L’ ‘ALLONTANAMENTO’ DAL GIUDAISMO NEL VANGELO GIOVANNEO E NELL’EPISTOLARIO PAOLINO.

ANNO ACCADEMICO 2014/15

CONSORZIO INTERNAZIONALE EUROPEO INTERUNIVERSITARIO:

Università di Roma “La Sapienza”- Bournemouth Polytechnic (UK)

Università degli Studi di Udine – Università degli Studi di Foggia

Università degli Studi del Molise – Università degli Studi di Torino

 Università degli Studi di Camerino – Università degli Studi di Sassari

University of Chester (UK) – Università degli Studi “Guglielmo Marconi”

Università degli Studi di Bari – Universitatea “Ovidius” di Constanta (Romania)

 

CORSO ANNUALE POST LAUREAM DI PERFEZIONAMENTO IN STORIA ANTICA:

 “L’INSEGNAMENTO DELLA STORIA ANTICA: METODOLOGIE DIDATTICHE”

TESI DI PERFEZIONAMENTO IN

“NUOVO TESTAMENTO”

“L’ ‘ALLONTANAMENTO’ DAL GIUDAISMO NEL VANGELO GIOVANNEO E NELL’EPISTOLARIO PAOLINO”

 

 

PERFEZIONANDO: DOTT. MARCO MARTINI – MATR. N. 00422A15

DOCENTE TUTOR: CHIAR.MA  PROF. SSA  MICHELA BARTOLOMUCCI

Dedica, saluti e ringraziamenti.

Dedico questo lavoro alla mia famiglia,

con affetto, Marco.

 

Saluto innanzi tutti il Dott. Prof. Arch. Guglielmo Telleschi, amico e collega imperdibile, oltre che architetto ed esperto d’arte di chiara fama.

                                                           Con amicizia, Marco.

 

Desidero salutare e ringraziare, per la consulenza fornitami, i Chiar. mi Proff. Federica Bergonzi, Giovanni Braida, Elisabetta Urbano, Tiziana Orabona, Giovanni Levantini,  già miei docenti presso la “Scuola Fondamentale di Formazione Teologica” della  sede di Viareggio, rispettivamente di “Teologia fondamentale”, “Vangelo giovanneo”, “Epistolario paolino”, “Teologia dogmatica” (“Cristologia” e “Trinitaria”) e “Teologia morale fondamentale”; in particolare Giovanni Levantini, prim’ancora amico che collega e maestro.

 

Intendo salutare e ringraziare, per i sussidi al tempo fornitimi, il Chiar. mo Prof. Giancarlo Gaeta, professore ordinario e già mio docente di “Storia delle origini cristiane” presso l’Ateneo fiorentino.

 

Colgo l’occasione per salutare tutti gli amici,  i colleghi di altre discipline, di materie affini e dei miei stessi insegnamenti, i miei studenti, con i quali mi pregio di coltivare rapporti culturali ed umani anche quando, da anni, sono giunti al termine dei loro studi.

 

E’ mio intento ringraziare anche le 12 celebri Università ivi consorziate, delle quali 9 italiane e 3 europee (2 inglesi ed 1 romena), da me menzionate nel frontespizio-copertina, per l’ineccepibile organizzazione didattica dei Corsi e per avermi offerto l’occasione di un sì alto momento formativo! 

 

Infine, un particolare ringraziamento alla Chiar. ma Prof. ssa Michela Bartolomucci per l’assistenza fornitami con costante cordialità.

 

Viareggio (LU), Anno Accademico 2014/15.

                                                          

Marco Martini

INTRODUZIONE.

 

In questo lavoro si prenderanno in esame alcuni capitoli (in particolare il famoso “Prologo” ed i primi 8)del Vangelo di Giovanni, considerato il Vangelo più “antiebraico” e buona parte delle lettere di Paolo di Tarso, dapprima ebreo e persecutore dei cristiani, e poi cristiano convertito. Affronterò la nota diatriba inerente alla misura in cui si possa parlare nel senso più appropriato di “negazione”, “opposizione”, “allontanamento” o “superamento” dell’ebraismo nei due autori, tra l’altro coevi, sempre tenendo presente come, molto probabilmente, il Vangelo giovanneo sia stato dettato da Giovanni ad un suo discepolo, e non sia quindi di mano diretta dell’autore.

Il lavoro seguirà la metodologia dell’esegesi più rigida, i cui frutti saranno presentati nella conclusione del presente studio.

Costante sarà il collegamento tra i due testi del Nuovo Testamento, anche alla luce delle più recenti interpretazioni storiografiche.

Molti concetti saranno esemplificati anche mediante l’utilizzo di schemi, scalette, mappe concettuali e tavole sinottiche.

Essendo questo un lavoro fondato essenzialmente su una rigorosa analisi testuale, la storiografia sarà considerata solo nei suoi testi principali.

Il presente studio si articolerà quindi in 2 sezioni distinte, un primo capitolo dedicato al Vangelo giovanneo, ed un secondo ed ultimo capitolo riservato all’Epistolario paolino; seguirà una conclusione comparativa sui due autori trattati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO I°: IL VANGELO GIOVANNEO.

 

I.1. Introduzione e contestualizzazione. Il problema dei Vangeli apocrifi ed il giudeo-cristianesimo.

Il Vangelo giovanneo è il più “alto” fra tutti i Vangeli, ha interessato ed interessa tuttora anche correnti spirituali non cattoliche, come la “New Age”, o anche non credenti. Ha affascinato filosofi, letterati, poeti e mistici; è un testo affascinante, assai più dei suoi commentatori. Anche la Scuola del teologo e filosofo Von Balthasar, nel ‘900, ha studiato ed interpretato in particolare il Prologo del Vangelo giovanneo; proprio a partire dal Prologo, questo Vangelo ha affascinato generazioni di intellettuali. Nel Prologo, quindi in soli 18 versi, sono enucleati in sintesi tutti i temi del Vangelo. Anche nel Vangelo lucano c’è un’introduzione, ma non paragonabile, nemmeno minimamente, al Vangelo di Giovanni. L’opera giovannea è costituita, oltre che dal Vangelo, dall’Apocalisse e da 3 Lettere, tra queste è particolarmente importante la I, per il concetto di “Agape”, ossia di “Amore” in senso cristiano, e quindi contrapposto all’ “Eros” greco, indisciplinato.

“In principio era il Verbo” riprende l’incipit della Genesi, come afferma Aurelio Agostino d’Ippona.

Il mistico speculativo tedesco Meister Eckhart, nel Trecento, ha studiato e commentato il Vangelo di Giovanni: per Meister Eckhart il Vangelo giovanneo supera in profondità gli altri, nel penetrare i misteri divini. Nel suo testo[1], l’aquila è il simbolo dello stesso evangelista Giovanni, quello che è più vicino a Cristo, come nell’ultima cena; l’aquila può contemplare i raggi del sole senza venirne abbagliata, è l’uccello che vola più in alto, e questo ricorda il platonico mito della caverna[2]. E’ l’uccello che vola più alto degli altri, è lo stesso Vangelo giovanneo che “vola più in alto” dei Sinottici.

Brown[3] confronta invece il primato di Pietro e quello di Giovanni: Pietro è il fondamento della Chiesa di Cristo, ma Giovanni è il discepolo più amato.

Cosa sono i Vangeli? Gesù muore, secondo la cronologia di Giovanni, intorno all’anno 30. Il Vangelo giovanneo è l’ultimo ad essere scritto, tra il 90 ed il 100. Non per questo è meno affidabile degli altri, sul piano storico. I Vangeli nascono da un’esigenza ovvia delle prime comunità cristiane: come mantenere e trasmettere in modo incorrotto il messaggio di Gesù, dal momento della morte di Gesù. Morto Gesù, si ricorre alla sua cerchia più stretta, tra cui gli apostoli. Morti anche i testimoni della parola, sorge un’esigenza reale e concreta: mettere per iscritto la parola dei testimoni che hanno quotidianamente frequentato Gesù.

I Vangeli Sinottici (Matteo, Marco, Luca) sono stati scritti tutti prima dell’anno 80; una critica razionalistica, distruttiva, tende a post-datare i Vangeli.

Altri, in base ad un frammento ritrovato, hanno voluto anticipare a prima del 50 il Vangelo di Marco. Sono due tesi erronee: il Vangelo marciano è il più antico ed il più breve, databile al 70; i Vangeli di Luca e Matteo sono databili tra il 70 e l’80; il Vangelo di Giovanni è del 90 circa ed è il più tardo ed il più complesso, il più filosofico. Ma è anche un Vangelo in cui si presenta un Gesù molto umano, che piange, che ha fame e sete.

I Vangeli apocrifi (Atti di Pilato, Vangelo di Maria, Vangelo di Tommaso, Vangelo di Giuda, Vangelo dell’Infanzia) sono successivi al Vangelo di Giovanni. Può darsi che l’imperatore Costantino, nel IV° secolo, abbia avuto una certa influenza nello stabilire l’autenticità dei Vangeli, ma la decisione non è stata imposta dall’alto, bensì è partita dal basso, dalla comunità. Nel Vangelo dell’infanzia si presenta addirittura in Gesù cattivo e violento, fin da bambino, con gli altri bambini. Il Vangelo di Tommaso, apocrifo, presenta dei tratti interessanti: è una semplice raccolta di “detti” di Gesù, senza una “cornice”. Tutti i Vangelo apocrifi sono comunque scritti fra il II° ed il III° secolo. Brown, nel suo testo[4], nella parte in cui parla del dialogo tra lo stesso Brown e l’evangelista, afferma la specificità del Vangelo di Giovanni in cui:

  1. Mancano le parabole;
  2. Mancano i detti;
  3. Usa un vocabolario semplice, astratto, volutamente simbolico, ripetitivo, non compreso dagli interlocutori di Gesù;
  4. I discorsi, ad una prima lettura, appaiono spesso complessi;
  5. Il linguaggio di Giovanni è “povero” nel senso di “ripetitivo”;
  6. I dialoghi non sono veri e propri dialoghi, ma quasi monologhi di Gesù, e questo perché l’incontro fra Gesù e l’interlocutore serve a Gesù per comunicare un messaggio che è universale, e non rivolto all’interlocutore presente in quel momento;
  7. Il Vangelo di Giovanni ha una struttura originale, essendo aperto da un prologo di 18 versi, assente negli altri Vangeli;
  8. Giovanni non insiste sui miracoli,  differenza dei Vangeli Sinottici, ma ne sceglie 7, ed usa l’espressione “segni” nel senso di “simboli”.
  9. Nel Vangelo giovanneo, infine, si presenta sempre la netta separazione tra buoni (rappresentati dalla luce) e malvagi (rappresentati dalle tenebre), e per questo è il vangelo ritenuto dai Catari come unico autentico.

Gli studiosi hanno distinto 4 parti nel Vangelo giovanneo:

  1. Prologo, vv. 1-18, fortemente teologico e filosofico;
  2. Libro dei 7 Segni, capp. 1-12, v. 50;
  3. Libro della Gloria, centrato sulla vicenda pasquale, capp. 13-20;
  4. Epilogo, cap. 21.

Lo scrittore del Vangelo di Giovanni può darsi che sia stato “un discepolo del discepolo prediletto”, cioè di Giovanni, scrive ancora Brown[5], visto che ci troviamo intorno al 90. Il Vangelo sarebbe comunque stato dettato da Giovanni stesso, ormai molto vecchio.

 

I.2. Il PROLOGO: IL “LOGOS-VERBUM” E LE SUE IMPLICAZIONI FILOSOFICO-TEOLOGICHE.

Il Prologo[6] può essere diviso in 3 parti:

a)      Il Verbo e la sua opera rivelatrice[7];

b)      L’Incarnazione del Verbo[8];

c)      Il dono della Rivelazione escatologica e perfetta[9].

a)Nella prima parte si ripetono molte volte delle categorie, delle parole chiave, il 1° verso “In principio era il Verbo” ripete il 1° verso della Genesi “In principio Dio creò”. Inizia qui una nuova creazione. Il termine latino “Verbum” si traduce nel greco “Logos” (il Vangelo giovanneo è infatti scritto in greco), che ha una serie infinita di significati, da Parmenide ad Eraclito, a Platone,  ad altri filosofi greci). Anche Filone d’Alessandria, filosofo ebreo, usa il termine “Logos”. Per Filone il Logos è “parola in atto”, “Dabar” in ebraico, parola che fa essere le cose. Si trova il termine Logos nella gnosi tra il I° ed il III° secolo d. C.: il Verbo è qui l’unico intermediario tra Dio e l’uomo, è la circolazione trinitaria. In questi versi c’è anche il tema dell’esistenza di Cristo, preesistente, “contemporaneo” a Dio e che presiede la creazione insieme a Dio. Cristo non è creato, ma generato, e della stessa sostanza del Padre, quindi “Omusias”, non c’è differenza di qualità spirituale tra Dio Padre e Cristo Figlio. Non c’è subordinazione. La Vita è la Luce, è la Vita autentica, posseduta solo da Gesù, mentre le tenebre costituiscono la luce inautentica, prive della Luce del Logos. Rappresentano, rispettivamente, Mazda ed Ariman nell’antica religione persiana di Zarathustra o Zoroastro. E’ presente anche il tema del presunto antigiudaismo del Vangelo: le tenebre sono gli Ebrei, che non hanno accolto la Luce. Negli anni 30 muore Cristo, nel 70 i romani distruggono il tempio di Gerusalemme. La distruzione del tempio cambia la società ebraica, che si divide in Farisei, Sadducei, Esseni, Zeloti. I Sadducei non credevano nella resurrezione dei corpo e nella vita ultraterrena; i Farisei erano scrivi, rabbini, molto amati dalla popolazione. Gli Zeloti erano guerrieri, mentre gli Esseni scelsero la via dell’esilio a Qumran ed erano “puritani” all’eccesso. Le prime comunità cristiane erano costituite da ebrei. I Sadducei spariscono in pochi anni, mentre aumentano i Farisei, perché dopo la distruzione del tempio il popolo ha bisogno di guide. Gli Zeloti si suicidano a Masada. Siamo intorno al 90, sta per nascere il Vangelo di Giovanni. Rimangono pertanto a Gerusalemme soltanto cristiani ed ebrei Farisei. I giudeo-cristiani che non rinnegano le novità introdotte da Cristo vengono cacciati dal tempio. Il fenomeno del giudeo-cristianesimo prosegue fino al V° secolo; Paolo di Tarso, un ebreo decide di aprire l’esperienza cristiana anche ai pagani. I cristiani che non rinnegano Cristo sono espulsi dalle sinagoghe ebraiche; i cristiani sono quindi stati perseguitati, innanzitutto, dagli ebrei. Molto complessi, nella Chiesa primitiva, erano pertanto i rapporti tra ebrei e cristiani[10]. Grazie all’apertura, da parte di Paolo, del cristianesimo ai pagani, il cristianesimo è sopravvissuto ed ha avuto maggiori proseliti rispetto agli ebrei: per questo Paolo, e non Cristo, è considerato il “fondatore” del cristianesimo. La figura di Cristo è stata rivalutata dall’ebraismo contemporaneo, mentre Paolo, ebreo convertito al cristianesimo, resta il grande traditore.

b)Nella seconda parte del Prologo (vv. 6-14), relativa all’Incarnazione del Verbo, si parla di un uomo, Giovanni, si nota quindi un abbassamento del livello teologico[11]. Giovanni è mandato da Dio per dare testimonianza (“Martyria” in greco) della Luce. Giovanni è il primo uomo che segue Gesù[12]. Gesù è venuto tra gli ebrei, ma questi non l’hanno accolto; quelli che lo hanno seguito, i figli della Luce, sono i figli di Dio. Il Verbo si fece carne: questo è il mistero dell’Incarnazione, in cui il Logos si è fatto uomo, cioè Cristo:

DIO  = > CRISTO, CHIESA, SPIRITO, LOGOS, VERBUM, PAROLA DI DIO = > UOMO. Il verbo greco “Eskenosen”, usato da Giovanni, significa “porre la tenda, attendarsi” e corrisponde all’ebraico “Shekhinah”: vuol dire che Cristo è venuto ad abitare tra gli uomini[13].

c)Nell’ultima parte del Prologo, Giovanni è l’uomo che deve testimoniare che il Verbo si è fatto carne: Cristo è preesistente alla creazione, e da Cristo abbiamo ricevuto Grazia su Grazia, vale a dire una sorta di sommatoria tra la Legge di Mosè (la prima o antica Grazia) e la Parola di Cristo (la seconda o nuova Grazia), secondo il seguente schema:

PRIMA O ANTICA GRAZIA + SECONDA O NUOVA GRAZIA

LEGGE DI MOSE’                  + PAROLA DI CRISTO

All’uomo non è consentito di vedere Dio: la vista umana è incapace di sostenere la Luce divina[14]. Nemmeno a Mosè è possibile vedere Dio: solo a Gesù è possibile vedere Dio, poiché Gesù era in Dio: è questa un’inclusione, in quanto si riprendono qui i primi 3 vv. del Prologo. Cristo non è quindi venuto ad annullare la Torah, la Legge ebraica, ma a perfezionarla, integrandola.

