonifica integrale, con scopi propagandistici e con fiducia nell’idea protezionistica di autarchia dello Stato fascista. Tali battaglie ebbero però risultati modesti, a danno delle colture specializzate, che furono trascurate, anche se vennero bonificate le campagne romane e pugliesi. Bonificò l’agro pontino, fondò nuove città (Mussolinia e Carbonia in Sardegna, Littoria nel Lazio meridionale, l’odierna latina), ampliò la rete stradale, creò grandi arterie a Roma (il viale dei Fori imperiali), ampliò la rete ferroviaria, incrementò i posti di lavoro nella pubblica amministrazione, stabilì le ferie ed il giorno di riposo settimanale per gli operai, con lo scopo di indebolire il sindacalismo non fascista, creò l’ I. R. I. (Istituto per la Ristrutturazione Industriale), incrementando anche le assunzioni nel pubblico impiego. Lanciò ancora, nel 1926, la battaglia “quota 90”, per una rivalutazione della lira che riportasse al cambio fissato prima del 1922, di 90 lire per sterlina, obiettivo raggiunto nel 1927. Lo scopo era quello di dare al Paese l’immagine di una stabilità del regime non solo politica, ma anche economica, con una forte riduzione dell’inflazione, ma il risultato fu drastico, in quanto, per ridimensionare il debito pubblico, lo Stato italiano si indebitò con gli Stati Uniti, ai quali aveva chiesto prestiti, e la rivalutazione della lira, che arrivò all’obiettivo della quota 90, avvenne a spese dei lavoratori dipendenti, che subirono una forte riduzione dei loro stipendi. Mussolini fascistizzò ogni aspetto della vita privata individuale, abolì il 1° maggio, la festa del lavoro, di matrice socialista, sostituendola con il 21 aprile, giorno della mitica fondazione di Roma (21 aprile 753 a. C.), si richiamò all’Impero romano nei simboli fascisti (l’aquila imperiale ed il fascio), abolì la stretta di mano sostituendola con il saluto romano, organizzò ed inquadrò la gioventù, fin da piccola, in organizzazioni paramilitari (figli della lupa, balilla, avanguardisti, giovani italiani e giovani italiane), chiamate in manifestazioni di entusiastica solidarietà al regime. In campo architettonico esaltò la grandezza dell’Impero romano con opere piuttosto fredde, come l’ Eur a Roma, creò l’ Istituto Cinematografico “Luce” negli stabilimenti romani di “Cinecittà” nel 1937, con filmati e documentari di propaganda (definì infatti il cinema “l’arma più potente”). Anche la radio e la stampa vengono posti sotto il diretto controllo del regime: quotidiani come “L’Unità” e “L’ Avanti” furono chiusi e proseguirono la loro attività in clandestinità, mentre altri giornali, come “Il Corriere della Sera” e “La Nazione” furono tollerati, ma dovettero adeguarsi alle direttive del regime. Venne introdotta la tassa sul celibato e furono incoraggiate le nascite, l’aborto e l’uso degli anticoncezionali erano considerati “crimini contro lo Stato”, le nascite furono incoraggiate e vennero premiate le famiglie numerose, specialmente con molti figli maschi. Fu quindi un regime, quello fascista, che penetrò nell’intimità della vita individuale e familiare, pretendendo di imporre un modello di vita e per questo è corretto definire il fascismo non come “autoritarismo”, bensì come “totalitarismo”.

I.6. I rapporti con la Chiesa: il Concordato. Giovanni Gentile e la concezione dello Stato.
Con il Concordato o Patti Lateranensi, firmati l’ 11 febbraio 1929 tra Mussolini ed il Cardinal Gasparri, segretario pontificio di Pio XI, ci guadagnano entrambe le parti: la Chiesa riconosce il regime fascista, che viene legittimato moralmente agli occhi degli italiani; come afferma lo storico Renzo De Felice, con il Concordato Mussolini incrementò moltissimo il consenso degli italiani verso il regime. Come si nota, il processo di fascistizzazione dello Stato occupa circa 10 anni e si compirà definitivamente solo nel 1936 con la conquista dell’Etiopia. Mussolini sa che deve venire a Patti con la monarchia, l’esercito e la Chiesa: Hitler, come vedremo, non avrà questo problema perché in Germania non c’è la sede della Curia, non c’è la monarchia, ma una Repubblica, quella di Weimer, costituitasi nel 1918 sulle ceneri del II° Reich guglielmino ed in profonda crisi, e l’esercito non costituisce una forma di potere avverso ad Hitler, in quanto sarà potenziato proprio da Hitler.
Con il Concordato la Chiesa si riconcilia definitivamente con lo Stato, dopo la rottura del 1870. Viene introdotto l’obbligo dell’ora di religione nelle scuole, la santità del matrimonio religioso, valido anche agli effetti civili, la religione cattolica è religione dello Stato, in piena sintonia con quanto affermato nell’art. 1 dello “Statuto Albertino”: lo Stato italiano diventa cioè uno Stato confessionale perché riconosce una religione come religione dello Stato. Per il filosofo Giovanni Gentile, intellettuale critico del fascismo, ministro dell’Istruzione, fondatore dell’Enciclopedia Treccani, il Concordato fu un duro colpo al laicismo dello Stato liberale risorgimentale; Gentile, seguace dell’idea hegeliana di Stato etico e laico, criticò fortemente il Concordato, e Mussolini, che lo aveva firmato per motivi opportunistici, rispettò il dissenso di Gentile, che era un intellettuale troppo in vista per essere criticato. Italiano divenne sinonimo di cattolico e di fascista. La Chiesa cattolica, con il Concordato, ottenne lo stipendio statale per i preti e l’esenzione dalle tasse sugli immobili; tuttavia i preti dovevano giurare fedeltà al regime; la Chiesa fu quindi risarcita per il danno subìto con la breccia di Porta Pia nel 1870. Il divorzio viene vietato: la Chiesa, con l’istituzione della Sacra Rota, può però sciogliere il matrimonio considerato nullo o non consumato. Il divorzio sarà ripristinato dal regime fascista, eccezionalmente, nel 1938, in seguito alle leggi razziali, per consentire, vergognosamente, ai coniugi ariani che avevano sposato ebrei, di divorziare e salvarsi dalle restrizioni e dalle successive persecuzioni, questo soprattutto in Germania (cfr. film “Rosenstrasse”). La donna viene ridotta al ruolo domestico di madre e di moglie subordinata al marito, contrariamente a quanto Mussolini aveva annunciato nel 1919 con il programma di San Sepolcro.
Intanto Gentile il 21 aprile 1925 pubblica il “Manifesto degli intellettuali fascisti”, in cui, riprendendo la concezione hegeliana dello Stato etico, poneva lo Stato sopra l’individuo, perché lo Stato incarna la morale della collettività, del popolo.
Documento: il “Concordato”.
Fu firmato l’11 febbraio 1929 tra il segretario di Stato Pontificio card. Gasparri e Mussolini:
“In considerazione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere. […].
5. Nessun ecclesiastico può essere assunto o rimanere in un impiego od ufficio dello Stato italiano o di enti pubblici dipendenti dal medesimo senza il nulla osta dell’Ordinario diocesano. […]. In ogni caso i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti né conservati in un insegnamento, in un ufficio o in un impiego, nei quali siano a contatto immediato col pubblico. […].
34 Lo Stato Italiano, volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili. […]. Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici.
36. L’Italia considera fondamento e coronamento dell’Istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato”9.

I.7. Propaganda e dissenso.
Fanaticamente fedele all’idea di autarchia, Mussolini, al posto del latte e del caffè, carenti, fa circolare i surrogati. Il commercio con l’estero è limitatissimo. All’inizio degli anni ‘30 l’Italia è ancora un Paese arretrato: molti italiani non hanno mai visto il mare, il tè, il caffè, lo zucchero sono considerati un bene di lusso. Mussolini organizza allora i treni popolari, a basso costo, le domeniche d’estate, per portare gli italiani al mare, e le colonie estive. Il 28 ottobre è un’altra data “mitica”, oltre al 21 aprile, e viene celebrata come anniversario della “rivoluzione fascista”. Mussolini esalta anche il culto della propria personalità e si fa chiamare “duce”, nel senso latino di condottiero, “dux”. L’opposizione si ritira nel silenzio e nella clandestinità, solo Benedetto Croce, grande filosofo liberale, può proseguire con una certa autonomia la sua attività; il fascismo aveva invano cercato di comprarlo, affidandogli il ministero della Pubblica Istruzione, da lui rifiutato, come si è detto; Croce è troppo stimato è troppo popolare per essere perseguitato. Alcuni antifascisti sono indotti o costretti all’esilio, come Piero Gobetti, fondatore della rivista “La rivoluzione liberale”, un liberale progressista, amico di Gramsci, bastonato dai fascisti, come Pietro Nenni, Saragat, Amendola, Sandro Pertini, don Sturzo, Turati, Salvemini, Nitti. Gobetti e Croce definirono il fascismo come “una malattia morale ed intellettuale, una degenerazione degli italiani, un tradimento degli ideali risorgimentali di libertà”. Al “Manifesto degli intellettuali fascisti” di Gentile, Croce, nello stesso 1925, rispose infatti con il “Manifesto degli intellettuali antifascisti”. L’esodo di molti antifascisti è il cosiddetto “fuoriuscitismo”, mentre la stragrande maggioranza degli oppositori, condannati dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, sono comunisti. Molti esuli emigrano negli Stati Uniti, ma soprattutto in Francia, ove, all’estero, proseguono la loro attività di opposizione al regime. Amendola, Gobetti, Nenni e Saragat si ritirano a Parigi, Palmiro Togliatti, nuovo segretario del partito comunista dopo l’arresto di Gramsci, emigra a Mosca, in Unione Sovietica. Durante la seconda guerra mondiale, la resistenza francese sarà molto meglio organizzata di quella italiana. Emilio Lussu, grande scrittore, ed i fratelli Rosselli fondarono il movimento “Giustizia e Libertà”, la principale organizzazione antifascista. Antonio Gramsci, condannato nel 1926, muore in carcere nel 1937, come si è detto, ed il partito comunista prosegue la sua attività con Palmiro Togliatti ed Umberto Terracini. Togliatti si rifugia Mosca e fu sempre più vicino alle posizioni di Stalin, succeduto a Lenin. In ambito cattolico, la F. U. C. I. (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) si opporrà al fascismo, mentre l’ A. C. (Azione Cattolica) sarà mal sopportata dal regime, che non gradiva che la Chiesa gestisce la vita dei giovani; l’Azione Cattolica sarà pertanto epurata dagli elementi antifascisti.
Documento: Manifesto degli intellettuali fascisti.
Il 21 aprile 1925, in occasione delle celebrazioni della ricorrenza della mitica data della fondazione di Roma, Gentile pubblica il Manifesto degli intellettuali fascisti, ove getta le basi della teoria dello Stato fascista intesa come terza via, né liberale, né fascista. Poco tempo dopo, nello stesso 1925, il filosofo Benedetto Croce, che con Gentile era stato amico e collaboratore, risponde al ministro Gentile con un Manifesto degli intellettuali antifascisti.
“L’individuo contro lo Stato, espressione tipica dell’ aspetto politico della corruttela degli animi insofferenti di ogni superiore norma di vita umana che rigorosamente regga e contenga i sentimenti ed i pensieri dei singoli. Il fascismo pertanto alle sue origini fu movimento politico e morale. La politica sentì e propugnò come palestra di abnegazione e sacrificio dell’individuo ad un’idea in cui l’individuo possa trovare la sua ragione di vita la sua libertà ed ogni suo diritto; idea che è Patria, come ideale che si viene realizzando storicamente senza mai esaurirsi, tradizione storica determinata e individuata di civiltà ma tradizione che nella coscienza del cittadino, lungi dal restare morta memoria del passato, si fa personalità consapevole di un fine da attuare, tradizione perciò e missione. […].
Di qui il carattere religioso del Fascismo.
Questo carattere religioso è perciò intransigente, spiega il metodo di lotta seguito dal Fascismo nei quattro anni dal ‘19 al ‘22. I fascisti erano minoranza, nel Paese e in Parlamento, dove entrarono, piccolo nucleo, con le elezioni del 1921. Lo Stato costituzionale era perciò, e doveva essere, antifascista, poiché era lo Stato della maggioranza, ed il Fascismo aveva contro di sé appunto questo Stato che si diceva liberale, ed era liberale, ma del liberalismo agnostico ed abdicatorio, che non conosce se non la libertà esteriore.
Contro tale stato il Fascismo si accampò anch’esso con la forza della sua idea la quale, grazie al fascino che esercita sempre ogni idea religiosa che inviti al sacrificio, attrasse intorno a sé un numero rapidamente crescente di giovani e fu il partito dei giovani (come dopo i moti del ‘31 da analogo bisogno politico e morale era sorta la Giovine Italia di Giuseppe Mazzini).
Questo partito ebbe anche il suo inno alla giovinezza che venne cantato dai fascisti con gioia di cuore esultante!
E cominciò ad essere, come la Giovine Italia mazziniana, la fede di tutti gli italiani sdegnosi del passato e bramosi del rinnovamento. Fede, come ogni fede che urti contro una realtà costituita da infrangere e fondere nel crogiolo delle nuove energie e riplasmare in conformità del nuovo ideale ardente ed intransigente.
Era la fede stessa maturata sin nelle trincee e nel ripensamento intenso del sacrificio consumatosi nei campi di battaglia pel solo fine che potesse giustificarlo: la vita e la grandezza della Patria. Fede energica, violenta, non disposta a nulla rispettare che opponesse alla vita, alla grandezza della Patria”10.
Documento: B. Croce, Manifesto degli intellettuali antifascisti.
E’ la polemica risposta, come si è detto, datata nello stesso 1925, al Manifesto gentiliano. Alla “fede” nella violenza e nella divisione degli animi, si contrappone la fede nella libertà. Emerge qui vistosamente il carattere liberale di Croce:
“Gli intellettuali fascisti, riuniti in congresso a Bologna, hanno indirizzato un manifesto agli intellettuali di tutte le nazioni per spiegare e difendere innanzi ad essi la politica del partito fascista. Nella sostanza, quella scrittura è un imparaticcio scolastico di confusioni dottrinali e mal filati raziocinamenti del secolo decimottavo mischiati con liberalismo del secolo decimonono. E’ un facile riscaldamento retorico di forme autoritarie atte a garantire il più efficace elevamento morale, o ancora, si perfidia nel pericoloso indiscernimento tra istituti economici, quali sono i sindacati, ed istituti etici, quali sono le assemblee legislative. […]. Ma il maltrattamento delle dottrine della storia è cosa di poco conto, in quella scrittura, a paragone dell’abuso che si fa della parola <>. Chiamare religione l’odio e il rancore che si accendono contro un partito che nega ai componenti degli altri partiti il carattere di italiani e li ingiuria stranieri, nobilitare con nome di religione il sospetto e l’animosità sparsi dappertutto, che hanno tolto persino ai giovani delle università l’antica e fidente fratellanza nei comuni e giovanili ideali, e li tengono gli uni contro gli altri in sembianti ostili. Quella scrittura è un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli all’autorità e al demagogismo, alla proclamata riverenza alle leggi e la violazione delle leggi, a concetti ultramoderni e vecchiumi muffiti, ad atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, a miscredenze e corteggiamenti alla Chiesa cattolica, ad ammonimenti alla cultura ed a conati sterili verso una cultura priva delle sue premesse. […].
Per questa caotica e inafferrabile <> noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l’anima dell’Italia che risorgeva, dell’Italia moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l’educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento”11.

I.8. La politica estera del fascismo: dall’accordo di Stresa al Patto d’Acciaio.
Nel 1935 Italia, Francia ed Inghilterra firmano l’accordo di Stresa, con il quale condannano il riarmo tedesco conquistando la simpatia anglo-francese; nello stesso 1935 l’Italia invade l’Etiopia, senza alcun preavviso. Inutilmente il Negus d’Etiopia, Hailé Selassié, chiese aiuto alla Società delle Nazioni, che si limitò a condannare l’invasione e ad alcune sanzioni economiche nei confronti dell’Italia. L’invasione dello Stato africano portò molta popolarità a Mussolini, che parlò di un “ritorno all’impero”. Il 5 maggio 1936 il generale Pietro Badoglio prende la capitale Addis Abeba, destituisce il negus ed incorona Vittorio Emanuele III “imperatore d’Etiopia”: anche l’Italia ha così conquistato il suo “posto al sole”, ma nel 1936 iniziarono ad incrinarsi i rapporti con Francia ed Inghilterra, che fino ad allora erano stati positivi perché l’Italia si era schierata contro il riarmo della Germania nazista. Nel 1936 Mussolini nomina il conte Galeazzo Ciano, suo genero (marito della figlia Edda), ministro degli Esteri. Questi stipula un’alleanza con la Germania, l’asse Roma-Berlino, con gli scopi di combattere il comunismo internazionale e di aiutare generalissimo Francisco Franco nella guerra civile spagnola (1936-39). Mussolini, la cui popolarità ed il cui consenso conoscono ora il loro vertice, inizia quella strada che condurrà l’Italia alla seconda guerra mondiale. Spera di poter condizionare Hitller, ma è l’inverso: nel 1938 l’Italia è costretta ad accettare l’ Anschluss, cioè l’annessione, da parte di Hitler, dell’Austria e dei monti Sudeti, una parte della Cecoslovacchia abitata da una popolazione di lingua tedesca. Nel 1939 stipulò con la Germania il Patto d’Acciaio, e questo in contrasto con gli ideali del Risorgimento italiano, che Mussolini tradisce, nonostante si fosse proclamato erede del Risorgimento. Dal 1938-39 anche il suo consenso comincia a cedere, mentre, come De Felice aveva sottolineato, tale consenso aveva conosciuto il suo apice dal 1929 al 1936. Proprio da questo anno nel calendario dell’Italia fascista, si iniziano a contare gli anni 1) dopo la presunta nascita di Cristo, 2) dal 1922, anno della marcia su Roma e della “rivoluzione fascista” e 3) dall’inizio dell’impero, che viene proclamato nel 1936.

I.9. Le leggi razziali.
Nel 1938 in Italia vengono emanate le leggi razziali, con il “Manifesto della razza”, redatto dal Ministero per la Cultura Popolare. Con queste leggi, studenti ed insegnanti ebrei vengono allontanati dalle scuole, dalle accademie12, dalle università, gli ebrei vengono esclusi dai pubblici uffici, dall’editoria, non possono pubblicare articoli o libri, ereditare patrimoni familiari, che vengono confiscati dallo Stato, non possono andare in villeggiatura, frequentare le piscine ed i giardini pubblici, avere personale di servizio ariano, non possono curarsi presso medici ariani. La vergognosa importazione delle leggi razziali in Italia, presenti in Germania fin dal 1935 con le leggi di Norimberga, fu un chiaro esempio di soggezione di Mussolini a Hitler. Fu redatta anche una rivista, “La difesa della razza”, redattore della quale, per alcuni anni, fu Giorgio Almirante, futuro segretario del M. S. I. (Movimento Sociale Italiano) dopo la seconda guerra mondiale.
Documento: “Manifesto della razza”.
L’ “importazione” delle leggi razziali in Italia avviene nell’agosto 1938 ed è la prova lampante dell’alleanza, sempre più stretta, tra Mussolini ed Hitler, che nel 1935 aveva infatti già emanato contro gli Ebrei le “Leggi di Norimberga”. Si nota una profonda ignoranza, in questa scrittura, sia storica che scientifica.
“Le razze umane esistono. L’esistenza delle razze umane non è già un’astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. […].
È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. […].
Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani”13.

