Le ultime lettere di Jacopo Ortis

UGO FOSCOLO,  ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS.

L’azione del romanzo viene narrata attraverso 62 lettere, scritte da Jacopo all’amico Lorenzo Alderani dall’ottobre 1797 al marzo 1799. Lorenzo, dopo il suicidio di Jacopo, finge di pubblicarle, aggiungendo una presentazione, qualche collegamento narrativo e descrivendo la tragica morte del protagonista. Il romanzo giunge alla propria stesura definitiva dopo circa vent’anni di stesure preliminari: le principali stesure sono quelle del 1802, 1816, 1817 (stesura definitiva). Il tema politico e quello amoroso non trovano un giusto equilibrio, ma tendono a contrapporsi nelle varie parti del romanzo. Lo stile è talvolta polemico (quando si parla di politica antiasburgica) e talora pacato (nei momenti di descrizione naturalistica, psicologica e negli attimi di immersione sentimentale). Nella composizione di questo romanzo autobiografico redatto in forma epistolare, l’autore si è sicuramente ispirato a I dolori del giovane Werther di Goethe, ma nell’ Ortis, al solo motivo passionale del Werther, si aggiunge anche quello politico. E’ un romanzo autobiografico perché Jacopo è la proiezione di Foscolo, anche se il poeta non arriverà mai al suicidio, malgrado avesse decisamente e drammaticamente manifestato, in quest’opera, la profonda delusione dei patrioti italiani per il trattato di Campoformio (1797).

Jacopo, giovane studente veneto di animo politico liberale, dopo il tradimento di Napoleone, ratificato dal trattato di Campoformio nel 1797, con il quale Napoleone vendeva Venezia (una delle ‘due patrie’ di Foscolo) all’Austria in cambio del Belgio, che diventava francese, abbandona Venezia, si rifugia sui Colli Euganei, dove conosce un altro rifugiato (il signor  “T”) e le sue due figlie: Isabellina e Teresa e s’innamora di quest’ultima. Ma Teresa è già promessa da suo padre ad un certo Odoardo, uomo ricco ed insignificante, anche se onesto. Con l’intento di allontanarsi da Teresa, che gli ha confessato di corrispondere i suoi sentimenti, ma inutilmente (per l’opposizione del padre di lei), Jacopo si rifugia a Padova, ma, disgustato dai corrotti costumi della buona società cittadina, torna da Teresa, e mentre Odoardo è in giro per affari, i due giovani vivono momenti di inquieto amore. Jacopo riceve un bacio dalla fanciulla, ma seguono i tremori di lei: pur sapendo che il suo è un amore senza speranza(“non posso essere vostra mai!” confessa Teresa all’amante), Jacopo si abbandona a questa gioia. Il ritorno di Odoardo e le più pressanti persecuzioni del regime austriaco inducono Jacopo alla fuga. Inizia così il suo pellegrinaggio per l’Italia, viaggia a Bologna, a Firenze, ove visita le tombe di Santa Croce, a Milano, dove ha un celebre colloquio con il vecchio Parini, poeta della coscienza civile italiana. Giunge ai confini con la Francia e conosce un giovane patriota, anch’egli profugo da Venezia, che vaga, in miseria, con la tenera sposa ed un figlio febbricitante. A Ventimiglia sale sul  monte più alto e medita sulle alterne vicende dei popoli e della storia, rette da un fato cieco ed imperscrutabile e definisce la terra “una foresta di belve”. Torna infine, stremato fisicamente e psicologicamente, in Veneto, ma Teresa è ormai sposa di Odoardo, corre a Venezia per abbracciare un’ultima volta la madre ed infine, dilaniato dal duplice dramma, politico, perché l’Italia è asservita allo straniero, e sentimentale, si uccide con una pugnalata al cuore, baciando il ritratto di Teresa. Il romanzo è una miniera dei grandi temi della poetica foscoliana: l’amore, la patria, l’esilio, la bellezza (riscontrabile nella figura di Teresa), la natura (lieta o triste, conforta sempre maternamente l’animo di Jacopo), il sepolcro (inteso come simbolo di una corrispondenza d’amore che lega gli uomini). Anche se vittime inattive e figure sbiadite, la madre di Jacopo e la madre di Teresa sono figure di aiuto per il giovane studente intellettuale, mentre aiutante di Odoardo è il padre di Teresa, quasi secondo antagonista di Jacopo. Odoardo è la proiezione rovesciata di Jacopo, il suo vero antagonista, che assume i connotati di un uomo senza qualità (“la sua faccia non diceva nulla”), è freddo ed inespressivo, un borghese dal cuore “così morto” e dotato di una “ragione fredda e calcolatrice”, sicuramente inadatto ed infatti non corrisposto da Teresa, una creatura ‘stilnovista’, delicata e gentile, una “divina fanciulla”, semplice affetto domestico, bellezza da contemplare. Eroe del romanzo è invece Jacopo, per il quale il suicidio non è una fuga negativa, ma un atto eroico: Jacopo è un eroe alfieriano che lotta contro ogni tirannide, sia quella politica che quella dei pregiudizi aristocratici della vita moralistica borghese e trova solo nella morte la completa libertà dai vincoli della vita, come appunto gli eroi di Vittorio Alfieri, quali  Mirra e Saul. La lotta di Jacopo è una lotta alfieriana in quanto preromantica, anticipa il Romanticismo perché la lotta si svolge all’interno di un solo polo, di un solo soggetto, mentre nel Romanticismo la lotta investe due soggetti (ad esempio, i patrioti ed i soldati austriaci nel Risorgimento).

Le ultime lettere di Jacopo Ortisultima modifica: 2015-05-18T17:44:51+02:00da m_200
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