Il colonialismo europeo e la crisi di fine secolo

L’INDUSTRIALIZZAZIONE DEI “PAESI IN RITARDO”. LA “GRANDE DEPRESSIONE” E LA RIPRESA DELLA QUESTIONE SOCIALE: LA II INTERNAZIONALE (!889-1914). IL COLONIALISMO EUROPEO TRA FINE OTTOCENTO  E PRIMO NOVECENTO (1871/1914)

Nel secondo Ottocento si assiste alla cosiddetta “industrializzazione dei Paesi in ritardo”, ovvero la Russia dei Romanov, che inizia, grazie soprattutto al capitale straniero, il suo processo di industrializzazione solo nelle grandi città, quali Mosca e Pietroburgo, e la sua espansione nell’Asia centrale ed in Estremo Oriente, l’Italia, che avvia il processo di modernizzazione solo nelle grandi città del Nord (Milano, Torino e Genova, destinate a costituire, nel primo ‘900, il “triangolo industriale”), ed il Giappone, ove scoppia una rivolta contro l’aristocrazia militare degli shogun; nell’arcipelago giapponese il governo torna nelle mani dell’imperatore, che avvia quindi un’industrializzazione “dall’alto”, forzata, faticosa, ma che porterà presto al passaggio dal feudalesimo ad una società industrializzata. Grazie al processo di industrializzazione e di riorganizzazione militare, il Giappone conquistò la Corea, togliendola alla Cina.

Gli storici definiscono pertanto “età dell’imperialismo” il periodo compreso tra gli anni ’70 dell’Ottocento e la Grande Guerra. Questo periodo fu anche caratterizzato da un’acuirsi delle lotte sociali, grazie al crescente peso dei sindacati in tutta Europa ed alla nascita dei partiti socialisti, e da una grave crisi economica, nota come “grande depressione”, che mise in discussione le ottimistiche certezze del capitalismo. Di fronte a tali tensioni sociali, alla I Internazionale, iniziata nel 1864 e conclusasi nel 1876, seguì la II Internazionale nel 1889, che si concluderà solo nel 1914, con lo scoppio della prima guerra mondiale e la fine del pacifismo socialista. La II Internazionale fu formata non più dalla eterogenea presenza di varie componenti politiche, come la Prima, ma dai soli partiti socialisti europei, in quanto il pensiero marxiano si era ormai imposto, sin dalla fine della I Internazionale, come pensiero dominante.

Le grandi potenze europee svilupparono una politica aggressiva e militaristica, caratterizzata da un deciso espansionismo nelle aree sottosviluppate del pianeta, in particolare dell’Africa e dell’Asia. Vennero così a crearsi grandi imperi coloniali, tra di loro in una situazione di permanente tensione. La forte competizione tra Francia ed Inghilterra nella spartizione del mondo in zone d’influenza coloniale portò alla fine, alla coalizione delle due potenze nella Triplice Intesa. Tale colonialismo finirà quasi definitivamente solo negli anni ’60 del Novecento.

L’Impero britannico era indiscutibilmente il più importante degli imperi coloniali e si estendeva per tutto il globo, per mare e per terra, su vasti territori quali l’India, il Canada e l’Australia; nell’ultimo quarto del secolo gli inglesi erano penetrati con decisone nel continente africano, occupandone una vasta area, in Egitto, ove L’Inghilterra acquisì la quota azionaria del canale di Suez, consapevole dell’importanza strategica del canale, e nel Sud Africa, dando vita all’Unione Sudafricana, a causa della quale la popolazione nera avrebbe presto conosciuto un destino di segregazione razziale. L’Impero britannico dovette però sedare numerose rivolte scoppiate in India, in cui si stava creando anche una classe locale di intellettuali che in seguito sarebbe stata protagonista della lotta per l’indipendenza.

Se la penetrazione inglese in Africa seguì la linea nord-sud, quella francese seguì la rotta est-ovest, dall’Algeria e dall’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano; inoltre la Francia si spinse nel Sud-Est asiatico, conquistando l’odierno Vietnam.

Il Congo fu invece attribuito al Belgio nel 1885 (con il Congresso di Berlino), che si insediò quindi nell’Africa centrale, mentre l’Olanda controllava le Indie Orientali e disponeva di un piccolo possedimento in Sud America, la Guaiana olandese.