I.10. La caduta del fascismo, l’armistizio e la Resistenza nel nord Italia.
Il 1° settembre 1939 Hitler, dopo essersi annesso l’Austria e la Cecoslovacchia, invade la Polonia: Francia ed Inghilterra dichiarano guerra alla Germania nazista (3 settembre), mentre l’Italia, militarmente impreparata al conflitto, rimane temporaneamente neutrale per entrare in guerra solo l’anno successivo (come, del resto, si era comportata anche nel I° conflitto mondiale, entrandovi nel 1915 e non nel 1914). Dopo una fase di ascesa per la Germania e l’Italia, seguono le catastrofiche sconfitte subite dall’asse “Ro-Ber-To” (Roma-Berlino-Tokio, data l’alleanza del Giappone dell’imperatore Hiro-Hito con Hitler e Mussolini, avvenuta dopo la distruzione, da parte giapponese, della flotta americana a Pearl-Harbour, nelle isole Haway, il 7 dicembre 1941) verificatesi tra il 1942 ed il 194314, che segnano la ‘svolta’ della seconda guerra mondiale dando così il via alla parabola discendente per la Germania e, di conseguenza, per l’alleato italiano.
Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo voto una mozione di sfiducia nei confronti di Mussolini: era la fine del fascismo. Tra coloro che votarono a favore c’era Galeazzo Ciano, ministro degli esteri e genero di Mussolini. Il potere viene dato al re Vittorio Emanuele III e Mussolini viene imprigionato a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, negli Abruzzi, ma dopo 45 giorni di prigionia “dorata” un gruppo di paracadutisti tedeschi libererà Mussolini e lo condurrà in Germania, ospite di Hitler. Il re affida il governo al generale Pietro Badoglio, filomonarchico che scioglie il P. N. F., ma vieta anche manifestazioni antifasciste: attua una politica ambigua ed oscillante, firma un armistizio con gli alleati il 3 settembre 1943, reso noto la 8 settembre, ma non fornisce indicazioni precise sulla condotta da tenere, sia per i civili che per l’esercito (cfr. il film “Tutti a casa”, con Alberto Sordi). Liberato Mussolini e trasferitolo in Germania, ospite di Hitler, i tedeschi occupano tutta l’Italia centro-settentrionale (l’Italia a sud di Roma era già stata liberata dallo sbarco americano avvenuto in Sicilia nel luglio 1943 grazie alla complicità con la mafia siciliana) combattendo contro lo stesso esercito regio italiano, di cui erano alleati. Mussolini torna in Italia e dà vita alla R. S. I. (Repubblica Sociale Italiana) o “Repubblica di Salò”, con capitale prima a Rocca delle Caminate, in Emilia-Romagna, e dopo poco a Salò, sul lago di Garda, insieme ai tedeschi: fu questo un esempio di asservimento del fascismo al nazismo. I nazisti, di fatto, comandano nel nord Italia, perseguitando e deportando gli ebrei, che prima erano discriminati, ma tollerati. Con il processo di Verona nel 1944 Mussolini fa condannare a morte il genero Galeazzo Ciano e tutti quanti lo avevano destituito, e ciò sarà causa della rottura di Mussolini con la figlia Edda: è stato Hitler a volere ciò, ed è questa un’altra prova della sudditanza di Mussolini ad Hitler. A partire dall’ottobre 1943 Badoglio dichiara guerra alla Germania e l’Italia è spaccata in due: la Repubblica di Salò al nord ed il Regno d’Italia o Regno del Sud al sud, con la presenza dei soldati anglo-americani. Napoli si libera spontaneamente dall’occupazione tedesca (cfr. il film “Le quattro giornate di Napoli”), mentre a Roma il comandante tedesco Kappler perseguita gli Ebrei.
Intanto nel Nord Italia si organizza la Resistenza al nazifascismo dei vari C. N. L. (Comitati di Liberazione Nazionale), organizzazioni della Resistenza che si estenderanno a tutto il centro-nord (il Sud iniziò ad essere liberato a partire dall’8 luglio 1943 con lo sbarco americano in Sicilia e quindi al Sud non si sviluppò mai la Resistenza antifascista) e che saranno formate dai sei partiti democratici ed antifascisti del futuro “arco costituzionale” (cioè i partiti che daranno vita alla futura Costituzione repubblicana del 1948): P. C. I., P. S. I., P. S. D. I., P. P. I, P. R. I., P. L. I.15 Il film di Roberto Rossellini “Roma città aperta” (con Aldo Fabrizi ed Anna Magnani) è stato girato a Roma nel 1945, subito dopo la liberazione ed illustra la resistenza civile ai nazisti. In seno alla Resistenza si distinguono due forme: una resistenza armata ed una resistenza civile. La prima è organizzata in Brigate Partigiane, come la Brigata “Garibaldi”, di orientamento comunista, la più forte e numerosa di cui faceva parte Nilde Iotti, futuro parlamentare del P. C. I.), la Brigata “Matteotti”, socialista, la Brigata “Giustizia e libertà”, repubblicana; vi sono altre brigate, di orientamento cattolico-liberale, ma decisamente minoritarie rispetto a quelle di sinistra. Talvolta queste brigate sono organizzate spontaneamente e si pongono in contrasto con la rigida gerarchia del Partito Comunista. Il partito comunista fu comunque la forza più attiva nella Resistenza. Nelle montagne i G. A. P. (Gruppi di Azione Patriottica) operavano con la guerriglia, soprattutto sulle Alpi, sulle montagne liguri e nell’appennino tosco-emiliano. Le brigate libereranno parecchie città del nord, ma il proclama del generale inglese Alexander invita i partigiani ad interrompere la guerriglia, preoccupato della predominante componente comunista all’interno della Resistenza. Ciò creò solo un momento di scompiglio e di crisi, ma di fatto il proclama di Alexander rimase ignorato e la Resistenza si organizza riprendendo la lotta. A partire dal 1944, il governo Bonomi, impegnato nella lotta di liberazione, riconobbe ufficialmente le forze partigiane. La Resistenza ebbe un carattere eterogeneo ed il rapporto tra le forze partigiane e la popolazione civile non fu sempre positivo a causa delle rappresaglie dei tedeschi, conseguenti alle azioni partigiane. Tra le stragi naziste più cruente, alla fine della guerra, si ricordino quelle di Sant’Anna di Stazzema, in Toscana, Marzabotto, in Emilia (tra le vittime qui vi furono tantissimi bambini), le Fosse Ardeatine, presso Roma, successive all’esplosione di un ordigno nascosto in un cassonetto dell’immondizia che provocò la morte di 33 tedeschi, per i quali vennero uccisi 335 civili del marzo 1944 ( i tedeschi avrebbero voluto inizialmente uccidere 15 italiani per ogni tedesco morto, ma le autorità fasciste di Roma riuscirono a convincere le S. S. a limitarsi a 10 esecuzioni per ogni tedesco ucciso). Altra strage fu quella di Cefalonia, in Grecia, ove i nazisti, subito dopo l’armistizio dell’ 8 settembre, imposero agli italiani, loro alleati fino a quel momento, di consegnare le armi e di arrendersi, ma furono comunque fatti tutti fucilare.
Storiografia: Claudio Pavone, “La scelta”.
Nel suo celebre saggio Una guerra civile (1991), lo storico marxista Claudio Pavone definì la Resistenza italiana come 1)una guerra patriottica di liberazione, 2)una guerra sociale, ma soprattutto 3)una guerra civile tra italiani. Fu soprattutto questa terza definizione a scatenare vivaci polemiche tra gli studiosi della Resistenza e la tesi di Pavone, un marxista “anomalo” e “critico”, fu più apprezzata dalla destra che dalla sinistra, in Italia, quando uscì il libro di Pavone, all’inizio degli anni ‘90: il pensiero di Pavone è stato infatti strumentalizzato per appiattire entrambi i fronti su un giudizio di generale condanna, che coinvolge partigiani e repubblichini. Chi fece comunque la scelta giusta, per Pavone, furono comunque soltanto i partigiani.
“La Resistenza fu la guerra tra italiani, tra fascisti ed antifascisti: l’odio tra italiani, tra partigiani e repubblichini, fu più feroce, a volte, di quello tra italiani e tedeschi. La definizione di Resistenza come guerra civile fu ben accetta subito dopo la guerra, negli anni ‘45-’60, durante i quali si insistette sul carattere sociale della Resistenza come lotta di classe. Repubblichini e partigiani si accusarono reciprocamente, con odio maggiore di quello tra italiani e tedeschi, di essere “nemici della Patria”: fu una guerra fratricida che vedeva giovani idealisti schierati su fronti opposti e talvolta schierarsi da una parte o dall’altra è del tutto casuale ed anche molti giovani repubblichini sono mossi da motivazioni idealistiche e credono, in buona fede, di poter riaffermare l’onore d’Italia combattendo a fianco della Germania e non si rendono conto che così facendo contribuiscono ad asservire sia l’Italia che lo stesso fascismo agli ordini del terzo Reich, che ha diviso gli italiani ponendoli in guerra tra loro, dopo averli trascinati in un assurdo conflitto mondiale. Chi fece “la scelta giusta”, non c’è dubbio, furono comunque solo i partigiani.
I francesi hanno riconosciuto la loro Resistenza come guerra civile, concetto che è stato invece stato rifiutato dai partigiani jugoslavi, mentre i caratteri della Resistenza jugoslava furono simili a quella italiana: il nemico interno fu assimilato a quello esterno e contro di lui fu legittimato l’uso della violenza. Fra i traditori vi furono poi quelli che, finita la guerra, dopo aver militato nella Repubblica Sociale (come il noto attore di teatro Dario Fo), si convertirono e si pentirono e tale “pentimento”, anche se non sincero, fu comunque meglio tollerato rispetto alla fede fascista, come è meglio tollerato un convertito rispetto ad un eretico impenitente. La Resistenza italiana non fu solo una resistenza armata delle brigate partigiane, ma anche una Resistenza civile, una guerra civile delle popolazioni contro il fascismo: la resistenza civile è la lotta della Nazione, del Popolo (sinistra) contro la Patria (destra). Molti giovani rifiutano la leva obbligatoria nella Repubblica di Salò e si danno alla macchia in montagna insieme ai Partigiani. Un triste esempio della lotta partigiana fratricida tra italiani avvenne il 7 febbraio 1945 in località Porzus, in Friuli, ove le brigate comuniste “Garibaldi” attaccarono e massacrarono la brigata partigiana “Osoppo”, cattolica, perché si era opposta alla cessione di alcuni territori friulani alla Jugoslavia di Tito. Le brigate partigiane furono infatti spesso divise da orientamenti differenti orientamenti politici, filo-sovietici i comunisti, filo-americani i cattolici”16.

I.11. L’Italia divisa: il Regno del Sud tra il 1943 ed il 1944.
L’armistizio dell’8 settembre crea un clima di sbandamento fra le truppe italiane, fino a poco prima alleate dei tedeschi, ma i tedeschi iniziarono a considerare gli italiani come nemici. Il re fuggì in Puglia e lasciò Roma nelle mani dei tedeschi, mentre Napoli si liberò eroicamente con le 4 eroiche giornate, nello stesso settembre 1943. Le “due Italie”, la Repubblica di Salò ed il Regno del Sud, avevano confini mutevoli a seconda degli spostamenti del fronte di liberazione anglo-americano. Gli alleati sbarcarono ad Anzio, nel Lazio, nel 1944, ed iniziarono a liberare tutta l’Italia centro-meridionale. Togliatti tornò dal lungo esilio in Unione Sovietica e con la “svolta di Salerno” nella primavera del ‘44 ribadì il suo appoggio al re e al governo Badoglio, rimandando alla fine della guerra il problema della scelta tra monarchia e repubblica, e questo nonostante la contrarietà della base del P. C. I., che voleva punire il re e Badoglio per l’appoggio dato al fascismo17. Nel 1944 gli alleati liberarono Roma: Kappler, capo delle S. S. di Roma, venne arrestato18, mentre la sua famiglia riuscì a fuggire in Svizzera, Paese neutrale. Con la presa di Roma da parte degli alleati, al governo Badoglio, dimissionario, seguì il governo Bonomi, ed anche il re Vittorio Emanuele III abdicò in favore del figlio Umberto II. Il governo Bonomi è moderato19, ma ottiene l’appoggio di Togliatti, che vuole mantenere unito il movimento antifascista, evitando nuovi dissensi tra comunisti e cattolici. Intanto si era formato, già nel 1944, ancora sotto la presidenza Badoglio, un primo governo di unità nazionale, costituito da tutti i partiti del C. N. L. (Comitato di Liberazione Nazionale), ovvero dai 6 partiti democratici antifascisti del futuro “arco costituzionale”.

I.12. La Repubblica nazifascista di Salò.
Nel centro-nord, durante la R. S. I. (Repubblica Sociale Italiana o Repubblica di Salò, dal nome della cittadina del lago di Garda, capitale della Repubblica), sulle montagne, come abbiamo visto, si era organizzata la Resistenza da parte delle varie Brigate Partigiane, mentre la politica della Repubblica Sociale, assoggettata i nazisti, si distinse subito per 1.l’antisemitismo;
2.una connotazione repubblicana ed anti-monarchica, in quanto si accusa la monarchia sabauda di avere passivamente accettato l’alleanza con i partigiani e l’invasione americana;
3.l’alleanza con la Germania nazista;
4.il recupero del carattere sociale del fascismo delle origini, unito al rifiuto del capitalismo e del liberismo, anche se quest’ultimo punto fu più terrorizzato che messo in pratica, come dimostra l’appartenenza a ceti medio-alti e nobiliari di molti ministri del governo della Repubblica Sociale.
Durante “i 600 giorni di Salò”, soprattutto nell’ultima parte di questo periodo, Mussolini è sempre più solo, avrebbe voluto addirittura concludere una pace con gli Alleati, all’insaputa di Hitler, ma non ci riesce: è un dittatore ormai deluso e rassegnato, assoggettato ad Hitler, sa di aver perso il consenso degli italiani, gli era morto in guerra, nel 1941, il figlio Bruno e la figlia Edda, dopo la fucilazione del marito Galeazzo, imposta da Hitler a Mussolini, ha chiuso ogni rapporto con il padre; dopo il suo arresto sul Gran Sasso, era stato liberato da commando di paracadutisti tedeschi, viene portato in Germania, “ospite” di Hitler, ma, da questo momento, sempre più dipendente da Hitler, mentre avrebbe preferito essere liberato dagli italiani.
Nell’aprile 1945 Mussolini viene arrestato dai partigiani a Dongo, sul lago di Como, e fucilato insieme all’amante Claretta Petacci, mentre stava viaggiando a bordo di un camion tedesco con l’intento di attraversare la Valtellina, ultima roccaforte della Repubblica Sociale in quanto ormai tutta l’Italia era stata liberata dagli Alleati e dalle forze partigiane, e di recarsi in Svizzera, per morire “con la faccia al sole”: l’idea romantica della “bella morte” era sempre stata cara a Mussolini. Fu invece fucilato dai partigiani insieme all’amante, i loro corpi furono poi appesi a testa rivolta verso il basso ad una pensilina di piazzale Loreto, a Milano: il luogo rivestiva una tragica importanza storica e simbolica, in quanto piazzale Loreto era stato luogo di eccidi fascisti verso i partigiani. In seguito, i corpi di Mussolini e della Petacci furono lasciati al linciaggio della folla, e questo fu una manifestazione indubbiamente poco civile, che dimostra soltanto l’esplosione di un odio covato da molti anni.

I.13. La fine della guerra.
Il 30 aprile 1945 Hitler si suicida a Berlino e lascia il comando a Karl Donitz, che il 7 maggio 1945 firma la resa incondizionata della Germania.
I Marines sono le truppe da sbarco americane, divenute leggendarie per i successi contro i giapponesi, che tuttavia reagiscono gli americani con i Kamikaze, aerei suicidi che si gettano, carichi di esplosivi, sulle navi e sugli obiettivi statunitensi. Allora il 6 ed il 9 agosto 1945 gli Stati Uniti, per volontà del nuovo presidente Harry Truman, sganciano 2 atomiche, rispettivamente su Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, uccidendo all’istante quasi 100 mila e 60 mila persone: gli effetti della delle bombe si sono avvertiti per successivi decenni (gli ordigni atomici erano stati sperimentati nel deserto del Nevada). Anche l’imperatore giapponese Hiro Hito, dopo la tremenda sconfitta, firma la pace e rinuncia ufficialmente all’origine divina della propria persona. La decisione di distruggere il Giappone fu presa da Truman mentre si trovava, nell’agosto 1945, a Potsdam, presso Berlino, per l’omonima conferenza, insieme a Winston Churchill ed a Joseph Stalin per stabilire la spartizione del mondo in zone d’influenza “coloniale” e gettare così le basi per un nuovo “conflitto”, la “guerra fredda”, che avrà inizio subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e termine soltanto nel 1989, con la caduta del muro di Berlino. Truman ricevette una telefonata dagli Stati Uniti, nell’agosto 1945, mentre si trovava in una seduta della conferenza di Potsdam, nella quale gli venne comunicato, in codice, che “il bambino era nato forte e robusto”, per avvertirlo dell’avvenuto sgancio della bomba su Hiroshima. Il Giappone e la Germania, nel 1945, furono ridotte a una larva: lo storico marxista Ernesto Ragionieri, negli anni ‘60, definì il secondo conflitto mondiale, per la Germania, una “seconda guerra dei trent’anni”.

I.14. Le foibe: una tragedia dimenticata.
Le zone di Trieste e dell’Istria erano state oggetto, dal 1943 al 1945, di un massacro da parte dei partigiani comunisti jugoslavi comandati dal generale Josip Broz Tito (futuro dittatore comunista della Yugoslavia), che identificarono gli “italiani” con i “fascisti”. Anche donne e uomini antifascisti, che tuttavia si erano opposti ad un’invasione jugoslava nelle zone del Friuli-Venezia-Giulia, intorno a Trieste, furono uccisi nelle carceri e nei campi di concentramento jugoslavi. Molti italiani “scomparvero” misteriosamente perché furono gettati, legati a gruppi di 3 o 4, nelle foibe istriane, profonde fenditure naturali presenti nel terreno carsico, per anche oltre 100 metri. Oltre 25.000 furono gli italiani vittime della tragedia delle foibe (la più famigerata delle quali fu quella di Basoviza, località montana a nord di Trieste, verso il confine jugoslavo): l’unica loro colpa fu quella di essere italiani. Molte vittime erano anche ebrei, scampati o fuggiti dai lager nazisti: tornati in Italia, furono paradossalmente accusati dai comunisti di Tito di essere fascisti. Sulla tragedia delle foibe (cfr. il film “Il cuore nel pozzo”), è da rilevare la gravità del silenzio e del negazionismo, da parte dei comunisti italiani, dell’esistenza di questi massacri fino agli anni ‘60 ed anche in seguito la storiografia marxista ha sempre misconosciuto questa tragedia. Tra le vittime, anche alcuni italiani fuggiti dai campi di concentramento comunisti della Yugoslavia. A riguardo, la storiografia marxista, culturalmente dominante dopo la fine della guerra, ha sostenuto che i profughi provenienti da quel “paradiso terrestre” che sarebbe stato il comunismo yugoslavo, erano dei fascisti compromessi con il regime di Mussolini ed i ferrovieri comunisti italiani ebbero gravi responsabilità, in proposito, respingendo in Yugoslavia i fuggiaschi al confine, nella piena consapevolezza del fatto che respingendoli in Yugoslavia equivaleva a condannarli a morte.

I.15. Dalla liberazione al primo governo De Gasperi.
Il 25 aprile 1945 viene ultimata la liberazione dell’Italia del Nord (con la presa di Milano e Torino), che passa sotto il controllo dei C. L. N. : la sede del governo fu fissata nella capitale, a Roma. Nazisti e repubblichini (così vennero chiamati gli aderenti alla R. S. I.) vengono arrestati, se non riescono a fuggire, ma vennero deluse, a guerra finita, anche molte aspettative delle sinistre, in quanto il governo Bonomi, ancora in carica nel 1945, aveva adottato una linea moderata. Tuttavia, nei confronti non solo di ex fascisti, ma anche di molti preti che non si erano impegnati nella Resistenza, non mancarono rappresaglie da parte di gruppi isolati di comunisti; nel 1944 il partigiano comunista Bruno Fanciullacci uccise a colpi di pistola il filosofo Giovanni Gentile di fronte alla sua abitazione a Firenze.
Al governo Bonomi, sempre nel 1945, seguì il governo di Ferruccio Parri, uomo del Partito d’Azione: Parri era una persona onesta e svelò i patrimoni economici che erano stati ‘imboscati’ dalla D. C. durante la guerra, ma la conseguenza fu che la D. C. ed il P. L. I. gli ritirarono la fiducia e le sinistre, ovviamente per motivi ideologici, non lo sostennero. A Parri successe il democristiano Alcide De Gasperi, che formò un governo di unità nazionale con tutti i sei partiti democratici ed antifascisti dell’arco costituzionale per poi però gettare le basi per una lunga egemonia democristiana in Italia ed un’alleanza internazionale con gli U. S. A., in funzione antisovietica.