 

I.3. IL PRIMO CAPITOLO: LA FIGURA DI GIOVANNI E L’AUTOCOSCIENZA DI CRISTO.

Il capitolo inizia con la testimonianza di Giovanni[15]. Il Vangelo di Giovanni utilizza la struttura di un processo, con accusati e testimoni. I testimoni sono gli ebrei. Giovanni testimonia in modo indiretto, mediante cioè la parola di Cristo, in modo “negativo” (“non” è lui il Cristo) ed elogiativo (di Gesù). Gli ebrei chiedono a Giovanni “Chi sei?” e Giovanni risponde “Non sono io il Cristo”. Giovanni risponde di non essere il Cristo, né Elia, né il profeta. Gli ebrei si aspettano un Messia regale, altri un Messia sacerdotale ( i Sadducei). C’era addirittura chi attendeva la venuta di più Messia. Gli ebrei sono quindi divisi in una confusione di attese. Il deserto non è il luogo della disperazione, ma il luogo dove gli Esseni si erano rifugiati, e per questo erano i più puri, il deserto è quindi l’allegoria della purezza. Cristo andò infatti nel deserto per 40 giorni. Giovanni non dice “Io sono”, perché è ben consapevole di non essere Cristo, sarebbe stata una bestemmia. Non è, la voce di Giovanni, quella di uno che parla nel deserto, non è una testimonianza  urlata nel nulla. La testimonianza di Giovanni è indiretta. Gli ebrei, con tono inquisitorio, da processo, chiedono a Giovanni perché battezzi, visto che non è né il Messia, ne Elia, né il profeta. Giovanni risponde che battezza nell’acqua nel nome del Messia. Giovanni ha uno spirito forte, combattivo, vicino al puritanesimo degli Esseni. Il “battista” significa infatti il “battezzatore”. Al tempo di Giovanni vi erano molti profeti battezzatori. Giovanni battezza per la penitenza, Gesù non battezza, è battezzato da Giovanni, ma esce subito dall’acqua perché 1) non aveva peccato e 2) voleva tornare subito tra gli uomini. Giovanni è un personaggio scomodo, che ha contrasti con Erode e con l’aristocrazia ebraica. Giovanni sarà poi arrestato e decapitato. La mamma di Giovanni, Elisabetta, era cugina di Maria, mamma di Gesù: Gesù ed il battista erano secondi cugini. Bisogna sempre tenere presente che il Vangelo di Giovanni non è scritto da Giovanni, ma da successori, da altri discepoli. Si riproduce, cronologicamente, la settimana dei 6 giorni della creazione dell’Antico Testamento.

Giovanni fa la prima professione di fede: Gesù elimina il peccato dal mondo, Gesù “era prima di me”, è questo il tema della preesistenza, in cui si riprendono i primi 3 versi del Prologo. Giovanni battezza con acqua, Gesù battezza con Spirito Santo. Si ribadisce la trinità: Dio ha inviato Giovanni tramite lo Spirito e Giovanni ha testimoniato Cristo come Colui nel quale si è posato lo Spirito Santo.

Gesù è l’unione di cielo e terra, immagine dell’arcobaleno, alleanza tra Dio e Noè nell’Antico Testamento. Agostino aveva detto che gli ebrei sono “testimoni negativi”, che esistono per soffrire e testimoniare cosa sarebbe capitato ai cristiani se non avessero seguito Gesù. I cristiani hanno quindi una responsabilità, anche grave, nei confronti degli ebrei.

I vv. 35-42 sono caratterizzati, stilisticamente, da un’inclusione: “fissando lo sguardo”[16] si ritrova sia all’inizio che alla fine di questo passo.

Giovanni si ciba di locuste e miele selvatico, sono 2 cibi incontaminati e quindi puri: in questo Giovanni si avvicina al puritanesimo degli Esseni, non si tratta quindi di penitenza. Gesù mostra la sua alta autocoscienza, dichiarandosi “Figlio di Dio” e “Figlio dell’Uomo”: è inviato da Dio per giudicare i vivi ed i morti e per modificare la Sua Legge. Segue una professione di fede: “Ecco l’agnello di Dio”[17]. Gesù si fa chiamare “Rabbi”, cioè “Maestro”[18]. Segue la chiamata dei discepoli[19]: “Venite e vedrete” è una forma ricorrente di chiamata dei discepoli da parte di Gesù. Il termine “Messia” si trova solo 2 volte: qui ed al cap. IV, v. 25: a Gesù non piace questo appellativo, che teme possa essere frainteso in senso politico. “Cefa” è un termine aramaico che significa “Roccia”, cioè “Pietra”, con riferimento a Pietro, primo pilastro della Chiesa cristiana. L’espressione, infine, “Vieni e vedi” si ritrova al v. 47.

I pescatori, i 12 apostoli, funzionano come una piccola azienda familiare, di un certo livello. E’ un’azienda di pesca, hanno una barca stretta, ad un certo punto della loro vita decidono di lasciare la loro attività per seguire Cristo. Si noti anche che l’espressione “In Verità, in Verità vi dico” ricorre ben 25 volte in questo Vangelo: Giovanni usa un linguaggio volutamente ripetitivo, ma anche altamente filosofico, dal quale si evince la figura di filosofo di Giovanni.

 

I.4. IL SECONDO CAPITOLO: LE NOZZE DI CANA, LA CACCIATA DEI MERCANTI DAL TEMPIO E LA “PARTICOLARE” CRONOLOGIA GIOVANNEA.

Inizia il “Vangelo dei segni”: questo Vangelo non è “scritto di getto”, ma strutturato e ben pensato, e anche da questo si evince lo spirito filosofico dell’autore.

Le due parti di questo capitolo costituiscono come un dittico:

  1. Le nozze di Cana;
  2. Gesù caccia i mercanti dal tempio.

1.C’è una festa di nozze a Cana; era presente anche la madre di Gesù, che dice a Gesù che non c’è vino: Gesù trasforma allora l’acqua, che non fa festa, in vino, che fa festa. Maria parla soltanto qui in tutto il Vangelo di Giovanni. Maria è presente al primo miracolo di Gesù e quasi lo innesca. La madre resta comunque sempre nell’ombra, sceglie, come anche il Concilio Vaticano II ha sottolineato, la via del nascondimento, pur essendo la madre di Dio. Il termine “Cana” significa “Acquistare generando”. L’acqua è il simbolo del battesimo e dell’antica alleanza, mentre il vino rappresenta l’eucarestia, la nuova alleanza ed il sangue del costato di Cristo, come si evince dal seguente schema:

acqua = > battesimo = > antica alleanza;

vino   = > eucarestia = > nuova alleanza = > sangue del costato di Cristo.

Il vino, sangue del costato di Cristo, secondo l’interpretazione paolina corrisponde all’acqua che Mosè aveva dato al suo popolo in fuga dall’Egitto, nel deserto, in cammino verso la terra promessa: Mosè aveva allora infatti battuto con il suo bastone una roccia, dalla quale uscì l’acqua, che è l’acqua del battesimo e della salvezza, che è il mar Rosso, che si apre salvando il popolo eletto e si chiude facendo affogare i soldati del faraone.

Un sacerdote del Sinedrio accuserà Cristo di aver bestemmiato, quando Gesù afferma che l’ora non è ancora giunta, riferendosi all’ora della morte.

2.Il profeta Malachia aveva attribuito a Dio il merito di aver purificato il tempio, opera che viene invece compiuta dal Figlio dell’Uomo, Gesù, che, come si è detto, ha un’altissima autocoscienza di sé, quella di essere il Figlio di Dio. I Sadducei temono questa autocoscienza che Gesù ha di sé stesso[20].

La purezza, per Giovanni, è fondamentale per avvicinarsi a Dio: per questo è importante anche la purezza nell’alimentazione, quindi mangiare cibi assolutamente incontaminati, come il miele selvatico o le cavallette del deserto.

Il ministero di Gesù, secondo Giovanni, dura 3 anni, mentre nei vangeli Sinottici dura un solo anno: in questo caso è sicuramente più affidabile il Vangelo giovanneo.

Gesù caccia i mercanti dal tempio e viene indicato dai Sadducei: il tempio era stato costruito in 46 anni, che Gesù dice di poter ricostruire in soli 3 giorni. Caifa, il gran sacerdote, capo del Sinedrio, lo accuserà di Blasfemia, e Gesù è consapevole del fatto di incorrere, così facendo, nell’ira dei giudei. Gesù caccia i mercanti con una frusta di cordicelle perché nel tempio era assolutamente vietato portare armi. Siamo intorno al 28 d. C., perché il tempio era stato costruito intorno al 20 a.C.  Come non è attendibile la convenzionale data della nascita di Gesù nell’anno 0 per un errore del monaco Dionigi il Piccolo al momento in cui redasse il calendario, nel VII° secolo, così non è attendibile il fatto che Cristo sia morto all’età di 33 anni, mentre è molto più probabile che sia deceduto all’età di 36-37 anni. Cristo, in realtà, sarebbe nato intorno al 6-7 a. C., ed Erode sarebbe morto nel 4 a. C.

 

I.5. IL TERZO CAPITOLO: L’INCONTRO CON NICODEMO E LA TECNICA DEL “DIALOGO-MONOLOGO”.

Gran parte di questo capitolo è occupato dal colloquio di Gesù con Nicodemo. Il nome Nicodemo è greco, “Niche” significa “Vittoria”[21] e “Demos” vuol dire “Popolo”: Nicodemo significa quindi “Popolo vittorioso”. Nicodemo era uno dei 3 più ricchi uomini di Gerusalemme, poi finito in miseria, non è quindi un personaggio fittizio, ma realmente esistito[22].  Questo è il primo grande incontro di Gesù: questo dialogo si trasforma quasi in un monologo, in quanto chi parla è quasi sempre Gesù, che fa la predica a Nicodemo.

1.Nicodemo,

2.La Samaritana,

3.Il funzionario regio, a cui Gesù guarisce un figlio,

sono 3 candidati alla fede, come afferma Tognocchi[23], che rispondono ad un crescendo continuo. Chi meglio risponde alle richieste di Gesù è il funzionario regio.

1.Nicodemo incontra Gesù di notte;

2.La Samaritana incontra Gesù a mezzogiorno;

3.Il funzionario regio incontra Gesù un’ora dopo mezzogiorno.

Questa cronologia rappresenta il graduale passaggio dalle tenebre alla Luce.

Nicodemo non è in realtà il “popolo vittorioso”: qui l’ironia giovannea, in quanto Nicodemo è un ebreo e gli ebrei non sono certo il popolo vittorioso. Spesso gli interlocutori di Gesù, come Nicodemo, in tutto il Vangelo, non comprendono il significato allegorico delle parole di Gesù. Gesù dice a Nicodemo che sarà “innalzato”, ma intende l’innalzamento sulla croce. Gesù viene chiamato con vari appellativi, “Rabbi”, “Maestro”, “Figlio dell’Uomo”, “Profeta”, tutti appellativi che Gesù accetta volentieri, mentre non accetta il titoli di Messia, che Gesù non usa mai per sé, perché teme che tale appellativo possa essere frainteso in senso politico, come condottiero, come cioè si aspettano gli Zeloti. La conclusione del III° capitolo è una parte transitoria che prepara l’importante incontro con la samaritana, con cui inizia il capitolo successivo. Spesso le ultime parti dei capitoli del Vangelo giovanneo hanno questa funzione transitoria: in quest’ultima parte il Battista dichiara esplicitamente a chi glielo chiede che lui “Non è il Cristo”. Giovanni non attribuisce molta importanza alla parentela di cugini tra lui e Cristo, a differenza del Vangelo di Luca, che invece insiste su questo aspetto. A Giovanni il Battista interessa invece chiarire la differenza di ruoli tra lui e Gesù. Giovanni è destinato a scomparire, infatti, a differenza di Gesù.

 

I.6. IL QUARTO CAPITOLO: L’INCONTRO CON LA SAMARITANA E LA GUARIGIONE DEL FIGLIO DI UN FUNZIONARIO REGIO. LA SIMBOLOGIA GIOVANNEA: IL “LIBRO DEI 7 SEGNI”.

Galilea, Giudea e Samaria sono 3 “sotto-regioni” della Palestina. Il IV° capitolo si può articolare in 2 parti:

1.l’incontro con la samaritana[24];

2.la guarigione del figlio di un funzionario regio[25].

L’incontro con la samaritana è una parte molto ampia di questo capitolo. Gesù arriva a Sicar (Giovanni è sempre molto preciso sulla localizzazione geografica). I samaritani erano invisi agli ebrei perché non erano ebrei ed erano immigrati.

Dopo questa introduzione, inizia il dialogo, Gesù si presenta come il Profeta, in seguito la donna lo chiamerà Messia. Il contenuto teologico è qui molto alto. Si distinguono 2 acque:

1.l’acqua della samaritana, chi la berrà avrà ancora sete;

2.l’acqua di Gesù, chi la berrà non avrà più sete.

L’ora in cui si svolge l’incontro è l’ora sesta, cioè mezzogiorno, la stessa ora in cui Pilato proclamerà Gesù  “Rex Iudeorum”. Gesù si rivolge ad una donna, e per di più ad una donna non ebrea. L’acqua viva è quella che dà Gesù, simbolo del Nuovo Testamento e della legge dell’Amore, non quella di Giacobbe nell’Antico Testamento, che è simbolo della Torà, secondo la seguente scaletta:

1.Giacobbe => Antico Testamento => Torà;

2.Gesù => Nuovo Testamento => legge dell’Amore.

Gesù è venuto non ad abolire l’antica Legge, ma ad integrarla con la sua Legge. L’intento di Gesù è sempre quello di elevare la persona dal livello umano ad un livello superiore. E’ sempre Gesù che cerca i personaggi e si rivolge loro con la parola. La donna ha avuto 5 mariti: il riferimento religioso è alle 5 divinità pagane adorate dai samaritani, e Gesù lo sa. Nel corso del brano si assiste ad un crescendo della figura di Gesù: un Uomo, un Giudeo, un Profeta,  un Messia, il Cristo, il Salvatore del mondo. Anche Tognocchi[26] ha sottolineato che coloro che meglio riconoscono Gesù sono i pagani, come la samaritana ed il centurione domano quando Gesù è sulla croce, poiché vede il Salvatore del mondo nella sua sanguinante nudità, e non gli ebrei. L’attuale marito della donna, il 6°, non è suo marito: il riferimento è qui al popolo romano. La samaritana lascia lì la sua brocca e torna in città dalla sua gente: lascia la brocca perché quell’acqua del pozzo non è più importante, ora c’è l’acqua di Gesù, che è la salvezza. Gesù torna infine dai suoi discepoli e gli dice che i campi sono pronti per la mietitura: i campi sono i samaritani, pronti per la mietitura, cioè ad accogliere Cristo, secondo la seguente mappa concettuale:

1.campi => samaritani;

2.pronti per la mietitura => ad accogliere Cristo.

Negli ultimi 10 versi del capitolo Gesù guarisce il figlio di un funzionario regio: Gesù torna a Cana, in Galilea, il luogo dove aveva trasformato l’acqua in vino. Un funzionario del re (non ha un nome) incontra Gesù un’ora dopo mezzogiorno: il figlio è gravemente malato ed il funzionario chiede a Gesù di guarirlo. Gesù gli dice che il figlio vive ed il funzionario crede subito alle parole di Gesù, a differenza di Nicodemo e dei molti dubbi della samaritana. A Cana c’è quindi questo secondo ed ultimo “segno” (non si parla di “miracolo”) di Gesù, proprio a Cana dove c’era stato il primo segno, quello della trasformazione dell’acqua in vino: è questa un’altra inclusione.

 

I.7. IL QUINTO CAPITOLO: LA GUARIGIONE DELL’INFERMO, L’OSTILITA’ EBRAICA E L’ESCATOLOGIA GIOVANNEA.

Gesù guarisce qui un infermo, esattamente un paralitico nella piscina di Betsaida nel giorno di sabato, ma non è peccato far del bene di sabato, Dio opera anche nel sabato. Gli ebrei vogliono uccidere  Gesù, che considerano un arrogante per essersi comportato come Dio, guarendo nel giorno di sabato, ma Gesù risponde a Filippo “Chi ha visto me, ha visto il Padre”, come ci riporta Brown[27].

Inizia qui[28] una nuova sezione del Vangelo di Giovanni, caratterizzata

1.da una crescente ostilità degli ebrei verso Gesù;

2.dal fatto che Giovanni passa in rassegna le principali feste del giudaismo (shabat o sabato, della Pasqua, delle capanne).

Il Vangelo giovanneo occupa uno spazio temporale più ampio (3 anni) rispetto ai Sinottici (1 anno soltanto): Gesù, in questo Vangelo, vive quindi 3 pasque.