L’espansione coloniale francese nell’Africa nord-occidentale e in Indocina aveva dimostrato, a lungo termine, il fallimento della politica estera di Bismarck, tesa ad isolare la Francia. In Germana, infatti, a Guglielmo I successe Guglielmo II, che obbligò Bismarck a dimettersi inaugurando un “nuovo corso” della politica, consistente nelle imprese coloniali; Bismarck aveva infatti indugiato a lanciarsi nell’espansione coloniale e per questo l’espansione tedesca fu limitata solo all’ultimo quindicennio del secolo, durante il quale la Germania si assicurò però il controllo della linea ferroviaria Istanbul-Baghdad, infiltrandosi così in Medio Oriente. La costruzione ed il controllo tedesco di tale linea ferroviaria sarà una delle cause che, nel 1914, condurranno allo scoppio della prima guerra mondiale, perché l’Inghilterra fu spinta ad inaugurare una politica di riavvicinamento alla Francia ed alla Russia (con le quali costituirà infatti la “Triplice Intesa”, contrapposta alla “Triplice Alleanza”, formata invece da Italia, Impero Austro-Ungarico e Germania), contribuendo così a sfaldare il sistema bismarckiano teso ad isolare la Francia.

Gli Stati Uniti intervennero invece a Cuba, nello Stato di Panama, nell’America del Sud e nelle Filippine; in particolare con l’America del Sud costruirono una rete preferenziale di scambi economici.

La Cina, priva di un forte potere centrale, fu invece oggetto di varie imprese coloniali e divenne una sorta di colonia aperta a chiunque volesse sfruttarla. Nel 1900 scoppiò la durissima rivolta nazionalista ed antioccidentale dei “boxers”, che fu schiacciata dall’intervento congiunto di otto Paesi coloniali. Nel 1908 nacque però l’ “Unione dei Rivoluzionari”, che avrebbe gettato le basi per la lotta contro l’occupazione straniera.

I PROBLEMI DELL’ITALIA POSTUNITARIA E LA CRISI DI FINE SECOLO.

La “morte immatura” di Cavour: la “questione meridionale” ed il brigantaggio nella politica della Destra Storica.

L’ “Inchiesta Jacini” e la “Legge Pica”. La “Riforma Casati”, il “pareggio del bilancio” e la conseguente caduta del II° Ministero Minghetti. La Sinistra al potere: Agostino Depretis, la “Legge Coppino”, il “trasformismo”, la formazione della Triplice Alleanza, la sconfitta di Dogali. L’autoritarismo di Francesco Crispi: il protezionismo, il massacro di Adua. Il “parlamentarismo” di Giovanni Giolitti: lo scandalo della Banca Romana. Il ritorno di Crispi: la repressione dei “fasci siciliani”, la “Rerum Novarum” di Leone XIII, la nascita del P.S.I.. La crisi di fine secolo: Antonio Di Rudin. e la repressione di Bava Beccaris a Milano. Il generale Pelloux. Il regicidio di Umberto I  ed il governo Zanardelli.

1. I governi della Destra Storica (1861/76) e la “questione meridionale”.

I governi della Destra Storica, succeduti alla morte di Cavour, avvenuta prematuramente il 6 giugno 1861, fecero una politica accentrata, favorendo le industrie del Nord e trascurando il Mezzogiorno. In economia promossero il liberismo:migliorarono le vie di comunicazione, le strade, la rete ferroviaria, le opere pubbliche, ma, invece di intervenire al Sud, investirono denaro nell’industria siderurgica e nell’industria pesante e bellica, reprimendo, oltre al brigantaggio, anche gli scioperi e le manifestazioni operaie. In politica interna si segnala un aspetto positivo: la Riforma Casati della Pubblica Istruzione, che rendeva obbligatoria la scuola elementare fino a 9 anni.

