MONTAIGNE, PENSER EN TEMPS DE GUERRES DE RELIGION

SCUOLA NORMALE SUPERIORE DI PISA – CONVEGNO ITALO-FRANCESE DI STUDI– GIOVEDI’ 9 NOVEMBRE 2017 – ATTI DEL CONVEGNO – Palazzo della Carovana, Piazza dei Cavalieri, 7, SALA DEGLI STEMMI, 56126 PISA (ALCUNE CONFERENZE SONO IN LINGUA ITALIANA, ALTRE IN FRANCESE) MONTAIGNE, PENSER EN TEMPS DE GUERRES DE RELIGION (MONTAIGNE, PENSIERI AL TEMPO DELLE GUERRE DI RELIGIONE). PROGRAMMA:
09.15 Saluti del Direttore della SNS, Vincenzo Barone
Lectio magistralis di Michele Ciliberto (SNS, Accademia dei Lincei, INSR)
Machiavelli e «l’arte della Guerra»
10.30 Presiede Nicola Panichi (Scuola Normale Superiore)
Simonetta Bassi (Università di Pisa)
Fanatismo e intolleranza nelle opere francesi di Giordano Bruno
Véronique Ferrer (Université Paris Nanterre)
«Sainement et gaiement vivre» au temps des guerres de religion: la leçon humaniste de Montaigne
Marco Sgattoni (Scuola Normale Superiore)
«… haereticum haberi, quisquis a nobis dissentit». Letture e lettori di Sébastien Castellion
Emiliano Ferrari (Université Jean Moulin Lyon 3)
Ragione, fede e libertà di pensiero in Montaigne e La Mothe Le Vayer

09.15 Saluti del Direttore della SNS, Vincenzo Baron
E’questa la seconda parte di un Convegno iniziato in Francia.

Lectio magistralis di Michele Ciliberto (SNS, Accademia dei Lincei, INSR)
Machiavelli e «l’arte della Guerra»
Michel de Montaigne è un pensatore degno di essere messo accanto ai grandi geni della politica moderna, quali Moro, Guicciardini, Hobbes, Locke, Montesquieu e Rousseau. Opere storiche, come le Istorie fiorentine, sono anche opere politiche: non c’è frattura in Machiavelli, tra storia e politica, a differenza di Guicciardini. Le armi devono essere subordinate all’etos dello Stato, per non diventare meri strumenti di distruzione, scrive Machiavelli nei sei Dialoghi dell’Arte della guerra. Critica le armi mercenarie, infedeli e causa di imbarbarimento della vita morale, politica e civile. Le armi non sono sufficienti a mantenere uno Stato: occorre anche la prudenza, sostiene il pensatore fiorentino sulla scia di Aristotele; questo equilibrio tra armi e prudenza è per Machiavelli il grande problema delle signorie rinascimentali; è un problema, quello del rapporto tra armi e prudenza, che sarà ripreso nel Tractatus Theologicus-Politicus di Spinoza. Per mantenere giustizia e libertà, le armi devono avere un fondamento civile: dove vi sono buone leggi vi sono anche buone armi. Questa è la grande lezione ereditata dalla Repubblica romana, ed il rapporto tra armi e prudenza, intesa quest’ultima come giustizia, è fondamentale anche negli Stati che hanno avuto un esercito proprio, e non misto o mercenario, scrive Machiavelli nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Per Machiavelli l’uomo non esce mai dallo stato di natura: a questo è dovuto il pessimismo di Machiavelli, la natura è più forte della politica. Questa è anche la fondamentale differenza tra Machiavelli e Rousseau, per il quale lo stato di natura è invece una condizione di felicità ormai perduta, e che può essere recuperata soltanto con la Volontà Generale amante del bene comune (sulla necessità di tornare allo stato di natura Rousseau sarà criticato da Marx ne La questione ebraica). L’uso segni pubblici, come gli stemmi per i fiorentini, possono trasformare gli uomini in cittadini, facendo sentire loro l’amor di patria. Non c’è mai un salto definitivo dalla natura al cittadino, l’uomo resta sempre legato alla barbarie in cui è nato, l’uomo è quindi un centauro ed in questo senso lo statista critica il De rerum natura di Lucrezio, nel quale Lucrezio aveva beffeggiato la figura del centauro. L’uomo nasce libero e non vuole rinunciare alla libertà in cui è nato, cioè allo stato di natura. Ma la libertà dev’ essere difesa con le armi ed organizzata con le leggi ed è questo il problema della Firenze rinascimentale, per questo bisogna costituire milizie proprie, come nella Repubblica romana. I grandi generali, come i grandi sacerdoti, devono essere “attori” e saper parlare ai soldati. Machiavelli è un umanista lontano dall’erudizione e vicino invece alla politica attiva, lontano da Ficino e Pico, perché l’ozio è amico della viltà. Negli Stati italiani, afferma lo statista fiorentino, la virtù è spenta e la fortuna non è più “addomesticabile”.