Gesù guarisce il paralitico, come si è detto, di sabato, nella piscina di Betsaida, una piscina con 5 portici, ancora oggi esistente a Gerusalemme. L’uomo era malato da 38 anni, che coincidono con gli anni di peregrinazione degli ebrei nel deserto. Giovanni usa varie volte il verbo “cammina”: allude al cammino del popolo ebraico, il cammino di fede verso Gesù, come illustrato dalla seguente mappa concettuale, che va letto sia in senso orizzontale che verticale:

1.Infermo = > ebrei;

2.Cammina => popolo in cammino verso;

3.Gesù = > la Salvezza.

Gli ebrei avevano elencato 39 azioni che non si possono fare di sabato, tra cui sollevare oggetti pesanti, come la barella. L’infermità per Gesù è il peccato[29].

Segue, da parte di Gesù, l’apologia di sé e della sua opera[30]. Ricorre qui per ben 3 volte l’espressione di Gesù “In Verità, in Verità vi dico”, per sottolineare l’importanza di ciò che si sta per dire. Si insiste non più sul verbo “camminare”, ma “fare”, che è il verbo della creazione: il figlio non può far nulla senza che il Padre non voglia. Chi ascolta Gesù, ascolta il Padre ed avrà la vita eterna: è questo il centro dell’escatologia giovannea. Il miracolo in sé, infatti, scompare, è solo l’occasione per il discorso escatologico di Gesù, che accenna al giudizio finale.

Gesù adduce 4 testimonianze[31] (“Martyria”, infatti i “martiri”, letteralmente, dal greco, sono i “testimoni”) della sua opera: come in un regolare processo, Gesù sa che non vale la propria testimonianza per sé stesso. La prima testimonianza è quella di Giovanni, ma Gesù stesso non la considera sufficiente. Una testimonianza superiore è quella delle Opere che il Padre gli ha dato da compiere. Le Scritture sono la quarta testimonianza, ricevuta da Mosè, che non ha visto il volto di Dio, ma ha ricevuto da Dio stesso le tavole della Legge, cioè le Scritture. Quindi, riepilogando nel seguente schema, le 4 testimonianze risultano essere le seguenti:

1.Giovanni;

2.Opere;

3.Padre;

4.Scritture.

Ma gli ebrei non hanno compreso le Scritture, se le avessero comprese avrebbero capito che Gesù è il Cristo, cioè Dio stesso, perché Gesù è preesistente e “contemporaneo” di Dio al tempo stesso. Gli ebrei non  hanno nemmeno capito Mosè, perché Mosè parla di Gesù, che è Dio, quindi, afferma Gesù, gli ebrei non hanno creduto nemmeno a Mosè.

 

I.8. IL SESTO CAPITOLO: LO “SPEZZAMENTO” DEI PANI, IL SACRO, IL RAPPORTO GERARCHICO FRA TEOLOGIA E CONOSCENZA FILOSOFICA.

Nel VI° capitolo si assiste al “segno” dello “spezzamento dei pani e dei pesci” (in greco “Klasis Toù Artoù”): non si tratta infatti di “moltiplicazione”, come afferma giustamente ancora Tognocchi[32], ma di “spezzamento” nel senso cristiano di “condivisione comunitaria”, mentre la “moltiplicazione” sarebbe un evento miracoloso non comprensibile all’uomo, e quindi estraneo al messaggio cristiano di “Ecclesia” nel senso greco di “Assemblea”, “Mensa”; non si tratta quindi di un gioco di prestigio o magia, quest’ultima esplicitamente condannata dall’etica cristiana.

Gesù non cerca altri pani ed altri pesci, non li moltiplica, ma divide quelli che ci sono: con il suo atto misericordioso Gesù vuole la proprietà di pochi sia condivisa fra tutti: è questo un tratto “sociale” dell’insegnamento cristiano che ben si allontana dall’avidità ebraica. In altro modo, il pane non sarà mai sufficiente, sarà sempre troppo per alcuni e mancherà per altri. Gesù passa a Tiberiade, sull’altra riva del mare di Galilea (in realtà si tratta di un lago). Vi sono qui molti riferimenti e similitudini con l’Antico Testamento: Gesù è Mosè e come Mosè sale sul monte. E’ vicina la seconda Pasqua, son già passati 2 anni. Un ragazzo ha 5 pani d’orzo (è il pane dei poveri, quello d’orzo). Il riferimento è un’anticipazione dell’ultima cena: Gesù prende il pane e lo dà a colui che è seduto. Il pane avanzato va raccolto, non disperso, poiché ciò sarebbe una dispersione del sacro[33]. Nel testo greco giovanneo non compare il verbo greco “moltiplicazione”, gesto miracoloso, come si è detto, ma “spezzamento”, atto che tutti possono e debbono compiere. Il mondo può essere salvato solo nella logica dello spezzamento[34].

Gesù cammina sulle acque[35] (molti pittori si sono ispirati a questa scena): c’è un riferimento all’Antico Testamento[36], in cui Javè salva il suo popolo camminando sulle acque, nell’episodio del mare dei giunchi sul mar Rosso. Era buio, in discepoli erano lontani dal lago di Tiberiade (qui chiamato “mare”), che era agitato: le tempeste di lago sono peggiori di quelle marine. “Io sono” dice Gesù, nel senso di “Sono Io” ( in greco “Egò Eimì”), un atto di totale autocoscienza da parte del Cristo. E’ una formula di identificazione divina. Gesù opera miracoli a Cafarnao, a Betsaida, ma mai a Tiberiade. L’ espressione “In Verità, in Verità vi dico” prelude ad una parte di alta teologia, sul rapporto tra rivelazione e fede, quest’ultima intesa come risposta umana alla rivelazione[37]. Si distinguono 2 pani, come risulta dal seguente schema:

1.Il pane del Padre, che consiste nella presenza del Figlio;

2.Il pane del Figlio, che consiste nell’Eucarestia.

Nell’Antico Testamento si personifica la Sapienza come colei che dà il pane[38]; qui Gesù si sostituisce alla Sapienza. Dio dà a tutti la salvezza: chi vede (cioè chi crede) in Gesù è salvato: è questo il messaggio cristiano di salvezza universale. Nell’Antico Testamento il pane era dato da Mosè, era la manna nel deserto, che pioveva dal cielo, nel Nuovo Testamento il pane è Gesù Cristo stesso, e chi si sazia di Lui non muore, mentre si muore lo stesso anche cibandosi della manna piovuta dal cielo, come illustra il seguente schema:

1.pane nell’Antico Testamento: Mosè = > Manna dal cielo = > si muore;

2.Pane nel Nuovo Testamento: Gesù = > si vive in eterno.

Solo Gesù è quindi il Pane della Vita e chi lo mangia non muore. Gesù non potrà però dare immediatamente il Pane della Vita: dovrà prima morire sulla croce e risorgere. Gesù offre la sua carne ed il suo sangue: gli ebrei non potevano mangiare la carne se prima non era stato calato tutto il sangue. L’espressione giovannea per “mangiare il pane” è “masticare il pane”: è questa un’immagine molto forte che sottolinea l’idea della continuità.

Chi beve e si ciba della sapienza, avrà ancora fame e sete di lei, avrà ancora desiderio di sapienza, chi si ciba del corpo e del sangue di Cristo, Unica Verità, sarà sazio: è questa la profonda differenza, operata da Giovanni, tra il sapere filosofico e la fede, quest’ultima è ritenuta, come si evince, superiore alla prima.

La parola di Gesù è dura: ritorna il tema del Prologo, quello della preesistenza di Gesù: si svaluta la carne, che non giova, mentre le parole sono Spirito. Si allude, alla fine, ad un traditore fra gli apostoli (Giuda), definito un “diavolo”. Pietro ribadisce la fede in Cristo, prima la fede, poi la conoscenza[39].

 

I.9. IL SETTIMO CAPITOLO: LA FESTA DELLE CAPANNE. STORIA E GEOGRAFIA GIOVANNEA: COORDINATE SPAZIO-TEMPORALI.

In questo capitolo si parla della festa delle capanne, è la più importante festa ebraica dopo il sabato. E’ un’antica festa connessa inizialmente con pratiche agricole, ma poi è stata associata ad un evento storico-religioso, quello dell’esodo del popolo ebraico, durato 40 anni, nelle tende, nel deserto. Gesù sale qui a Gerusalemme, va in Galilea, da dove era originario, ma non in Giudea, perché i giudei volevano ucciderlo. Tra la Galilea e la Giudea non c’erano buoni rapporti. Gesù non è ben visto a Gerusalemme perché proveniva dalla Galilea. Inoltre in Galilea ci si meravigliava di come Gesù potesse insegnare, perché non aveva studiato.

Gesù usa qui il termine “fratelli”  a)in senso generico o b)come fratellastri, secondo i Vangeli apocrifi, dipende dalle interpretazioni, in quanto Giuseppe, molto più anziano di Maria, sarebbe un vedovo con altri figli.

Anche Gesù va alla festa delle capanne, ma ci va di nascosto perché, non essendo ancora venuto il suo tempo, non vuole essere additato come Maestro. Dopo va al tempio ed insegna all’interno del tempio, e gli ebrei si stupiscono che Egli conosca le Scritture, non avendo studiato. Gesù risponde che la dottrina non è sua, ma di chi lo ha mandato (Dio). Non c’è però da stupirsi che un giudeo conosca  le Scritture, in quanto nel mondo antico il popolo ebraico è l’unica popolazione che non ha conosciuto l’analfabetismo[40]. Gesù conosceva l’ebraico, l’aramaico (un dialetto ebraico)[41] il greco ed il latino[42].

Gesù insegna:

1.una dottrina soprannaturale;

2.la fedeltà alla Legge di Mosè;

3.la sua origine divina;

4.il fatto che è imminente il suo ritorno al Padre, quindi la sua morte e risurrezione.

Gesù accusa qui i giudei di non rispettare le Legge di Mosè, poiché praticano abitualmente la circoncisione di sabato, mentre Gesù ha, una sola volta, guarito un paralitico nel giorno di sabato. Gesù rivendica la sua doppia origine: natura umana e divina[43]. Allora i giudei cercano di arrestarlo, ma non ci riescono perché non era ancora giunta la sua ora, come Gesù stesso precisa: fallisce quindi il primo tentativo di cattura di Gesù. Ma è ormai prossimo il tempo della sua morte, afferma Gesù stesso. Dove Gesù andrà, cioè dal Padre, gli ebrei non potranno andare, lo cercheranno, ma non lo troveranno e, come spesso è accaduto, non comprenderanno le Sue parole.

Gesù arriva in ritardo alla festa delle capanne, quando questa è ormai alla fine, e Gesù, a questo punto, vuole essere il protagonista della festa. Si presenta come “acqua viva” (segno dell’autocoscienza di Gesù). Invita a bere chi crede in Lui. La gente, dopo il discorso di Gesù, si chiede chi era costui, se era il Cristo, ma il Cristo non può venire dalla Galilea: gli Ebrei disprezzano quelli che vengono dalla Galilea, considerati ignoranti. I Farisei disprezzano le guardie che non hanno arrestato Gesù. Nicodemo interviene in difesa di Gesù, ma non viene ascoltato dai Farisei: si nota qui, da parte dell’evangelista[44], una rivalutazione di Nicodemo, che precedentemente aveva ascoltato Gesù.

 

I.10. L’OTTAVO CAPITOLO: LA LEGGE EBRAICA E LA LEGGE DELL’AMORE. L’INCONTRO CON L’ADULTERA.

E’ questo l’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni che sarà trattato dal punto di vista esegetico, in quanto i rimanenti occupano un’importanza marginale rispetto all’oggetto della tesi in questione. I rimanenti capitoli saranno infatti considerati solo per sommi capi.

Per Grun[45] i primi 11 versi del capitolo sono autografi di Giovanni, a differenza di quanto pensano molti esegeti, per i quali il presente capitolo sembra un episodio inserito in seguito, ma estraneo al contesto dell’opera giovannea, ed assomiglierebbe più al Vangelo di Luca.

La legge giudaica era maschilista: la donna adultera veniva lapidata. I Farisei presentano a Gesù una donna adultera, per mettere alla prova Gesù e condannarlo. Ma Gesù pronuncia le celeberrime parole: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Gesù scrive sulla terra con il dito, forse per prendere tempo, mentre la folla si allontana a cominciare dai più anziani, che sono quelli che, nella loro lunga vita, hanno maggiormente peccato. Agostino interpreta questo passo affermando che quando la gente se ne va, sono rimasti in 2, Gesù e la donna adultera, cioè la Misericordia, rispettivamente, e la misera, la soccorsa. Gesù rende libera la donna, che non deve più peccare. Gli ebrei volevano far cadere Gesù in un tranello: se l’avesse assolta, avrebbe tradito la legge ebraica, se l’avesse condannata, avrebbe tradito la legge romana. Honi era un predicatore che aveva l’abitudine di ascoltare la gente scrivendo sulla sabbia ed era vissuto circa 50 anni prima di Gesù: Può darsi che l’atteggiamento di Gesù ricordi quello di Honi, scrivendo sulla terra. Gesù scrive sulla terra perché forse sa scrivere: l’analfabetismo non aveva infatti riguardato il popolo ebraico, come si è già detto. E’ certo che Cristo sapesse leggere, poiché conosceva le scritture, ma non ci sono prove che sapesse scrivere, anche se è molto probabile che fosse in grado di farlo, ovviamente riferendoci sempre al Cristo fattosi uomo. Gesù, come Socrate, come Budda, non ha scritto niente: i grandi saggi hanno preferito il dialogo allo scritto, come forma diretta di conoscenza. I Farisei comunicano a Gesù che la sua propria testimonianza non è sufficiente, ma qui, ancora una volta, emerge in modo deciso e crescente l’autocoscienza di Gesù nelle parole “Io Sono” (“Egò Eimì”, in greco). Dove Cristo va, i Farisei non possono andare: la testimonianza di Gesù non necessita di altre testimonianze, già portate precedentemente e qui nuovamente citate, come la Legge ed il Padre. Gesù afferma infine che il Padre suo non lo ha lasciato solo: non lo lascerà solo nemmeno sulla croce[46].

 

I.11 GLI ULTIMI CAPITOLI: IL “LIBRO DELLA GLORIA”, L’EPILOGO E LA “VICENDA PASQUALE”. IL CONFLITTO TRA “AGAPE” ED “EROS”. “DIAKONIA”, “MARTYRIA” E RISURREZIONE.

Gesù sa di dover morire, in obbedienza al disegno salvifico del Padre[47], e piange dopo la morte di Lazzaro[48], facendo così emergere la sua natura profondamente umana. Caifa, il gran sacerdote, capo del Sinedrio, vuole la morte di Gesù[49], ma la morte di Gesù sarà come il chicco di un grano, che cadendo sulla terra produrrà molti frutti[50]: la caduta rappresenta infatti la morte, e la produzione dei molti frutti simboleggia invece la risurrezione.

Gesù manifesta, con la lavanda dei piedi[51], la sua umanità nel servizio (“Diakonìa” in greco) agli altri, ma i suoi discepoli non sono “tutti puri”[52] ed “era notte”[53] quando uno di loro lo tradì[54]. Gesù ribadisce che è venuto ad integrare la Torà con un comandamento nuovo, quello dell’Amore cristiano (“Agape” in greco, e non “Eros”, che è invece l’amore dionisiaco, ebbro e indisciplinato), non a distruggerla[55], ed è consapevole che deve morire[56].

Gesù manifesta, in quest’ultima parte del Vangelo, anche la sua ferma autorità quando, rivolgendosi ai suoi discepoli, ha detto: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”[57].

Negli ultimi 3 capitoli, il XIX°, il XX° ed il XXI°, che chiudono il Vangelo, Gesù presenta la madre Maria come la novella Eva, madre spirituale di tutti i credenti[58] e poi, “chinato il capo, consegnò lo spirito”[59]: questo verbo “consegnò” ci presenta la cosiddetta “teoria della consegna trinitaria”, in quanto Cristo, con la sua morte ed il ritorno al Padre, riconsegna al Padre lo Spirito Santo che lo ha legato a Lui ed agli uomini sulla terra.

 

I.12. IL DIBATTITO STORIOGRAFICO SULLA SPECIFICITA’ DEL VANGELO GIOVANNEO E SUI SUOI RAPPORTI CON IL GIUDAISMO: GIOVANNI “ANTIGIUDAICO” O  “LONTANO DAL “ GIUDAISMO” ?

Il Vangelo giovanneo è universalmente considerato il più “antigiudaico” fra tutti i Vangeli: analizzeremo la veridicità di questo giudizio mediante una disamina della storiografia più recente in materia, al fine di vedere in quale misura sia possibile stabilire quanto sia “antigiudaico” lo scritto dell’evangelista o semplicemente “lontano dal giudaismo”.