La “questione meridionale” affonda le proprie radici nella condizione di miseria in cui vivevano le masse contadine del Mezzogiorno italiano, dovuta al tradizionale malgoverno borbonico ed all’incuria ed all’oppressione dei latifondisti, classe sociale costituita dall’alta borghesia e dalla nobiltà che aveva acquistato le terre ecclesiastiche. Si sviluppò in Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia, in modo particolare in Basilicata, Puglia e Calabria. I Borboni, famiglia di origine francese che governava il Sud, incoraggiarono, a loro volta, il brigantaggio come fenomeno antipiemontese, e così il brigantaggio si sviluppò a) come fenomeno antiborbonico e b)come fenomeno antipiemontese. In primo luogo, i contadini aspiravano ad entrare in possesso della terra. Le masse meridionali avevano invano riposto in Garibaldi le loro speranze, ma furono deluse: la liberazione del Mezzogiorno non significava liberazione dal malgoverno borbonico e dalla fame. Per questo il brigante ebbe molte volte il sostegno del contadino, che vedeva nel brigante un liberatore; il contadino diventò egli stesso “brigante” e i due termini, di “contadino” e “brigante”, tesero a coincidere, almeno per un certo periodo I governi di Destra (1861/76) e di Sinistra (1876/87) che seguirono all’unificazione nazionale, avvenuta il 17 marzo 1861 in modo incompleto (mancavano ancora il Veneto, conquistato solo nel 1866, dopo la terza guerra d’indipendenza, Roma, presa con la “breccia di Porta Pia” il 20 settembre 1870, dopo il crollo dell’impero francese avvenuto a Sedan per mano prussiana del cancelliere Otto Von Bismarck, il Trentino-Alto-Adige ed il Friuli-Venezia Giulia, conquistati solo con i trattati di pace del 1919 che conclusero la prima guerra mondiale o “quarta guerra d’indipendenza”), non risolsero i problemi del Sud, ma li accentuarono, e nello stesso modo si comportarono i governi di fine secolo ed il liberalismo di Giolitti (1903/14). La capitale d’Italia, prima Torino (1861/65), poi Firenze (1865/70) era troppo “lontana”, geograficamente e culturalmente, dal Meridione. Nota era in proposito la frase di Massimo D’Azeglio “L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani”. L’atteggiamento moderato piemontese fu chiuso e paternalistico; Cavour stesso riteneva la repressione del brigantaggio l’unico mezzo per eliminare la corruzione presente al Sud e la politica di tutto il Risorgimento fu erroneamente centralizzatrice anziché decentrata. Nel 1861 il ministero Jacini, subito dopo la morte di Cavour, aveva promosso l’ ”inchiesta Jacini”, vale a dire un esame dettagliato della situazione economico-sociale al Sud: era emerso un quadro spaventoso. Nel 1863 la “Legge Pica” stronca le rivolte contadine affidando i processi dei briganti ai tribunali militari. Più in particolare, le cause della questione meridionale e del brigantaggio furono le sgg.:

1)estensione dello “Statuto fondamentale del Regno di Sardegna” a tutto il Regno d’Italia;

2)eccessiva durata del servizio militare (5 anni), che sottraeva, al Sud, braccia utili alle famiglie contadine, e per questo molti giovani, destinati al servizio militare, si diedero alla macchia;

3)oppressione sociale dei Borboni;

4)disinteresse dei governi della Destra storica prima e della Sinistra storica in seguito (si consideri che “Destra” e “Sinistra” non avevano il significato che hanno assunto nel secondo dopoguerra mondiale, ma che erano “partiti” moderati e abbastanza vicini tra loro), come evidenziano gli storici meridionalisti Pasquale Villari (Lettere meridionali e Di chi la colpa? O sia la pace e la guerra, in cui sostiene che “La colpa è de’ Capi”), alla fine dell’Ottocento, Gaetano Salvemini e Benedetto Croce nel primo ‘900;

5)esosa politica fiscale imposta al Sud dai governanti del Nord (la maggioranza degli uomini di governo, della Destra e della Sinistra, sono infatti settentrionali);

6)arretratezza economica e dei mezzi agricoli, come sottolinea l’ “Inchiesta Jacini” sulla situazione nelle campagne del Sud, dal nome del ministro della Destra Storica che la promosse nel 1861;

7)totale assenza dell’industria, parzialmente sviluppata solo al Nord per la volontà politica filopiemontese;

8)il brigantaggio, di conseguenza, nasce e si sviluppa quindi come fenomeno di protesta.