I.16. Le interpretazioni sul fascismo.
Si possono attualmente distinguere le seguenti sei fondamentali interpretazioni storiografiche sul fascismo:1.fascista; 2.liberale; 3.socialista; 4.marxista o “terzinternazionalista”; 5.revisionista o “defeliciana”; 6.“bonapartista”.
L’unica interpretazione di parte fascista è quella di Gioacchino Volpe20, in cui si afferma che il fascismo, anche se fu erede del Risorgimento, ad esempio per quanto riguarda il concetto di “amor di patria”, lo superò nella concezione dello Stato: lo Stato liberale risorgimentale è debole e diviso, mentre quello fascista è unito e forte. Lo Stato fascista sarebbe quindi un perfezionamento di quello risorgimentale. Sulla stessa linea si colloca la tesi di Giovanni Gentile, fondatore dell’enciclopedia “Treccani” ed autore del “Manifesto degli intellettuali fascisti”21 datato 21 aprile 1925 (data che ricordava, in senso mistico, la mitica fondazione di Roma), nonostante il dissenso del filosofo neoidealista dai Patti lateranensi, definiti come una prostituzione dello Stato laico ed etico (proprio nella concezione hegeliana) alla Chiesa cattolica.
Tutte le altre critiche al fascismo sono invece di parte antifascista, sia pure con diverse sfaccettature. L’interpretazione liberale, con Benedetto Croce22 , Piero Gobetti 23 e Federico Chabod, definì il fascismo come una “malattia delle coscienze”, non erede del Risorgimento, ma del fallimento del Risorgimento; il regime fascista non era infatti riuscito a costruire uno Stato che fosse liberale e forte al tempo stesso. Secondo questa interpretazione liberale, il fascismo s’accattivò la fiducia delle masse difendendo il capitale e pretendendo di socializzarlo: il fascismo si mosse quindi all’insegna di profonde contraddizioni interne. In modo particolare secondo Gobetti il fascismo approfittò di una serie di difetti presenti nella società italiana, come il trasformismo e la pretesa industrializzazione da parte dello Stato.
L’interpretazione socialista di Gaetano Salvemini, lo storico meridionalista che aveva definito Giolitti come “ministro della malavita”, responsabile del malgoverno dell’Italia meridionale, vide invece la causa essenziale dell’avvento al potere del fascismo proprio nel malgoverno di Giolitti; come seconda causa, riscontrò alcuni errori dei socialisti massimalisti, come quello di non essere stati in grado di recepire le esigenze dei giovani reduci di guerra e di indirizzarli a sinistra e quello di avere “sbandierato a parole” una rivoluzione proletaria mai messa in pratica, con il solo risultato di avere spaventato la borghesia borghese di estrazione liberale, portandola verso quella destra dalla quale è nato appunto il fascismo.
L’interpretazione marxista o “terzinternazionalista” è sottoscritta da Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Angelo Tasca24 e, in tempi più recenti, Enzo Santarelli25: la tesi marxista sul fascismo è direttamente collegata alla III Internazionale e quindi all’azione dei partiti comunisti in Europa. Il fascismo è un fenomeno di decadenza, segno di corruzione dello Stato borghese Il fascismo è segnato da profonde contraddizioni interne che inevitabilmente lo condurranno alla fine; ha trovato una temporanea salvezza solo in una politica estera imperialistica ed in una politica interna totalitaria. Togliatti ha definito il
P. N. F. “un partito reazionario di massa”. Il fascismo fu, in sostanza, per i comunisti, il tentativo di opporsi alla rivoluzione proletaria.
Queste quattro interpretazioni sono dominanti fino agli anni ’60, periodo in cui nascono le prime tendenze revisionistiche: l’interpretazione defeliciana viene a collocarsi appunto su questa linea. Renzo De Felice, autore di monumentali ed attendibili biografie su Mussolini26, definì il fascismo come “rivoluzione della piccola borghesia in ascesa”, come una possibile “terza via” da intraprendere per la conquista del potere, alternativa a quella liberale ed a quella marxista. De Felice vide il fascismo come “l’espressione dei ceti medi in ascesa”, che diede a Mussolini l’opportunità di instaurare uno Stato forte, con il consenso dei nazionalisti della destra conservatrice, incrementato dalle imprese coloniali dell’Italia fascista, ma anche con il consenso dei proletari, poiché la politica economica fascista, con la “Carta del Lavoro”, difese i lavoratori dal liberismo, che propugnava invece l’assenza dello Stato in materia economica; la dittatura fascista ha inoltre avuto il merito di imporre i C. C. N. L., propugnando l’intervento dello Stato in materia economica e ricevendo il plauso di ex sindacalisti della C. G. L.27 Il corporativismo fascista fu inoltre per De Felice un fenomeno del tutto nuovo, che niente aveva a che fare con quello medievale; per questo il fascismo non ha cercato modelli nel passato, ma ha voluto costruire un uomo nuovo per una civiltà nuova, il fascismo fu quindi nel complesso un fenomeno moderno e rivoluzionario.
In Mussolini il fascista. L’organizzazione dello Stato fascista, Torino, Einaudi, 1968, De Felice riporta un documento di ex sindacalisti della CGL in cui si considera sostanzialmente positiva la politica economica del regime fascista: “La politica economica del Fascismo, per esempio, si identifica, sotto certi riguardi, con la nostra. Noi non eravamo d’accordo con lo Stato liberale per il suo non intervento nella attività economica […]. Il Regime fascista ha fatto una legge certamente ardita sulla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro. In quella legge vediamo accolti dei principi che sono pure i nostri. Finché durava lo Stato liberale, da una parte, e finché dall’altra gli operai rimanevano fermi nel loro misconoscimento dello Stato, una legge di tal fatta era improponibile. In tutti i paesi in cui è stata applicata la politica dell’intervento si è fatto qualche cosa che si avvicina al sindacato giuridico e alla magistratura del lavoro ed in Russia più che altrove. Dunque, nessuna opposizione di principio a questa riforma. Parimenti noi saremmo in contraddizione con noi stessi se ci ponessimo contro lo Stato corporativo o la Carta del lavoro, che il regime fascista intende realizzare. Basta richiamare i nostri voti e i nostri progetti del passato, per stabilire che siamo tenuti a contribuire con la nostra azione e con la nostra critica alla buona riuscita di tale esperimento”.
In Intervista sul fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1975, De Felice definisce il fascismo come la “rivoluzione” dei ceti emergenti:: “Il fascismo fu il tentativo del ceto medio, della piccola borghesia ascendente – non in crisi – di porsi come classe, come nuova forza. In questo senso il <> fu un tentativo di prospettare nuove soluzioni <> e <> […]. Checché dica tanta gente, secondo me sì: si può parlare (per il fascismo) di fenomeno rivoluzionario; però nel senso etimologico della parola, perché se si pretende di parlare di rivoluzione dando alla parola un valore morale, positivo o, ancor più, in riferimento a una concezione come quella leninista, allora è evidente che il fascismo non fu una rivoluzione. Ma secondo me è sbagliato applicare tale criterio a tutti i fenomeni. In questa prospettiva io dico che il fascismo è un fenomeno rivoluzionario […] che tende alla mobilitazione, non alla demobilitazione delle masse, e alla creazione di un nuovo tipo di uomo. Quando si dice che il regime fascista è conservatore, autoritario, reazionario, si può avere ragione. Però esso non ha nulla in comune con i regimi conservatori che erano esistiti prima del fascismo e con i regimi reazionari che si sono avuti dopo. […] I regimi conservatori hanno un modello che appartiene al passato […]. I regimi di tipo fascista, invece, vogliono creare qualcosa che costruisca una nuova fase della civiltà”.
In Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929 – 1936, Torino, Einaudi, 1974, Renzo De Felice sostiene che i primi anni ’30 furono quelli in cui il regime seppe catturare il consenso all’interno del Paese, grazie anche alla capacità dimostrata nel saper frenare le ripercussioni della crisi del’29; dal 1922 al 1929 il regime si era instaurato e consolidato e non c’era rischio di capovolgimenti, né sul piano internazionale, né interno, grazie ad una politica economica sociale; la conquista dell’Etiopia nel 1936, poi, rafforzò il consenso del duce sull’onda di entusiasmi nazionalistici ed imperialistici, volti alla conquista di un <> anche per l’Italia, bramosa di riscattare il massacro di Adua a cui l’aveva condotta Crispi. Scrive infatti De Felice: “Con la seconda metà del 1929 il regime fascista entrò […] in una nuova fase della sua storia, la fase che può essere definita della sua maturità. Almeno sul piano interno, esso aveva ormai fatto le sue scelte di fondo, aveva definito i suoi equilibri e il suo assetto, si era dato le sue strutture più caratteristiche […]. La situazione internazionale non era certo tale da mettere il regime in difficoltà. Quanto a quella interna, realisticamente bisogna dire che mai essa, pur con tutte le sue difficoltà (soprattutto economiche), fu per il regime tanto buona quanto durante il quinquennio successivo al <> e alla Conciliazione. In anni posteriori, specialmente sull’onda degli entusiasmi nazionalistici per la <>, il regime godette certamente ancora di grande prestigio. […]. L’autorità statale non era sostanzialmente messa in discussione dalla grande maggioranza degli italiani; il <> del fascismo era largamente accettato e non suscitava nei più contrasti tra il pubblico e il sovrano; la politica del regime nel suo complesso non appariva né pericolosa né irrazionale […]; il cittadino qualunque, <>, infine, aveva ancora relativamente pochi contatti diretti col partito, sicché la sua vita privata non ne era toccata – per il momento – che assai raramente e in maniera non pesante, sicché per esso i benefici, veri o presunti, che il regime gli procurava erano nel complesso maggiori degli svantaggi. E’ per questo che, volgendoci oggi indietro a considerare l’intero arco del periodo fascista senza altre preoccupazioni che quella di comprenderlo storicamente senza lasciarci suggestionare dal clamore che certe vicende suscitarono in Italia e all’estero, crediamo che – tutto considerato – sia giusto affermare che il quinquennio ’29-’34 fu per il regime fascista e, in sostanza, anche per Mussolini il momento del maggior consenso e della maggiore solidità”.
Al di là delle opinioni personali, va riconosciuta a De Felice la notevole serietà con la quale ha analizzato i documenti, che ha consentito la produzione di monumentali opere sul fascismo e sulla vita di Mussolini. La tesi defeliciana fu accusata di “revisionismo” in quanto gli storici oppositori di De Felice sostennero che i ceti medi erano in crisi, e non in sviluppo, e negarono il fatto che il fascismo potesse ottenere consensi tra le fila del proletariato, perché la politica economica del regime, dietro la pura demagogia della “Carta del Lavoro” nascondeva sempre l’intento di tutelare i privilegi dell’alta borghesia. Un’ultima interessante interpretazione sul fascismo è quella cosiddetta “bonapartista”, avanzata da August Talaimer: questa interpretazione considera il fascismo e la figura di Mussolini come una forma novecentesca, “in piccolo”, di bonapartismo, con riferimento a Napoleone III. Secondo Talaimer, storico comunista tedesco espulso dal partito, il fascismo si è presentato solo perché c’era il rischio di una rivoluzione proletaria, che era fortissimo dopo il biennio rosso. Talaimer ritenne però insufficiente la tesi marxista e cercò di superarla, e per questo fu espulso dal partito comunista tedesco. Talaimer ritiene quindi insufficiente, da un lato, la tesi marxista, e nega, dall’altro, l’interpretazione revisionistica di De Felice, perché la piccola borghesia non sarebbe stata la classe portavoce del fascismo, ma una classe sociale che doveva ancora trovare la sua posizione. La minaccia di una rivoluzione proletaria è quindi per Talaimer una della fondamentali cause dell’avvento del fascismo, definito “una controrivoluzione in ritardo”, perché si afferma quando la rivoluzione proletaria è già stata sconfitta. Talaimer esamina le categorie marxiane de Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte: sotto questo aspetto “il fascismo rappresenta tutti i ceti sociali, il popolo, la piccola borghesia, la media borghesia, la nazione intera. Questo era l’intento di Bonaparte: rappresentare la nazione francese. Bonaparte non può dar niente ad una classe senza prendere niente da un’altra. Crea l’ordine per eliminare l’anarchia, ma creando l’ordine, ricrea l’anarchia”28. Come quella defeliciana, anche la tesi bonapartista suscitò varie polemiche tra gli storici e fu negata, ad esempio, dallo storico marxista Salvadori29.

CAPITOLO II: CENNI SUI TOTALITARISMI IN PORTOGALLO, SPAGNA ED UNGHERIA.

II.1. La dittatura di Salazar in Portogallo.
Nel 1926 in Portogallo si era formato un governo dittatoriale e nel 1932 il potere era passato nelle mani di Antonio Salazar, che instaurò una dittatura simile a quella fascista in Italia. Il regime di Salazar cadrà soltanto con la “rivoluzione dei garofani” nel 1974. Salazar ottenne l’appoggio della Chiesa cattolica e riprese da Mussolini sia aspetti della politica economica, come il corporativismo fascista, sia della politica culturale, come l’introduzione del saluto romano. Durante la dittatura di Salazar nacque, nello studio di un avvocato londinese, Amnesty International (1961), che s’interessò al caso di due studenti, arrestati in un ristorante di Lisbona per aver brindato alla libertà. Amnesty International iniziò la sua attività caratterizzandosi per le petizioni e raccolte di firme inviate a capi di Stato, come strumento di pressione per l’abolizione della pena di morte (e la sua sostituzione con l’ergastolo) e della tortura in qualsiasi caso e per il rispetto dei diritti umani e della libertà di espressione ed opinione. Nel caso dei due studenti di Lisbona, l’azione di Amnesty International ebbe successo (sulla dittatura di Salazar si consideri l’ultimo film di Marcello Mastroianni, con lo stesso Mastroianni, “Sostiene Pereira”).

II.2. La guerra civile spagnola e l’instaurazione del regime franchista.
Tra il 1923 ed il 1930 la Spagna era governata dalla dittatura militare del generale Primo De Rivera, appoggiato dal clero, dall’esercito e dai proprietari terrieri (“tierratenientes”). L’opposizione era rappresentata dai socialisti nelle città e dagli anarchici, forti tra i contadini delle campagne; nel 1921, da una scissione con i socialisti, era intanto nato il P. C. E. (Partido Comunista Espanol), a capo del quale vi era una donna, Dolores Ibarruri, soprannomimnata “la pasionaria”, filosovietica (durante la dittatura di Franco andrà a vivere in Unione Sovietica, ospite di Stalin). Era solita affermare “Meglio morire sulle proprie gambe che vivere sulle proprie ginocchia”.
Nel 1936 si tennero le elezioni, che videro la vittoria dei socialisti, che proclamarono la Repubblica, in quanto il re Alfonso XIII aveva abbandonato il Paese, insieme a De Rivera, a causa di una gravissima crisi economica: le terre venivano infatti coltivate con mezzi arretrati e l’industria era quasi inesistente. Il nuovo governo repubblicano era un governo di coalizione, a maggioranza socialista, nel quale erano presenti varie forze di sinistra, compresa una minoranza di comunisti e di repubblicani. Il governo si distinse anche per una politica laica ed anticlericale e per una riforma agraria, attuata tuttavia molto lentamente. I contadini anarchici, scontenti del moderato governo di centro-sinistra, iniziarono a bruciare le chiese, ad uccidere preti, latifondisti, persino un deputato della destra monarchica. Città e campagne sono sconvolte da gravi disordini sociali. In questo contesto, un giovane generale, Francisco Franco, si pone alla testa dell’esercito, ribattezzato “falange”, ed inizia a stroncare anarchici, socialisti, comunisti in difesa dei latifondisti e della Chiesa cattolica. Dal 1936 al 1939 la Spagna fu dilaniata da una guerra civile30. I contadini anarchici, compresa la significativa presenza delle donne, si allearono con il governo social-comunista e repubblicano ed imbracciarono le armi per combattere contro i falangisti di Franco. Al fianco delle sinistre si schierarono anche poeti ed intellettuali. L’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler inviarono ingenti truppe ed armi a sostegno di Franco: la guerra civile era iniziata con lievi sconfitte dei falangisti, ma ben presto la situazione si ribaltò, perché l’aviazione tedesca (la “Luftwaffe”) bombardò e distrusse la città di Guernica nel 1937 e la disumanità della guerra civile è mirabilmente rappresentata nella celeberrima omonima tela del pittore spagnolo Pablo Picasso. Francia ed Inghilterra non intervennero, mentre l’Unione Sovietica si limitò ad inviare più armi che truppe a sostegno della sinistra repubblicana e socialcomunista. Da tener presente che nelle truppe di fascisti italiani inviati da Mussolini a sostegno dei falangisti vi erano molti contadini poveri, che avevano trovato un’occupazione al fronte e che combattevano contro altri contadini poveri, come testimonia il romanzo di Ernest Hemingway Per chi suona la campana? (cfr. anche l’omonimo film, con Gary Cooper ed Ingrid Bergman e, sulla guerra civile spagnola, si veda anche il film “Terra e libertà” di Ken Loach). Molti civili morirono nella distruzione di Guernica. A vantaggio di Franco hanno andò anche la spaccatura interna alla sinistra spagnola, oltre al modesto ed insufficiente ausilio sovietico. I comunisti spagnoli, numericamente superiori e più forti dei disorganizzati contadini anarchici, reprimono ed uccidono gli stessi anarchici, invece di combattere insieme i falangisti, perché i socialcomunisti, alleati ai repubblicani, cercano un’alleanza con tutte le forze moderate e non credono, a differenza degli anarchici, in spontanee iniziative di massa. Nel 1938 l’Unione Sovietica ritira le scarse truppe inviate e nel 1939, Franco, dopo aver preso Barcellona (“No paseran” gridavano inutilmente gli striscioni appesi per le strade di Barcellona, ripetendo il motto della Ibarruri), conquista anche Madrid, scatenando, soprattutto nella capitale, una feroce repressione di civili. A mezzo milione ammontano i morti di questa guerra civile, iniziata nel 1936 e conclusasi nel 1939 con l’instaurazione della dittatura di Franco, che guiderà la Spagna ininterrottamente fino alla sua morte, avvenuta nel 1975. La Chiesa cattolica spagnola e l’esercito aiutano Franco e sono corresponsabili della sua sanguinaria dittatura, simile a quella fascista di Mussolini. Franco ha infatti buoni rapporti con Hitler e Mussolini, e questo gli consente di rimanere neutrale durante la seconda guerra mondiale, in quanto il Paese, appena uscito da una guerra civile, era militarmente impreparato ad entrare in un conflitto di così ampie proporzioni.
Nel 1975 Franco muore e il nuovo re di Spagna Juan Carlos ha guidato, lentamente ed intelligentemente, la Spagna verso la democrazia, senza spargimenti di sangue, a differenza di quanto era accaduto in Italia dopo la liberazione dal fascismo nel 1945. Il Partito Comunista Spagnolo otterrà il 10% dei consensi alle prime elezioni libere spagnole, a soli 50 giorni dalla sua legalizzazione, con il segretario generale Carrillo che, insieme al Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer ed al Partito Comunista Francese di George Marchais, darà vita all’ “Eurocomunismo”, una via al socialismo autonoma rispetto a quella dell’Unione Sovietica ed ai Paesi dell’Est europeo, anche se sarà un tentativo di breve durata, che non arriverà mai a decollare.

II.3. Le “croci frecciate” in Ungheria.
In Ungheria si formò il partito delle Croci Frecciate, direttamente influenzato dal Partito Nazista e fortemente antisemita. Il diplomatico italiano a Budapest Giorgio Perlasca, per quanto membro del P. N. F., salvò molti ebrei offrendogli un nascondiglio presso l’ambasciata di Svezia, Paese neutrale, Dagli Ebrei, dopo la guerra è stato celebrato come un “Giusto” a Gerusalemme (cfr. i film “Giorgio Perlasca, un eroe italiano” e “Music box: prova d’accusa”).

CAPITOLO III: LO STALINISMO.

III.1. L’avvento di Stalin.
Nel 1924 muore Lenin31 e Stalin, dopo aver eliminato la concorrenza di Trotzkij, che sarà poi espulso dall’Unione Sovietica ed ucciso a Città del Messico nel 1940 da un sicario di Stalin, prende il potere. Stalin aveva anche eliminato la concorrenza di altri esponenti del P. C. U. S. (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), come Kamenev, Zinov’ev, Bucharin, che rappresentavano l’ala destra, più moderata. Contro Trotzkij, Iosif Vissarionovič (pseudonimo di “rivoluzionario”) Džugašvili Stalin (che in russo significa “uomo d’acciaio”) fece valere l’argomento della più lunga militanza nel P. C. U. S

III.2. La politica economica di Stalin.
Nel 1928, approfittando di una crisi cerealicola del 1927, Stalin pose fine alla N. E. P., la “Nuova Politica Economica” inaugurata nel 1921 dal Lenin, con la quale l’iniziativa privata, sia pure largamente minoritaria, era stata riammessa e grazie alla quale il Paese aveva ottenuto maggiori riconoscimenti ed apprezzamenti anche nell’Europa Occidentale, e diede il via al I° piano quinquennale, potenziando l’industria pesante e bellica. Si dice che la crisi cerealicola l’avesse probabilmente provocata lo stesso Stalin per trovare un motivo per porre fine alla N. E. P. Riassorbì quasi completamente, in poco tempo, la disoccupazione e fece dell’U.R.S.S. uno dei Paesi più industrializzati del mondo, insieme agli Stati Uniti ed all’Inghilterra.
I piani quinquennali (1928-33,1933-38, 1938-41, quest’ultimo interrotto nel giugno del 1941 a causa dell’invasione nazista del Paese, durante la seconda guerra mondiale) si propongono obiettivi programmati con rigide scansioni temporali, da raggiungere a qualsiasi costo: è un processo di “industrializzazione a tappe forzate”, ed anche se la propaganda sovietica fornisce dati superiori alla realtà, è indubbio che l’economia sovietica fa passi da gigante negli anni ‘30, nei settori agricolo, automobilistico, aeronautico, dell’industria pesante (siderurgica e meccanica). Nel 1938, alla fine del II° piano quinquennale, la disoccupazione è riassorbita completamente, mentre era un fenomeno vistosissimo appena 10 anni prima. L’Unione Sovietica diventa anche un Paese moderno, come dimostra la costruzione della metropolitana di Mosca, la più grande del mondo. Tuttavia la produzione industriale sovietica è più quantitativa che qualitativa, perché gli operai delle fabbriche sovietiche non sono operai specializzati, si tratta infatti spesso di ex contadini ‘arruolati’ nell’industria senza una qualifica specifica ed una preparazione professionale teorica (come accadde durante la rivoluzione industriale nell’Inghilterra del Settecento). I contadini vengono inquadrati in cooperative o gestite direttamente dallo Stato (Sofkov) o dai contadini stessi (Kolkoz), mentre i kulaki, che si rifiutavano di cedere le terre, vengono deportati nei gulag siberiani per lavorare oppure sterminati brutalmente.
Durante il I° piano quinquennale i kulaki vengono sterminati e indicati come i responsabili della crisi del Paese e vengono accusati di aver ridotto alla fame il popolo sovietico: il termine “kulako” diventa sinonimo di “reazionario” e di “nemico del popolo”. Contro i kulaki, Stalin scatena una vera e propria “caccia alle streghe”, in cui i kulaki diventano i ricchi da perseguitare. La classe sociale dei kulaki, fondata dal ministro di Nicola II Romanov, Stolypin, erano già stati perseguitati dal Lenin con il “comunismo di guerra” (che aveva caratterizzato l’economia sovietica dal 1918 al 1921, subito dopo la rivoluzione dell’ottobre 1917), ma lo stesso Lenin aveva nuovamente creato la figura dei kulaki nel 1921 con la N. E. P., che era un sistema di economia mista che ebbe effetti benefici in quanto riuscì a far migliorare l’economia complessiva del Paese. Accanto alle grandi arterie del sistema economico, che restavano statali, quali scuole, trasporti, poste, ospedali, banche, si concesse però anche un certo spazio all’iniziativa privata ed al commercio individuale, soprattutto nelle campagne, nelle quali i contadini, dopo aver ceduto la quasi totalità del loro raccolto allo Stato in cambio del salario, erano liberi di coltivare personalmente una parte dei prodotti e di venderli liberamente al mercato. Con la N. E. P. erano quindi ricomparsi i kulaki, che avevano fondato piccole cooperative private, incrementando l’agricoltura ed offrendo lavoro ai contadini poveri in un momento in cui la disoccupazione era un fenomeno molto diffuso. Ma nelle grandi città la situazione era sempre critica: le industrie statali, durante la N. E. P., non riescono ad assorbire la disoccupazione ed il clima generale è aggravato dall’inflazione. Anche se la N. E. P. non risolse tutti i problemi, fu comunque un esperimento che verrà apprezzato dai Paesi dell’Europa Occidentale, che iniziarono a stringere rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica. Ma la grave crisi del raccolto del grano del 1927 darà l’occasione per un ritorno alla lotta contro i kulaki, accusati di pensare soltanto ai loro privati interessi.