Gianfranco Ravasi è forse il più famoso biblista italiano a livello divulgativo; nel suo testo[60], che è un ‘classico’, segue lo schema dei vari capitoli del Vangelo giovanneo in modo chiaro ed esegetico, quindi risulta essere una buona guida alla lettura,  in cui si nega l’aspetto “antigiudaico” del Vangelo per insistere su quello simbolico, come, ad esempio, l’acqua della samaritana e l’acqua di Cristo. Particolare importanza Ravasi conferisce alla parte del Vangelo relativa alla festa delle capanne, alla quale Gesù arriva soltanto alla fine. Nel I° volume l’autore interpreta simbolicamente i segni del IV° Vangelo[61]: l’acqua di Gesù è l’ ”acqua viva”, che dà la vita eterna, il fuoco dei bracieri della festa delle capanne dà la Luce, la Luce di Cristo che brilla nelle tenebre, irradia, illumina la storia. Il cerchio, simbolo di perfezione, rappresenta l’universalità della presenza divina e racchiude la storia umana. Questi “segni”, intesi da Ravasi nel duplice senso di

a.miracoli e

b.simboli

sono stati scritti affinché l’uomo creda[62].

Ravasi interpreta inoltre il Logos del  “Prologo”  come Parola e come Cristo: Cristo è Parola, ma anche azione, o meglio “Dabar”, in ebraico “parola in atto”.

Il studio di Ravasi è quindi una guida lineare al IV° Vangelo che insiste sull’interpretazione simbolica, e non si può parlare di “antigiudaismo” in Giovanni[63].

Parlando della festa delle capanne, Ravasi sostiene che Gesù arriva a festa iniziata perché non vuole essere additato come il Maestro.

Ravasi interpreta simbolicamente anche i 3 personaggi incontrati da Gesù all’inizio del Vangelo, secondo il seguente schema:

a. Nicodemo è l’ebreo osservante[64] (non a caso incontrato di notte);

b. La Samaritana rappresenta l’ebreo eretico[65];

c. Il funzionario regio simboleggia il pagano, l’unico che riconosce Cristo immediatamente.

Nel II° volume l’autore sottolinea come spesso i discepoli non comprendano le parole di Gesù, i cui dialoghi si risolvono spesso in monologhi[66], poi parla della teoria della consegna trinitaria[67] quando Gesù “consegnò il suo spirito”, alla fine del Vangelo, come si è visto, sottolinea i caratteri del Gesù umano, che piange sulla tomba di Lazzaro e si arrabbia[68] ed infine insiste sull’antitesi tra Gesù, che è la Luce, e le Tenebre[69].

Per lo studioso Poppi[70] il Vangelo di Giovanni è molto simbolico, di alto contenuto teologico e dimostra un forte radicamento nell’ambiente palestinese, come dimostrano le esatte informazioni storiche e topografiche[71].

Dopo l’Introduzione, segue una sintesi guidata del IV° Vangelo: anche se è probabile uno sviluppo in vari stadi del IV° Vangelo, la sostanziale unità del testo giovanneo è ormai, afferma poppi, largamente riconosciuta dagli studiosi. Il IV° Vangelo per Poppi ha un carattere più unitario rispetto ai Sinottici ed è sicuramente più originale anche nella struttura. Il contenuto, teologico e filosofico, è altamente dottrinale ed ha un significato fortemente escatologico. Molto probabilmente fu composto tra il 90 ed il 100, il vocabolario è povero e volutamente ripetitivo, frequentemente si usano parole “a doppio senso”. Il Gesù di Giovanni, per Poppi, non è un Dio accanto ad un Dio, ma è colui nel quale Dio si fa riconoscere, e i destinatari dello scritto giovanneo sono tutti i cristiani, provenienti sia dal giudaismo che dal paganesimo. Dal momento che mancano, nel Vangelo in questione, espliciti riferimenti alla missione universalistica della Chiesa, perché mancano verbi come “predicare”, alcuni esegeti, conclude Ravasi, hanno considerato la teologia giovannea come “ripiegata su sé stessa”, tesa ad escludere una prospettiva universale della Salvezza[72].

Grun è biblista, letterato, filosofo e sottolinea il valore allegorico del Vangelo giovanneo, che va sempre letto tenendo presenti due livelli:

a. Uno letterale;

b. Uno più profondo, come, ad esempio, nei dialoghi di Gesù con i discepoli, che si risolvono in monologhi perché Gesù insegna ai suoi discepoli; in questi dialoghi ricorrono spessissimo i verbi “trovate”, “vedrete”, “cercate”.

Anche i numeri hanno un valore simbolico: 10, ad esempio, è il numero della pienezza, della perfezione. L’intento dell’evangelista per Grun è quindi

1. Raccontare l’accaduto, e questo è il primo livello, quello letterale e più semplice;

2. Chiamare ed educare il lettore, e questo sottolinea il valore pedagogico del Vangelo giovanneo[73].

Grun è un monaco benedettino tedesco, autore di tanti testi di mistica e spiritualità; è nato in Germania negli anni ’30. Legge il Vangelo di Giovanni in chiave mistico-spirituale, quindi il suo approccio è mistico, e non esegetico come quello di Ravasi.

Fumagalli invece presenta i vari personaggi del Vangelo di Giovanni, come la Maddalena e Nicodemo e prosegue la tesi[74] dell’enciclica “Deus charitas est” (“Dio è Amore”) del papa emerito Benedetto XVI°.

Il già citato Raimond Brown, morto nel 1998, è stato uno dei più grandi studiosi di Giovanni. Non è tanto presente, in lui, l’aspetto esegetico, “scientifico”, quanto quello “appassionato”. Immagina un ritiro spirituale in compagnia dell’evangelista Giovanni, in cui l’evangelista corregge Brown e dialoga con lui[75].

In conclusione, il problema del presunto “antigiudaismo” o “allontanamento” dall’ebraismo presente nel Vangelo giovanneo è ancora aperto ed oggetto di studi e ricerche, tutt’oggi in corso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO II°: L’EPISTOLARIO PAOLINO

 

II.1. LA VITA E LA FIGURA DI PAOLO DI TARSO. IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO E CULTURALE.

Questa ampia introduzione sarà articolata in due parti: una prima parte di carattere generale con riferimenti alla figura dell’apostolo Paolo di Tarso, alla sua vita, al quadro storico in cui svolge la sua attività missionaria; una seconda parte che, attraverso l’esegesi di alcuni testi, propone un percorso sui temi fondamentali della teologia paolina. Unico manuale di riferimento sarà il libro, scritto a quattro mani, da Fabris e da Romanello[76].

Seguiranno una serie di paragrafi che avranno per oggetto l’esegesi ed il commento di brani scelti dall’epistolario.

Paolo è noto come l’inventore del cristianesimo, non Gesù. Paolo è un testimone, anche se non oculare, della risurrezione di Gesù. Ha avuto rapporti sia con la cultura ebraica che con quella romana.

Nella Bibbia sono “paoline” 14 lettere, 7 autentiche e 7 non autografe di Paolo, ma di scuola paolina. L’ordine cronologico, che non è quello seguito dalla Bibbia, delle lettere autografe di Paolo, è il seguente:

  1. Prima lettera ai Tessalonicesi ( è questo il documento più antico di tutto il Nuovo Testamento);
  2. Prima lettera ai Corinzi;
  3. Seconda lettera ai Corinzi;
  4. Lettera ai Filippesi;
  5. Lettera a Filemone;
  6. Lettera ai Galati;
  7. Lettera ai Romani.

Non sono invece di Paolo le altre lettere (ai Colossesi, agli  Efesini, la Seconda lettera ai Tessalonicesi, la Prima e la Seconda a Timoteo, la Prima a Tito, la lettera agli Ebrei, quest’ultima addirittura completamente estranea al corpus paolino.

Le fonti sull’esistenza di Paolo si possono distinguere in 3 categorie:

  1. Le fonti cristiane canoniche, vale a dire l’Epistolario paolino, il Vangelo di Luca, gli Atti degli Apostoli, che sono più tardivi dei Vangeli; sono autografi di Luca e nella seconda parte degli Atti si parla di Paolo. Il disegno geografico di Luca ha un orizzonte universale, da Gerusalemme ai confini della terra;
  2. Le fonti cristiane apocrife, che sono l’Apocalisse di Paolo (III°/IV° sec.), il martirio di Paolo (IV°/V° sec.), le Omelie di Clemente Romano, uno dei primi Padri della Chiesa, ovvero dei primi esponenti della patristica, movimento sorto tra la fine dell’Impero Romano d’Occidente e l’Alto Medioevo.; esiste anche un Epistolario tra Paolo ed il filosofo stoico Seneca, consigliere dello scellerato Nerone, databile al IV° secolo, secondo l’archeologia biblica, in Egitto è stata inoltre trovata, in una biblioteca gnostica, la “Preghiera di Paolo”.
  3. Le fonti storiche o profane sono costituite, oltre che dalle iscrizioni trovate nelle città visitate da Paolo (Tessalonica, Efeso, ecc.) e da un’iscrizione del proconsole romano Gallione, da Giuseppe Flavio, che si è interessato di storia giudaica e della guerra giudaica, come emerge dai suoi scritti, e da Filone d’Alessandria, autore del I° secolo, del quale ci sono pervenuti commenti biblici, la lettera al folle imperatore romano Caligola (che arrivò a nominare, come è noto, senatore il suo cavallo) e la “Legatio at Gaium”, in cui difende la comunità ebraica di Alessandria.

Negli Atti degli Apostoli[77], Luca racconta che Paolo era stato condotto di fronte al tribunale giudaico di Corinto: è questo già un elemento di forte tensione fra Paolo e gli  Ebrei, che si verifica tra il 50 ed il 52, in quanto nel 50 Paolo era sicuramente giunto a Corinto. Sempre negli Atti degli Apostoli[78] si parla dell’editto dell’imperatore Claudio, in cui Paolo s’incontra con il giudeo Aquila, elemento ripreso da Svetonio[79], che afferma che Claudio cacciò da Roma i giudei nella prima metà del I° secolo. Nel secolo successivo, Dione Cassio[80] afferma invece che Claudio non li cacciò, ma gli impedì di riunirsi per evitare disordini. Intorno al 410, Orosio riprende quanto afferma Svetonio e sostiene che gli ebrei furono espulsi da Roma. Paolo ebbe la sua conversione negli anni 30, sulla via di Damasco, in Siria, come è noto, durante il regno di Areta IV. Nella I lettera ai Corinzi[81] e negli Atti degli Apostoli[82] si parla della fuga di Paolo da Damasco. Sempre negli Atti degli Apostoli[83] si parla della prigionia di Paolo a Cesarea, durata 2 anni, sotto l’amministrazione di Felice, intorno alla metà degli anni 50. Negli anni 60 Paolo si reca a Roma.

A Paolo non interessa il Gesù storico, ma il Cristo della fede; Paolo non crede che ci si salvi obbedendo alla Legge, come gli ebrei, ma con la Fede, solo con la fede; Gesù è il Cristo, il Signore (“Kyrios”, in greco) risorto, asceso al cielo e che siede alla destra del Padre. “Il giusto vivrà per fede” scrive infatti Paolo nella Lettera ai Romani. Paolo non incontra problemi con i pagani greci, ma con gli ebrei, Paolo non crede al valore della circoncisione per la salvezza. Paolo fonda varie comunità cristiane, come Efeso, Tessalonica, Corinto. Le prime comunità cristiane sono però sempre comunità giudeo-cristiane: è un momento di nascita e consolidamento del cristianesimo, che si deve però inserire in un contesto ebraico.

Nella I Lettera ai Galati parla della sua conversione ed afferma che dopo la rivelazione sulla via di Damasco si recò in Arabia, e dopo 3 anni a Gerusalemme, poi in Siria. E’ importante, questa lettera, per ricostruire la cronologia paolina. Nel 2° capitolo della lettera afferma che in seguito tornò a Gerusalemme ed incontrò Giacomo, Pietro e Giovanni, colonne del cristianesimo, che lo inducono ad elargire elemosine ai poveri.

Paolo si è sicuramente convertito prima della morte del re Areta IV, quindi prima del 39. Due distinte cronologie, dette “alta” e “bassa”, collocano la conversione di Paolo a distanza di 4-5 anni. Paolo si converte circa all’età di 30 anni.

Con l’epistolario, Paolo mantiene contatti con le comunità che ha fondato. Le lettere paoline hanno il carattere di

  1. Encicliche, lette per circolare ed essere quindi diffuse, relative all’attività pastorale,  e quindi inerenti all’organizzazione del culto della Chiesa primitiva mediante l’istruzione, la predicazione e l’evangelizzazione; e di
  2. Epistole, cioè piccoli trattati di teologia, relativi all’attività teologica, che presentano perciò elementi liturgici, citazioni e spiegazioni della Scrittura.

Emerge, in entrambi i casi, la sua attività apostolica, sia pure con un duplice obiettivo.

Paolo ci è stato tramandato come “apostolo delle genti” e come “martire (nel senso greco di “testimone”) della fede cristiana”: possiamo comunque affermare con certezza che Paolo mantiene, anche dopo la conversione, il suo radicalismo, il suo fondamentalismo ebraico, che trasferisce nel cristianesimo.

Abbiamo detto che delle 14 lettere dell’epistolario paolino solo 7 sono autografe di Paolo, le altre sono di scuola paolina: queste ultime sono dette “deutero-paoline”. Delle 7 considerate autentiche, le 4 più importanti sono sicuramente la Lettera ai Romani, la I e la II Lettera ai Corinzi e la Lettera ai Galati.

Nel Nuovo Testamento, la sequenza è la seguente:

  1. 4 Vangeli;
  2. Atti degli Apostoli;
  3. Epistolario paolino;
  4. Apocalisse di Giovanni.

Probabilmente Paolo ha scritto anche altre lettere, andate perdute, come una a cui fa cenno nella I Lettera ai Corinzi e che viene chiamata “pre-canonica”, mentre nella II Lettera ai Corinzi si fa cenno ad un’altra lettera scritta “tra molte lacrime”. Ancora, nella Lettera ai Colossesi si fa riferimento ad una lettera inviata ai cristiani di Laodicea, in Siria, località nella quale si terrà il famoso concilio del IV° secolo.

“Apostolo” è l’appellativo che lui stesso si attribuisce nelle lettere e significa “missionario”.

Passiamo ora ad esaminare la biografia di Paolo: Paolo nasce a Tarso, fra il 4 ed il 5; era un ebreo ellenizzato che godeva della cittadinanza romana; non conobbe mai Gesù, malgrado ne fosse coevo. Fu, inizialmente, un persecutore di cristiani. Fu presente ed accondiscendente al martirio di Stefano, primo martire cristiano, malgrado non avesse partecipato direttamente alla lapidazione. Prima della conversione, fu uno zelante persecutore dei cristiani ed occupò posizioni di rilievo nelle alte sfere religiose ebraiche; perseguitò infatti i cristiani di cultura greca, come Stefano, i cristiani di Gerusalemme ed i cristiani di Damasco. Appartenne infatti al Sinedrio di Gerusalemme, dal quale fu poi condannato. Come professione, era tessitore di tende, mestiere di famiglia, che apparteneva quindi al ceto sociale medio-alto degli ebrei. Mentre si recava da Gerusalemme a Damasco per organizzare una persecuzione di cristiani, fu avvolto in una luce che gli diceva: “Paolo, Paolo, perché mi perseguiti?[84]” Reso cieco da quella luce divina, cadde prima a terra, poi, ripresosi, vagò per 3 giorni a Damasco, dove fu guarito dal capo di quella piccola comunità, Anania, che lo battezzò. L’episodio è noto come “conversione di Paolo sulla via di Damasco” ed avvenne fra il 34 ed il 35. Da questo momento inizia la sua opera di evangelizzazione, prima presso gli ebrei, poi presso i Gentili (“Gentiles”), in Arabia, Grecia, Asia Minore. Ebbe un carattere energico ed appassionato, combatté infatti molto energicamente alcuni cristiani di origine ebraica che volevano imporre ai pagani convertiti la legge ebraica, compresa la circoncisione, a cui Paolo si oppose strenuamente. Gli ebrei lo fecero allora prigioniero a Gerusalemme, per volontà del Sinedrio (del quale aveva fatto parte in anni precedenti) tra il 58 ed il 60, con l’accusa di turbare l’ordine pubblico. Fu trasferito poi, sempre in prigionia, a Roma, costretto ad una sorta di “arresti domiciliari”. Riuscì però a proseguire la sua predicazione in clandestinità, fino a quando non fu fatto decapitare dall’imperatore romano Nerone nel 63 circa. Come si nota, le date sono abbastanza approssimative, ma quello che è importante evidenziare dalla biografia di Paolo sono questi due elementi:

  1. Per il tempo in cui visse, fu una persona che viaggiò tantissimo, considerati i mezzi di spostamento di allora, ed i suoi viaggi mettono in luce anche il suo immenso sapere;
  2. Come Cristo, Paolo viene arrestato dagli ebrei ed ucciso dai romani.

Gli eventi fondamentali possono essere schematizzati nel modo seguente:

  1. Paolo nasce a Tarso fra il 4 ed il 5;
  2. Si converte al cristianesimo fra il 34 ed il 35 sulla via di Damasco;
  3. Nel 37 incontra Pietro;
  4. Dopo l’Assemblea di Gerusalemme (49-50), inizia la sua missione a Corinto (51-52);
  5. Viene arrestato a Cesarea (58-60);
  6. Viaggio a Roma (60) e martirio (63).