Nel secondo dopoguerra mondiale, con la “Cassa per il Mezzogiorno” si è invano cercato di risolvere, in modo paternalistico e parassitario, i problemi dell’Italia meridionale, ma ciò ha dato spazio solo a scandali economici che hanno coinvolto direttamente importanti uomini politici, ed anche con l’abolizione di tale ‘Cassa’ la “questione meridionale” è rimasta ancora “aperta”.

I ministeri della Destra Storica si successero dal 1861 al 1876 e furono i seguenti: Jacini, Rattazzi, Minghetti, La Marmora, Sella, Sonnino, Minghetti. Nel 1875, grazie alla sua esosa politica fiscale, la Destra riuscì a ridurre il deficit fiscale e ad ottenere il “pareggio del bilancio”; nel 1876 cade la Destra, con il II° ed ultimo ministero Minghetti, che aveva approvato l’odiata tassa sul macinato impedendo la discussione in Parlamento. Gli successe Agostino Depretis, un uomo della Sinistra.

DS. STORICA (1861/76)
Cavour (muore il 6 giugno 1861).
Jacini
Rattazzi
Minghetti (I° ministero)
La Marmora
Sella
Sonnino
Minghetti (II° ministero, cade nel 1876)

2. La Sinistra al potere: Agostino Depretis ed il “trasformismo” (1876/87).

Depretis promosse una politica a favore della borghesia in ascesa ed ampliò il suffragio, allargandolo a chi aveva compiuto 21 anni e sapesse leggere e scrivere o a chi pagasse almeno 20 lire di tasse all’anno. Con la Legge Coppino (1877) rese obbligatoria e gratuita la scuola elementare, migliorando così la legge Casati, visto che il tasso di analfabetismo era sempre altissimo. In politica interna Depretis seguì la linea cavouriana del “trasformismo”, vale a dire una politica di accordi parlamentari, anche di “corridoi”, tra la Sinistra e la Destra, al fine di promuovere determinate leggi; con il passare del tempo, il trasformismo divenne sinonimo di “corruzione parlamentare”. Depretis attuò la politica del trasformismo per isolare l’estrema sinistra socialista di Andrea Costa. Nel 1878, intanto, era morto Vittorio Emanuele II e gli era successo il figlio Umberto I. L’Italia abbandonò i vecchi alleati, cioè Francia ed Inghilterra, e nel 1882 entrò a far parte della Triplica Alleanza, con Germania ed Impero Austro-Ungarico. Visto che la Francia aveva conquistato la Tunisia, anche Depretis rivendicava un “posto al sole” per l’Italia e per questo inaugurò una politica estera espansionistica tentando di occupare l’Etiopia, ma nel 1887 le truppe italiane furono massacrate a Dogali dall’esercito etiope del negus (imperatore) Melenik.

3. La crisi di fine secolo (1887/1903): l’autoritarismo di Crispi, il parlamentarismo di Giolitti ed il ritorno di Crispi. L’autoritarismo di Di Rudinì e Pelloux. Il governo Zanardelli.

Nel 1887 morì Depretis e gli successe Francesco Crispi. un meridionale, uomo di sinistra, ma autoritario e statalista: la sua politica fu infatti detta “autoritarismo”. Crispi aveva partecipato, insieme a Rosolino Pilo, alla “spedizione dei mille”. Attuò una politica economica protezionistica ed una politica interna anticlericale, ma anche antisindacale. Il ministro degli esteri italiano Sidney Sonnino riteneva che l’Etiopia potesse essere la nuova patria degli esuli italiani in cerca di lavoro. Nel 1896 Crispi ritentò l’impresa, ma le truppe italiane furono nuovamente sconfitte ad Adua e Crispi fu costretto a dimettersi.

Gli successe il liberale Giovanni Giolitti, uomo tollerante ed attento alle questioni sociali, seguace del trasformismo; la sua linea politica fu detta “parlamentarismo”. Coinvolto nello scandalo della Banca Romana, fu costretto  a dimettersi.