III.3. Il nuovo assetto internazionale dell’ U. R. S. S. e l’istruzione.
Nel 1936, sotto la dittatura di Stalin (1924-53), in Unione Sovietica viene emanata una nuova Costituzione, la terza, dopo quelle del 1918 e del 1924, decisamente antidemocratica, nonostante le apparenze. Il potere legislativo spettava al Soviet Supremo di Mosca (“Soviet” è una parola russa che significa “Consiglio”, nel senso di assemblea), una sorta di parlamento bicamerale eletto dai Soviet delle 11 repubbliche, che a loro volta erano eletti dai Soviet regionali, a loro volta eletti dai Soviet locali, a loro volta eletti a suffragio universale, comprese le donne, da tutti i cittadini maggiorenni. Il Soviet Supremo elegge nel suo seno i Commissari del Popolo, ovvero i ministri, che hanno potere esecutivo di governo, ed il Politburo, vale a dire l’Ufficio Politico del Partito Comunista Sovietico, che, al suo interno, elegge il segretario generale del Partito, che è anche capo del governo e presidente dell’Unione Sovietica. Il Soviet Supremo, di fatto, sottostava alle direttive del Partito Comunista, unico partito ammesso, e di Stalin: per contare nello Stato bisognava quindi rivestire ruoli importanti nel Partito. E’ questa la nozione di “Partito-Stato”, caratteristica di tutte le dittature. Il Soviet Supremo si riuniva, di fatto, pochissime volte l’anno, per ratificare le decisioni del segretario generale del Partito Comunista, ed i cittadini, come si è visto, eleggevano soltanto i soviet locali: è evidente il disegno demagogico che caratterizza la struttura della Costituzione sovietica, in cui il potere legislativo riveste un’importanza solo formale.
La Costituzione stabilisce che il lavoro è un diritto-dovere inalienabile, come la pensione, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, ma quest’ultima, nei gradi superiore ed universitario, solo per i meritevoli, mentre gli studenti non meritevoli sono avviati al lavoro (nelle scuole sovietiche non vi sono infatti ripetenti). Inizialmente le scuole sovietiche superiori non conoscono differenze di indirizzi: il piano di studi delle materie è identico per tutti gli istituti superiori, che assumono la denominazione di “licei”; solo in seguito si attueranno distinzioni tra licei, istituti tecnici e professionali e Stalin darà molto impulso proprio agli istituti professionali (più che ai licei), finalizzati alla formazione di operai specializzati, manovalanza fondamentale per il progresso dell’industria sovietica.

III.4. Dissenso e repressione. I gulag.
I dissidenti politici vengono perseguitati, torturati, uccisi, rinchiusi in campi di concentramento o in manicomio. La polizia di Stato che controlla i prigionieri nei gulag (letteralmente “campi di rieducazione”, ma in realtà sono campi di concentramento che divennero spesso, di fatto, campi di sterminio non molto dissimili da i lager nazisti) è la temibile Ceka, paragonabile alla Gestapo nazista. Stalin, ancor più di Hitler e Mussolini, promuove il culto della propria personalità, anche in campo artistico, e molti artisti dissidenti furono perseguitati. Artisti, scrittori e poeti dovevano adeguarsi ai canoni del “realismo socialista” predisposti dal ministro della cultura Zdanov. Tra gli scrittori perseguitati vi fu Alexander Solgenitsin, autore di Una giornata di Ivan Denisovic (ed. Mondadori, Milano), Arcipelago gulag, Divisione cancro. Liberato durante il disgelo da Sergeevic Nikita Kruscev, presidente dell’ Unione Sovietica succeduto a Stalin, Solgenitsin è morto, molto vecchio, recentemente, dopo che si era trasferito a vivere in Svizzera. Altri intellettuali perseguitati furono i fisici A. D. Sacharov, autore di Progresso, coesistenza e libertà intellettuale in U. R. S. S. in (ed. Longanesi, Milano) e Vladimir Bukovskij, liberato dopo 13 anni di prigionia in Siberia per aver violato l’art. 71 del codice penale sovietico, che prescriveva fino a 13 anni di prigionia per “propaganda antisovietica”. Anch’egli scomparso recentemente, era liberato in seguito allo scambio con il comunista cileno Luis Corvalan (che si recò a vivere in Unione Sovietica), segretario generale del partito comunista cileno, incarcerato e torturato per 3 anni (1973-75, ) durante la dittatura militare del generale Augusto Pinochet Ugarte.
Stalin è anche responsabile, durante la seconda guerra mondiale, delle prime sconfitte sovietiche contro i tedeschi nel 1941, perché aveva epurato molti validi generali dell’Armata Rossa, sostituendoli con uomini incapaci; in quanto ossessionato dall’idea del complotto e dal timore di perdere il potere, il sanguinario dittatore eliminava infatti periodicamente i suoi più stretti collaboratori.
Nei gulag staliniani erano rinchiusi alcuni milioni di prigionieri, in particolare sovietici. I gulag erano situati prevalentemente in Siberia, ove i detenuti erano costretti a lavorare con temperature polari nelle miniere e nelle cave di marmo e granito; i gulag erano già stati creati da Lenin. I detenuti trattati peggio erano i dissidenti politici, sebbene vi furono reclusi anche prigionieri comuni ed ebrei, perseguitati violentemente da Stalin nel 1952, con l’accusa di essere capitalisti alleati delle potenze occidentali. I prigionieri erano costretti ad un totale isolamento nella Siberia nord-orientale; Lavrentij Pavlovic Berja, eliminato da Kruscev subito dopo la morte di Stalin, era il supremo responsabile dell’organizzazione dei gulag e Stalin stesso lo aveva definito “il nostro Himmler”.

III.5. Il terrore staliniano e le “grandi purghe”.
Per i dissidenti politici furono istituiti i “tribunali del popolo”, costituiti da una commissione di funzionari del partito detta Trojka, di fronte alla quale nessuno era al sicuro: negli anni ‘30, in Unione Sovietica, s’ instaura il terrore e bastava un semplice sospetto per essere denunciati alla Trojka (sembra di rivivere i tempi dei tribunali rivoluzionari e della “legge dei sospetti” o del 22 pratile durante il terrore giacobino in Francia). Molti preti ortodossi furono perseguitati e molte chiese ortodosse furono chiuse o trasformate in campi di pattinaggio e di tiro con l’arco. Stalin si circondò di una “nomenclatura” di burocrati e fidatissimi, che periodicamente epurava, ossessionato dal timore di un complotto contro il suo potere assoluto. Furono celebrati gli “eroi del lavoro socialista”, come il minatore Stakanov, che in un giorno estrasse 14 volte la quantità di carbone che doveva estrarre da una miniera, e Morozov, un ragazzo di 14 anni che fece condannare a morte il padre, denunciandolo alla Trojka con l’accusa di avere nascosto e salvato dei kulaki, anche se Morozov fu poi misteriosamente ucciso e forse fu proprio Stalin il mandante dell’omicidio. La gioventù venne inquadrata in organizzazioni di partito (Komsomol), simili a quelle paramilitari nazifasciste e chiamata a celebrare il regime con manifestazioni di entusiastica solidarietà. Il periodo delle “grandi purghe” o “grande terrore” staliniano si colloca tra il 1936 ed il 1938: ex amici di Lenin e di Trotzkij vengono condannati a morte in spettacolari processi pubblici, con la solita vacua e retorica accusa di “nemici del popolo”, elementi antisovietici. Vengono eliminati anche dirigenti socialisti e comunisti fuggiti in Unione Sovietica durante il fascismo ed il nazismo, come l’ungherese Bela Kun. In Ucraina, su 200 membri del comitato centrale del partito comunista si salvano solo in 3 e nel 1934 a Mosca, dei 139 membri del comitato centrale del partito ne vengono arrestati e fucilati 97; 2000 scrittori vengono fucilati, altri si suicidano, altri ancora finiscono nei gulag per non essersi adeguati ai canoni del realismo socialista espressi da Zdanov nel 1934; 20.000 preti, in maggioranza ortodossi, vengono uccisi durante il regime di Stalin. Nel triennio 1936-38 le vittime del grande terrore sono in totale 700.000.
Nel campo di Kolyma, una zona dell’estremo nord ricca di miniere d’oro, i prigionieri politici lavorano 16 ore al giorno con 50-60 gradi sotto zero, svengono durante il lavoro, muoiono cadendo a terra per fame, freddo, epidemie, vestono casacche logore con impresso il numero di matricola. Da ricordare anche il campo di Kuryazov a Kharkov e la strage di Dubowska presso Noronesch ove, fra il 1937 ed il 1938, furono trovati 4000 crani di persone uccise con un colpo di arma da fuoco. Berja, il sovrintendente dei gulag, è uno spietato assassino, braccio destro di Stalin. Ai condannati a morte si sperimentano veleni chimici, come accadeva nei lager di Hitler. I gulag e di campi ed i campi di isolamento totale si trovano in Siberia, nel Kazakistan, nei monti Urali, le zone più impervie ed inabitabili dell’immenso Paese, nelle steppe, al confine con l’Asia. Molti prigionieri muoiono per congelamento durante i viaggi in treno, effettuati su carri bestiame, viaggi che duravano intere settimane, nel cuore dell’inverno.
Nei primi anni ‘40, 22.000 ufficiali polacchi furono uccisi con colpi di pistola alla nuca dai soldati sovietici nella foresta di Katyn (cfr. il film “Katyn”) e di questo massacro fu ingiustamente accusata, in questo caso, la Germania nazista e solo dopo la caduta del comunismo, negli anni ‘90, la Russia ha riconosciuto la propria responsabilità.
Nel 1952 Stalin scatena una violenta campagna antisemita, in particolare contro i medici ebrei: gli ebrei vengono esclusi dall’editoria, dalla cultura, dalla medicina e molti medici ebrei vengono uccisi, l’ebreo diventa il simbolo del capitalista avido di denaro e quindi controrivoluzionario. “Cosmopolitismo” è l’accusa che gli viene mossa, ovvero quella di essere in combutta con le potenze occidentali, e si ricordi che, paradossalmente, il cosmopolitismo era stata la bandiera politica dell’Illuminismo progressista. Anche i familiari dei dissidenti politici vengono perseguitati ed i loro figli vengono addirittura rieducati in orfanotrofi sotto falso nome.
La cultura, il cinema, la stampa, la scuola è nelle mani del partito-Stato. Si diffonde inoltre l’idea che il Paese sia accerchiato da nemici all’estero e da traditori all’interno, si diffonde la sindrome del complotto controrivoluzionario, come si evince dagli articoli 58 e 71 del codice penale sovietico. Al pari di Hitler e più di Mussolini, Stalin promuove il culto della propria personalità, è considerato l’unico depositario del “marxismo-leninismo” (che è proprio un dizione staliniana), “piccolo padre di tutti i russi”, degli operai, dei contadini, dei minatori, dei bambini, come dimostrano le fotografie e i documentari di propaganda del regime. E’ il leader del proletariato mondiale, ma anche il carnefice.
Un ex deportato sovietico del lager nazista di Buchenwald, Andrei Kaminski, poi detenuto nei gulag di Stalin, scrisse che “non c’era differenza tra lager e gulag, ovunque ci sono fili spinati, torrette di controllo, kapò; sia nei lager anche nei gulag i prigionieri sono costretti ad assistere alle orchestrine che suonano durante le esecuzioni pubbliche e sui cartelli di ingresso dei campi dominano scritte inneggianti al lavoro ed al socialismo”. Scopo di Stalin è industrializzare tutto il Paese, anche zone inospitali, senza pagare manodopera e spendendo pochissimo per la sua sussistenza.
Il 5 marzo 1953 muore Stalin e gli succede Malenkov, dal 1953 al 1955; soltanto nel 1956 con Kruscev e con il XX° congresso del partito, i gulag saranno sostanzialmente smantellati ed i prigionieri saranno rilasciati in questo clima di ‘destalinizzazione’ e di disgelo, anche se tale “disgelo” conoscerà gravi contraddizioni interne, come dimostrato dall’invasione dei carri armati sovietici in Ungheria nell’ottobre 1956 e dal divieto imposto allo scrittore Boris Pasternak di recarsi a Stoccolma a ritirare il premio Nobel per la letteratura per Il dottor Zivago.
Soltanto Michail Gorbaciov, alla fine degli anni ‘80, con la svolta riformatrice, la ‘Perestrojka’ (termine russo che significa “rinnovamento”) attuerà una completa liberalizzazione del Paese.

Documento.
1. I. V. D. Stalin – S. Kirov – A. Zdanov, “Osservazioni sul manuale di storia moderna”.
Premessa: questo documento, risalente al 1934, contiene le ‘istruzioni’ con le quali doveva essere redatto il manuale di storia moderna nelle scuole, sia per quanto concerne i contenuti che la terminologia da utilizzare, entrambi ispirati ai canoni del “realismo socialista”. E’ firmato da Stalin, Kirov e Zdanov: Kirov sarà misteriosamente assassinato pochi mesi dopo, mentre Zdanov sarà destinato a diventare il massimo responsabile della politica culturale sovietica.
“Dato che la storia moderna, la più ricca di contenuto, è assai densa di avvenimenti e dato inoltre che il fatto più importante della storia moderna dei Paesi borghesi, considerando il periodo antecedente la rivoluzione di ottobre in Russia, è la vittoria della rivoluzione francese e l’instaurazione del capitalismo in Europa ed in America, pensiamo sarebbe meglio che il manuale di storia moderna si aprisse con un capitolo dedicato alla rivoluzione francese. Per collegarsi con gli avvenimenti precedenti, si può premettere una breve introduzione, esponendo sinteticamente gli eventi principali delle rivoluzioni olandese ed inglese e rinviando l’esposizione particolareggiata di queste due rivoluzioni alla fine del manuale di storia del Medioevo. […].
Riteniamo che il difetto principale del manuale consista nel fatto che non vengano sottolineate sufficientemente la differenza e l’antitesi tra la rivoluzione francese (borghese) e la rivoluzione di ottobre in Russia (socialista). Filo conduttore di un manuale di storia moderna dev’essere precisamente quest’antitesi tra la rivoluzione borghese e la rivoluzione socialista. Dimostrare che la rivoluzione borghese in Francia (così come ogni altra rivoluzione borghese), dopo aver liberato il popolo dalle catene del feudalesimo e dell’assolutismo, gli ha imposto nuove catene, le catene del capitalismo e della democrazia borghese, mentre la rivoluzione socialista in Russia ha spezzato tutte le catene senza eccezione ed ha liberato il popolo da ogni forma di sfruttamento: questo dev’essere il filo conduttore del manuale di storia moderna. Non è pertanto ammissibile che la rivoluzione francese venga definita semplicemente <>, ma deve essere definita e trattata come rivoluzione borghese.
Allo stesso modo non si può definire semplicemente <> la nostra rivoluzione socialista in Russia, ma dev’essere definita e trattata come <>, come <>. […].
Riteniamo opportuno dividere la storia moderna in tre parti.
La prima va dalla rivoluzione borghese in Francia alla guerra franco-prussiana ed alla Comune di Parigi (escluse). E’ questo il periodo della vittoria e dell’instaurazione del capitalismo nei Paesi avanzati.
La seconda va dalla guerra franco-prussiana e dalla Comune di Parigi alla vittoria della rivoluzione d’ottobre in Russia ed alla fine della guerra imperialistica (incluse). E’ questo il periodo della decadenza iniziale del capitalismo, del primo colpo assestato al capitalismo da parte della Comune di Parigi, della trasformazione del vecchio capitalismo della libera concorrenza in imperialismo e nell’abbattimento del capitalismo nell’Urss sotto i colpi della rivoluzione d’ottobre, che ha aperto una nuova era nella storia dell’umanità.
La terza va dalla fine del 1918 (anno della fine della guerra) alla fine del 1934. E’ questo il periodo dell’imperialismo postbellico nei Paesi capitalistici, della crisi economica e politica in questi Paesi, il periodo del fascismo e delle lotte per le colonie e le sfere di influenza e nello stesso tempo il periodo del primo piano quinquennale e dell’inizio del secondo piano quinquennale nell’Urss, dell’edificazione vittoriosa del socialismo nel nostro Paese, il periodo in cui vengono estirpati gli ultimi residui di capitalismo, il periodo della vittoria dell’industria socialista nell’Urss e della vittoria del socialismo nelle campagne […].
E’ bene eliminare dal manuale anche alcuni vecchi termini banali come <>, <>. E’ meglio sostituirli con i termini <> o, meglio ancora, <>; invece di <> è bene dire <>“32

CAPITOLO IV: IL NAZIONALSOCIALISMO E LA SHOAH.

IV.1. La nascita della Repubblica di Weimer.
Sulle ceneri del II° Reich Guglielmino, in Germania viene proclamata la Repubblica, che prese il nome di Repubblica di Weimar nel 1918, dalla denominazione della città in cui fu redatta la Costituzione. Il governo fu affidato al socialdemocratico Ebert, ma la Repubblica aveva solo apparentemente una forma moderata e socialdemocratica, in realtà manteneva inalterate, come nell’esercito, le vecchie strutture burocratiche imperiali. Ebbe quindi un carattere reazionario e conservatore, unito ad una fragilità politica interna.
In questo contesto, i socialisti massimalisti stavano costituendo strutture simili ai Soviet in tutte le città tedesche; nel 1918 nacque a Berlino la “Lega di Spartaco”, un movimento di ispirazione comunista, con a capo Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht (cfr. il film “Rosa L.”), che furono uccisi in seguito ad una manifestazione di protesta. La Repubblica di Weimar fu uno Stato presidenziale: il Presidente della Repubblica veniva eletto dal popolo e, dopo Ebert, nel 1919, si formò un governo di coalizione, che nello stesso anno fu costretto a firmare l’umiliante pace di Versailles. Seguirono una serie di governi di coalizione piuttosto deboli ed instabili, che per avere la maggioranza parlamentare non riuscirono mai ad attuare le necessarie riforme sociali, di fronte ad una crisi economica aggravata dai debiti di guerra, imposti dalla pace di Versailles. La Repubblica di Weimar è una repubblica presidenziale federale, costituita da 17 landern (territori regionali). Fu istituito il suffragio universale, anche femminile.
Il marco tedesco crollò e ripresero forti le tensioni tra estremisti di destra e comunisti, con violenti scontri di piazza. L’estrema destra fu organizzata da Adolf Hitler, un giovane disoccupato, un caporale reduce di guerra, nelle birrerie di Monaco di Baviera, tra le quali la “Hoffbrauhaus”, con discorsi in stile paramilitare, come gli squadristi fascisti in Italia; tali organizzazioni presero il nome di “camicie grigie” o S. A. (“Squadre d’Assalto”), comandate da Romm. Nel 1920 Adolf Hitler, un giovane reduce austriaco della grande guerra, decorato con croce di ferro su proposta di un ufficiale di origine israelita, fondò il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi (N. S. D. A. P.), fondendo nazionalismo, socialismo, antisemitismo, antidemocrazia in un confuso programma politico. La notte tra l’8 ed il 9 novembre 1923 tenta un colpo di Stato, il putsch di Monaco, ma fallì e fu condannato a 5 anni di carcere, ma scontò di fatto soltanto 9 mesi ed ebbe la compagnia volontaria di un suo fedele seguace, Rudolf Hoss, a cui dettò il Mein Kampf (La mia battaglia), in cui gettava le basi del suo programma per la Germania. Dopo il 1923 in Germania si formò il governo Stresemann e la situazione economica migliorò anche grazie agli aiuti americani. Il governo Stresemann era un esecutivo di coalizione che faceva gli interessi degli industriali, riprese il dialogo con le potenze straniere, come la Francia, ma tale politica di distensione non piacque alla destra nazionalista filo-hitleriana. Nel Mein Kampf sono già presenti, in embrione, i punti del programma hitleriano:
1.unificare i tedeschi, ritenuti un popolo superiore a qualsiasi altro, da impurità razziali, come quelle ebraiche;
2.gli Ebrei sono accusati di essere responsabili della crisi economica tedesca (in seguito saranno accusati di essere i responsabili della guerra); gli Ebrei vengono definiti “più anti-tedeschi degli Inglesi”;
3.la Repubblica di Weimar viene accusata di avere passivamente subito alla pace di Versailles, troppo punitiva ed umiliante per la Germania;
4.unificare tutti i popoli europei di lingua tedesca in un unico Stato-nazione, sotto il comando tedesco;
5.ricerca, per i tedeschi, di una necessario spazio vitale ad est, in Europa, con conseguente guerra ai popoli slavi, come i polacchi, considerati inferiori ai tedeschi e di poco superiori agli Ebrei (vengono definiti infatti “Untermenschen”, cioè “sotto-uomini”); Hitler teneva infatti in maggiore considerazione gli inglesi ed i popoli scandinavi;
6.guerra all’Unione Sovietica, in quanto i bolscevichi sono i migliori alleati degli Ebrei (Hitler parla in proposito di “complotto giudaico-bolscevico”);
7.rifiuto della democrazia;
8.vi sono razze superiori, più forti, destinate a dominare, e razze inferiori, più deboli, condannate ad essere comandate;
9.solo la razza superiore può violare le norme morali, se queste costituiscono un pericolo per la purezza e la sopravvivenza della razza superiore;
10.una razza contaminata da matrimoni misti e dal sangue di un nero sarebbe una catastrofe per l’intera umanità.
11.se perisse la razza ariana, perirebbe l’intera civiltà;
12.tra i popoli di razza ariana, i tedeschi sono gli unici superiori;
13.La purezza del sangue va preservata, per l’esistenza degli uomini migliori;
14.i matrimoni misti sono come “l’incrocio tra l’uomo e la scimmia”: si nota come le affermazioni di Hitler siano allucinanti, sia sul piano morale che su quello scientifico.
Per Hitler la razza è un elemento fondamentale nella visione del mondo e dell’umanità: un peccato di razza è un peccato di sangue e nessun nazista, per questo, violenterà mai una donna ebrea.