Per quanto concerne la formazione culturale di Paolo, va detto che conosceva l’ebraico, il greco (in cui sono scritte molte lettere) e vari dialetti. Era inoltre colto in geografia, filosofia e retorica: lo stile delle sue lettere dimostra la conoscenza della retorica classica, pagana (ha infatti uno stile quasi ciceroniano). Tarso, la sua città natale, era un centro culturalmente molto attivo.

Per quanto riguarda invece la sua attività missionaria, è da sapere che fondò varie colonie, a Tessalonica, Corinto, Efeso, e poi in Arabia, in Siria, a Gerusalemme.

Per l’aspetto fisico è da dirsi che era di bassissima statura, forse 3 cubiti, cioè 133 centimetri (il cubito era un’unità di misura adottata presso gli ebrei). Il carattere era energico, deciso, poco amabile, ebbe inizialmente contrasti con l’evangelista Marco, poi rivalutato.

Per quanto concerne la formazione culturale di Paolo, la tradizione cristiana ce lo presenta come “l’apostolo delle genti”; Luca, negli Atti degli Apostoli, ce lo presenta come un persecutore che poi diventa cristiano. “Paolo”, sin firma così nelle sue lettere scritte in greco, ma negli Atti degli Apostoli[85] Luca lo chiama “Saulo”, un nome ebraico, quello del primo re degli ebrei, appunto Saul (seguito da David e Salomone), che significa “richiesta a Dio”. Paolo si firma “Paolo” per evidenziare la sua origine romana e nella Lettera ai Filippesi[86] afferma la propria cittadinanza romana. Luca racconta[87] che Paolo, prigioniero a Cesarea, viene trasferito a Roma su sua richiesta: Paolo può chiedere questo perché è cittadino romano. Paolo dichiara esplicitamente il luogo della propria nascita[88], Tarso, città della Cilicia. Tarso è un centro culturale molto vivace, come afferma lo storico romano Strabone, è una città aperta ai commerci e strategica dal punto di vista geografico. La famiglia di Paolo era originaria del nord della Galilea, dopo la diaspora (“dispersione”) si è trasferita a Tarso.

Per Paolo,  lasciarsi guidare dalla carne (“Katà” in greco) è una modalità di vita diversa da quella che intende farsi guidare dallo Spirito (“Pneuma”, in greco)[89]. Paolo dichiara qui[90] la propria pura origine ebraica. In seguito considererà “spazzatura” la sua identità ebraica e nella II Lettera ai Corinzi[91] si dichiara ancora ebreo.

Chiama “parenti” nel senso greco di collaboratori,  le oltre 20 persone appartenenti alla comunità romana che saluta nella Lettera ai Romani[92].

Luca afferma che gli ebrei lo vogliono uccidere ed hanno organizzato un complotto, ma il nipote di Paolo informò lo zio, che si trovava prigioniero a Gerusalemme, ed informò anche il guardiano del carcere dove Paolo era prigioniero: il guardiano lo fece allora trasferire a Cesarea[93].  Tre sono quindi stati i luoghi della prigionia di Paolo: prima Gerusalemme, poi  Cesarea ed infine Roma.

Nella I Lettera ai Corinzi[94], Paolo parla ai corinzi del matrimonio: ordina alle mogli di non separarsi dai mariti e, in caso di separazione, che non si risposino. Paolo vive solo: o non si è mai sposato, e pertanto è celibe, o è vedovo. Si dichiara celibe: ciò corrisponde all’immagine classica del filosofo che non si sposa per non farsi distrarre dalle passioni (Origene arrivò ad evirarsi da solo per questo motivo). Nella vita matrimoniale, Paolo predica la castità, che non è l’astinenza, ma la moderazione della vita sessuale. Spiega il suo celibato facendo ricorso non ad una sua volontà, ma a un dono di Dio.

Paolo è stato circonciso l’ottavo giorno, secondo la tradizione ebraica più pura: Paolo apprende dal padre il mestiere di tessitore di tende, che svolge presso le comunità cristiane che lo ospitano perché non voleva essere mantenuto. A Tarso compie gli studi elementari a 6-7 anni (la “scuola del libro”), a 15 anni studia la Bibbia (la “scuola del Talmud”): il metodo di studio è mnemonico. In seguito studia le interpretazioni della Torà e le sue possibili applicazioni pratiche. Poi studia a Gerusalemme con il maestro Gamaliele, di indirizzo farisaico.

La principale fonte su Paolo è costituita dagli Atti degli Apostoli  o “secondo Vangelo di Luca”. I viaggi compiuti da  Paolo sono 3, oltre ad un quarto, verso il martirio. In particolare si reca 2 volte a Gerusalemme[95], dopo 3 anni e dopo 14. Il card. Martini, arcivescovo di Milano, ha studiato le confessioni di Paolo, ed anche Benedetto XVI ha studiato la biografia di Paolo, scrivendo un articolo in proposito.

Paolo, nella Lettera ai Galati[96], molto autobiografica, afferma la sua missione di persecutore dei cristiani: si definisce un “accanito” (zelante, in greco, da cui “zelota”) persecutore dei cristiani. Una volta convertito, Paolo è perseguitato dai giudeo-cristiani. Paolo è fortemente avverso alla circoncisione e, all’inizio della lettera[97], non ringrazia Dio, come di consueto, ma rimprovera i galati perché praticano la circoncisione (Peritomé = “taglio intorno”, circolare, e katatomè, che significa castrato, mutilato, evirato, letteralmente dal greco). Per Paolo, con la venuta di Gesù, cambia tutto: non ci si salva con la Legge, bisogna invece credere che Gesù è morto e risorto, non ci si salva

  1. Né con l’obbedienza alla Legge;
  2. Né con la circoncisione, che per gli Ebrei era il primo segno di appartenenza al popolo eletto.

Nella Chiesa di Antiochia si pone il problema di cosa chiedere a coloro che vogliono diventare ebrei: Paolo non ritiene utile la circoncisione, e lo afferma all’Assemblea di Gerusalemme.

Pietro fa un discorso al centurione romano Cornelio[98] ed afferma che Dio accoglie tutti coloro che lo temono e praticano la giustizia. Non c’è bisogno di sottoporre i nuovi convertiti alla circoncisione, è necessario:

  1. Non mangiare carni di animali offerti agli idoli;
  2. Non contrarre matrimoni incestuosi;
  3. Non mangiare animali non dissanguati;
  4. Non bere sangue di animali offerti agli idoli.

Paolo si presenta come “apostolo”[99]. Per “Apostolo” si intende:

  1. I dodici apostoli, che fanno capo a Pietro[100];
  2. I missionari itineranti e volontari chiamati da Gesù Cristo, come è il caso di Paolo;
  3. I missionari inviati.

Secondo il Concilio Vaticano II°, i vescovi sono i diretti discendenti degli Apostoli[101].  Paolo è testimone dei Signore risorto, è  “servo”[102] di Gesù Cristo, come si afferma ancora nella Lettera ai Galati[103] e nella II Lettera ai Corinzi[104], in cui si definisce “diacono” (la “Diakonia” è il servizio) e sostiene che sonio diaconi di Dio e di Cristo tutti coloro che annunciano il Vangelo. Come missionario, Paolo vuole portare il Vangelo alle genti: per questo si definisce “apostolo delle genti”. Chiama “operai” i suoi collaboratori che annunciano il Vangelo.

I capisaldi del cristianesimo per Paolo sono i seguenti:

  1. Il creato è priva certa dell’esistenza di Dio, solo gli ignoranti possono negarlo[105];
  2. Dal peccato originale tutti gli uomini sono peccatori, ed è possibile la redenzione solo mediante la fede in Cristo[106], non ci si salva obbedendo alla Legge o praticando la circoncisione, come invece ritenevano erroneamente gli ebrei;
  3. La Grazia ha una funzione salvifica[107];
  4. La persona è carne + spirito e non si può vivere cristianamente ignorando l’una o l’altro;
  5. Molti sono i carismi e diverse le membra, ma il corpo è uno solo, Cristo, ed unico è il destinatario, la Chiesa. E’ lecito che ognuno utilizzi i doni ricevuti e rimanga nella vocazione alla quale è chiamato, senza mai però che Uno è lo Spirito perché Uno è il Signore (Kyrios)[108]. L’armonia tra le diverse componenti della Chiesa è garantita dall’Agape, l’amore cristiano, che è la Charitas, la maggiore delle tre virtù teologali[109]. E questa la cosiddetta “teologia dei carismi” di cui parleremo ancora nell’analisi della Lettera ai Romani, contenuta nel capitolo successivo di questa tesi.

Dei viaggi di Paolo ci parla Luca negli Atti degli Apostoli, Paolo invece non ne parla mai nel suo epistolario. Come si è detto, Paolo compie 4 viaggi, l’ultimo verso il martirio:

  1. 1° viaggio: parte da Antiochia di Siria, sbarca a Cipro, poi va in Anatolia[110];
  2. 2° viaggio: parte da Antiochia e s’imbarca per la Macedonia e visita Filippi e Tessalonica; poi va ad Atene[111]. Qui Paolo vede una serie di iscrizioni, sulle colonne, a un “Dio ignoto” e vuole spiegare agli ateniesi che il “Dio ignoto” è Gesù Cristo, il Dio ignoto al quale sono dedicate alcune statue e che viene adorato dagli ateniesi.
  3. 3° viaggio: parte da Antiochia e va ad Efeso. E’ questo viaggio la prosecuzione del 2° e si conclude con la prigionia a Cesarea.
  4. 4° viaggio: parte da Cesarea e va a Roma prigioniero, con una sosta a Malta a causa di una terribile tempesta. A Malta vi sono infatti diverse Chiese dedicate a Paolo e luoghi che ricordano l’apostolo.

Corinto ed Efeso sono le sue due mete più importanti dei suoi viaggi; da Corinto scrive la Lettera ai Romani, la lettera più lunga e più import ante, una sorta di trattato di teologia.

1)Apostolo, 2) servo e 3) chiamato da Gesù Cristo sono i 3 titolo che Paolo usa per legittimare la sua funzione apostolica, in un’ottica apologetica verso chi lo contesta.

La lettera è un genere letterario molto antico, si trovano lettere già nel VI° libro dell’Eneide di Virgilio, già nella Bibbia[112]. La massima fioritura del genere epistolare risale al IV° sec. a C. in Grecia (si pensi alla VII lettera di Platone, importantissima per la sua concezione politica di “filosofo-re” che voleva attuare presso i tiranni di Siracusa, prima Dionigi il Vecchio e poi Dionigi il Giovane, grazie alla mediazione dell’amico Dione). Cicerone ha scritto moltissime lettere, private e pubbliche; le lettere private erano rivolte ad un destinatario specifico (come, ad esempio, Ad familiares) ed hanno un tono amichevole, a differenza delle lettere pubbliche, che hanno uno stile ufficiale. Anche nell’Antico Testamento si trovano lettere scritte sui papiri.

Certamente le lettere paoline si riferiscono ad un destinatario specifico, ma non sono private perché

  1. Trattano argomenti di alto spessore;
  2. Sicuramente Paolo aveva un segretario che scriveva per lui, e questo già ci fa pensare che non si possono definire “private”.

Nei secoli II° e III° due manuali distinguono vari tipi di lettere: nell’ambiente ebraico troviamo lettere nei due libri dei Maccabei (sono libri Deuterocanonici, cioè inseriti nel canone in un secondo momento). La I Lettera ai Tessalonicesi è la lettera più antica ed è anche il documento più antico di tutto il Nuovo Testamento. Presenta un prescritto[113], un corpo centrale ed un post-scriptum. Nel prescritto sono indicati il mittenti o i co-mittenti, c’è il nome del destinatario ed il saluto; sono questi elementi presenti in tutte le lettere di Paolo, che trovano corrispondenza nel post-scriptum, in cui si trovano la preghiera, il saluto e la benedizione finale. Il corpo della lettera può essere breve o molto lungo, come nel caso della Lettera ai Romani. Paolo scrive perché non può essere nel luogo ove la lettera è destinata e scrive con l’autorità propria del fondatore di una comunità.

Paolo si rapporta in modo diverso alle varie comunità, ad esempio saluta con amicizia i filippensi, perché lo hanno aiutato in un momento di difficoltà.

La struttura delle lettere di Paolo si può quindi sintetizzare nel seguente schema:

  1. Indirizzo: mittente o co-mittenti, destinatario, saluto;
  2. Preghiera a Dio;
  3. Corpus della lettera: a. parte dottrinale (teologica) = > epistola;

b. esortazione (pastorale) = > enciclica.

4.     Saluti e benedizione.

La retorica, intesa nel senso classico di arte della persuasione, era importantissima. Aristotele classificava 3 generi di discorsi[114]:

  1. Deliberativo: condotto con metodo e obiettivo. Ha lo scopo di persuadere, quindi si cercano metodi atti alla persuasione.
  2. Giudiziario: ha come fine la scoperta del vero e del giusto e compete pertanto ai tribunali;
  3. Epidittico: mira a scoprire che il bello è affine al buono.

Prima di Aristotele già Socrate, per bocca di Platone, aveva parlato dei pregi e dei difetti della retorica, che era stata celebrata invece dai sofisti, come Gorgia, Ippia, Trasimaco, Prodico di Ceo, Eutidemo e Dionisodoro. E’ quindi importante considerare sempre l’uditorio a cui il retore si rivolge. Le lettere di Paolo sono destinate ad un lettura a voce alta da parte della comunità, non trattano temi familiari e non sono scritte con tono emotivo. A Paolo interessa convincere i suoi interlocutori a fare una determinata scelta. Nel discorso antico, si distinguono 5 momenti fondamentali:

  1. Inventio (il vero o il verosimile);
  2. Dispositio (l’ordine degli argomenti);
  3. Elocutio (uso delle parole adatte a convincere);
  4. Memoria (ricordo di ciò che è accaduto);
  5. Proniunciatio (può essere anche gestuale).

Anafora e chiasmo sono le figure retoriche più usate nell’antichità.

Il pensiero paolino è ricco e complesso perché:

  1. Mantiene una coerenza di fondo, nell’epistola teologica;
  2. Adegua lo stile ai destinatari da convincere, con differenti registri linguistici, nell’enciclica pastorale.

Prima di passare all’analisi di alcune lettere dell’epistolario paolino, ci preme presentare i tre differenti racconti sulla conversione di Paolo, presenti negli Atti degli Apostoli:

  1. Nel primo racconto ha grande rilievo l’episodio di Anania, che guarisce Saulo per volontà di Dio, nonostante avesse commesso del male verso i cristiani, e questo spiega l’obiezione di Anania a Gesù[115];
  2. Nel secondo ha grande importanza l’episodio del tempio. Paolo è inviato da Cristo a Gerusalemme[116];
  3. Nel terzo, infine, scompare l’episodio di Anania, sostituito dalla missione che Gesù immediatamente dà a Saulo (così viene chiamato da Luca, con il nome ebraico, come si è detto): andare dai pagani ed “aprir loro gli occhi”[117].

In tutti e tre gli episodi, Saulo diventa da persecutore dei cristiani, apostolo dei pagani.

Nella Bibbia non si segue l’ordine cronologico, ma quello della lunghezza, in direzione decrescente: per questo l’epistolario paolino inizia con la Lettera ai Romani, che è la più lunga. La più antica è invece la I Lettera ai Tessalonicesi: Tessalonica era la capitale della Macedonia. Nella seguente analisi, sarà seguito non l’ordine della Bibbia, ma quello cronologico, e andremo quindi subito a trattare la I Lettera ai Tessalonicesi. L’ordine seguito nella nostra trattazione sarà quindi il seguente:

  1. Lettera ai Tessalonicesi;
  2. I Lettera ai Corinzi;
  3. II Lettera ai Corinzi;
  4. Lettera ai Filippesi;
  5. Lettera ai Galati;
  6. Lettera ai Romani;
  7. Lettera a Filemone;
  8. Cenni sulle lettere “Deutero-paoline”.

Si può affermare che, in una certa misura Paolo trasporti il suo “fondamentalismo” dall’ebraismo al cristianesimo: era infatti stato, da ebreo, un feroce persecutore dei cristiani, da cristiano un deciso avversario della circoncisione e delle pratiche cultuali e di fede nella Torà fine a sé stesse.

 

II.2. LA PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI: L’ESCATOLOGIA PAOLINA.

E’ autografa di Paolo, a differenza della II, che è “Deutero-paolina”. E’ la più antica lettera paolina ed il più antico testo di tutto l’Antico Testamento, come si è detto. Tessalonica era la capitale della Macedonia. Paolo giunge a Tessalonica ove era la sede dei giudei. Lo scritto è del 50-51.

