Giambattista Vico tra Illuminismo radicale e forme della ragione umana

MARCO MARTINI

Giambattista Vico tra Illuminismo radicale e forme della ragione umana.

Palazzo Serra di Cassano
via Monte di Dio 14, 80132 – Napoli
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NAPOLI

L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, ente accreditato dal M.I.U.R. per la formazione in servizio dei docenti (Decreto n. R.0001106.19-07-2018), è presente sulla piattaforma
S. O. F. I. A. – Segretaria Generale dell’Istituto: Prof. ssa Florinda Li Vigni.
Seminario a cura di Giulio Gisonti, IISF, Università di Napoli “Federico II”:
Giambattista Vico tra Illuminismo radicale e forme della ragione umana.
Programma:
1.Lunedì 18/10/2021, h. 16:00-18:00, Pierre Girard, Université de Lyon III “Jean Moulin”, Modernità e materialismo nella Napoli della fine del Seicento;
2.Martedì 12/10/2021, h. 16:00-18:00, Fabrizio Lomonaco, Università di Napoli “Federico II”, La ratio studiorum: una polemica e una proposta di unità del “sapere umano e divino in Vico.
1.Lunedì 18/10/2021, h. 16:00-18:00, Pierre Girard, Université de Lyon III “Jean Moulin”, Modernità e materialismo nella Napoli della fine del Seicento;
Pierre Girard è professore associato di filosofia politica all’Università di Lione 3 e si è occupato del pensiero filosofico italiano tra ‘600 e ‘900, da Vico a Gramsci.
Il concetto di modernità implica una categoria problematica che segna la vittoria di un’idea su un’altra: la diatriba che si è sviluppata sulla genesi della modernità, per Weber consisteva nell’avvento della burocrazia (cfr. M. Weber, Economia e società), per altri si ravvisa nell’ Umanesimo o nelle scoperte geografiche, sul piano storico, per altri ancora nella rivoluzione scientifica ed infine per altri nel razionalismo cartesiano. Per Ciliberto e Jonathan Israel non sarebbe stato possibile lo sviluppo del pensiero cartesiano senza Lucrezio; per Girard vi è un nesso inscindibile tra Hobbes e Cartesio. Nel 1689 il filosofo Tommaso Cornelio torna a Napoli e contribuisce a fare della città, alla fine del Seicento, anche il fulcro del pensiero scientifico, e non solo storico e così entrano a Napoli il pensiero di Gassendi con la sua teoria sugli “atomi spirituali”, Lionardo Di Capua, medico e filosofo, come attestano anche gli studi di Nicola Badaloni del 1961. Telesio, Campanella, Bruno, Della Porta, Marco Aurelio Severino un medico-chirurgo, con le loro filosofie della natura offrono lo spunto per lo sviluppo del pensiero scientifico. La modernità a Napoli è storicamente segnata dalla rivoluzione di Masaniello e Gennaro Annese e dall’ epidemia di peste del 1656-57, durante la quale morirono più di 250000 persone, ovvero più della metà degli abitanti della città, che ne contava poco più di 400 mila. Emerge l’incapacità, da parte del vicereame spagnolo, di gestire la situazione sanitaria, come sottolinearono i maggiori esponenti dell’ “Accademia degli Investiganti”, fondata a Napoli nel 1650 con Lionardo di Capua. Cartesio in questo contesto diviene, per gli intellettuali napoletani, il simbolo della libertà: i cartesiani napoletani, contro i gesuiti napoletani del ‘600, rifiutano la metafisica ed abbracciano il meccanicismo e Lionardo di Capua sostiene che solo il meccanicismo può rinnovare la medicina, anche se si avverte la fragilità, sul piano prettamente fisico, della res extensa cartesiana. Padre Mersenne e la “Scolastica cartesiana”, Arnaud, Gassendi e Malebranche con La ricerca della verità, in questo contesto, entrano a Napoli virgola mentre poco importa agli scienziati partenopei del ‘600 il problema dell’infinità o meno dell’universo. E’ quindi il cosiddetto “dibattito sul cartesianesimo” che entra a Napoli e Malebranche è talvolta utilizzato contro Cartesio come anche Gassendi ed a Parigi virgola si scrive che ci sono “giovani pazzi” che credono di vedere i due filosofi in affinità, come attestato anche dall’ Accademia del Cimento a Firenze. A Napoli è molto viva la tradizione atomistica di Democrito, Epicuro e soprattutto Lucrezio ed in autori come D’Andrea e Di Capua e presso l’Accademia degli Investiganti in particolare si riprende il secondo libro del De rerum natura di Lucrezio.
Eugenio Garin sostenne che Lucrezio non venne mai dimenticato.
Vico cercherà di superare le “idee chiare e distinte” cartesiane, ma Lucrezio rimane presente anche in Vico, in particolare nel quinto ed ultimo libro della Scienza nuova, anche se il filosofo napoletano resta molto critico verso l’Accademia degli Investiganti. Arnaud dibatte con Cartesio riguardo all’unità di anima e corpo nel suo interessante epistolario; l’anima testimonia, secondo Di Capua, la presenza di Dio nell’uomo, ma per la conoscenza resta fondamentale l’esperienza. Vico, più che polemizzare con Cartesio, polemizza con il materialismo ateo di alcuni esponenti dell’ Accademia degli Investiganti. Spinoza e Leibniz, da cartesiani, cercheranno di andare oltre Cartesio, il primo sul piano metafisico, il secondo su quello logico-matematico.
In Vico resta la forte critica alla “finzione”, alla “scienza fittizia” che per lui è rappresentata dalla matematica, come emerge anche dalla sua Autobiografia.