IV.2. La fine della Repubblica di Weimer e l’avvento del nazismo in Germania.
Grazie al piano Dawes, un progetto americano di aiuti economici alla Germania, con il governo Stresemann la situazione economica nella Repubblica di Weimar conobbe un certo miglioramento, anche se la Germania non sarà mai in grado di pagare completamente i debiti di guerra. Tuttavia la terribile crisi economica del ‘29 ebbe nefaste ripercussioni in Europa ed anche il marco tedesco, che si era risollevato grazie al piano Dawes, crollò.
Il presidente della Repubblica era Hindemburg, un conservatore di centro che non fu in grado di arginare le forze estremiste, sia di destra che di sinistra, e gli scontri di piazza. In questo contesto Il programma di Hitler, chiaro, semplice e violento, trovò ampi consensi: lotta agli Ebrei, al comunismo, alla democrazia liberale capitalista, ai governi deboli, responsabili della pace di Versailles, pienamente accettata ed umiliante per il popolo tedesco, che doveva invece trovare la forza per riscattarsi. Le elezioni del 1928 vedono il successo dei socialdemocratici e una debole affermazione dei nazisti, che tuttavia accoglievano anche i disoccupati, sempre crescenti. Hitler seppe interpretare il malumore della piazza, agitando la bandiera della razza ariana, ed anche la chiesa luterana tedesca appoggiò Hitler. Anche il nazismo, come il fascismo, si caratterizza fin dall’inizio per la violenza e, come il fascismo, fu sottovalutato dalle autorità. Nel 1932 in Germania ci sono 6 milioni di disoccupati. Hindemburg scioglie il Parlamento e indice, nello stesso anno, due tornate elettorali con il sistema proporzionale, ma non ne esce alcuna maggioranza stabile: nasce il governo Von Papen, di destra, mentre centro-destra e centro-sinistra perdono voti a vantaggio degli estremi, nazisti e comunisti. Hitler nei suoi discorsi promette pane e lavoro e la gente lo ascolta, come anche Hindemburg, che nel 1933 lo nomina cancelliere, ovvero primo ministro: il 1933 è l’anno della fine della Repubblica di Weimer e della “morte dello Stato di diritto” in Germania, è l’anno di “una rivoluzione che vuole spacciarsi per legale”. Anche la Chiesa cattolica tedesca, in questa situazione, non ostacolò l’ascesa al potere di Hitler.

IV.3. La nascita del III° Reich: 1933-34.
Nelle elezioni del 1933, tenute in un clima di intimidazioni e violenze, Hitler conquista la maggioranza assoluta dei seggi e nello stesso anno incendia il Reichstag (il Parlamento), dandone la colpa ai comunisti e trovando come capro espiatorio un povero comunista olandese malato di mente, che viene immediatamente condannato a morte. Hitler crea la Gestapo, la polizia politica segreta, con lo scopo di individuare gli oppositori del nazismo ed il 30 giugno 1934, con la “notte dei lunghi coltelli”, elimina nel sonno le S. A. (“Squadre d’assalto”), che stavano interpretando in senso troppo socialista il programma di Hitler, sostituendole con le S. S., le Schutzstaffeln (“Squadre di sicurezza” o “difesa”), abolisce tutti i partiti, tranne quello nazista, abolisce i sindacati, inquadrando i lavoratori nel “Fronte del Lavoro”, uno strumento simili alle corporazioni fasciste, modifica la Costituzione, imbavagliando il Parlamento e conferendo più potere all’esercito, perseguita i comunisti, accusati di avere incendiato il Parlamento, si fa chiamare “Fuhrer” cioè “guida”, come Mussolini si faceva chiamare “Duce”, abolisce la libertà di stampa e di riunione, considerata pericolosa, si attribuisce poteri eccezionali. Il cancelliere ha ormai pieni poteri: è capo del governo, segretario generale del partito nazionalsocialista dei Lavoratori tedeschi e, dopo la morte di Hindemburg, avvenuta nel 1934, si proclama Presidente della Repubblica, anche se tra Hitler ed Hindemburg non c’era mai stata una grande reciproca stima. Con la morte di Hindemburg, dopo il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, degli Ottoni, dei Sassoni e degli Svevi, dopo il II° Reich di Guglielmo I Hoenzollern e di Guglielmo II, è morta la Repubblica di Weimar ed è nato il III° Reich, nello stesso 1934.

IV.4. Lo Stato totalitario in Germania, l’antisemitismo e la politica interna di Hitler.
A differenza di Mussolini, Hitler impiega molto meno tempo ad instaurare il regime per 2 motivi: Mussolini aveva impiegato 10 anni (1919-29), Hitler ne impiega 3 (1932-34), questo perché 1)la Germania, alla fine degli anni ‘20, è scossa dalla crisi del ‘29, mentre in Italia, alla fine degli anni ‘20, la crisi non aveva tali proporzioni, e la crisi economica è un fattore di proteste popolari che avvantaggia le forze populiste, come appunto il neonato partito nazista; 2)Mussolini, a differenza di Hitler, è costretto a scendere a patti con la monarchia, l’esercito e la Chiesa cattolica, mentre Hitler non deve rapportarsi alla Chiesa cattolica, né ad un re, la Chiesa protestante era già dalla sua parte e non rivestiva, nel popolo tedesco, la medesima importanza che aveva la Chiesa cattolica per gli italiani. L’esercito, di conseguenza, appoggiava Hitler, non avendo un sovrano a cui fare riferimento, e la Repubblica di Weimer era ormai in cenere. A questi due motivi se ne aggiunge un terzo, questo presente anche in Italia, ovvero la paura del comunismo da parte di industriali e proprietari terrieri e l’incapacità dimostrata, in Germania dai governi socialdemocratici come quello di Ebert, ed in Italia dai governi liberali, di far fronte alla grave situazione economica.
L’ideologia hitleriana risente della concezione darwiniana di “selezione naturale” e nei suoi comizi Hitler agita la bandiera della razza ariana, minacciata dalle “razze inferiori”, come Ebrei e slavi. Esalta il mito della terra, fraintendendo volutamente la filosofia di Nietzsche, e sostiene che i tedeschi sono i “più puri” tra i popoli ariani. La donna, nel regime nazista, è riportata alla vita domestica e posta su un gradino intermedio tra gli uomini ed i “sotto-uomini”. I sovietici hanno avanzato l’emancipazione della donna e sono quindi un “popolo di femminucce”. Gli Ebrei capitalisti, proprietari delle grandi banche tedesche, sono additati come responsabili della crisi economica e della degenerazione morale della Germania. Con l’avvento di Hitler al potere, scrisse Goebbels, ministro della cultura, “il 1789 era stato definitivamente cancellato dalla storia”. Già nel Mein Kampf si legge il desiderio di eliminare gli Ebrei con il gas (sarà usato lo “Zyklon B”), perché gli Ebrei non sono tedeschi, ma il nemico primo da odiare e da combattere, ancor più dei comunisti. La democrazia parlamentare, afferma esplicitamente Hitler, dev’essere abrogata perché ha condotto la Germania allo sfascio della pace di Versailles. Il programma antisemita di Hitler sarà redatto da Rosemberg, intellettuale del nazismo e teorico della “razza pura” (“preistoria teutonica” e “teoria razziale” sono due materie insegnate nelle scuole tedesche durante il nazismo). Nessuno spazio è lasciato all’individuo: tutto deve sottostare allo Stato. Hitler impone, come Stalin, il culto della propria personalità: è il “Fuhrer”, che corrisponde al “Piccolo Padre” nell’Unione Sovietica di Stalin e al “Duce” nell’Italia mussoliniana. Il partito nazista, come il P. C. U. S., è organizzato in modo burocratico, gerarchico, piramidale, con “capi” e “capetti”, senza democrazia interna. La tattica ed i metodi usati sono il terrore e la violenza. Gli Ebrei, in base alle leggi di Norimberga del 1935, non potevano possedere proprietà, contrarre matrimoni con gli ariani, avere domestici ariani, possedere una radio, esporre i colori del Reich, lavorare nella pubblica amministrazione, andare a scuola, dovranno infine essere sterilizzati.
Tra il 9 ed il 10 novembre 1938 si verificò la “notte dei cristalli” (Kristalnacht”): vennero distrutti i negozi degli Ebrei, incendiate le sinagoghe, vi furono migliaia di feriti, circa 40 morti e migliaia di deportati nei lager. Circa 7000 case e negozi furono distrutti in tutta la Germania (cfr. il film “Olocausto”, con Meryl Streep).
In Germania il regime nazista abolì il diritto di sciopero e come Mussolini, anche Hitler inquadrò la gioventù in un’organizzazione paramilitare, la “Hitlerjugend” (“Gioventù hitleriana”); molti intellettuali ebrei, come Freud ed Einstein, nella fase iniziale del nazismo, emigrarono in America. Hitler potenziò l’industria pesante, a fini bellici, e rese obbligatorio il servizio di leva. Nel 1933 la Germania uscì dalla Società delle Nazioni rompendo i legami politici con Francia ed Inghilterra. I libri considerati anti-nazisti furono bruciati: tristemente famoso è il rogo dei libri a Berlino nel 1933, nella piazza di fronte alla Von Humboldt Universitat”, dove aveva insegnato Hegel. Tale rogo sarà ripetuto anche nelle principali città tedesche. Il regime disprezzò la cultura e gli intellettuali. Nel 1935 la Germania inizia il riarmo, impiegando così molta manodopera e sopperendo al problema della disoccupazione. Dal 1934 al 1938, in 4 anni, la Germania doveva, secondo Hitler, essere pronta per una guerra: è lo stesso obiettivo di Mussolini, ma l’Italia, a differenza della Germania, non sarà mai pronta ad affrontare un secondo conflitto mondiale e gli italiani vivono nell’illusione di poter vincere la seconda guerra mondiale come hanno vinto la prima. Intellettuali come Einstein, Freud, Thomas Mann (l’autore de La montagna incantata), il regista Fritz Lang, l’attrice Marlene Dietrich lasciano la Germania. Vengono bruciati i testi di scrittori ebrei come Marx, Brecht, Freud, Einstein, Mann, Herman Hesse (l’autore di Siddartha e de Il lupo nella steppa), lo stesso Freud, in seguito all’occupazione tedesca dell’Austria avvenuta nel 1938, dovrà lasciare la sua patria ed emigrare in America. Viene censurato, per il suo contenuto antibellicistico, il romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale, scritto da Enrico Maria Remarque, soldato tedesco (di origine francese, come si evince dal cognome) al fronte durante la prima guerra mondiale. Accanto alle S. S. viene creata la GESTAPO, la polizia politica segreta, che attua una capillare operazione di spionaggio, per cui ogni cittadino vive nella paura e nel sospetto di essere spiato, ovunque, per telefono come nei luoghi di lavoro o con il vicino di casa. Dachau, presso Monaco, è il primo campo di concentramento, in cui vengono rinchiusi inizialmente molti tedeschi, anche chi ha rifiutato un lavoro offertogli dallo Stato: essere disoccupati è considerato un reato. Anche alcuni nazisti denunciarono la sopraffazione, da parte della GESTAPO e delle sue torture, di ogni forma di giustizia, soffocata dalla polizia di Stato.
Nel 1936 a Berlino si svolgono le Olimpiadi: Hitler, per evitare di stringere la mano al nero Jesse Owens, vincitore per 3 volte di una gara di corsa, per 3 volte abbandonerà lo stadio.
Una differenza tra lager e gulag è che nei gulag staliniani la stragrande maggioranza dei prigionieri è sovietica, mentre nei lager tedeschi i deportati sono, molto spesso, soprattutto durante la seconda guerra mondiale, stranieri.
Stampa, scuola, radio, università, ogni mezzo di cultura e di comunicazione è asservito al regime, al Partito-Stato nazista, e mentre il filosofo esistenzialista Martin Heidegger aderisce spontaneamente al nazismo, il poeta romantico tedesco Wolfang Goethe e filosofi come Fichte, Hegel, Nietzsche vengono strumentalizzati a tal punto da essere considerati precursori dell’ideologia nazista. In Germania Hitler cerca di “narcotizzare” i tedeschi diffondendo l’idea che gli Ebrei non sono tedeschi e sono invece nemici del popolo tedesco e, come Mussolini, garantisce vacanze popolari e soprattutto un’automobile utilitaria a basso costo, per il popolo, appunto la Volkswagern (“macchina del popolo”).

IV.5. I principali lager nazisti in Europa.
a) In Germania: Dachau (presso Monaco, è stato il primo lager ad essere costruito), Buchenwald, Bergen Belsen (qui morì Anna Frank), Sachsenhausen.
b) In Cecoslovacchia: Theresienstadt (ovvero “città di Teresa”, noto come “la città che Hitler regalò agli Ebrei, presso Praga, in Boemia, attuale Repubblica Ceca, era un campo di “smistamento” dal quale passavano molti artisti).
c) In Austria: Mauthausen, Baden.
d) In Italia: la risiera di San Sabba (presso Trieste).
e) In Polonia: Auschwitz-Birkenau (vi era anche una terza sezione del campo, Monowitz, che non ci è pervenuta perché distrutta), Plaszow, Treblinka, Sobibor (distrutto dagli stessi nazisti per vergogna dopo una celebre fuga di soldati sovietici che vi erano deportati).

IV.6. L’antisemitismo nella storia.
Il termine “antisemitismo” è entrato nell’uso negli ultimi decenni dell’Ottocento; gli ebrei, nel corso della loro plurimillenaria storia emigrarono fin dal VI sec. a. C., rimanendo sempre legati agli ideali di fedeltà tradizionale della loro legge (Torah) ed alla promessa divina di essere ricondotti in Palestina, l’antica terra dei padri.
Presso i greci ed i romani, nonostante il loro monoteismo, gli ebrei furono tollerati.
Con Costantino la situazione cambiò: i cristiani accusarono gli ebrei di essere un popolo “deicida”, in pratica di avere ucciso Cristo, figlio di Dio. La diaspora degli ebrei nel mondo sarebbe quindi, in quest’ottica, la giusta punizione.
Fino a tutto il ‘700 gli ebrei furono ghettizzati e perseguitati nell’Europa cristiana, mentre furono tollerati in Oriente, in Paesi quali la Cina e l’India, ed anche presso i musulmani. Nel Medioevo cristiano gli ebrei furono perseguitati: basti pensare al Concilio lateranense IV emanato dal papa Innocenzo III nel 1215, con il quale i giudei furono rinchiusi nei ghetti con la sola possibilità di limitarsi al commercio: da qui l’accusa di usurai; è bene ricordare che l’obbligo portare segni distintivi, come una ruota gialla nel loro abbigliamento, risale proprio al Concilio lateranense IV.
Nel corso della peste nera, soprattutto nella Francia del sud, gli ebrei vennero considerati responsabili di spargere il germe del morbo avvelenando i pozzi, e per questo vennero arsi vivi sui roghi.
Nella “Cattolicissima Spagna” del 1492 furono sconfitti gli arabi a Granada, ma anche 100000 ebrei furono espulsi dal Paese; e nel ‘500, con Filippo II di Spagna, furono perseguitati non solo i “moriscos” dell’Andalusia, cioè gli arabi battezzati, ma anche i “marranos”, gli ebrei convertiti al cattolicesimo. Gli ebrei vengono quindi perseguitati dal monarca spagnolo non per motivi religiosi, ma esclusivamente per “ragioni” razziali, per il solo fatto di “esistere come ebrei”: alla base di quest’azione vi era la convinzione che la purezza della fede doveva coincidere con la limpieza de sangre (“purezza di sangue”), con una discendenza, cioè, non contaminata da sangue saraceno o ebraico.
Nello stesso ‘500, in Inghilterra William Shakespeare dà alla luce Il mercante di Venezia, il cui protagonista, Shylock, è l’ “idealtipo” del giudeo, immorale ed avido di denaro.
In seno alla Controriforma cattolica, il papa Paolo IV Carafa nel 1555 creò il ghetto di Roma, un quartiere in cui gli ebrei dovevano vivere segregati, separati dai cristiani; ma anche il mondo protestante si macchiò di intolleranza e di antisemitismo: gli Stati tedeschi luterani espulsero gli ebrei, che furono invece maggiormente tollerati nei Paesi calvinisti.
Intorno alla metà del ‘600, ed esattamente nel 1648-49, la persecuzione antisemita trova tragici esempi nella Polonia Sud- Orientale: molti ebrei furono costretti ad emigrare e furono perseguitati in una forma non diversa da quella nazista; si può infatti parlare di una “pre-shoah”. Ma per chiarire questa vicenda è necessario contestualizzare la Polonia di quegli anni, che ha una potenza militare superiore a quella della Russia zarista, estendendo il suo dominio fino all’Ucraina ed a Kiev. Il contadino ucraino medio odiava l’esattore delle tasse polacco, che spesso era ebreo, al servizio dell’aristocrazia terriera polacca, classe sociale sviluppatasi fin dal ‘400, con la dinastia degli Jagelloni. Si diffonde l’idea che l’ebreo fa gli interessi dei signori polacchi. Si scatena una sorta di “guerra santa” contro gli ebrei nella campagne del Dnjepr e del Dnestr. I reparti militari cosacchi ed i tartaro-turchi della Crimea si uniscono per combattere la nobiltà polacca: siamo nel 1648 e si è appena concluso il più grande conflitto religioso del secolo e della storia moderna, la guerra dei trent’anni, con la pace di Westfalia. Vengono saccheggiati negozi e case degli ebrei, ci si trova di fronte ad un vero e proprio eccidio di massa. Molti ebrei vennero scorticati vivi e molti bambini furono uccisi nel grembo materno. Molti bambini furono arrostiti vivi per poi essere portati alle madri, molte donne furono violentate davanti ai loro mariti, a molte donne fu aperto il grembo gravido e fu inserito un gatto vivo per poi ricucire il grembo; a queste donne venivano amputate le braccia per impedire che potessero estrarre il gatto. Moli ebrei furono sepolti vivi e molti bambini furono gettati nei pozzi il 10 luglio 1648, giorno in cui furono anche uccisi molti ebrei a Nemirov, in piena Ucraina, e centinaia di donne furono violentate, come testimoniano le Cronache del ghetto di Varsavia. Molti ebrei, in quel giorno, si gettarono nel fiume per salvarsi la vita, ma si esposero al fuoco dei fucili cosacchi; 12000 ebrei fuggirono sui carri, gettando dai carri libri sacri ed oggetti vari, compresi i generi alimentari, per fuggire più velocemente; molti fuggirono a piedi, separandosi dalla famiglia, per poi morire comunque, inseguiti dai cosacchi. Ne Il libro delle lacrime si trovano nomi di persone, cittadine e date di questo massacro del 1648-49 (Nemirov, Tulcic, Polonja, Public, Marresha, Belzesh, Polanska sono i nomi delle principali cittadini vittime di questi massacri). Un massacro fu fatto a Lublino, ove è presente la più grande scuola taludica del mondo; 10000 famiglie ebree furono massacrate a Minsk, mentre a Vilnius molti ebrei furono fucilati dai lituani, che si comportarono in modo più spietato dei cosacchi.
Solo alla fine del ‘700 e nel primo ‘800, durante la Rivoluzione francese ed il primo Risorgimento, gli ebrei furono riabilitati. Nel contesto, infatti, del “dispotismo illuminato” l’imperatore d’Austria Giuseppe II nel 1781 emanò una “patente di tolleranza” per gli israeliti, mentre la Rivoluzione francese pronunciò nel 1791 la piena equiparazione degli ebrei agli altri cittadini.
In Russia, invece, l’assassinio dello zar Alessandro II Romanov, compiuto da un complotto anarchico alla fine dell’Ottocento, causò un’ingiusta ondata di persecuzioni e discriminazioni verso gli israeliti da parte del figlio Alessandro III.
Alla fine del secolo, in Francia il “caso Alfred Dreyfus”, il capitano ebreo accusato ingiustamente di spionaggio a favore della Germania ed in seguito riabilitato, fu un altro esempio di antisemitismo, contro il quale si levarono le voci di Marcel Proust e di Emile Zola, quest’ultimo con il noto “J’Accuse”, la lettera pubblicata su “L’Aurore”; ma è bene ricordare anche che celebri scrittori come Jules Verne si schierarono invece contro Dreyfus. Il caso Dreyfus divise l’opinione pubblica francese dal 1894, anno in cui esplose il caso, al 1906, data in cui si risolse.
La shoah, cioè l’ “annientamento” degli ebrei d’Europa conobbe, nel primo ‘900, l’emissione delle leggi di Norimberga in Germania (1935), delle leggi razziali e del “Manifesto della razza” in Italia (1938) fino alla “soluzione finale” nei campi di sterminio.
Pochi anni dopo, nel 1952, l’Unione Sovietica di Stalin si fece promotrice di una vasta campagna antisemita; gli ebrei vengono esclusi dall’editoria, dalla cultura, dalla medicina; molti medici ebrei vengono uccisi, l’ebreo diventa il simbolo del capitalista, avido di denaro e per sua natura “controrivoluzionario”. discriminati anche nell’ U. R. S. S. di Breznev, negli anni ‘70. La “shoah” non fu quindi un olocausto: non si trattò infatti di un sacrificio finalizzato, ma di un genocidio folle e brutale, e per questo la categoria “shoah” sembra la più appropriata per definire tale sterminio.