Paolo è preoccupato per i tessalonicesi, ma Timoteo gli porta buone notizie: i tessalonicesi seguono la parola di Cristo, malgrado le persecuzioni. Per questo Paolo è gioioso, nello stile, in tutta la lettera. Tuttavia Timoteo gli dice che la loro formazione è incompleta e quindi necessitano di ulteriori istruzioni sia sulla dottrina che sulla condotta cristiana, anche se i tessalonicesi stanno continuando a camminare sulla retta via. Paolo insiste sulla condotta morale che dev’essere “santa[118]” e sull’impegno nel lavoro; bisogna essere sempre “svegli”, cioè pronti ad incontrare Dio[119].

Segue l’escatologia paolina[120]: Timoteo, pur avendo rassicurato Paolo, gli dice che c’è qualche problema. I tessalonicesi chiedono notizie sui morti e sulla risurrezione, Paolo gli spiega che i morti risorgeranno con Cristo, come è risorto Cristo. Questa è la “Parusia” (dal greco, significa “attesa”), con le immagini letterarie dell’Apocalisse, come l’arcangelo e la tromba. Bisogna essere pronti, svegli e vigilanti per accogliere il ritorno di Cristo, il cristiano attende Cristo con la corazza e l’elmo delle tre virtù teologali (fede, speranza e carità)[121].

I figli della Luce attendono con certezza il Signore, i figli delle tenebre sono invece smarriti.

 

 

 

II.3. LA PRIMA LETTERA AI CORINZI: LA SAPIENZA E LA “FOLLIA DELLA CROCE”. IMMAGINI DELLA CHIESA. IL MATRIMONIO. SPIRITO E CORPO. LA QUESIONE DEGLI  “IDOLOTITI” E LA “TEOLOGIA DEI CARISMI”. L’ECCLESIOLOGIA PAOLINA. LA “CRISTOLOGIA A DUE STADI”.

Paolo ha avuto con Corinto la maggiore corrispondenza. Corinto fu fondata da Giulio Cesare ed era una grande città, che dominava i due mari. C’era l’agorà (la piazza) ed era un importante nodo commerciale. La città era dedicata a Poseidone, dio del mare. Ma Corinto era anche una città molto lussuriosa. Paolo arriva a Corinto e ci sta un anno e mezzo, predica nella sinagoga e nelle case; molti lo seguono e si fanno battezzare[122]. Entrambe le lettere ai Corinzi sono scritte da Efeso verso il 54-55; probabilmente Paolo ha scritto 4 lettere ai Corinzi, ma ce ne sono pervenite soltanto due. Paolo all’inizio della lettera si autopresenta[123].

Corinto è una comunità divisa tra cristiani, ebrei e pagani[124], dediti ad Apollo[125], Afrodite[126] e Poseidone[127].

Nell’analisi della lettera, possiamo enumerare diversi nuclei concettuali:

  1. Paolo, nell’incipit della lettera, dichiara di essere contento di avere battezzato poche persone, perché non è venuto a Corinto per battezzare, ma per predicare[128]. Di fronte alla divisione della comunità di Corinto, Paolo afferma che Cristo è Uno e non è mai “stato diviso”.
  2. Si salveranno solo coloro che credono nella “follia della croce”, a nulla, senza Dio, vale la sapienza. Senza Dio, anche l’uomo più colto è un disperato (letteralmente “senza speranza”).
  3. Paolo distingue due tipi di “Sapienza”: a) quella del mondo, che è stoltezza, seguita

dai giudici, e

b) quella della croce, che è la parola di Cristo,

che è follia per i greci pagani (“la follia della

Croce”, appunto), scandalo per i giudei,

parola di Dio sulla croce per i cristiani.

Cristo è personificato con la Sapienza, la

Vera ed Unica Sapienza è una Persona,

Cristo crocifisso, quindi, schematizzando

CRISTO = SAPIENZA = PERSONA.

  1. Inizialmente Paolo converte gli umili, non i nobili e i ricchi; molti che si convertono sono infatti schiavi o liberti, ossia schiavi liberati.
  2. Paolo presenta poi alcune immagini della Chiesa. Campo[129], edificio, tempio (in greco “Naòs”, che per gli ebrei era il luogo più sacro)[130], corpo (“soma”, in greco) di Cristo[131], alcune di queste riprese nei documenti del Concilio Vaticano II. Lo stesso papa Benedetto XVI°, nel discorso inaugurale della sua elezione a pontefice massimo, si è definito “un operaio della vigna del Signore”. Paolo intende qui ridimensionare la funzione dei ministri e dei predicatori, che sono collaboratori, appunto operai del campo di Dio, ma chi fa crescere i frutti è Dio. Questa immagine bucolica della Chiesa è tratta proprio dalla campagna e dalla vita dei contadini di allora. Paolo presenta in proposito l’immagine del fondamento e dell’architetto, che costruisce, ma non si può costruire con un fondamento diverso da Cristo: è questa l’immagine della Chiesa come edificio[132].
  3. Paolo critica i casi di incesto e di immoralità presenti nella comunità di Corinto, e conseguentemente, parla del
  4. Matrimonio: ordina alle mogli di non separarsi e, in caso siano già separate, di non risposarsi. Si dichiara celibe, afferma la castità, che non è l’astinenza, ma la moderazione nella vita sessuale.  Di conseguenza, afferma che
  5. Non esiste differenza, per il cristiano, tra spirito e corpo: sbagliano quindi i corinzi a ritenersi liberi nel corpo ed a condurre una vita dissoluta[133].  Consideriamo che i galati saranno rimproverati perché non considerano il corpo, i corinzi sono ora rimproverati perché non considerano lo spirito e credono di essere liberi nel corpo e potersi lasciare andare ad una vita dissoluta. Corpo e spirito, per il cristiano, sono invece indissolubilmente uniti e costituiscono la persona: questo è l’Umanesimo integrale cristiano penetrato poi, nel Novecento, nel neotomismo francese di Maritain[134]. Quindi:

PERSONA = SPIRITO + CORPO.

  1. Paolo affronta la “questione degli idolotiti”[135]: condanna la partecipazione ai banchetti pagani, ma afferma anche che le carni offerte agli idoli possono essere vendute al mercato perché non sono sacre. Vanamente pagani ed ebrei credono che mangiando le carni di animali immolate agli idoli ci si avvicini alla comunità
  2. Paolo ci fornisce una “teologia dei carismi”[136]: diversi sono i “doni” (“carismi” in greco), ma Uno solo è lo Spirito, Uno è il Donatore (Cristo) ed Uno è il destinatario (la Chiesa), articolata in varie membra (i cristiani delle comunità), ma uno è il Corpo (cioè il Capo) della Chiesa, Cristo, che si è donato nell’eucarestia (che in greco significa “rendere grazia”, è infatti il momento sacrificale).
  3. Paolo insiste, nella sua “teologia dei carismi”, sul significato di “ecclesia” come assemblea comunitaria, mentre biasima le cene dei corinzi, in cui c’è chi mangia per primo e non aspetta gli altri, che spesso sono poveri, che speravano di condividere, e restano invece senza cena[137]. Qui la predicazione di Paolo contro la divisione della comunità raggiunge il suo culmine. Questa è l’ecclesiologia paolina, questa è l’ “Ecclesia”, cioè la comunità, la chiamata dall’esterno, la convocazione dall’esterno (dal greco “Ek-klaleo” che significa “chiamare”). Da notare che il termine “ecclesia” ricorre 46 volte nell’epistolario paolino. Dalla Comunione in Cristo discende quindi la Comunione tra fedeli, cioè membri della comunità. Coloro che partecipano alla mensa del Signore sono in comunione tra loro. Di conseguenza,
  4. Paolo biasima alcuni corinzi, che pensano di avere carismi spettacolari, come il parlare lingue diverse, ma è un errore non farsi comprendere dalla comunità, perché non ha senso[138]. Paolo insiste sulla carità, che è il più grande fra tutti i carismi. Tutto, nella pienezza dei tempi, sarà “ricapitolato” in Cristo[139].
  5. Paolo ci offre infine la sua  “Cristologia a due stadi”: a) morte (“tanatos”, in greco)e b) risurrezione. In proposito Paolo lega la Pasqua (morte di Cristo) alla risurrezione, perché è la risurrezione che dà senso alla fede cristiana, ed è un errore, come fanno alcuni corinzi, dubitare della resurrezione di Cristo. Il problema più grave della comunità di Corinto per Paolo è proprio il dubbio di alcuni corinzi sulla risurrezione dei morti e sul modo di risorgere. Paolo sottolinea la gravità di questo dubbio ed

afferma che dubitare della risurrezione dei morti equivale a dubitare della risurrezione di Cristo[140].

 

II.4. LA SECONDA LETTERA AI CORINZI: CENNI GENERALI.

Paolo afferma le sue origine ebraiche e parla del rapporto fra credenti e non credenti, luce e tenebre, spirito e carne, giustizia ed ingiustizia[141].

 

II.5. LA LETTERA AI FILIPPESI: CRISTOLOGIA ED ECCLESIOLOGIA.

E’ una breve lettera, di soli 4 capitoli, ma importante perché ci introduce all’ecclesiologia paolina. Filippi è una colonia romana, una città della Macedonia (non la capitale), è la prima comunità fondata da Paolo. Paolo è gioioso, malgrado sia in prigione, in attesa di giudizio, perché i filippesi lo hanno sempre aiutato, anche economicamente.

Dopo l’incipit, segue un testo cristologico tra i più belli e profondi di tutto il Nuovo Testamento: la morte e la risurrezione di Cristo sono al centro dell’ecclesiologia paolina. Cristo, pur essendo di origine divina, si umilia al livello di servo, quando è sulla croce. Proprio per questo Dio lo ha “sovra-esaltato” e gli ha conferito un nome come “Kyrios” (“Signore”, in greco, come si è già detto). E’ il momento della risurrezione: è questa la cristologia paolina  “a due stadi”, ovvero

  1. Morte, cioè caduta e
  2. Risurrezione, vale a dire ascesa[142].

Qui Paolo definisce Gesù come  “Cristo”, ovvero  “Unto del Signore”.

Il teologo contemporaneo Rudolf Bultmann ha distinto.

  1. Cristo della fede e
  2. Cristo della storia.

A Paolo interessa il Cristo della fede, non tanto in Gesù storico. Cristo sceglie liberamente di obbedire al Padre e sale sulla croce: è quindi una libera scelta di obbedienza.

Paolo definisce Cristo anche come “Figlio di Dio”[143], cioè discendente della stirpe di Davide, scelta da Dio. Per Paolo il fatto che Cristo sia il figlio di Dio significa:

  1. La natura divina di Cristo;
  2. La particolare relazione tra Dio Padre e Cristo figlio.

Proprio da questa relazione, secondo Paolo, discende il nostro rapporto filiale con Dio.

II.6. LA LETTERA AI GALATI: LO SPIRITO E LA CARNE. CRITICA DELLA CIRCONCISIONE. SOTERIOLOGIA ED ANTROPOLOGIA PAOLINA.

Il tono della lettera è polemico fin dall’inizio: Paolo tralascia la iniziale consueta preghiera di ringraziamento e rimprovera subito i Galati, che stanno tornando indietro nella loro fede, abbandonando il Vangelo di Cristo.

Paolo chiama “stolti” e “privi di intelligenza”[144] i Galati perché credono erroneamente che ci si salvi seguendo la legge, mentre ci si salva con la fede.

Vivere secondo lo spirito è una modalità diversa rispetto a vivere secondo la carne: i pagani vivono seguendo il primo e disprezzano erroneamente la carne, gli ebrei il secondo (la tematica del rapporto tra spirito e carne sarà centrale nell’VIII° capitolo della Lettera ai Romani): Paolo crede nella totalità dell’uomo, sintesi di spirito (anima) e carne: è questa la visione cristiana. Paolo rimprovera i Galati perché hanno seguito la carne, e pensano di vivere seguendo soltanto la morale (“Ethos” in greco, da cui “etica”[145]) della legge (“Nomos” in greco). Si può pertanto considerare la seguente mappa concettuale:

  1. Ebrei: carne, corpo, legge;
  2. Pagani: spirito, anima (“Pneuma”, che in greco significa “soffio vitale”);
  3. Cristiani: spirito + carne = anima + corpo.

Abramo è il patriarca della salvezza ed è stato “benedetto” (nel senso biblico di “protetto”) da Dio per la sua fede. Abramo precede Mosè e la legge. Tutta la discendenza di Abramo è salvata e benedetta grazie ad Abramo, che è il modello della fede assoluta. Coloro che vivono seguendo soltanto la legge sono “maledetti” (cioè non più protetti): Paolo, in proposito, cita l’Antico Testamento, ed esattamente il Deuteronomio. Ci si salva con la fede: “il giusto vivrà per fede”[146]. Paolo dimostra che ci si salva con la fede attraverso:

  1. La Scrittura;
  2. Le argomentazioni giuridiche. La legge è solo un pedagogo, è pertanto propedeutica a Cristo. Non è importante la legge, ma la promessa: la fede è stata il primo maestro, ma è stata superata dalla fede in Cristo. Paolo rimprovera severamente i Galati perché praticano la circoncisione.

Segue una parte esortativa[147], conclusiva della Lettera ai Galati. Nelle lettere paoline si distinguono infatti sempre due parti successive:

  1. Parte dogmatica;
  2. Parte esortativa.

Nella parte esortativa è contenuta la soteriologia paolina, cioè la dottrina relativa alla salvezza. Da dove nasce la relazione con Cristo? La soteriologia è a fondamento dell’antropologia. Paolo, afferma egli stesso, è stato crocifisso con Cristo, ovvero “con-crocifisso”, non vive più in sé, ma è Cristo che vive in lui. La soteriologia è quindi la dottrina della salvezza e costituisce l’antropologia teologico-cristiana. La morte di Gesù è salvifica e redentiva[148] . Rispondendo ai Corinzi, Paolo aveva affermato che bisogna considerare il corpo, che è  [149]“tempio dello spirito”; non bisogna quindi vivere pensando che sia importante solo lo spirito, e non il corpo. I Galati vivono secondo  il corpo e la legge, i Corinzi seguendo invece solo lo spirito, e si abbandonano ai piaceri del corpo: sono due errori. Dio ha voluto che Gesù fosse strumento di redenzione ed espiazione[150]: Lutero affermerà che il tema centrale della teologia paolina è quello della giustificazione, ossia della salvezza, che avviene tramite la fede. Il sacrificio avveniva in un luogo sacro: Cristo invece non muore in un luogo sacro, ma in terra sconsacrata, fuori dal tempio e dalle mura della città. Cristo per primo, afferma Paolo, è  “maledetto”. Cristo, con un solo sacrificio, redime l’umanità intera: è il sacrificio di un solo uomo. Allo stesso modo, con il peccato originale, per il peccato di un solo uomo (Adamo), tutta l’umanità è resa peccatrice[151].

 

II.7. LA LETTERA AI ROMANI: LA DOGMATICA. GIUSTIFICAZIONE E SALVEZZA. PAGANI E GIUDEI. LA “CIRCONCISIONE” DEL CUORE. FEDE E LEGGE. ADAMO E CRISTO.

Ha il carattere di un’epistola, cioè di un piccolo trattato di teologia, ed è scritta a Corinto fra il 57 ed il 58.

L’editto di Claudio voleva espellere gli ebrei da Roma, perché erano molto numerosi (circa ventimila) e li considerava per questo fonte di disordini, come ci attesta lo storico latino Svetonio nel II° secolo. Paolo scrive ai romani quando la  comunità di Roma è già nata e consolidata. Emergono qui 2 concetti essenziali:

  1. La salvezza mediante la fede;
  2. L’universalità del messaggio cristiano.

La lettera, già anticipata in vari luoghi di questa tesi, è sicuramente la più nota e la più ricca, concettualmente, dell’intero epistolario paolino e può essere articolata nelle seguenti parti:

  1. Indirizzo, ringraziamenti, preghiera[152];
  2. Parte dogmatica[153];
  3. Parte esortativa[154];
  4. Epilogo e saluti finali[155].

Le parti dogmatica ed esortativa costituiscono il corpo centrale della lettera, che è anche la più lunga dell’intero epistolario. La parte dogmatica riguarda due importanti nodi concettuali:

  1. La giustificazione per fede[156];
  2. La salvezza[157].

Il tema della giustificazione per fede si può articolare nelle seguenti 4 sezioni:

  1. Enunciazione della tesi[158];
  2. Pagani e giudei sotto l’ira di Dio[159];
  3. Giustizia di Dio e fede[160];
  4. L’esempio di Abramo[161].

Paolo si definisce:

  1. servo (diacono);
  2. apostolo (missionario) e
  3. scelto da Cristo (non dalla Chiesa, ma ministro di Cristo)[162].

Nella parte dogmatica, che ha il carattere teologico dell’epistola, Paolo afferma che giudei e greci pagani sono entrambi sotto l’ira di Dio. I giudei si credono erroneamente superiori ai pagani perché:

  1. Hanno una legge, che però non rispettano, offrendo quindi cattivo esempio. Anche i greci, afferma Paolo, hanno una legge, non scritta, ma è la legge interiore della coscienza morale, che hanno tutti, credenti e non;
  2. Praticano la circoncisione, ma la circoncisione vera è quella del cuore, non della carne;
  3. Sono il popolo eletto, della Promessa con Dio, patto di alleanza che gli ebrei hanno però infranto.