2.Martedì 12/10/2021, h. 16:00-18:00, Fabrizio Lomonaco, Università di Napoli “Federico II”, La ratio studiorum: una polemica e una proposta di unità del “sapere umano e divino” in Vico.
Fabrizio Lomonaco è professore ordinario di storia della filosofia moderna e storiografia filosofica alla Federico II di Napoli ed è un cultore di Vico. Jonathan Israel è uno studioso anglosassone e parla di illuminismo radicale” con riferimento a Spinoza, mentre in Vico si può parlare di “pre-illuminismo” con riferimento alla sua concezione politica, che sposa l’ideale di una monarchia illuminata. Nel 1708 Vico, modesto professore di retorica a Napoli, pubblica l’ultima delle 6 Orazioni inaugurali, il De nostri temporis studiorum ratione, ove propone una riforma degli studi, non solo accademici. La “ratio studiorum” per Vico è “l’ordine degli studi” in un momento in cui a Napoli domina l’impostazione didattica cartesiana e quindi il De ratione si pone anche come un’opera pedagogica, in un periodo in cui Vico non ha ancora rotto i ponti con il razionalismo cartesiano, anche se si è già allontanato dagli “Investiganti”. Vico interpreta Cartesio sul piano metafisico grazie alla guida di Platone, che verrà elogiato all’inizio del De antiquissima italorum sapientia (1710). Aristotele e Cartesio hanno commesso lo stesso errore, sia pure in ordine inverso: il primo ha preteso di condizionare la fisica con la metafisica, il secondo ha invece preteso di “fisicizzare” la metafisica. Netta è quindi la distanza tra il giovane Vico e lo stagirita, mentre il filosofo napoletano si mostra vicino a Platone e legge il Discorso sul metodo di Descartes, come emerge esplicitamente anche dalla sua Autobiografia. Come ha sottolineato anche Biagio De Giovanni la metafisica può per Vico illuminare la vita civile e politica altrimenti rimarrebbe un “universale astratto”: in questo, per Vico, consiste la “modernizzazione della ragione”. Vico stigmatizza Hobbes, che considera un autore pericoloso perché ha respinto la metafisica per abbracciare il materialismo, ma legge con piacere, oltre a Platone, anche Bacone, Tacito e Grozio uno dei teorici del giusnaturalismo, che nella Scienza nuova del 1725 saranno definiti come i suoi quattro pilastri. Di Bacone legge il Novum organum, il De sapientia veterum (un complesso di 31 favole allegoriche) ed apprezza l’utopia della Nuova Atlantide, come ha sottolineato Paolo Rossi, mentre di Hobbes critica fortemente il Leviathan e il De cive. Vico è animato dal desiderio, dalla ricerca del “vero”, e su questa base confronta il sapere dei moderni con quello degli antichi.
Paolo Mattia Doria è un matematico, amico di Vico, grazie al quale il filosofo napoletano rivaluta la geometria nel De ratione, in cui questa branca della matematica viene considerata utile per l’educazione e il gioco dei fanciulli, in quanto stimola la fantasia. In Spinoza la geometria costituirà invece la base dell’epica (Ethica ordine geometrico demonstrata). Alla fantasia Cartesio ha invece sostituito l’ingegno meccanicistico; tuttavia il vero sapere è per Vico non quello meccanicistico, che è solo umano, ma è “Divino et humano” insieme, con l’istituzione delle leggi, dei matrimoni e delle religioni (cfr. U. Foscolo, Sepolcri, “Dal dì che nozze, tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose di se stesse e d’altrui”). Unire sapere umano e divino significa fare una “metafisica del genere umano”, afferma Vico, la metafisica deve quindi calarsi concretamente nelle istituzioni umane. Vico si mostra anche avversario dello scetticismo a partire da quello