IV. 7. La Shoah.
Il fenomeno della deportazione di massa di intere popolazioni è il fatto più grave della seconda guerra mondiale: le vere vittime di questo conflitto sono infatti i popoli, gli Ebrei in primo luogo, ma anche zingari, slavi, omosessuali, comunisti, cattolici, oppositori politici, testimoni di Geova, “a-sociali”, persone comuni che vengono trasportate in massa. Quello degli Ebrei non fu un “olocausto”, un sacrificio in vista di un fine superiore, ma un genocidio, cioè il tentativo di distruggere un’intera popolazione, identificato con la parola ebraica “Shoah”, che significa appunto “annientamento”. Il nazismo cercò di dare una connotazione scientifica al problema ebraico: gli Ebrei non sono perseguitati per la fede religiosa, ma come razza, cioè per il solo fatto di esistere, e non possono far nulla per salvarsi, a niente servono atti di fedeltà al Reich. Il primo elemento di persecuzione fu la definizione di ebreo, a cui fece seguito il trasferimento degli Ebrei prima nei ghetti delle città e poi nei campi di concentramento e la loro distruzione fisica totale, la cosiddetta “soluzione finale alla questione ebraica”.
Negli anni ‘30, mezzo milione di tedeschi erano ebrei, collocati nel ceto medio-alto: si trattava infatti di commercianti, banchieri, professionisti, industriali, docenti universitari, artisti, intellettuali, reduci che avevano combattuto per la Germania durante la Grande Guerra e si sentivano profondamente tedeschi. Le leggi di Norimberga del 1935 dichiaravano invece che gli Ebrei non erano tedeschi. In seguito si pretese di arianizzare l’economia e gli Ebrei vengono esclusi da tutti i pubblici uffici e da qualsiasi attività alberghiera o commerciale: si impone loro di portare la stella gialla di David cucita sull’abito ed un segno di riconoscimento sulla carta di identità, la “J” per “Juden”. Dopo la Kristalnacht iniziarono le deportazioni nei lager: circa 150.000 ebrei emigrarono negli Stati Uniti, tra cui lo scienziato Einstein. Una parte del popolo tedesco è contraria alle persecuzioni, ma non tutti: molti sono fieri di essere ariani e vietano l’ingresso nei loro negozi e locali “ai cani ed agli Ebrei” (cfr. inizio del film “Il pianista”, di Roman Polanski). Gli Ebrei, studenti e docenti, vengono esclusi dall’ istruzione, sia scolastica che universitaria (cfr. il film “Un tè con Mussolini”, di Franco Zeffirelli), perché è noto che gli Ebrei sono persone colte. Agli Ebrei è inoltre vietato cucinare con il forno elettrico, frequentare teatri, biblioteche, piscine, impianti sportivi, luoghi di villeggiatura, avere personale di servizio ariano, farsi curare da medici ariani, possedere una radio. Già durante i primi anni della guerra i gerarchi nazisti discutono dello sterminio finale degli Ebrei, considerati prima nemici, poi responsabili della guerra, in seguito “sottouomini “: è la cosiddetta “soluzione finale del problema ebraico” di cui parlano Goering e Heidrick, quest’ultimo a capo della Gestapo. Prima della “soluzione finale” gli Ebrei furono trasportati nei ghetti di importanti città, soprattutto in Polonia, come Cracovia, Varsavia, Lodz: i ghetti sono vere e proprie “anticamere delle camere a gas”, in cui gli Ebrei vengono annientati dalla fame, dalla miseria, dalle malattie. Dai ghetti vengono trasferiti nei campi di concentramento (lager significa letteralmente “deposito”) quando sono già delle larve umane. I ghetti sono separati da un muro dal resto della città e gli ariani ed i cristiani che aiutano gli Ebrei sono puniti con la morte. Eroica fu la resistenza nel ghetto di Varsavia, nel quale gli Ebrei si ribellarono armi in pugno (facendo allibire i nazisti, che non se l’aspettavano), anche se furono massacrati (marzo 1943). I consigli ebraici istituiti nei ghetti dagli stessi nazisti tentarono inutilmente di frenare il massacro e spesso i presidenti di tali consigli finiranno con il suicidarsi. Gli ebrei vengono eliminati con il gas, all’inizio, poi con lo “Zyklon b”, un gas a base di cianuro, in apposite stanze adibite a docce per la disinfestazione: donne incinte, vecchi e bambini, appena arrivati ai lager vengono immediatamente inviati alle nelle camere a gas, senza nemmeno essere schedati. Si tratta di inabili al lavoro (cfr. il film “Schindler’s List”), mentre gli idonei a lavorare vengono costretti a ritmi di lavori disumani. Auschwitz fu nome tedesco dato alla cittadina polacca di Oswiecim, nei pressi di Cracovia, con i lager satelliti di Birkenau e Monowitz, ma non furono meno duri quelli di Sobibor, al confine con l’Unione Sovietica, di Plazow e di Treblinka, sempre in Polonia, di Mauthausen, nell’Austria del nord, di Dachau, presso Monaco, Buchenwald e Bergen-Belsen, sempre in Germania, in cui trovarono la morte Anna Frank e sua sorella, la risiera di San Sabba in Italia, presso Trieste. Beni sei milioni di ebrei morirono, tra cui un milione e mezzo fu sterminato ad Auschwitz e ben un milione e mezzo erano bambini di età inferiore ai 14 anni.
Appena arrivati al campo, i prigionieri erano sottoposti ad una sommaria selezione, per il lavoro o la gassazione come illustra il chimico e scrittore, morto suicida a Torino dopo la liberazione, Primo Levi in Se questo è un uomo. Una volta gassati, i corpi venivano bruciati nei forni crematori dai Sonderkommand, tra i quali va ricordato Shlomo Venezia, sopravvissuto e recentemente scomparso, molto anziano: erano prigionieri ebrei adibiti a questi lavori e venivano periodicamente eliminati in modo che non potessero mai raccontare quello che accadeva, in quanto questi prigionieri erano testimoni oculari, addetti a togliere i denti d’oro ai cadaveri gassati, talvolta a radergli i capelli ed infine a cremarli. Altra categoria di prigionieri, non ebrei, era quella dei Kapò, addetti a sorvegliare le baracche di altri prigionieri ebrei: non passavano “selezioni” e spesso erano più crudeli delle stesse S. S., animati dalla speranza di salvarsi la vita (cfr. il film “Kapò”). Celebri furono anche alcune rivolte, come quella dei Sonderkommand di Birkenau e quella dei soldati sovietici nel campo di Sobibor (cfr. il film “Fuga da Sobibor”). I nazisti, dopo la rivolta di Sobibor, che riuscì e si concluse con la fuga di moltissimi prigionieri, distrussero il campo per la vergogna. Particolare fu il campo di Theresienstadt,vicino a Praga, un campo di smistamento in cui venivano inviati gli artisti ebrei, che dipingevano o recitavano per i tedeschi; fu addirittura inventata una moneta falsa, un falso marco tedesco che circolava all’interno del campo con il quale gli ebrei comprano i biglietti per andare a teatro ad assistere alle rappresentazioni di altri artisti ebrei. La Croce Rossa Internazionale visitò questo campo e non trovò nulla di anomalo, ma questa specie di “città che Hitler regalò agli Ebrei” (questo è infatti il titolo di un noto documentario sul campo di Terezin) era solo una parvenza, in quanto gli ebrei soggiornavano qui per brevi periodi, per poi essere smistati ed inviati nei campi di sterminio.
Il 16 ottobre 1943 le S. S., per ordine del comandante di stanza a Roma, Kappler, inviano ad Auschwitz, dal binario 21 della stazione ferroviaria di Roma Tiburtina, 1024 ebrei romani, dei quali tornarono soltanto in 11 (cfr. il film documentario “Binario 21” e i due film “Scarlatto e nero” e “La finestra di fronte”). Grave fu silenzio del Papa Pio XII (cfr. il film “Amen” di Costa Gravas) nella famosa omelia ufficiale del Natale 1943, in cui si limitò, senza nominare il popolo ebraico, a pregare per “tutti coloro che soffrono a causa delle loro differenze etniche e culturali”. A differenza di Pio XII, il patriarca della Chiesa ortodossa bulgara levò possentemente la sua voce contro le deportazioni naziste, e riuscì a salvare oltre mille ebrei, tra cui la famiglia di Mona Ovadia.
Dachau fu il primo campo di concentramento, ove vennero inviati i tedeschi ed i religiosi, inizialmente. A differenza dei gulag staliniani, nei lager nazisti si viene inviati senza neanche un formale processo ed a “tempo indeterminato”, cioè “a vita”. La Gestapo è la polizia di Stato, la polizia politica segreta che invia i prigionieri nei campi, le S. S. sono invece le squadre speciali addette, con metodi brutali e disumani, alla sorveglianza nei campi. I Kapò sorvegliano le baracche, altri detenuti lavorano negli uffici, nelle cucine e nelle infermerie. Primo Levi, nel suo libro I sommersi e i salvati definisce “demoniaca” questa forma di collaborazione tra prigionieri ed ufficiali nazisti. Tale collaborazione divide ancor più i prigionieri, già divisi in categorie dal triangolo cucito sulle loro casacche: verde per i prigionieri comuni, rosso per quelli politici, rosa per gli omosessuali, nero per gli “a-sociali”, cioè slavi, polacchi e russi, marrone per gli zingari, viola per i testimoni di Geova. Gli Ebrei devono invece portare la stella gialla di David a sei punte cucita sulla casacca. I lavori sono massacranti: la sveglia alle 5, poi vi è l’appello, i prigionieri vengono chiamati con il numero di matricola, devono rispondere al numero, pronunciato in tedesco, ed avere sempre il berretto con loro, pena la morte. I campi sono costruiti vicino alle cave ed alle miniere, d’inverno si lavora con temperature polari, i prigionieri muoiono e svengono sul posto di lavoro, spesso si suicidano gettandosi sul filo spinato o impiccandosi nelle baracche (cfr. il film “In nome dei miei”). Nelle baracche, che contengono mediamente ognuna 200 prigionieri, questi vengono divisi per nazionalità, in modo da rendere difficile anche la comunicazione tra loro. Oltre che sugli Ebrei, la furia di nazisti si scatena verso i polacchi e gli slavi, considerati “Untermenschen”. I detenuti lavorano 16 ore al giorno, 7 giorni su 7, dopo viaggi in vagone bestiame o carro merce durati diversi giorni, in molti muoiono già durante il viaggio, di fame e di sete. L’annientamento dei prigionieri avviene per esecuzioni pubbliche ed esperimenti chimici sui loro corpi, molti vengono accecati o sterilizzati, torturati, muoiono o per sfinimento, fame, epidemie. La mortalità, alla fine della guerra, nei lager, e del 90%. I prigionieri vengono regolarmente picchiati, mentre vengono uccisi i neonati e i detenuti sono costretti a suonare in orchestrine durante le esecuzioni pubbliche. Industrie tedesche, come la Siemens e la Farben, sfruttano il lavoro dei prigionieri, usati come cavie dai medici nazisti; tra questi si ricordi il dottor Mengele. Gli individui vengono annullati, umiliati come persone, come esseri viventi. Durante la guerra, il lavoro nei lager è finalizzato all’industria bellica. Le testimonianze dei pochi superstiti ed i filmati di repertorio, girati dai tedeschi e dagli alleati, mostrano corpi ridotti a scheletri, cataste di valigie, capelli, giocattoli, denti, oggetti che i prigionieri, ignari del destino che li attendeva dopo un viaggio in treno allucinante, portavano con loro; alcuni attrici partirono per il campo di Terezin addirittura con l’abito da sera! Agli Ebrei fu addirittura chiesto di pagare un biglietto ferroviario di terza classe per un viaggio in piedi verso la morte! Non ci sono garanzie di sopravvivenza all’interno dei lager: si sopravvive o si muore spesso per caso, anche se conoscere il tedesco è importante per comprendere gli ordini, com’è importante saper svolgere lavori manuali piuttosto che intellettuali. Le donne incinta o con bambini piccoli vengono immediatamente inviate alla camere a gas appena arrivano al campo, ma mai violentate dai tedeschi, se sono ebree: avere un rapporto sessuale con un’ebrea è punito come un peccato di sangue ed “un peccato di sangue è un peccato di razza”, aveva scritto Hitler nel Mein Kampf.
Il progetto nazista denominato “T 4” prevederà anche all’eliminazione fisica dei minorati mentali mediante gassazione che avveniva nei “sanatori”, ove venivano rinchiusi i malati di mente. Alle famiglie, che su invito del Reich avevano inviato i loro figli nei “sanatori”, veniva in seguito recapitata una lettera nella quale il direttore del “sanatorium” notificava, con formale dispiacere, l’avvenuto decesso dell’assistito causa malattia, generalmente polmonite. L’operazione T 4 si arresterà per la protesta della Chiesa cattolica, che invece, come si è visto, tacerà sul massacro degli Ebrei.
Un articolo del “Corriere della Sera” datato 4 gennaio 2005 ci ricorda che nel 1935 Heinrich Himmler, il famigerato capo delle S. S., creò i “Lebensborn”: donne bionde con occhi azzurri, perfettamente ariane, tedesche o del nord Europa, partoriscono i figli di soldati nazisti, con lo scopo di ottenere la pura razza ariana. Alla fine ci saranno 10-12 mila bambini biondi, ariani purissimi. Dopo la guerra, strappati alle madri, saranno educati in orfanotrofi e da adulti emarginati dalle società del nord Europa perché figli di nazisti, anche se senza colpa. Privi di gradi elevati d’istruzione, saranno costretti a fare i lavori più umili: la loro unica colpa è quella di essere figli di soldati tedeschi. Oggi si sono rivolti, per avere un risarcimento economico del danno subito, ad Oslo, in Norvegia, alla Corte dei Diritti Umani, che negli anni ‘90 ha accordato loro un risarcimento di € 3000 pro capite, ma questo non è stato ritenuto sufficiente e le cause si sono riaperte nel 2001 e nel 2005. La Norvegia fu anche il Paese più interessato ai Lebensborn.
Alla fine della guerra, quando fu resa nota la Shoah, molti tedeschi, portati sui luoghi nei campi di sterminio, affermarono di non credere ai loro occhi, dissero che un simile genocidio non era possibile nella patria del Romanticismo europeo, la patria di Schiller, Beethoven, Novalis. Goering, Hoss, Ribbentropp ed altri responsabili di crimini contro l’umanità furono processati a Norimberga dal tribunale che operò dal 1945 al 1946: il risultato fu considerato giustamente deludente dai sovietici e da molti altri, con sole 12 condanne a morte, di cui 11 eseguite, per impiccagione (Goering e morì suicida in carcere, dopo la condanna, con un veleno che probabilmente gli aveva fornito un carceriere con il quale condivideva la passione per la caccia) e 7 ergastoli. Gli imputati, al processo si dichiararono tutti innocenti, tranne uno, ed affermarono di avere solo obbedito agli ordini. Furono impiccati, negando loro ogni dignità di soldati, ai quali sarebbe invece spettata l’esecuzione tramite fucilazione. In conclusione, si può affermare che l’antisemitismo nazista e la logica dello sterminio programmato fu sicuramente più duro nei lager nazisti che non nei gulag staliniani. Affinché questo non capiti mai più, è fondamentale tramandare la memoria, di generazione in generazione.
Storiografia, K. D. Bracher, La dittatura tedesca. Origini, strutture, conseguenze del nazionalsocialismo, Il Mulino, Bologna, 1973.
Premessa: premesso che per il nazismo vale l’equivalenza tra Hitler ed il nazionalsocialismo, in quanto l’ideologia del Fuhrer coincide con il nazismo, mentre tale equipollenza non vale per Mussolini ed in fascismo, in quanto nel fascismo si distinguono differenti correnti, si deve sottolineare poi come nello studio dello storico Bracher emerga la verità sulla biografia del dittatore tedesco, che non trova corrispondenza tra la versione fornita dallo stesso Hitler nel Mein Kampf (La mia battaglia) e nel Mein Leben (La mia vita).
“Si comincia già con il nome e l’origine dell’impiegato della dogana austriaca Alois Hitler. Adolf Hitler nacque il 20 aprile 1889, nella cittadina di confine Braunau am Inn. Il nome è probabilmente di origine ceca e la famiglia proveniva dal territorio di confine austriaco verso la Boemia. Ma anche questo dato rimane oscuro. Il padre, infatti, figlio illegittimo della domestica Maria Anna Schicklgruber, solo a 40 anni (1876) aveva cambiato il nome originario di Schicklgruber con quello di Hitler. Alois Schicklgruber, attraverso una illegale manipolazione ad opera di uno zio acquisito e con l’aiuto di un credulo parroco di campagna, era riuscito ad ottenere una legittimazione postuma. Dunque, né Hitler né suo padre portavano legittimamente il loro nome. Voci successive, che giunsero fino al gruppo dirigente nazionalsocialista, affermavano che Adolf Hitler, con molta probabilità, aveva un nonno ebreo e che la radicalizzazione dell’antisemitismo poteva essere ricondotta proprio ad un patologico complesso di rigetto di Hitler. Anche le più recenti ricerche non hanno tuttavia condotto a risultati sicuri. Egli crebbe nell’ambiente tranquillo con un tenore di vita impiegatizio, una bella casa natale, le proprietà e la pensione del laborioso padre testimoniano che gli anni successivi di bisogno sono da attribuirsi ad un fallimento dello stesso Hitler. Il padre non fu un alcolizzato, come affermava il figlio, ma piuttosto un uomo avveduto che aveva fatto una buona carriera; la madre si prendeva cura della casa e dei figli; sembra piuttosto che essa non abbia saputo avviarlo su una saggia strada. Il tono di autocommiserazione con cui Hitler spiega il suo fallimento professionale con il destino della sua giovinezza, culminante con la storia commovente dell’orfano che alla fine fu trascinato in un Paese straniero e dovette guadagnarsi il pane, è tanto artificiosa quanto negata dai fatti. La frequenza alla scuola tecnica locale, dopo la ripetizione della prima classe e un esame di idoneità alla quarta classe della vicina scuola di Steyr, si concluse nel 1905 con un fiasco. Accanto ad un giudizio globale di svogliatezza, Hitler ebbe voti negativi non solo in matematica e stenografia, ma anche in lingua tedesca, giudizio che troverà conferma anche nello stile del futuro Fuhrer. Anche in geografia e in storia, contrariamente alle affermazioni del Mein Kampf, i voti erano appena sufficienti e soltanto in disegno ed in ginnastica erano al di sopra della media. Uno dei suoi insegnanti lo definì unilateralmente dotato, incapace di controllo, dispotico, prepotente e collerico, incostante nei suoi interessi e nello stesso tempo desideroso di successo. Dopo la morte prematura del padre (1903), la madre permise allo studente due anni di vita da fannullone (1905-1907), che egli riempì con passatempi oziosi, fantasticherie giovanili, tentativi artistici e andando a teatro. E’ qui, tra i 16 e i 18 anni, che cominciano ad emergere in lui quei tratti che caratterizzeranno poi il politico fanatico e demagogo: egocentrismo totale fino ad una autocommiserazione isterica, bisogno di parlare senza essere contraddetto ed una capacità di far progetti tanto gigantesca quanto sfrenata, che contrastava con la costante mancanza di volontà ed incapacità per un lavoro o un’attività professionale continuativi. Di una malattia polmonare seria, con cui Hitler ha cercato di giustificare il suo modo di vita, non sembra si possa in effetti parlare. Il modo in cui egli presentò in Mein Kampf il suo abbandono degli studi <> non trova conferma. Quello era piuttosto, dopo il fiasco scolastico, il modo di vita che gli si confaceva. Anche la libertà irresponsabile dei suoi successivi anni di Vienna sembra essere una conseguenza di quei fatti, e non è vero che lo abbia spinto a Vienna <>. Uno degli elementi essenziali del mito di Hitler è che egli abbia dovuto guadagnarsi il pane già all’età di 17 anni ed emigrare nella corrotta metropoli di Vienna. In verità sua madre gli aveva pagato nel 1906 un viaggio di piacere di parecchie settimane a Vienna, dove egli trascorse il tempo soprattutto frequentando il teatro, in particolare le adorate opere di Richard Wagner, e visitando la città. Anche l’anno successivo Hitler lo trascorse a Linz, ancora a spese della madre. Nella sua esistenza non avevano posto né la scuola né una formazione professionale qualsivoglia: il <> consisteva in occasionali esercitazioni di disegno. Fu respinto all’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti di Vienna: i dipinti di Hitler, quasi tutti a carboncino, sono scuri nei colori ed Hitler dimostra capacità di rappresentare paesaggi e paesi della Stiria, la sua regione austriaca (nei suoi disegni si vedono infatti case, chiese, campanili, montagne), ma ha enormi difficoltà a rappresentare la figura umana. In seguito alla bocciatura, avvenuta per due volte consecutive (nel 1907 e nel 1908), si mantenne dipingendo qualche manifesto pubblicitario e fu costretto a vendere i suoi disegni ad un mercante ebreo, che glieli comprò per pochi soldi, disprezzandoli, ed anche questo potrebbe essere motivo del suo antico rancore verso i giudei, ma non c’è prova nemmeno di ciò. Ebreo era il dentista dal quale il giovane Hitler, quattordicenne, si recava, ed ebreo era il medico che gli curò la madre fino alla fine; Hitler, preso il potere, per ringraziare questo dottore che si era preso cura di sua madre, lo dichiarò <>, con tanto di certificato di razza ariana”. Le ragioni più profonde dell’antisemitismo hitleriano (così come quelle dell’eterna persecuzione di un popolo che non ha quasi mai conosciuto pace nella storia) rimangono dunque avvolte nel mistero e nel campo delle ipotesi: resta comunque il fatto che la distruzione del popolo ebraico è una costante del pensiero e delle parole di Hitler, che, fino all’ultimo, anche quando, trovandosi nel suo bunker sotterraneo a Berlino, tutto è perduto, affida una <> al popolo ariano tedesco, quella di distruggere l’etnia ebraica”.33
Documento, H. Himmler, “Le S. S. come aristocrazia della pura razza ariana”, discorso alle S. S. del 1937, in E. Collotti, La Germania nazista, Einaudi, Torino, 1962.
“Soltanto i tedeschi migliori dal punto di vista del sangue sono validi per questo impiego di lotta. Pertanto è necessario che nelle file delle Schultzstaffel abbia luogo incessantemente una selezione, in un primo tempo sommaria, poi sempre più accurata. Ma questa non si limita soltanto agli uomini, poiché il suo scopo è la conservazione di una stirpe pura. Per questo si richiede che ogni uomo del S. S. sposi soltanto la donna del suo stesso tipo. Egli lotta apertamente senza pietà contro i più pericolosi nemici dello Stato: ebrei in primo luogo. Le S. S. non dovranno avere statura inferiore ad un metro e 70 centimetri poiché so che uomini la cui statura supera un certo numero di centimetri dovranno pur avere da qualche parte il sangue che noi desideriamo. Non tutti i figli di una famiglia iscritta nel libro di stirpe delle S. S. avrebbero avuto il diritto di entrare in questo corpo, ma almeno una parte di essi, in modo che possa stabilmente entrare nelle S. S. l’élite e la corrente del miglior sangue tedesco di tutto il popolo; se un giorno noi avessimo troppi pochi figli, quelli che verranno dopo saranno dei vili. Un popolo nel quale in media ogni famiglia abbia quattro figli, può osare fare una guerra, perché se ne cadono due, ce sono altri due per continuarne il nome, ma i capi di un popolo nel quale ciascuna famiglia abbia uno o due figli, saranno vili in ogni decisione, poiché dovranno dirsi che non sono in grado di affrontare questa prova. Dobbiamo creare un ordine, che diffonda questa idea del sangue nordico al punto da essere posti in grado di attrarre a noi tutto il sangue nordico esistente nel mondo, togliendo il sangue ai nostri avversari e di infonderlo in noi stessi, affinché mai più sangue nordico, sangue germanico, combatta in grande quantità e in misura notevole contro di noi34”.
Storiografia, E. Collotti, La Germania nazista, Einaudi, Torino, 1962.
“Il compito di presiedere a questa immensa organizzazione ed amministrazione del terrore fu assolto in pratica dalle S. S., i cui effettivi nel 1939, all’inizio della guerra, ammontavano a circa 240 mila uomini; reparti speciali delle S. S., le cosiddette <>, che si fregiavano come macabro segno distintivo di un teschio bianco in campo nero, avevano in consegna i campi di concentramento. Conformemente alle concezioni razzistiche del loro Reichsfuhrer, le S. S. non erano concepite soltanto in funzione poliziesca, ma anche come corpo e strumento di selezione razziale. Himmler concepì le S. S. come un centro di irradiazione della razza pura. Per questa ragione, gli uomini delle S. S. dovevano essere reclutati attraverso una severa selezione, anche fisica. In un primo momento Himmler ordinò che non fossero accettati uomini di altezza inferiore ad un metro e settanta. Per la medesima ragione, in una circolare del 31 dicembre 1931, nella quale si ricordava che le S. S. sono unità di tedeschi di stirpe nordica scelti secondo particolari criteri, Himmler disponeva che ogni appartenente alle S. S. che intendesse sposarsi doveva riceverne l’autorizzazione dal Reichsfuhrer delle S. S., il quale l’avrebbe concessa o rifiutata unicamente in base a considerazioni razziali o relative a ragioni di salute ereditarie. Himmler inoltre si proponeva, come illustra in un discorso del 1935, di fare delle SS non soltanto un corpo scelto, ma anche una riserva permanente di razza pura. In un discorso del 7 settembre 1940 agli ufficiali delle S. S. Himmler affermò che l’obiettivo finale presupponeva, tra l’altro, un forte incremento demografico del popolo tedesco. Ma se in un primo momento egli pensò soltanto ad una selezione per così dire ‘positiva’, in un secondo tempo presero sempre più consistenza in Himmler l’idea e la prassi della ‘selezione negativa’, mediante la sterilizzazione e l’annientamento in massa delle razze inferiori, i cosiddetti ‘Untermenschen’, per estinguerle mediante esaurimento da lavori o fredda e sistematica uccisione con altri mezzi”35.
Documento, A. Hitler, Mein Kampf, 1925, in W. Hofer, Il Nazionalsocialismo: documenti 1933-1945, Feltrinelli, Milano, 1964.
“Esiste un solo sacrosanto diritto dell’umanità, che è allo stesso tempo un vincolo morale sacrosanto e cioè quello di far sì che il sangue venga mantenuto integro per assicurare la possibilità di uno sviluppo più nobile di questa esistenza mediante la conservazione degli uomini migliori. Quindi uno Stato popolare dovrà in primo luogo strappare il matrimonio da un livello in cui esso non è che una perpetua contaminazione della razza per consacrarlo invece a quelli che sono i veri compiti dell’istituto matrimoniale, ossia la produzione di immagini di Dio e non di orribili incroci tra l’uomo e la scimmia. […].
La finanza ebraica desidera non solo la totale rovina economica della Germania, ma anche la sua completa schiavitù politica. L’ebreo è dunque oggi colui che incita alla totale distruzione della Germania. In qualunque parte del mondo vengano mossi degli attacchi contro la Germania, sono sempre gli ebrei che li promuovono, allo stesso modo in cui, sia in pace che in guerra, la stampa ebraica delle borse e quella marxista hanno stimolato sistematicamente l’odio contro la Germania. L’annientamento della Germania non era un interesse britannico, ma in primo luogo un interesse degli ebrei. Mentre l’Inghilterra abbandona i suoi sforzi per il mantenimento della sua posizione nel mondo, l’ebreo sta organizzando l’assalto per la conquista di quella stessa posizione. Soltanto il possesso di uno spazio sufficientemente vasto su questa terra assicura ad un popolo la libertà dell’esistenza. Noi arrestiamo l’eterna spinta dei Germani verso sud e verso ovest e rivolgiamo lo sguardo verso oriente. Se noi parliamo oggi di nuovo suolo e nuova terra in Europa, possiamo pensare soprattutto e soltanto alla Russia ed agli Stati ad essa sottoposti”36.
Documento, H. Himmler, “Disposizioni per i popoli dell’Europa Orientale”, discorso di Himmler del 1940, in H. Brenner, La politica culturale del nazismo, Laterza, Bari, 1965.
“Per la popolazione non tedesca dell’Oriente non ci dovranno essere scuole superiori all’infuori delle 4 classi della scuola elementare. Obiettivo di questa scuola elementare dovrà essere soltanto: calcolo semplice, al massimo sino a 500, scrittura del proprio nome, insegnamento, che è un comandamento divino, di obbedire ai tedeschi e di essere onesti, diligenti e dabbene. Quanto al leggere, non ritengo che sia necessario. All’infuori di questa scuola non dovranno essercene altre. I genitori che volessero dare ai loro figli una migliore istruzione, così nella scuola elementare come più tardi nelle scuole superiori, dovranno presentare domanda ai capi superiori delle S. S. e della polizia. Sulla domanda sarà deciso anzitutto in conformità al fatto che il figlio abbia qualità razziali ineccepibili e rispondenti alle nostre condizioni. Se riconosciamo che un tale fanciullo appartiene al nostro sangue, si comunicherà ai genitori che il figlio andrà a frequentare una scuola in Germania (cambierà il suo nome) e rimarrà per sempre in Germania. Ai genitori di questi fanciulli di sangue buono sarà posta l’alternativa di cedere il figlio – poi probabilmente non avranno più altri figli – in modo che scompaia il pericolo che questa popolazione orientale di sub-uomini abbia a ricevere per via di questi individui di sangue buono uno strato dirigente per noi pericoloso in quanto a noi razzialmente pari, oppure di impegnarsi a trasferirsi in Germania, per diventarvi leali cittadini. Nei loro confronti si può sfruttare la forte leva rappresentata dall’amore per il loro figlio, il cui avvenire e la cui istruzione dipenderanno dalla lealtà dei genitori. Nei prossimi 10 anni, in seguito alla coerente attuazione di queste misure, la popolazione del governatorato generale che resterà consterà necessariamente di una popolazione inferiore, con l’aggiunta della popolazione trasferita dalle province orientali nonché da tutte le parti del Reich tedesco, avente le stesse caratteristiche razziali ed umane. La popolazione sarà a disposizione come massa lavorativa priva di capi e fornirà ogni anno alla Germania lavoratori stagionali e per particolari lavori (strade, cave, costruzioni): in tal modo avrà da mangiare e da vivere meglio che sotto il dominio polacco e data la sua mancanza di cultura sarà chiamata a partecipare, sotto la direzione severa, coerente e giusta del popolo tedesco, alle realizzazioni imperiture della civiltà di questo ed alla costruzione dei suoi edifici, forse anche a rendere soltanto possibile la realizzazione grazie alla mole del suo lavoro bruto”37.
Storiografia, “La scuola sotto il nazismo”, in W. S. Allen, Come si diventa nazisti, Einaudi, Torino, 1994.
“Dopo il 1933 quasi tutti gli insegnanti erano completamente assoggettati alle direttive della NSDAP, solo tre furono allontanati, due della cosiddetta <>, entrambi furono semplicemente trasferiti dalla città, e un altro insegnante del Gymnasium, noto per le sue simpatie repubblicane, fu anch’ egli trasferito. Tuttavia la NSDAP non si interessava solo di eliminare l’opposizione, ma si preoccupava anche che l’educazione assicurasse un sostegno concreto al nuovo regime.
Così scriveva nel 1936 lo storico ufficiale della città di Thalburg: <>.
Trasformare le scuole in fortezze ideologiche del nuovo Stato fu un processo che ebbe inizio quasi immediatamente: nel 1933 furono adottati i libri di testo nuovi e le biblioteche scolastiche esistenti vennero spogliate della letteratura <> e rifornite di libri glorificanti il nazionalsocialismo ed il militarismo. Furono tenute agli insegnanti conferenze in cui venivano tracciate le linee generali secondo cui si dovevano trattare la storia ed altri argomenti delicati; vennero aggiunti nuovi corsi di <> e <>. Gli insegnanti si preoccupavano di prendere nota esatta della nuova linea, dato che si era sparsa rapidamente la voce che la gioventù hitleriana doveva riferire alla NSDAP quel che si faceva in classe. Oltre a trattare i nuovi argomenti ed affrontare in modo nuovo quelli vecchi, le scuole dovevamo esaltare lo sport e l’attività fisica, specialmente il tiro e lo <>. Nelle sezioni di scienze, per esempio, gli allievi vengono messi a costruire modellini di alianti. Film di propaganda nazista vennero proiettati su grande scala e nelle aule si installarono apparecchi radio per far ascoltare ai ragazzi i discorsi di propaganda. Sono stati acquistate bandiere in ogni classe e sono stati affissi i ritratti del Fuhrer. Questo processo toccava tutte le scuole: le scuole commerciali e professionali introdussero corsi di <> e di <>, persino le piccole scuole per minorati mentali fecero tutto il possibile per indottrinare gli allievi loro affidati. La gioventù hitleriana ebbe un ruolo importante in questi cambiamenti: nel 1934 fu intrapresa una campagna per inquadrare tutti gli allievi delle varie scuole nella <> o nella <>. I club scolastici esistenti furono eliminati. L’esaltazione della gioventù hitleriana, tuttavia, provocò una notevole diminuzione delle autorità degli insegnanti; un ex preside così si espresse: <>”38.
Documento, “Lettera di Martin Bormann, divenuto segretario del partito nazista, datata 23 luglio 1942, per il trattamento delle popolazioni slave”, in W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 2014.
“Gli slavi sono tenuti a lavorare per noi. Coloro di cui non abbiamo bisogno, possono anche morire. Pertanto la vaccinazione obbligatoria ed i servizi sanitari tedeschi sono superflui. La fecondità degli slavi non è desiderabile: essi possono usare antifecondativi e praticare l’aborto e quanto più tanto meglio. L’istruzione è pericolosa. Sarà sufficiente che sappiano contare fino a cento. Ogni persona istruita è un nostro futuro nemico. Lasceremo loro la religione come diversivo. Quanto ai viveri, non ne avranno più dello stretto necessario. Noi siamo i padroni. Veniamo prima noi”39.
Documento, “Circolare di Erich Koch, commissario del Reich per l’Ucraina, datata 5 marzo 1943”, in W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 2014.
“Noi siamo la razza dei signori e dobbiamo governare in modo giusto, ma duro. Io spremerò fino all’ultimo questo Paese, non sono venuto qui per spargere la felicità. La popolazione deve lavorare, lavorare e ancora lavorare. Insomma non siamo venuti qui per distribuire la manna dal cielo. Siamo venuti qui per creare le basi della vittoria. Noi siamo una razza superiore, e dobbiamo ricordarci che il lavoratore tedesco del livello più basso è razzialmente e biologicamente mille volte superiore a questa popolazione”40.
Documento, “Testimonianza di un prigioniero sopravvissuto relativa alla morte per congelamento di due ufficiali sovietici”, in W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 2014.
“Fu il più orribile degli esperimenti che mai facemmo. Dalle baracche della prigione furono fatti venire due ufficiali russi. Rascher li fece spogliare ed essi dovettero immergersi nudi nella vasca d’acqua. Passo un’ora dopo l’altra; mentre di solito il letargo per congelamento interviene dopo 60 minuti al massimo, in questo caso i due uomini restarono completamente coscienti per 2 ore e mezzo. Tutti gli appelli a Rascher perché li addormentasse con una iniezione furono vani. Dopo circa due ore uno dei russi disse all’altro: <>. L’altro rispose che non si aspettava misericordia da quel cane di fascista. I due si strinsero la mano con un <> Queste parole furono tradotte a Rascher da un giovane polacco, ma in forma alquanto diversa. Rascher andò nel suo ufficio. Il giovane polacco cercò subito di cloroformizzare le due vittime, ma Rascher tornò subito indietro e ci minacciò con la pistola. L’esperimento durò per lo meno cinque ore prima che la morte sopravvenisse”41.
Storiografia, R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa, Einaudi, Torino, 1995. Negazionismo, funzionalismo, intenzionalismo.
Premessa: lo storico americano Raul Hilberg (nativo di Vienna) è stato il più serio studioso della Shoah, come si evince dalla sua celeberrima opera ivi considerata. Sulla Shoah si era inizialmente collocato in una posizione intermedia tra funzionalisti ed intenzionalisti per poi sposare definitivamente la tesi intenzionalista, che è oggi la più accreditata. Sul genocidio degli Ebrei si distinguono infatti tre linee interpretative: 1)quella negazionista, che sostiene che il genocidio del popolo ebraico da parte dei nazisti non si è mai verificato e che i forni crematori sarebbero stati costruiti dopo la guerra dagli americani per incolpare i tedeschi. Si sottolinea, in questa interpretazione, l’assenza di fotografie aeree sui campi di sterminio. Questa tesi è seguita soltanto da pochissimi francesi, tra cui un religioso, non ha quindi alcun valore ed il “negazionismo” è giustamente considerato un reato dalle legislazioni di tutti i Paesi europei. 2)La tesi funzionalista, molto più seguita di quella negazionista, è comunque minoritaria rispetto a quella intenzionalista. Il funzionalismo sostiene che lo sterminio fu il frutto di dinamiche che vennero a determinarsi di volta in volta dalle circostanze e non fu un disegno programmato fin dall’inizio. 3)Il filone intenzionalista è quello di gran lunga più affermato e più attendibile ed afferma che lo sterminio degli Ebrei fu il risultato di una linea preordinata ed intenzionale seguita da Hitler fin dall’inizio: già nel Mein Kampf, infatti, il futuro dittatore esprime la volontà di eliminare il popolo ebraico.
“A prima vista, la distruzione degli Ebrei può apparire come un fatto globale, indivisibile, monolitico e ribelle ad ogni spiegazione. Esaminandola più da vicino, essa si mostra come un processo condotto per tappe successive, ciascuna delle quali fu il risultato di decisioni prese da innumerevoli burocrati. Sì cominciò con l’elaborare la definizione di <>, poi si adottarono le procedure per l’espropriazione, poi il concentramento nei ghetti, infine venne presa la decisione di sterminare tutti gli Ebrei d’Europa. L’operazione non venne affidata ad un unico agente: la macchina della distruzione fu pur sempre un aggregato di parti diverse. Senza dubbio un settore determinato può avere svolto, in alcuni momenti, un ruolo di supervisore, nella messa in opera di una certa direttiva, ma non ci fu mai un organismo centrale incaricato di dirigere o di coordinare da solo l’insieme del processo. L’apparato della distruzione si estendeva in ogni angolo, era diversificato e, prima di tutto, decentrato. La burocrazia dei ministeri, con i suoi funzionari civili, al primo stadio della distruzione, fu l’agente principale dell’applicazione delle misure antiebraiche. Furono proprio gli alti funzionari che, redigendo decreti e regolamenti, definirono il concetto di ebreo ed organizzarono l’espropriazione dei beni ebraici. L’amministrazione delle ferrovie si fece carico del loro trasporto, la polizia, amalgamata per intero con le S. S. del partito, fu largamente utilizzata nelle operazioni di massacro. Per parte sua, l’esercito fu coinvolto nella partecipazione al processo di distruzione dopo lo scoppio della guerra, per il fatto che controllava vasti territori dell’Europa orientale ed occidentale. L’industria e la finanza giocarono un ruolo importante nelle espropriazioni, nel sistema del lavoro coatto ed anche nel funzionamento delle camere a gas. L’influenza del mondo degli affari si tradusse nella grande importanza accordata alla contabilità, alla ricerca delle più piccole economie ed al recupero sistematico di tutti i sottoprodotti, ma anche nella efficacia tecnica dei centri di sterminio, ricalcati sul modello delle fabbriche. Il partito, infine, infuse nell’intero apparato il suo <>, il <> e l’idea che <>. Così la distruzione degli Ebrei d’Europa fu opera di una vastissima macchina amministrativa. Questo apparato crebbe passo dopo passo. Per distruggere gli Ebrei d’Europa non venne creato né un organismo specifico, né fissato un budget particolare. Ciascuno dei settori doveva giocare un ruolo specifico nel processo, e ciascuno doveva trovare al proprio interno i mezzi per portare a compimento il proprio scopo”42.