Tutta l’umanità è quindi peccatrice, ma a questa “pars destruens” Paolo fa seguire una “pars construens”:  è possibile la salvezza con la fede in Cristo. “Il giusto vivrà per fede”, afferma Paolo riprendendo Abacuc, tesi ripresa poi da Lutero. Nella “Pars construens” si afferma che Dio Padre ha inviato, quale dono gratuito (per Grazia, quindi)[163], Cristo figlio, che è strumento di redenzione ed espiazione per tutta l’umanità peccatrice. Cristo non è venuto a negare la Legge, ma ad integrarla: la Fede conferma la Legge, non la contrasta[164].

Il creato è prova certa dell’esistenza di Dio e “non ci sono scuse”: gli stolti, che si credevano sapienti, hanno sostituito Dio creatore con le sue creature e non hanno onorato Dio.

Paolo condanno inoltre l’omosessualità dei greci pagani come contro-natura: Dio li ha abbandonati, cioè lasciati alle loro depravazioni.

Dio non fa preferenze: accoglie tutti coloro che lo temono e praticano la giustizia[165].

Abramo è l’esempio della fede assoluta: si è salvato con la fede ed è stato infatti circonciso dopo essere stato salvato con la fede. Per questo Abramo e la sua discendenza sono benedetti (da intendersi sempre nel senso biblico di “protetti”) in eterno. Giustificato per la fede, il cristiano, dopo

  1. Tribolazioni, che producono
  2. Pazienza, che porta la
  3. Speranza, contemplerà la gloria di Dio, che è cosa molto più somma, anche sul piano quantitativo e non solo qualitativo, rispetto alle tribolazioni passate.

L’unica circoncisione che conta è quindi quella del cuore, non delle membra.

Paolo opera qui una similitudine: come il peccato di un solo uomo (Adamo[166]) ha reso peccatrice l’intera umanità, così il sacrificio di un solo uomo (Cristo), salverà l’intera umanità: la disobbedienza di Adamo a Dio Padre è risanata dall’obbedienza di Cristo Figlio allo stesso  Dio Padre.

In seguito Paolo ci parla del battesimo[167]: nell’antichità avveniva solo per gli adulti tramite immersione in una vasca. Con il battesimo l’uomo vecchio, quello del peccato, muore con Cristo, e risorge (risurrezione) l’uomo nuovo (come se fosse una “seconda creazione”). “L’uomo vecchio”  è  “con-sepolto” con Cristo, mentre il cristiano è  “l’uomo nuovo” (“ri-creato”) ed è libero

a) dal peccato e

b) dalla Legge[168].

Con l’arrivo dello Spirito, della Grazia, di Cristo, la Legge ha terminato la sua propedeutica funzione pedagogica. Quindi possiamo affermare che

  1. La Legge, da sola, non serve alla salvezza, ma anche che
  2. La Legge non è peccato, perché è creata da Dio, quindi
  3. La Legge è santa, ma
  4. Contiene in sé il germe del peccato perché, essendo il male nell’uomo, la tendenza umana ad infrangere la legge porta al peccato ed alla morte.

Paolo ci parla in seguito di due possibili, differenti modelli di vita:

  1. Secondo lo spirito e
  2. Secondo la carne.

Il cristiano, come Persona, vive secondo lo spirito e secondo il corpo, ed è questo l’umanesimo integrale, tipicamente cristiano[169].

Soltanto l’ Agape, ovvero l’Amore di Cristo, la Charitas, vince su ogni tribolazione, anche sulla morte.

La salvezza di Cristo ci sarà anche per gli Ebrei: con questa conclusione della parte dogmatica, Paolo

a)      Smentisce l’accusa di antiebraismo;

b)      Ribadisce l’universalità del messaggio cristiano, in quanto la salvezza è per tutti[170].

Segue la parte conclusiva ed esortativa[171], della quale si è già parlato, nella quale Paolo si definisce “ministro” (nel senso di “sacerdote”) di Cristo. Seguono saluti conclusivi inviati a 26 persone che chiama “parenti” nel senso greco, allargato, di “collaboratori”: 1) saluta infatti Gaio, che lo aveva ospitato a Corinto e 2) Febe, una diaconessa della Chiesa di Cencre, uno dei due porti di Corinto[172]. Questi due elementi dimostrano che la lettera è stata scritta a Corinto. Quest’ultima parte è ovviamente la meno importante, almeno sul piano teologico-dottrinale.

Paolo esprime la volontà di coinvolgere i romani nella sua futura missione[173]: lui spera infatti di andare in Spagna ed iniziare l’evangelizzazione dell’Occidente, evento che non si verificherà poiché morirà a Roma.

 

II.8. LA LETTERA A FILEMONE: IL TEMA DELLA FRATELLANZA CRISTIANA.

E’ la più breve lettera paolina ed è forse l’unica lettera di mano interamente paolina. E’ un brevissimo biglietto di raccomandazioni: Paolo chiede a Filemone di non punire uno schiavo da lui fuggito e di accoglierlo come fratello nel Signore.

 

II.9. LE LETTERE DEUTERO-PAOLINE: L’ESCATOLOGIA PAOLINA. CRISTO “RICAPITOLATORE”.

Come si è anticipato, le Lettere Deutero-paoline saranno trattate solo per sommi capi, non essendo autografe di Paolo, ma di scuola paolina.

Nella Lettera agli Efesini[174] emerge una visione escatologica della Chiesa, che tende alla vita ultraterrena;: Cristo è qui concepito come “ricapitolatore” della storia umana.

Nella Lettera ai Colossesi[175] Cristo è l’immagine di Dio: viene prima di tutte le cose ed in Lui tutte le cose hanno fondamento. Egli è capo (nel senso di “corpo”) della Chiesa.

Nella Lettera agli Ebrei[176], che è estranea al corpus paolino, si afferma che con Gesù “ricapitolatore” della storia terrena si chiude la rivelazione: non ci saranno altre rivelazioni pubbliche sino alla fine dei tempi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONCLUSIONE: GIOVANNI E PAOLO, DUE DIFFERENTI SCELTE ETICHE.

 

“Tirare le fila” sul problema del rapporto tra Giovanni e Paolo, rispettivamente, con la cultura ebraica dalla quale entrambi gli autori, peraltro coevi, provenivano, implica necessariamente considerazioni di teologia morale.

In Giovanni la visione è cristologica, non può esserci separazione tra Cristo e l’etica. Vengono accentuati gli aspetti teologici, non vi sono riferimenti a problemi concreti. La visione dell’etica viene ridotta a due concetti:

  1. Al precetto della Fede e dell’Amore, come si legge

“Questo è il suo comandamento: che noi crediamo nel nome del suo Figlio Gesù Cristo e che ci amiamo l’un l’altro secondo il comandamento che Egli ci ha dato”[177].

  1. Di conseguenza, c’è un’intima relazione tra incredulità e peccato, fra mancanza di Amore e peccato[178]; più che dell’amore verso Dio si parla dell’Amore di Dio comunicato a noi[179].

Nelle lettere maggiori di Paolo troviamo il fondamento della morale. Alla base c’è la salvezza che ogni cristiano è chiamato a vivere in Cristo e proprio nell’unione con Cristo consiste il principio della morale paolina. Il fondamento cristologico si può riassumere nell’affermazione: diventate ciò che voi in Cristo siete già[180]. Ciò avviene nel battesimo, in cui l’uomo è vincolato al Signore e la sua vocazione si completa. Accanto così alla “fondazione-base”, troviamo anche quella sacramentale-battesimale. Proprio questo misterioso avvenimento sacramentale diventa per Paolo il punto su cui poggia l’imperativo morale[181]. Riferendosi al battesimo per immersione, si legge:

“Ben consapevoli di questo, che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con Lui, affinché fosse distrutto il corpo del peccato in modo da non essere più schiavi del peccato”[182].

Paolo afferma che il neofita, venendo immerso nell’acqua, viene come sepolto, muore “l’uomo vecchio” alla potenza del peccato e viene crocifisso con Cristo.

Ma contemporaneamente il neofita riceve dal battesimo una “nuova vita” quando con Cristo, per la potenza del Padre, viene fatto risorgere: unito a Cristo, l’uomo è reso partecipe della sua resurrezione, ed è questo l’ “uomo nuovo”:

“se dunque moriamo con Cristo, noi crediamo che vivremo anche con Lui[183]”, “così anche voi consideratevi morti al peccato e viventi per Iddio in Cristo Gesù”[184].

Questa vita però si manifesterà nella pienezza solo nell’ultimo giorno:

”voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando apparirà Cristo che è la vostra vita, allora anche voi apparirete nella gloria con Lui”[185].

Vivificati in Cristo, noi dobbiamo vivere per Lui. E proprio la “tensione” fra il già possedere ed il non ancora possederlo in pienezza, esige imperiosamente la nostra prova morale. Essa sola rende possesso pieno quello che già possediamo e ci fa sperare da Dio la pienezza dell’eredità futura:

“Consideratevi morti al peccato e viventi per Iddio, quindi non regni il peccato nel vostro cuore […] non offrite le vostre membra come armi dell’ingiustizia al peccato […]”[186].

L’etica paolina non si fonda quindi sull’uomo e sulla Legge, ma soltanto sulla nuova situazione portata da Cristo redentore. Si legge infatti:

“fate dunque morire le membra che sono sulla terra: fornicazione, impudicizia, passione, desideri maligni, cupidigia […][187].

L’Apostolo esige che la volontà di Dio venga adempiuta, ma questo adempimento avviene nei cristiani in maniera diversa che per l’antica legge, e proprio in questo consiste il forte allontanamento di Paolo dal giudaismo.

Il cristiano non si sente ripetere una quantità di precetti imposti dall’esterno[188], bensì percepisce dall’interno la voce dello spirito che lo spinge al bene. In tal modo la  “Legge dello Spirito” non è un nuovo codice di leggi, sia pure ridotto ad un solo comandamento, ma un impulso al Bene proveniente dallo Spirito Santo. Paolo chiama questo impulso “La Legge di Cristo”[189].

In conclusione, possiamo quindi affermare come in Giovanni non si possa assolutamente parlare di antisemitismo e che anche l’affermazione di un “allontanamento” sia alquanto discutibile, come si è visto nella parte di questa tesi dedicata all’evangelista, mentre nell’epistolario paolino è indubbiamente esplicitato l’allontanamento dal giudaismo, anche se non si può, nemmeno in Paolo, come si è visto, parlare di “antiebraismo”, in quanto la Salvezza Universale portata da Cristo riguarderà anche gli ebrei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA.

 

A)FONTI PRIMARIE:

 

  • Giovanni, Vangelo, in Nuovo Testamento;
  • Libri di Samuele, in Libri storici, in Antico Testamento;
  • Libro dei Salmi, in Libri sapienziali, in Antico Testamento;
  • Libro del profeta Malachia, in Libri profetici, in Antico Testamento;
  • Libro del Siracide, in Libri sapienziali, in Antico Testamento;
  • Luca, Atti degli Apostoli, in Nuovo Testamento;
  • Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Tessalonicesi in Nuovo Testamento;
  • Paolo di Tarso, Prima Lettera ai Corinzi in Nuovo Testamento;
  • Paolo di Tarso, Seconda Lettera ai Corinzi in Nuovo Testamento;
  • Paolo di Tarso, Lettera ai Filippesi in Nuovo Testamento;
  • Paolo di Tarso, Lettera ai Galati in Nuovo Testamento;
  • Paolo di Tarso, Lettera ai Romani in Nuovo Testamento;
  • Paolo di Tarso, Lettera a Filemone in Nuovo Testamento;
  • Lettere Deutero-paoline: Lettera ai Colossesi, Lettera agli Efesini, Lettera agli Ebrei, in Nuovo Testamento.

 

 

B)FONTI SECONDARIE:

  • Alighieri D., Paradiso, in Divina Commedia;
  • Aristotele, Poetica, Laterza, Bari;
  • Bori P. C., La Chiesa primitiva, Queriniana, Brescia, 1982;
  • Brown R., Un ritiro spirituale con l’evangelista Giovanni, Queriniana, Brescia, 2000;
  • Costituzione  “Gaudium et Spes”, in Atti del Concilio Vaticano II°;
  • Cullmann O., La fede e il culto della Chiesa primitiva, AVE, Roma;
  • Dione Cassio, Storia di Roma;
  • Eckhart M., Commento al Vangelo di Giovanni;
  • Fabris R. – Romanello S., Introduzione alla lettura di Paolo, Borla, Torino, 2006;
  • Fumagalli A. Come Lui ha amato. L’eros di Gesù, ed. San Paolo, 2010;
  • Grun A., Gesù porta della vita. Il vangelo di Giovanni, Queriniana, Brescia, 2003;
  • Hegel G. W. F., Scritti teologici giovanili, a c. di N. Vaccaro-E. Mirri, Guida, Napoli, 1977;
  • Kant I., Critica della ragion pratica, a c. di F. Capra, Laterza, Bari, 1986;
  • Maritain J., Umanesimo integrale, a c. di G. Dore, Borla, Torino, 1984;
  • Nietzsche F., La nascita della tragedia, a c. di G. Colli, Adelphi, Milano, 1982;
  • Omero, Odissea;
  • Platone, Repubblica, Laterza, Bari;
  • Poppi A., Sinossi dei quattro vangeli, Il messaggero, Padova, 1990;
  • Ravasi G., Il Vangelo di Giovanni, EDB, Bologna, 2004;
  • Simon M. – Benoit A., Giudaismo e cristianesimo, a c. di A. Giardina, Laterza, bari, 1978;
  • Schweizer E. – Dìez Macho A., La Chiesa primitiva. Ambiente, organizzazione e culto, a c. di Benedettine di Civitella San Paolo, Paideia, Brescia, 1980;
  • Svetonio, Vite dei 12 Cesari;
  • Tognocchi E., La moltiplicazione o spezzamento dei pani nel Vangelo di Marco, ed. Il dialogo, Marina di Pietrasanta (LU), 2005.
  • Tognocchi E., La preghiera di Gesù sulla croce, ed. Il dialogo, Marina di Pietrasanta (LU), 2008;
  • Tognocchi E., Le nozze di Cana, Cittadella, Assisi, 1991;
  • Virgilio, Eneide.

 

 

C)FILMOGRAFIA:

 

  • Gibson M., The passion, 2004.

 

 

D)SITOGRAFIA:

 

Si rimanda al seguente sito, articolato per aree tematiche: http://www.bdp.it/bibl/aree.htm

 

P.S.: Per “fonti primarie s’intendono tutte quelle della Bibbia, mentre nelle “fonti secondarie” sono stati inseriti tutti gli altri testi, anche coevi agli autori trattati nella tesi. L’ordine seguito è quello alfabetico, ad eccezione dell’epistolario paolino, per il quale si è seguito l’ordine in cui le varie lettere sono state analizzate, come risulta dall’Indice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INDICE

CAPP./PAR. TITOLI PP.
  Frontespizio-titolo-copertina.  1
  Dedica, saluti e ringraziamenti.  2
  INTRODUZIONE.  3
I. Il VANGELO GIOVANNEO.  4
I.1. Introduzione e contestualizzazione. Il problema dei Vangeli apocrifi ed il giudeo-cristianesimo.  4
I.2. Il Prologo: il “Logos-Verbum” e le sue implicazioni filosofico-teologiche.  6
I.3. Il primo capitolo: la figura di Giovanni e l’autocoscienza di Cristo.  8
I.4. Il secondo capitolo: le nozze di Cana, la cacciata dei mercanti dal tempio e la  “particolare” cronologia giovannea. 10
I.5. Il terzo capitolo: l’incontro con Nicodemo e la tecnica del “dialogo-monologo”. 11
I.6. Il quarto capitolo: l’incontro con la samaritana e la guarigione del figlio di un funzionario regio. La simbologia giovannea: il “Libro dei 7 Segni”. 12
I.7. Il quinto capitolo: la guarigione dell’infermo, l’ostilità ebraica e l’escatologia giovannea. 14
I.8. Il sesto capitolo: lo “spezzamento” dei pani, il Sacro, il rapporto gerarchico fra teologia e conoscenza filosofica. 15
I.9. Il settimo capitolo: la festa delle capanne. Storia e geografia giovannea: coordinate spazio-temporali. 17
I.10. L’ottavo capitolo: la Legge ebraica e la legge dell’Amore. L’incontro con l’adultera. 19
I.11. Gli ultimi capitoli: il “Libro della Gloria”, l’Epilogo e la “vicenda pasquale”. Il conflitto tra “Agape” ed “Eros”. “Diakonìa”, “Martyrìa” e Risurrezione. 20
I.12. Il dibattito storiografico sulla specificità del Vangelo giovanneo e sui suoi rapporti con il giudaismo: Giovanni “antigiudaico” o “lontano dal giudaismo”? 21
II. L’EPISTOLARIO PAOLINO. 24
II.1. Introduzione: la vita e la figura di Paolo di Tarso. Il contesto storico-geografico e culturale. Le fonti, i viaggi, i generi letterari, l’attività missionaria, la conversione, i capisaldi del cristianesimo. 24
II.2. La Prima Lettera ai Tessalonicesi: l’escatologia paolina. 35
II.3. La Prima Lettera ai Corinzi: la Sapienza e la “follia della Croce”. Immagini della Chiesa. Il matrimonio. Spirito e corpo. La questione degli “idolotiti” e la “teologia dei carismi”.