Tornò allora al potere Crispi, che attuò una politica repressiva nei confronti dei contadini del Sud e represse il movimento dei “fasci siciliani” (“fascio” nel senso di “unione”), con i quale i contadini siciliani chiedevano una revisione dei contratti agrari, poiché questi includevano ancora norme feudali. Anche al Nord, intanto, si stava inasprendo la lotta di classe, poiché lo sviluppo industriale aveva creato una larga fascia di proletariato. Dopo il “non expedit” del 1874, di Pio IX, salì al soglio pontificio Leone XIII: il nuovo papa emanò, nel 1891, l’enciclica “Rerum Novarum”, con la quale la Chiesa intervenne in materia sociale, visto il clima di tensione, affermando che gli imprenditori devono prendersi cura dei loro operai, con una politica sociale, salari più equi e condizioni di lavoro migliori. Anche se, come sempre, in tempi lunghi, la Chiesa prende quindi posizione sulla questione sociale (ricordiamo che nel 1864 e nel 1889 c’erano state le prime due internazionali socialiste). Nel 1892, a Genova, Filippo Turati aveva fondato il P.S.I., ovvero il Partito Socialista Italiano: rifiutando l’anarchismo di Bakunin, Turati ideò un socialismo moderato, detto riformismo, ma, accanto alla linea di Turati, che tendeva a risolvere i problemi sociali con graduali riforme parlamentari, si stava formando, in seno allo stesso P.S.I., una linea massimalista-rivoluzionaria, non anarchica, ma d’ispirazione marxista, con Andrea Costa, che tendeva a risolvere la questione sociale con una rivoluzione violenta del proletariato. Coinvolto, come precedentemente Giolitti, nello scandalo della Banca Romana, anche Crispi dovette dimettersi.

A Crispi successe Antonio Di Rudinì, uomo di Destra, conservatore moderato che, cercando di considerare maggiormente la “questione meridionale”, ampliò il suffragio elettorale ed attuò un decentramento amministrativo, ma rafforzò anche l’esercito. Sidney Sonnino scrisse il noto articolo “Torniamo allo Statuto”: lo Statuto Albertino è ancora in vigore, ma è piuttosto disatteso; in questo contesto di tensioni sociali, Sonnino considera quindi positivamente un ritorno alle dipendenze del re piuttosto che a quelle del Parlamento. Nel 1898 la lotta di classe esplode a Milano: Di Rudinì ordina al generale Bava Beccaris di reprimere la rivolta, e Bava Beccaris attuò un vero e proprio massacro di piazza, cannoneggiando la folla e lasciando 300 morti sulla strada: si sparò su civili inermi, come bambini e vecchi. Ne seguì un’ondata repressiva: vennero chiusi i giornali di opposizione ed i sindacati, arrestati i dirigenti socialisti ed anche i cattolici che avevano appoggiato una pacifica manifestazione di piazza; durante la repressione di Bava Beccaris furono addirittura danneggiate le mura di un convento.

A Di Rudinì successe il generale Pelloux, che proseguì in questa politica di repressione, limitando la libertà di riunione, di associazione e vietando gli scioperi. Nel 1900 l’anarchico Gaetano Bresci uccide Umberto I: è il cosiddetto regicidio.

Il nuovo re è Vittorio Emanuele III, che affida il governo a Zanardelli: ministro di Zanardelli (1900/03) sarà nuovamente Giovanni Giolitti, che nel 1903 diventerà primo ministro e manterrà la carica quasi ininterrottamente fino al 1914 (vi saranno solo due brevissimi interruzioni, nel 1905 con Sonnino e nel 1910/11 con Sonnino-Luzzatti, da Giolitti stesso provocate, con la consapevolezza che sarebbe stato richiamato al governo, in assenza di uomini più abili di lui), ovvero sino alle soglie della I guerra mondiale:

questo periodo della storia politica  italiana sarà denominato età giolittiana (1903/14).

CRISI DI FINE SECOLO (1887/1903)

SOVRANI  DI SARDE- GNA E D’ITALIA (1815/1946)

 Crispi: autoritarismo Vittorio Emanuele I
Giolitti: parlamentarismo Carlo Felice
Crispi: autoritarismo Carlo Alberto
Di Rudinì: autoritarismo (1897/98) Vittorio Emanuele II
Pelloux: autoritarismo (1899) Umberto I
Zanardelli (1900/03) Vittorio Emanuele III
Età giolittiana  (1903/14) Umberto II

 

 

Il colonialismo europeo e la crisi di fine secoloultima modifica: 2015-05-18T18:52:55+02:00da m_200
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