Storiografia, I. Deutschkron, “La razza ebraica si riconosce dall’orecchio sinistro”, in Io portavo la stella gialla, Colonia, Wissenschaft und Politik, 1978.
“Mi trovavo dal fotografo. Come ogni ragazzina di 16 anni, ero anch’io vanitosa. Quando il fotografo mi fece cenno di aggiustarmi i capelli dietro l’orecchio sinistro, mi sentii completamente turbata all’orlo delle lacrime. Dalla forma dell’orecchio sinistro sarebbe stata individuata l’appartenenza razziale. Era questa una scoperta degli scienziati della razza nazionalsocialisti. L’orecchio sinistro di un ebreo tradiva secondo loro l’origine semitica. Per questa ragione le fotografie dei passaporti degli ebrei dovevano essere prese in modo da rendere chiaramente visibile la forma dell’orecchio sinistro. Queste fotografie erano destinate alle carte di identità, che in base alla legge del 23 luglio 1938 ogni ebreo al di sopra dei 15 anni doveva portare con sé ed esibire immediatamente <>. Queste carte d’identità erano riconoscibili, inoltre, perché recavano una grande J sul frontespizio esterno ed una J gialla su quello interno, sicché non era possibile alcun dubbio sull’origine razziale del titolare.
In quei giorni cercai spesso a Berlino di constatare che cosa distinguesse l’orecchio sinistro dei miei concittadini dal mio, quando passavo loro vicino nell’autobus o nella sotterranea. Ma non riuscii a scoprire nulla. Il mio orecchio, sottoposto centinaia di volte ad esame allo specchio, era perfettamente uguale a quello degli ariani di Berlino”43.
Storiografia, Arno J. Meyer, “Il ghetto di Lodz e l’eliminazione degli Ebrei polacchi”, in Soluzione finale, Mondadori, Milano, 1990.
“A partire dall’inverno 1941-42 la Polonia divenne il luogo del massacro dell’ebraismo europeo. Il primo centro di sterminio fu istituito a Chelmno, che divenne il modello degli altri centri di morte. Mentre per Chelmno vi sono pochi dati affidabili, vi sono invece dati precisi per il ghetto di Lodz, che era stato istituito nel febbraio 1940, in attesa di deportarne la popolazione più ad Est. Quasi fin dall’inizio, le razioni ed i medicinali furono tremendamente scarsi. Il ghetto di Lodz divenne una crudele prigione di circa 70000 operai. Questi schiavi prigionieri, parecchi dei quali erano artigiani, producevano una vasta gamma di beni di consumo, compresi indumenti invernali di urgente necessità per una Wehrmacht che aveva un bisogno disperato di rifornimenti.
Già il 2 luglio 1942 funzionari locali della Gestapo inviarono al quartier generale un giudizio crudamente realistico: <>.
La distruzione finale del ghetto avvenne all’inizio dell’autunno, quando 60.000 povere anime furono inviate ad Auschwitz. Alla metà di gennaio del 1945, quando l’Armata Rossa liberò la seconda città polacca in ordine di grandezza, trovò meno di 1.000 sopravvissuti in quella che pochi anni prima era stata, per numero, la seconda comunità ebraica della Polonia”44.
Documento, Primo Levi, cap. “La selezione”, in Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 1958.
“Sembra che tutto vada come ogni giorno, il camino delle cucine fuma come di consueto, già si comincia la distribuzione della zuppa. Ma poi si è udita la campana, e allora si è capito che ci siamo. Perché questa campana suona sempre all’alba, e allora è la sveglia, ma quando suona a metà giornata vuol dire <>, clausura in baracca, e questo avviene quando c’è selezione, perché nessuno vi si sottragga, e quando i selezionati partono per il gas, perché nessuno li veda partire.
Il nostro Blockaltester [internato responsabile della baracca] conosce il suo mestiere. Si è accertato che tutti siano rientrati, ha fatto chiudere la porta a chiave, ha distribuito a ciascuno la scheda che porta la matricola, il nome, la professione, l’età e la nazionalità, e ha dato ordine che ognuno si spogli completamente, conservando solo le scarpe. In questo modo, nudi e con la scheda in mano, attenderemo che la commissione arrivi alla nostra baracca. Noi siamo la baracca 48, ma non si può prevedere se si comincerà dalla baracca 1 o dalla 60. In ogni modo, per almeno un’ora possiamo stare tranquilli, e non c’è ragione che non ci mettiamo sotto le coperte delle cuccette per riscaldarci.
Già molti sonnecchiano, quando uno scatenarsi di comandi, di bestemmie e di colpi indica che la commissione è in arrivo. Il Blockaltester e i suoi aiutanti, a pugni e a urli, a partire dal fondo del dormitorio, si cacciano davanti la turba dei nudi spaventati, e li stipano dentro il Tagesraaum, che è la Direzione Fureria. Il Tagesraum è una cameretta di sette metri per quattro: quando la caccia è finita, dentro il Tagesraum è compressa una compagine umana calda e compatta, che invade e riempie perfettamente tutti gli angoli ed esercita sulle pareti di legno una pressione tale da farle scricchiolare. Ora siamo tutti nel Tagesraum, e, oltre che non esserci tempo, non c’è neppure posto per avere paura. La sensazione della carne calda che preme tutto intorno è singolare e non spiacevole. Bisogna aver cura di tener alto il naso per trovare aria, e di nome spiegazzare o perdere la scheda che teniamo in mano.
Il Blockaltester ha chiuso la porta Tagesraum-dormitorio e aperto le altre due che dal Tagesraum e dal dormitorio danno all’esterno. Qui, davanti alle due porte, sta l’arbitro del nostro destino, che è un sottufficiale delle SS. Ha a destra il Blockaltester, a sinistra il furiere della baracca. Ognuno di noi, che esce nudo dal Tagesraum nel freddo dell’aria di ottobre, deve fare di corsa i pochi passi fra le due porte davanti ai tre, consegnare la scheda alla SS e rientrare per la porta del dormitorio. La SS, nella frazione di secondo fra due passaggi successivi, con uno sguardo di faccia e di schiena giudica della sorte di ognuno, e consegna a sua volta la scheda all’uomo alla sua destra o all’uomo alla sua sinistra, e questo è la vita o la morte di ciascuno di noi. In tre o quattro minuti una baracca di duecento uomini è <>, e nel pomeriggio l’intero campo di dodicimila uomini”45.
Documento, Rudolph Hoss, “Le camere a gas”, in Comandante ad Auschwitz, Torino, Einaudi, 1960.
Premessa: questo testo è tratto dall’autobiografia del carnefice di Auschwitz, condannato a morte dal Tribunale di Norimberga per “crimini contro l’umanità” ed impiccato non a Norimberga, ma nel lager che aveva brutalmente diretto.
“Ricordo invece più nitidamente la gassazione, immediatamente successiva, di 900 russi nel vecchio forno crematorio, dacché l’utilizzazione del block II comportava troppe difficoltà. Mentre ancora durava lo sbarco dal treno, nella copertura di terra e cemento armato della camera mortuaria vennero praticate delle aperture. I russi vennero obbligati a spogliarsi nell’anticamera, e poi entrarono tutti tranquillamente nella camera mortuaria, dove era stato detto loro che sarebbero stati spinocchiati. Lo spazio conteneva giusto l’intero trasporto. La porta venne sbarrata e dalle aperture venne fatto entrare il gas. Non so quanto sia durata questa uccisione, ma per un certo tempo si intese come un ronzio. Al momento dell’emissione, alcuni urlarono <> e si levò come un ruggito, mentre gli uomini cercavano di forzare le porte, che tuttavia non cedettero. Parecchie ore dopo, le porte vennero aperte e fu fatta entrare l’aria. Allora per la prima volta vidi in grande quantità i cadaveri di individui gassati, e ciò provocò in me un malessere, un brivido, benché mi fossi figurata peggiore la morte col gas. Avevo sempre immaginato un orribile soffocamento, mentre invece i cadaveri non mostravano affatto tracce di contrazioni o di spasimi. Come mi spiegarono poi i medici, l’acido prussico agiva sui polmoni con un effetto paralizzante ma talmente repentino e violento da non provocare fenomeni di vero soffocamento, come avviene per il gas illuminante, o in generale, per l’assenza di ossigeno nell’aria.
Sull’uccisione dei prigionieri di guerra russi, non formulavo, quel tempo, alcun giudizio: era un ordine, e dovevo eseguirlo. Ma devo dire apertamente che la loro gassazione mi recò un grande conforto, perché entro un termine prevedibile avrebbe dovuto cominciare lo sterminio in massa degli ebrei”46.
Documento, Rudolph Hoss, “Deposizione al processo di Norimberga”, in W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 2014.
“La soluzione finale del problema ebraico significava il completo sterminio di tutti gli ebrei d’Europa. Mi fu dato l’ordine, nel giugno del 1941, di creare, ad Auschwitz, installazioni per lo sterminio. A quel tempo nel governatorato generale della Polonia esistevano già tre altri campi di sterminio: Belzec, Treblinka e Wolzek […].
Feci una visita a quello di Treblinka per vedere come si procedeva allo sterminio.
Il comandante del campo di Treblinka mi disse di aver liquidato 80.000 persone nel corso di un semestre. Era stato incaricato di liquidare prima tutti gli ebrei provenienti dal ghetto di Varsavia.
Egli usava monossido di carbonio. Ma io non ritenni che i suoi metodi fossero molto efficienti, per cui quando ad Auschwitz organizzai i locali per lo sterminio usai lo Zyklon B, acido prussico in cristalli che veniva fatto cadere nella camera della morte da una piccola apertura. Per uccidere coloro che vi si trovavano bastavano da tre a quindici minuti, a seconda delle condizioni atmosferiche.
Sapevamo che le persone erano morte quando le grida cessavano. In genere, aspettavamo una mezz’ora prima di aprire le porte e portar via i cadaveri. Poi i nostri commandos speciali toglievano loro gli anelli e i denti d’oro.
Rispetto a Treblinka, un altro progresso fu la costruzione di camere a gas che contenevano duemila persone alla volta mentre a Treblinka le dieci camere a gas del campo potevano servire solo per duecento persone ognuna”47