L’ ecclesiologia paolina. La “Cristologia  a due stadi”.

36
II.4. La Seconda Lettera ai Corinzi: cenni generali 39
II.5. La Lettera ai Filippesi: cristologia ed ecclesiologia. 39
II.6. La Lettera ai Galati: lo spirito e la carne. Critica della circoncisione. Soteriologia ed antropologia paolina. 40
II.7. La Lettera ai Romani: la dogmatica. Giustificazione e salvezza. Pagani e giudei. La “circoncisione del cuore”. Fede e Legge. Adamo e Cristo. 41
II.8. La Lettera a Filemone: il tema della fratellanza cristiana. 45
II.9. Cenni sulle Lettere Deutero-paoline: l’escatologia paolina. Cristo “ricapitolatore”. 45
  CONCLUSIONE: GIOVANNI E PAOLO, DUE DIFFERENTI SCELTE ETICHE. 46
  BIBLIOGRAFIA 49
  A)    FONTI PRIMARIE 49
  B)     FONTI SECONDARIE 49
  C)    FILMOGRAFIA 50
  D)    SITOGRAFIA 50
  POST-SCRIPTUM 51
  INDICE 52

 


[1] Meister Eckhart, Commento al Vangelo di Giovanni.

[2] Platone, Repubblica, VII.

[3] R. Brown, Un ritiro spirituale con l’evangelista Giovanni, Queriniana, Brescia, 2000.

[4] Ibid.

[5] Ibid.

[6] Giovanni, Vangelo, vv. 1-18.

[7] Ibid., vv. 1-5.

[8] Ibid., vv.6-14.

[9] Ibid., vv. 15-18.

[10] Sulle tematiche della Chiesa primitiva e del giudeo-cristianesimo si segnalano gli importanti studi di P.C. Bori, La Chiesa primitiva,  Queriniana, Brescia, 1982;  M. Simon- A. Benoit, Giudaismo e cristianesimo, a c. di A. Giardina, Laterza, Bari, 1978; E. Schweizer-A. Dìez Macho, La Chiesa primitiva. Ambiente, organizzazione e culto, a c. delle Benedettine di Civitella S. Paolo, Paideia, Brescia, 1980; O. Cullmann, La fede e il culto della Chiesa primitiva, AVE, Roma.

[11] Giovanni, Vangelo, v. 6

[12] Ancora oggi, in Iraq, i cristiani Mandei seguono Gesù.

[13] Giovanni, Vangelo, v. 14.

[14] Concetto che sarà poi ripreso nel Paradiso dantesco, in particolar modo nei canti I° e XXXIII°.

[15] Giovanni, Vangelo, I, vv. 19-23.

[16] Ibid., vv. 35 e 42.

[17] Ibid.

[18] Ibid.

[19] Ibid., vv. 43-47.

[20] Ibid., I, v. 51, e Libro del profeta Malachia, III, 1, in Antico Testamento.

[21] Si pensi alla “Niche di Samotracia” nella scultura classica, che tende quindi a significare la vittoria di Samotracia.

[22] Si consideri che “Il Volto Santo”, antichissima scultura lignea di Cristo, pervenuta su una nave ed oggi conservata nel Duomo di Lucca, ha origine avvolte nel mistero, ma molti archeologi la fanno risalire a Nicodemo.

[23] E. Tognocchi, La preghiera di Gesù sulla croce, ed. Il dialogo, Marina di Pietrasanta (LU), 2008.

[24] Giovanni, Vangelo, IV, vv. 1-42.

[25] Ibid., ultimi 10 versi.

[26] E. Tognocchi,…cit.

[27] R. Brown,…, cit., p. 34.

[28] Giovanni, Vangelo,…, cit., V°, vv. 1-18.

[29] Ibid., v. 14.

[30] Ibid., vv. 19-30.

[31] Ibid., vv.  31-47.

[32] E. Tognocchi, La moltiplicazione o spezzamento dei pani nel Vangelo di Marco, ed. Il dialogo, Marina di Pietrasanta (LU), 2005. Quanto Tognocchi afferma riguardo al Vangelo marciano è indiscutibilmente valido anche per il Vangelo Giovanneo, in quanto Tognocchi non si cimenta in un’analisi testuale, ma interpreta a livello l’evento in questione. Cfr. anche E. Tognocchi, Le nozze di Cana, ed. Cittadella, Assisi, 1991, ma questo testo non è più in commercio. Si tenga presente che Tognocchi è un sacerdote cattolico.

[33] Questo aspetto è un punto forte della comunità di S. Pio X e dei religiosi lefebriani, contrari ancora oggi, ad esempio, alla somministrazione dell’Eucarestia nelle mani dei fedeli invece che in bocca direttamente dal sacerdote: ciò significherebbe infatti una dispersione del Sacro, dell’ostia, che è il Corpo di Cristo.

[34] E. Tognocchi, La moltiplicazione…,cit.

[35] Giovanni, Vangelo, VI°, v. 16.

[36] Libro dei Salmi, 77, in Antico Testamento.

[37] Secondo quanto afferma la teologia fondamentale.

[38] Libro del Siracide, cap. XXIV°, in Antico Testamento.

[39] Giovanni, Vangelo, …,cit., VII°, v. 69.

[40] Anche nei tempi successivi, fino ad oggi, gli ebrei sono noti per essere dei grandi studiosi; i nazisti temevano infatti l’istruzione degli ebrei, che per questo vietarono, prima costituendo delle “scuole ebraiche” e proibendo agli ebrei di andare a scuola insieme agli ariani, poi vietando loto ogni forma di cultura per poi procedere alla ghettizzazione ed all’eliminazione nei lager.

[41] In Siria, sopra Damasco, oggi è ancora parlata la lingua aramaica, praticata anche da comunità di suore coltissime intente a tradurre gli antichi codici.

[42] Come testimoniato anche dal celebre film di Mel Gibson The passion, 2004.

[43] Giovanni, Vangelo,…, cit., VII°, v. 28.

[44] L’evangelista in questione è ovviamente Giovanni. Il termine “Vangelo” deriva dal greco e significa “buona novella”, dal greco “Eù” che significa “buono/a” e “Vanghelion”, che significa “novella”. L’evangelista è quindi colui che narra una buona novella.

[45] A. Grun, Gesù, porta della vita. Il vangelo di Giovanni, Queriniana, Brescia, 2003.

[46] E. Tognocchi, La preghiera…, cit.

[47] Giovanni, Vangelo,…, cit., cap. X°, v. 18.

[48] Ibid., cap. XI°, vv.33- 35.

[49] Ibid., vv. 49- 51.

[50] Ibid., cap. XII°, vv. 24-25.

[51] Ibid., cap. XIII°, vv. 3-11, 14, 16, 19-20.

[52] Ibid., v. 11.

[53] Ibid., v. 30.

[54] Giuda Iscariota.

[55] Ibid., vv. 34-35.

[56] Anche nella consapevolezza dell’imminenza della morte, Gesù dimostra la sua autocoscienza. L’amore dei Greci pagani, ebbro e indisciplinato, è quello prediletto da F. Nietzsche nell’esaltazione dello spirito dionisiaco sull’apollineo, celebrata ne La nascita della tragedia, la sua grande opera giovanile.

[57] Giovanni, Vangelo,…, cit., cap. XV°, v. 16.

[58] Ibid., cap. XIX°, vv. 26-27.

[59] Ibid., v. 30.

[60] G. Ravasi Il vangelo di Giovanni, voll. I/II, EDB, Bologna, 2004.

[61] Ibid., vol. I°, p. 5.

[62] Ibid., p. 7.

[63] Ibid., pp. 31/33.

[64] Ibid., p. 59.

[65] Ibid., p. 62.

[66] Ibid.,vol. II°, p. 15.

[67] Ibid., p. 25.

[68] Ibid., pp. 37/38.

[69] Ibid., p. 77.

[70] A. Poppi, Sinossi dei quattro vangeli, Il Messaggero, Padova, 1990.

[71] Ibid., Introduzione.

[72] Ibid., pp. 401-429.

[73] A. Grun, Gesù porta…, cit.

[74] A. Fumagalli, Come lui ha amato. L’eros di Gesù, ed. San Paolo, 2010. Si consideri che Fumagalli è un giovane sacerdote, ordinato nel 1991.

[75] R. Brown, Un ritiro spirituale…, cit.

[76] R. Fabris – S. Romanello, Introduzione alla lettura di Paolo, Borla, Torino, 2006.

[77] Atti degli Apostoli, XVIII, vv. 12-17. Gli Apostoli di cui ci parla Luca sono, come è noto, Pietro, martire e fondatore della Chiesa, primo papa ufficialmente riconosciuto, e Paolo di Tarso.

[78] Ibid., v. 2.

[79] Svetonio, Vite dei 12 Cesari.

[80] Dione Cassio, Storia di Roma.

[81] Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cit., vv. 11, 30-33.

[82] Atti…, cit., IX, vv. 24-25.

[83] Ibid., vv. 24-27

[84] Ibid., IX, vv. 1-22.

[85] Ibid., XIII, v. 9.

[86] Paolo di Tarso, Lettera ai Filippesi, III, v. 20.

[87] Atti…, cit., XXV, vv. 11-12.

[88] Ibid., IX, vv. 11-30 e XXII, v. 3.

[89] Paolo di Tarso, Lettera ai Filippesi, cit., III, vv. 5-6.

[90] Ibid.

[91] Paolo di Tarso, II Lettera ai Corinzi, cit., XI, v. 22.

[92] Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, XVI.

[93] Atti degli Apostoli, cit., XXIII, v. 6.

[94] Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, VII, vv. 6-9.

[95] Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cap. I°, v. 18 e cap. II°, v. 1.

 [96] Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cap. I°, vv. 12-14.

 [97] Ibid., cap. I°, v. 6, cap. III°, v. 1, cap. V°, v. 11.

 [98] Atti…, cit., capp. X° e XV°.

 [99] Paolo di Tarso, I e II Lettera ai Corinzi e Lettera ai Galati, cit.

[100] Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cit., cap. I°, vv. 17, 19.

[101] Costituzione “Gaudium et Spes”, in Atti del Concilio Vaticano II°.

[102] Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cap. I°, v. 1.

[103] Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cap. I°, v. 10, in cui parla di “servitore”.

[104] Paolo di Tarso, II Lettera ai Corinzi, vv.4-5.

[105] Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cap. I°, vv. 18-25. E’ questo anche un concetto base della teologia fondamentale.

[106] Ibid., vv. 26-28.

[107] Ibid., cap. V°, vv. 15-16.

[108] Paolo di Tarso, Lettera ai Corinzi, cap. I°, vv. 7, 20 e cap. XII°, vv. 4-7.

[109] Ibid., cap. I°, v. 13 e cap. VII°, v. 13.

[110] Atti…, cit., cap. XIII°, vv. 14-28.

[111] Ibid., cap. XVII°.

[112] Libro di Samuele, cap. XI°, 14-15, in Antico Testamento.

[113] Paolo di Tarso, II Lettera ai Tessalonicesi, cap. I°. v. 1.

[114] Aristotele, Poetica, l. I°, Laterza, Bari.

[115] Atti…, cit., cap. IX°.

[116] Ibid., cap. XXII°.

[117] Ibid., cap. XXVI°.

[118] Per Paolo, “santo” e “cristiano” sono sinonimi.

[119] Cfr. anche Atti…, cit., XVII°, v.1.

[120] Paolo di Tarso, I Lettera ai Tessalonicesi,…, cit., cap. IV°, vv. 13-18.

[121] Ibid., cap. V°.

[122] Atti…, cit., cap. XVIII°, v. 1.

[123] Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cap. II°.

[124] Ibid., cap. I°, v. 10-cap. IV°, v. 21.

[125] Dio della poesia e delle arti nella mitologia greca.

[126] O Venere, dea della bellezza nei poemi omerici.

[127] O Nettuno, dio del mare nell’Odissea di Omero.

[128] Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinti, cit., cap. I°, vv. 17-18.

[129] Ibid., cap. III°, vv. 5-6.

[130] Ibid., vv. 16-17.

[131] Ibid., cap. XI°, v. 29.

[132] Ibid. cap. III°, v. 10.

[133] Ibid.,, capp. V°/VI°.

[134] J. Maritain, Umanesimo integrale, a c. di G. Dore, Borla, Torino, 1964.

[135] Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cit., capp. VIII°/X°.

[136] Ibid. cap. XII°, v. 12.

[137] Ibid., cap. XI°, vv. 17/32.

[138] Ibid., capp. XI°/XII°.

[139] Paolo di Tarso, I Lettera agli Efesini.

[140] Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cap. XV°.

[141] Paolo di Tarso, II Lettera ai Corinzi, cit., cap. VI°.

[142] Paolo di Tarso, Lettera ai Filippesi, cap. II°, vv. 6-11.

[143] Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cap. I°, v. 16.

[144] Ibid., capp. III°/IV°.

[145] Si consideri che i termini “morale” ed “etica” saranno sinonimi anche nella storia filosofica fino alla Critica della Ragion pratica, di I. Kant.

[146] Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cap. I°.

[147] Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cit., capp. V°/VI°.

[148] Ibid., cap. II°, v. 20 e Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. VIII°, v. 32.

[149] Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cit., cap. VI°, vv. 12-20.

[150] Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. III°, v. 25.

[151] Ibid.

[152] Ibid., cap. I°.

[153] Ibid., capp. I°/XI°.

[154] Ibid., capp. XII°/XV°.

[155] Ibid., capp. XV°/XVI°.

[156] Ibid., capp. I°/IV°.

[157] Ibid., capp. V°/VIII°.

[158] Ibid., cap. I°, vv. 16-17.

[159] Ibid., cap. I°, v. 18 e cap. III°, v. 30.

[160] Ibid., cap. III°, vv. 21-31.

[161] Ibid., cap. IV°.

[162] Ibid., cap. I°.

[163] Ibid., cap. V°, vv. 15-16, sulla funzione salvifica della Grazia divina.

[164] Su questo punto cfr. anche il Vangelo di Giovanni.

[165] Paolo riprende qui il noto discorso di Pietro al centurione romano Cornelio.

[166] Al tempo di Adamo non c’erano ancora le Tavole della Legge, ma la Promessa, come Paolo ha affermato nella Lettera ai Corinzi, cap. XV°, v. 21.

[167] Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. VI°.

[168] Ibid., capp. VI°/VII°.

[169] Su questo punto cfr. anche Paolo di Tarso, II Lettera ai Corinzi, cit.

[170] Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, capp. IX°/XI°. Sono questi capitoli che smentiscono la tesi di un Paolo “antiebraico”.

[171] Ibid. capp. XV°/XVI°.

[172] Ibid., cap. XVI°.

[173] Ibid., cap. XV°, vv. 23-24.

[174] Lettere Deutero-paoline: Lettera agli Efesini, cap. I°, v. 10.

[175] Lettere Deutero-paoline: Lettera ai Colossesi, cap. I°.

[176] Lettere Deutero-paoline: Lettera agli Ebrei, cap. I°.

[177] Giovanni, Vangelo, cit., cap. III°, v. 23.

[178] Ibid., cap. XV°, vv. 22-24 e cap. I°, vv. 3, 14.

[179] Ibid., cap. I°, v. 4 e cap. II°, v. 12.

[180] Paolo di Tarso, I Lettera ai Corinzi, cap. V°, vv. 7-8.

[181] Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. VI° e Lettera ai Colossesi, cap. III°.

[182] Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. VI°, vv. 1 e sgg.

[183] Ibid., v. 8.

[184] Ibid., v. 2.

[185] Paolo di Tarso, Lettera ai Colossesi, cit., cap. III°, vv. 3-4.

[186] Paolo di Tarso, Lettera ai Romani, cit., cap. VI°, vv.2 – 12 e sgg.

[187] Paolo di Tarso, Lettera ai Colossesi, cit., cap. III°, vv. 5 e sgg.

[188] Su questo punto l’ebraismo è stato fortemente accusato anche dal filosofo G. W. F. Hegel in Scritti teologici giovanili, a c. di N. Vaccaro-E. Mirri, Guida, Napoli.

[189] Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, cit., cap. VI°, v. 2.

L’ ‘ALLONTANAMENTO’ DAL GIUDAISMO NEL VANGELO GIOVANNEO E NELL’EPISTOLARIO PAOLINO.ultima modifica: 2015-05-26T16:48:14+02:00da m_200
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