antico di Pirrone di Elide ( cfr. Schizzi pirroniani), ma il “cogito” cartesiano non è stato in grado di offrire una risposta valida. Di Aristotele Vico critica la metafisica, ma apprezza maggiormente l’Ethica nicomachea perché qui lo stagirita mostra vicinanza alle istituzioni concrete. Solo il “verosimile” può per Vico unire il sapere umano e divino. Platone resta il filosofo prediletto, anche come filosofo del linguaggio, con riferimento al Cratilo: le parole sono le idee, gli universali con i quali calarsi nella realtà. La filosofia di Vico non è, nel suo complesso, una filosofia dell’ individuale, ma del “comune”, delle “genti”, della “Comune natura delle nazioni”, per riprendere una parte del titolo dei Principi d’una Scienza nuova intorno alla comune natura delle nazioni, e “la storia ideale eterna delle nazioni”, per il filosofo della storia, ha bisogno di un’etica. Oltre al Cratilo Vico riprende anche la Repubblica, in cui il pensatore ateniese ci offre “la visione più alta dell’ universale”. Moltissime sono quindi le fonti dell’originalità vichiana in materia gnoseologica. La stessa Provvidenza per Vico non è un ente astratto, calato dall’esterno, ma è intrinseca alla storia umana, anima e muove la storia dall’interno. Non s’ intravedono invece nel filosofo echi del pensiero bruniano. Parlare di Provvidenza in Vico potrebbe voler dire di farne un autore cristiano, ma non necessariamente cattolico, tesi che ha invece dominato la storiografia otto-novecentesca. Dalla Poetica di Aristotele Vico riprende il concetto di “verosimile”, che avrà influenza anche, in accezioni naturalmente differenti, in Tasso ed in Manzoni. I limiti della ragione sottolineati da Vico saranno sposati perfino da Kant nella Dissertazione del ‘70 (1770) e nella Critica della ragion pura (1781). La vera saggezza, per Vico, è “pietas” non ragione astratta, e la “pietas” vichiana non è la generica compassione, bensì la religiosità della patria e della famiglia e del rispetto verso la religione. Vico resta un autore fondamentale e centrale nella storia della filosofia e della letteratura italiana moderne, anche per le influenze che ha avuto su Hegel, Croce, Gentile e tutto lo storicismo, proprio per quanto concerne la concezione dialettica della storia; ma Vico influenzerà anche Verga per quanto riguarda la religiosità della famiglia. Il filosofo napoletano critica infine l’aristotelismo tomista e della Scolastica medievale, in cui il “regnum” era dogmaticamente soggetto al “sacerdotium”. I primi poeti furono per Vico teologi e cantori perché la poesia veniva cantata, questa è la “geometria delle forme” rivalutata da Vico, che non è la geometria analitica cartesiana. Lo studioso del Cilento recupera anche Arnaud ed il suo giansenismo portorealista, così come è notevole il modello di retorica ciceroniana per l’importanza data dal pensatore partenopeo all’eloquenza: nel De ratione l’autore, citando Cicerone, definisce l’eloquenza come “la saggezza che parla”. La natura umana è al centro del pensiero vichiano, anche se l’uomo deve preservarsi dalla natura barbara e primordiale dei “bestioni” di cui parlavano giusnaturalisti come Grozio e Pufendorf . La “religiosità” della storia operata da Vico avrà infine ampia fortuna nel Risorgimento ottocentesco. Per queste tutte queste suggestioni Vico resta un autore profondamente calato nella cultura occidentale europea del suo tempo.

Giambattista Vico tra Illuminismo radicale e forme della ragione umanaultima modifica: 2021-10-21T20:14:34+02:00da m_200
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