10.30 Presiede Nicola Panichi (Scuola Normale Superiore)
Simonetta Bassi (Università di Pisa)
Fanatismo e intolleranza nelle opere francesi di Giordano Bruno
Giordano Bruno trascorre in Francia due periodi, dal 1578 al 1583 1586 e dall’ottobre 1585 al giugno 1586​; vive a Lione, Tolosa, Parigi. Si addottora come maestro delle Arti ed insegna filosofia a Parigi; studia, in particolare, il De anima aristotelico. Convocato da Enrico III, gli fu chiesto se il motivo della memoria che poggiava era dovuto ad arte magica, ma Bruno rispose che era dovuta alla scienza, come afferma anche nel De umbris idearum e nella Favola del cavallo pegaseo. Le”ombre delle idee” spaventano le bestie, che sono i cristiani, che credono ancora nel sistema geocentrico, sostiene Bruno, anticipando così la teoria copernicana. Queste tesi​ bruniane sulla memoria e l’astronomia incontrano diffidenza presso Enrico III ed i teologi francesi​, sia cattolici che ugonotti. La notte di San Bartolomeo del 24 agosto 1572 e la successiva guerra dei “tre Enrichi” sono esempi di questo fanatismo, per Bruno, e lo saranno anche per Voltaire, come si evince dalle pagine del suo Dizionario filosofico. I teologi affermano che la memoria di cui parla ha origini magiche e non è una memoria naturale, dovuta all’esercizio. L’ “ombra” è il mezzo per farci avanzare verso la luce o regredire verso le tenebre, ma è per il primo motivo che è temuta dalle “bestie”, l’ombra è lo spazio di costruzione e quindi è lontana dal fanatismo degli accusatori di Bruno, come Mocenigo. Bruno non si presenta come filosofo o professore, ma come filantropo. Il nolano sarà cacciato anche da Londra e da Oxford; la sua critica alla fisica aristotelica fece asserire ai dottori di Oxford che Bruno “meriterebbe di essere lapidato”. Dopo i soggiorni francese ed inglese, Bruno si trasferì in Germania, Dove incontrò un ambiente culturale più accogliente.

Véronique Ferrer (Université Paris Nanterre)
«Sainement et gaiement vivre» au temps des guerres de religion: la leçon humaniste de Montaigne
La giustizia e uguaglianza sono contrapposti al fanatismo,, alla distruzione alla tirannia, che è una malattia che ha contagiato tutta l’umanità “civilizzata”, come dimostrano le guerre di religione. La salute per combattere la malattia si acquista con l’esercizio lucido della coscienza. La salute invita alla moderazione delle passioni. La buona politica, per Montaigne, è una conseguenza della vittoria della salute sulla malattia. Le tesi di Montaigne muovono da un profondo rispetto per il corso della natura, tesi che saranno riprese dal socialismo utopistico di Saint-Simon nel Settecento. Questa moderazione è “l’elogio della mediocrità” per Montaigne, che non è grigiore, ma rispetto dell’equilibrio contro la corruzione del suo secolo, divorato dalla vanità, dalla tirannia e dall’avarizia. La mediocrità è quindi il nemico più forte della vanità.