CONCLUSIONE

La questione che si apre alla fine di una trattazione dei totalitarismi tra le due guerre mondiali è attinente all’ “attualità” della ‘lezione’ che queste differenti forme di dittatura possono offrire al mondo attuale. Tale problema è stato esaurientemente affrontato dalla filosofa Hannah Arendt, allieva del pensatore esistenzialista tedesco Martin Heidegger (di cui è stata anche l’amante, per anni), ebrea perseguitata ed infine emigrata negli Stati Uniti, nelle cui università è stata docente di filosofia politica.
La Arendt ha studiato le origini dei totalitarismi e dell’imperialismo, propedeutici all’avvento del nazismo e dello stalinismo. Alla base del totalitarismo vi è la società di massa, ovvero il processo di massificazione degli individui, che diventano individui “astratti”, “intercambiabili”, “atomi sociali”, e quindi facili prede di ideologie che tendono a sottometterli. Le classi sociali, nei totalitarismi, sono diventate masse, sulle quali il Partito Unico esercita il terrore, reprimendo ogni dissenso ed ogni opposizione, sia all’interno che all’esterno48. Il Partito Unico è alimentato da un’ideologia che tende a porsi sopra le tradizionali categorie morali di “bene” e “male”, sopra ogni senso: questa è l’ ”insensatezza” dei regimi totalitari. Contro il primato del pensiero speculativo ed in sintonia con il pragmatismo deweyano, Hannah Arendt afferma il primato della vita attiva, della “Biòs politikos” (“Vita politica”): modello di questa vita attiva è il mondo greco ed Aristotele in particolare: l’etica, per la Arendt, s’intreccia quindi con la politica49. Non ha senso l’individuo isolato, ma l’individuo membro di una comunità, poiché, come aveva affermato Aristotele, l’uomo è “zoon politikòn”, ovvero “animale politico”. La vita attiva dell’individuo nella società si esplica in tre esperienze fondamentali: 1) il lavoro, per soddisfare i bisogni vitali, 2) l’operare, per trasformare il mondo naturale in un mondo “artificiale” nel senso di “utile” all’uomo, 3) l’azione etico-politica. Quest’ultima è la più importante, in quanto mette in relazione gli uomini tra di loro, nel rispetto della reciproca libertà, e si esplica con azioni e discorsi: gli uomini, nell’azione etico-politica, sono “uguali nella diversità”, nel senso che se non fossero uguali, non potrebbero comprendersi tra loro e se non fossero diversi non avrebbero niente da comunicare. Al limite, afferma la filosofa, gli uomini potrebbero vivere senza lavorare, ma non potrebbero vivere senza compiere azioni o pronunciare discorsi, senza cioè fare della politica: questo primato dell’attività politica sulla vita contemplativa si è perso da Platone in avanti ed il cristianesimo ha seguito questa linea del primato della vita contemplativa, che va invece rovesciato a favore del primato della vita attiva, della vita politica, dell’azione, della prassi, per evitare conseguenze negative sulla condizione umana. Bisogna recuperare quel senso di “paideia” nel senso greco di educazione, cultura, formazione, educazione alla vita politica, caratteristica del mondo pre-platonico e riscontrabile, ad esempio, nella sofistica “nobile” e democratica di Protagora di Abdera. Il modello della polis greca è quindi per la Arendt ancora attuale. Nella critica alla vita contemplativa ed a Platone si risente l’influsso di Nietzsche, letto attraverso gli occhi di Heidegger, di cui la Arendt era allieva.
Le origini del totalitarismo (1951) e la Vita activa (1958) sono le due più importanti opere della filosofa della politica, ma riveste importanza anche il suo studio Tra passato e futuro (1961), in cui la Arendt afferma che la libertà è libertà di operare nello spazio pubblico: libertà e politica coincidono, anche se i totalitarismi, che hanno subordinato alla politica ogni settore della vita, sembrano smentire questo assioma di identità tra libertà e politica50. Tutta l’età moderna, età di Stati patrimoniali (come la Francia del Re Sole), ha diviso libertà e politica. Persino nel cristianesimo si predicava il ritiro dalla vita politica a favore della vita contemplativa, ma gli uomini sono liberi nella misura in cui agiscono: questo è stato l’insegnamento delle polis, delle città-stato elleniche. La separazione della politica dalla libertà si è verificata perché gli uomini non hanno mai considerato con il degno valore la politica. Qualunque azione, afferma la Arendt, è politica, anche se non appare esplicitamente come tale. Bisogna Quindi recuperare la tradizione pre-platonica greca, quella dell’ “aretè” intesa come “virtù” politica (in questo la Arendt concorda con Machiavelli, circa la separazione della politica dall’etica e dalla religione). Si nota infine come l’allieva di Heidegger fondi la necessità dell’impegno politico con l’Esistenzialismo (pur dissentendo, ovviamente, dalle idee naziste del maestro, del quale comunque prese le difese dopo la guerra). La Arendt critica inoltre il distacco epicureo dalla vita politica (dissente dal motto di Epicuro “vivi nascosto”).
Il totalitarismo contemporaneo si presenta come una forma permanente di governo terroristico ed i lager servirono come laboratori di verifica del terrorismo permanente, che colpì anche gli innocenti, come appunto gli ebrei: i totalitarismi contemporanei hanno annullato ogni spontaneità e individualità, ma quello che maggiormente colpisce è che gli ebrei vanno a morire senza reagire. Il totalitarismo nazista non nascose i suoi progetti ed affermò esplicitamente che gli ebrei andavano eliminati. A differenza dell’omicidio, il lager concepisce la morte come condizione permanente ed il fatto che milioni di uomini andassero passivamente verso le camere a gas dimostra l’annullamento dell’individualità: scompare così, paradossalmente, la differenza tra vita e morte. Per la Arendt, lo sfruttamento praticato di masse di individui senza un profitto dimostra l’insensatezza dei regimi totalitari.
Ad esempio, il nazista Eichmann ha commesso azioni mostruose come criminale nazista verso gli ebrei, ma non è un essere mostruoso, né perverso, né sadico, né cattivo: Eichmann è un uomo comune, incapace di pensare e di distinguere il bene dal male, dichiarerà, al processo, svoltosi a Gerusalemme e nel quale la filosofa sarà testimone oculare, di avere soltanto obbedito agli ordini in modo tecnico e burocratico, “insensato” e quindi si colloca perciò al di là delle categorie morali di bene e male51. Eichmann è un perfetto idiota, pur non essendo affetto da difetti naturali di intelligenza, è un superficiale, è una “non persona”, quindi è innocente. Ne Le origini del totalitarismo si trovano già anticipazioni di queste idee, espresse ne La banalità del male. La Arendt fu accusata di tradimento ed apologia del nazismo dalla comunità ebraica internazionale e dal mondo accademico, ma la filosofa si difese con vigore.

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INDICE
CAPP./
PARR.
TITOLI
PP.

Frontespizio-copertina
1

INTRODUZIONE
2
I.
IL FASCISMO
5
I.1.
I problemi primo dopoguerra mondiale in Italia, il “biennio rosso”, la nascita del Partito Popolare e del Partito Comunista d’Italia.
5
I.2.
Il giovane Mussolini, i fasci di combattimento ed il programma di San Sepolcro.
6

Documento: Benito Mussolini, “Il programma di San Sepolcro”, marzo 1919.
7
I.3.
L’Italia tra il 1919 ed il 1922: da Nitti alla marcia su Roma.
7

Documento: “Discorso di insediamento di Mussolini”.
9

Documento: Gaetano Salvemini rinuncia all’insegnamento sotto la dittatura fascista.
10
I.4.
La costruzione del regime fascista (1922-25) ed i primi atti del regime (1926-27).
11

Documento: “Discorso di Mussolini al Parlamento del 3 gennaio 1925”.
13
I.5.
La costruzione del regime fascista e le scelte economiche.
13
I.6.
I rapporti con la Chiesa: il Concordato. Giovanni Gentile e la concezione dello Stato.
15

Documento: il “Concordato”.
16
I.7.
Propaganda e dissenso.
17

Documento: Manifesto degli intellettuali fascisti.
18

Documento: B. Croce, Manifesto degli intellettuali antifascisti.
19
I.8.
La politica estera del fascismo: dall’accordo di Stresa al Patto d’Acciaio.
20
I.9.
Le leggi razziali.
21

Documento: “Manifesto della razza”.
21
I.10
La caduta del fascismo, l’armistizio e la Resistenza nel nord Italia.
22

Storiografia: Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza.
24
I.11.
L’Italia divisa: il Regno del Sud tra il 1943 ed il 1944.
25
I.12.
La Repubblica nazifascista di Salò.
26
I.13.
La fine della guerra.
27
I.14.
Le foibe: una tragedia dimenticata.
28
I.15.
Dalla liberazione al primo governo De Gasperi.
28
I.16.
Le interpretazioni sul fascismo.
29
II.
CENNI SUI TOTALITARISMI IN PORTOGALLO, SPAGNA ED UNGHERIA.
35
II.1.
La dittatura di Salazar in Portogallo.
35
II.2.
La guerra civile spagnola e l’instaurazione del regime franchista.
35
II.3.
Le “croci frecciate” in Ungheria.
36
III.
LO STALINISMO
38
III.1.
L’avvento di Stalin.
38
III.2.
La politica economica di Stalin.
38
III.3.
Il nuovo assetto internazionale dell’ U. R. S. S. e l’istruzione.
39
III.4.
Dissenso e repressione. I gulag.
40
III.5.
Il terrore staliniano e le “grandi purghe”.
41

Documento: I. V. D. Stalin – S. Kirov – A. Zdanov, “Osservazioni sul manuale di storia moderna”.
44
IV.
IL NAZIONALSOCIALISMO E LA SHOAH
46
IV.1.
La nascita della Repubblica di Weimer.
46
IV.2.
La fine della Repubblica di Weimer e l’avvento del nazismo in Germania.
48
IV.3.
La nascita del III° Reich: 1933-34.
48
IV.4.
Lo Stato totalitario in Germania, l’antisemitismo e la politica interna di Hitler.
49
IV.5.
I principali lager nazisti in Europa.
52
IV.6.
L’antisemitismo nella storia.
52
IV.7.
La Shoah.
55

Storiografia: K. D. Bracher, La dittatura tedesca. Origini, strutture, conseguenze del nazionalsocialismo, Il Mulino, Bologna, 1973.
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Documento: H. Himmler, “Le S. S. come aristocrazia della pura razza ariana”, discorso alle S. S. del 1937, in E. Collotti, La Germania nazista, Einaudi, Torino, 1962.
62

Storiografia: E. Collotti, La Germania nazista, Einaudi, Torino, 1962.
62

Documento: H. Hitler, Mein Kampf, 1925, in W. Hofer, Il Nazionalsocialismo: documenti 1933-1945, Feltrinelli, Milano, 1964.
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Documento: H. Himmler, “Disposizioni per i popoli dell’Europa Orientale”, discorso di Himmler del 1940, in H. Brenner, La politica culturale del nazismo, Laterza, Bari, 1965.
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Storiografia: “La scuola sotto il nazismo”, in W. S. Allen, Come si diventa nazisti, Einaudi, Torino, 1994.
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Documento: “Lettera di Martin Bormann, divenuto segretario del partito nazista, datata 23 luglio 1942, per il trattamento delle popolazioni slave”, in W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 2014.
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Documento: “Circolare di Erich Koch, commissario del Reich per l’Ucraina, datata 5 marzo 1943, in W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 2014.
66

Documento: “Testimonianza di un prigioniero sopravvissuto relativo alla morte per congelamento di due ufficiali sovietici”, in W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 2014.
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Storiografia: R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa, Einaudi, Torino, 1995. Negazionismo, funzionalismo, intenzionalismo.
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Storiografia: I. Deutschkron, “La razza ebraica si riconosce dall’orecchio sinistro”, in Io portavo la stella gialla, Colonia, Wissenschaft und Politik, 1978.
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Storiografia: A. J. Meyer, “Il ghetto di Lodz e l’eliminazione degli ebrei polacchi”, in Soluzione finale, Mondadori, Milano, 1990.
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Documento: P. Levi, “La selezione”, in Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 1958.
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Documento: R. Hoss, “Le camere a gas”, in Comandante ad Auschwitz, Torino, Einaudi, 1960.
71

Documento: R. Hoss, “Deposizione al processo di Norimberga”, in W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 2014.
72

CONCLUSIONE
74

BIBLIOGRAFIA A) FONTI PRIMARIE
77

B) FONTI SECONDARIE
78

INDICE
80

L’età dei totalitarismi in Europa tra le due guerre mondialiultima modifica: 2021-02-04T14:50:20+01:00da m_200
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