La “Leben Jesu” del giovane Hegel

G. W. F. HEGEL, DAGLI SCRITTI TEOLOGICI GIOVANILI, VITA DI GESU’.

Lo scritto, appartenente al periodo bernese, è una trascrizione quasi letterale del Vangelo di Matteo, intrecciato con la morale kantiana.

Afferma inizialmente Hegel che “La ragion pura, incapace di ogni limite, è la divinità stessa”: si nota immediatamente come la desacralizzazione hegeliana investa anche Dio, identificato con la ragione umana.

Sembra che all’inizio Gesù limitasse il suo insegnamento solo a dei singoli, ma ben presto altri amici si unirono a lui. L’insegnamento di Cristo critica lo “spirito bottegaio giudaico”. La natura umana non è limitata solo agli impulsi del piacere: la ragione deve dominarli, dice Gesù a Nicodemo. La fede umana è nella ragione umana, che comanda la moralità come un dovere, perché “chi è sincero con sé stesso non teme il tribunale della ragione”. Gesù parla poi con la samaritana alla quale dice, afferma Hegel, che “Non esistono frontiere nazionali nel regno dei fini, dove signoreggiano solo la ragione e la morale”. Si nota come lo Hegel di questo periodo (ultimissimi anni del ‘700) sia prettamente kantiano: il regno dei cieli cristiano è identificato con il regno dei fini o dei giusti kantiano, ossia di coloro che vivono nell’obbedienza incondizionata alla legge morale. Compito di Gesù è invitare l’uomo a migliorarsi, perché solo con ciò verrà il regno di Dio, che non è un regno terreno e materiale, come invitavano a credere i pregiudizi ebraici.

Uccidere o adirarsi contro il fratello è uguale peccato: “è lo spirito della legge che conta, e non la lettera” (nel senso di ‘azione’), e “la ricompensa dei giusti è il silenzioso pensiero di avere agito bene”. Non le preghiere in ginocchio, i tesori terreni fanno l’uomo, ma il perdono e gli atti morali. Chi ascolta questi insegnamenti, ma non li segue, edifica la propria casa sulla sabbia, esposta ad ogni intemperie. Né valgono i sacrifici e gli statuti ecclesiastici (il corpus dottrinario) “positivi” (nel senso opposto, di ‘negativi’) o la cultura libresca, sia pur sacra o il rispetto del sabato, ma soltanto l’eco della voce divina nel nostro cuore, che è il nostro stesso agire morale: “l’uomo è signore anche del sabato”. Afferma di seguito Hegel: “Nulla di corporeo rende impuro l’uomo, ma solo i pensieri cattivi che sgorgano dalla sua anima. Il continuo nostro miglioramento è il sentimento stesso dell’immortalità dell’anima: è la nostra libertà, e non l’essere schiavi di un giogo datoci dall’esterno”. Solo i fanciulli possono entrare nel regno dei cieli (possono cioè adempiere al regno dei fini)  per la purezza e semplicità del loro cuore. Il perdono è indispensabile, perché lo spirito di riconciliazione è la caratteristica di un’anima purificata, che vive costruendo e non distruggendo, perdonando chiunque, di qualunque fede. Dove l’anima e l’interiorità sono pure, là è pura anche l’esteriorità, ma non viceversa: non è lavandosi le mani che si pulisce il cuore. Chi vive bene, bene si prepara alla morte e non la teme, perché la morte è un fatto naturale. Dio non è nei templi, ma dentro di noi, e non va adorato, ma bisogna perseverare nelle nostre azioni: assurde sono le ipocrite preghiere del fariseo al confronto dell’umiltà del pubblicano. La fede nella nostra sola ragione ci consente il regno dei cieli e Dio ci giudica per la nostra obbedienza alla legge morale: questa è per Dio la sola preghiera valida. Il piano morale divino non si limita ad un popolo, ad una parte religiosa o politica, ma abbraccia l’intero genere umano. Giuda credeva nel regno di Dio come un regno materiale, ma quando si è accorto che non era così, allora ha cercato di trarre ogni vantaggio possibile dalla sua amicizia: colto da una crisi morale, si è tolto la vita. Anche Pilato ha sbagliato lavandosi le mani davanti al popolo, perché ha rinunciato al suo impegno morale. Compito di Cristo è stato quello di procurare seguaci alla verità, e quindi alla legge morale.

In un successivo scritto teologico giovanile, Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, Hegel abbandona il Vangelo di Matteo e volge la sua attenzione a quello di Giovanni, più filosofico e speculativo: sarà qui più critica la posizione hegeliana verso il cristianesimo.

La “Leben Jesu” del giovane Hegelultima modifica: 2015-05-18T17:52:28+02:00da m_200
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