Marco Sgattoni (Scuola Normale Superiore)
«… haereticum haberi, quisquis a nobis dissentit». Letture e lettori di Sébastien Castellion
Sébastien Castellion De è l’autore del De haereticus, in cui riporta testimonianze di fanatici a favore della persecuzione, ma intravede nella reciproca tolleranza l’unico strumento per la pace. La Basilea di Erasmo è un’isola felice, dove si pubblicano infatti le opere di presunti eretici e miscredenti, come lo stesso Castellion. La critica moderna, a partire da Delio Cantimori, vede in Castellion un autore che ha aperto la strada verso la libertà di coscienza. Montaigne conosceva Castellion e lo cita, biasimando le condizioni in cui Castellion fu costretto a vivere ed a morire. Castellion fu autore di cultura, tradusse Senofonte dal greco al latino, fu un erudito umanista. Non possiamo dirci cristiani scrive Montaigne, se non sappiamo perdonare. Castellion denunciò gli inquisitori ecclesiastici che condannavano sulla base di semplici indizi. Nei suoi Saggi, Montaigne appoggerà esplicitamente la posizione di Castellion. Chi potrebbe farsi cristiano, scrive Montaigne, se vede cristiani che mandano al rogo altri cristiani? “Brucia ancora il rogo di Serveto”, prosegue Montaigne. Circa i rapporti tra Stato e Chiesa, il filosofo teorizza la reciproca indipendenza delle due sfere: lo scopo per tutte le confessioni religiose è uno solo, la tolleranza. L’errore, per Castellion​ e per Montaigne, dev’ essere compreso, e non condannato, come invece affermava Calvino, che legittimava la pena di morte per gli eretici. Castellion scrisse anche​ un Libellum contro Calvino. L’assolutismo è per Montaigne una caratteristica di un sistema culturale e non è, come i fanatici vorrebbero far credere, un elemento naturale.

Emiliano Ferrari (Université Jean Moulin Lyon 3)
Ragione, fede e libertà di pensiero in Montaigne e La Mothe Le Vayer
Per Montaigne sono possibili due usi della ragione, uno critico ed uno dogmatico; questo secondo atteggiamento vuole fondare la verità su una fede indiscutibile; il primo atteggiamento, invece, non è antireligioso, ma con un costruttivo atteggiamento scettico non ritiene che esista una verità assoluta, che vorrebbe dire cadere nel dogmatismo. L’uso critico della ragione conduce alla verità per analogie e congetture. La credenza religiosa è stata ridotta, dall’ atteggiamento dogmatico, ad un mero fenomeno storico; purtroppo, scrive Montaigne, l’unica fede della quale diamo prova è la fede storicizzata. Pierre Bayle, nei suoi studi sulle comete, riprenderà questa tesi. La “fede infusa” è divina, è un’esperienza tutta interiore, contro una fede “esterna”, storica, culturale, legata ad interessi sempre particolari. Montaigne utilizza lo scetticismo antico di Pirrone di Elide per criticare l’uso dogmatico della ragione, affermato da Aristotele e dalla Scolastica. A differenza del dogmatico, lo scettico non “decreta”, come infatti ci avevano insegnato Socrate, Platone e Sesto Empirico. I dogmatici confondono, in mala fede​, ciò che è naturale con ciò che è derivato da circostanze storiche. Montaigne cita, come scettico, addirittura Paolo di Tarso ed il suo Epistolario: Paolo è uno “scettico cristiano” poco studiato ancora oggi. Anche Agostino esalta l’ignoranza come via per la conoscenza. Lo scetticismo, per il filosofo francese, è la migliore preparazione alla fede interiore, lontana dalle superstizioni della fede storica. Persino Francesco Bacone esalta l’ “ateismo virtuoso”, come anche Bayle, sulla fede storica. Scetticismo ed erudizione sono quindi i prodotti, rispettivamente, della ragione scettica e di quella dogmatica.

MONTAIGNE, PENSER EN TEMPS DE GUERRES DE RELIGIONultima modifica: 2017-11-09T22:13:04+01:00da m_200
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